viaggio al centro della logica

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Alessandro Pizzo
VIAGGIO AL CENTRO
DELLA LOGICA
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via Raffaele Garofalo, 133/A–B
00173 Roma
(06) 93781065
ISBN
978–88–548–3031–8
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: dicembre 2009
Indice
9 Presentazione
11 Capitolo I
Lógos si dice in tanti modi.
23 Capitolo II
Quanti tipi di „logica‟?
31 Capitolo III
Logica filosofica o filosofia della logica?
35 Capitolo IV
La verità. Tutta la verità. Solo la verità.
45 Capitolo V
Le “leggi del pensiero”.
49 Capitolo VI
Cosa sono i ragionamenti?
53 Capitolo VII
L‟ospite inquietante o l‟universalità della ragione?
57 Bibliografia
7
Capitolo I
Lógos si dice in tanti modi.
Sono certamente tanti i topoi filosofici presso i quali è possibile attingere a specifiche configurazioni semantiche del termine ‗logica‘.
Questo perché sussiste un certo orizzonte semantico attorno alla parola in questione, il quale è talmente denso concettualmente da rendere
ostico anche solo definirne il senso, tentare di indicarne l‘essentia
speculativa. A tal proposito, tornano certamente utili le parole di Gilardoni: «la definizione è la chiarificazione di una parola (o di un
simbolo) ottenuta attraverso la relazione tra questa, che rappresenta
ciò che è da definire (definiendum), e un gruppo di simboli o segni,
che sono ciò che definisce (definiens), i quali hanno un significato noto»1. Definire qualcosa, detto altrimenti, consente di attingere al vero
significato di quest‘ultimo, indicare cioè l‘orizzonte di senso a lui più
prossimo. In questo modo, come peraltro si è già rimarcato, s‘intende
definire la ‗logica‘ al fine di render conto della sua essenza.
La presente occasione, in modo particolare, e, si spera anche, in
maniera proficua, consente di tornare a pensare, nel circolo, e compito, irrisolto della ratio filosofica, alla sistemazione concettuale che i
filosofi a noi antecedenti diedero della nozione stessa di ‗logica‘.
Dunque, si cercherà di render conto di un divenire storico della parola
in oggetto e, insieme, anche di toccare alcuni momenti specifici, ed
importanti, della storia filosofica occidentale. Forse, non per dire
qualcosa di radicalmente innovativo, ma magari per tentare
d‘inventariare i materiali prodotti da altri.
Detto questo, è giunto il momento di intraprendere la «fatica» prefissa. Una fonte tra le tante disponibili, e che torna utile in questa sede,
afferma quanto segue: «Il termine ‗logica‘ deriva come noto da ‗logos‘»2. Odifreddi è dello stesso parere quando afferma che «etimologicamente la logica è lo studio del lógos»3. La parola ‗logica‘, dun1
Cfr. A. Gilardoni, Logica e argomentazione. Un prontuario, Mimesis, Milano, 20052, p. 59.
Cfr. R. Poli, Appunti di logica, Edizioni Goliardiche, Trieste, 1999, p. 3.
3
Cfr. P. Odifreddi, Il diavolo in cattedra. La logica da Aristotele a Gödel, Einaudi, Torino,
2003, p. 9.
2
11
12
Capitolo I
que, prima ancora di costituirsi quale branca specifica della conoscenza filosofica, ha un‘origine precisa: deriva dal greco lÒgoj, lógos. Essa è, cioè, la specificazione filosofica della maniera di pensare derivante da lógos. Infatti, in tanto la ‗logica‘ sarebbe il modo di pensare
proprio degli uomini in quanto lógos significa ‗pensiero‘, ‗discorso‘,
‗conoscenza‘, ‗ragione‘, ‗principio‘.
In questo senso, si può riconoscere senza difficoltà che, per via del
suo etimo, la logica è lo studio «del pensiero, del linguaggio» 4.
Un‘opinione senz‘altro condivisa da molti autori. Solo che, in merito,
Husserl avvisa subito come «La parola lógos, da cui è derivato il nome di «logica», ha un gran numero di significati»5. Dunque, anche solo ad una prima analisi, sembra proprio che il termine ‗logica‘ possieda una notoria polisemia. Ciò suggerisce anche, ancora, come non si
constati una concordanza di opinioni intorno al significato compiuto
da attribuirvi. Tuttavia, tale condizione non coinvolge né il suo etimo
né l‘individuazione della genesi della ‗logica‘ in quanto disciplina filosofica ad hoc. Infatti, si concorda generalmente che è una creazione
di Aristotele: «La creazione della logica come disciplina autonoma risale ad Aristotele»6.
Sebbene di significato non condiviso, comunque, il termine ‗logica‘
sembra intrattenere una relazione serrata con la ‗ragione‘ umana, con
il pensiero degli uomini in quanto animali razionali.
Invece, sulla polisemia del termine in questione, pur continuando a
centrare il suo senso generale quale emanazione dal pensiero, si tengano in debito conto le parole di Galimberti: «è nata in Grecia proprio
per de-terminare e de-finire, quindi per controllare e dominare»7.
L‘idea di fondo di Galimberti è che, come peraltro sosteneva già Nietzsche, il pensiero umano non fa altro che sottoporre al controllo e al
dominio concettuali ogni esperienza possibile. Pur non condividendo
tale posizione, è pensabile la teoretica umana nei termini di un pensiero obiettivante, ossia di una forma concettuale che astrae
4
Cfr. P. Odifreddi, Le menzogne di Ulisse. Le avventure della logica da Parmenide ad Amartya Sen, Tea, Milano, 2004, p. 11.
5
Cfr. E. Husserl, Logica formale e trascendentale, Laterza, Bari, 1966, p. 23.
6
Cfr. E. Moriconi, Discorso e significato. Introduzione alla logica contemporanea, La Nuova
Italia Scientifica, Roma, 1994, p. 15.
7
Cfr. U. Galimberti, Idee: il catalogo è questo, Feltrinelli, Milano, 20033, p. 126.
Lógos si dice in tanti modi
13
dall‘esperienza per ―catturare‖ entro schemi predefiniti le informazioni empiriche. Già Aristotele, infatti, in termini molto simili, configurava il processo conoscitivo della teoretica umana: «l‘immaginazione
è per Aristotele un prodotto «inerziale» della sensibilità animale: data
un‘impressione sensoriale, questa prima affezione ne produce una seconda […] la quale può sussistere anche quando l‘impressione sensoriale è cessata»8. Bordoni, nel brano citato, si riferisce espressamente
alla phantasía, una facoltà umana individuata dalla stagirita ma che
funziona benissimo anche ai presenti fini: l‘organizzazione della conoscenza non è altro che la categorizzazione dei dati sensoriali attraverso, e all‘interno di, schemi predefiniti. Questi ultimi sono in tutto e
per tutto i cosiddetti «concetti puri» di Kant, aggregati simbolici che
economizzano l‘interazione con l‘ambiente esterno. Aggiunge, infatti,
Bordoni: «è proprio solo dell‘uomo è la capacità di produrre suoni che
siano simboli (cioè segni arbitrari) di un mondo di affetti dell‘anima
non semplicemente sensibili. La dimensione caratteristica del lógos
umano è dunque, possiamo dire, la funzione simbolica»9. In altri termini, gli uomini sintetizzano i dati empirici mediante signa simbolici
espressi concettualmente, sotto forma di ‗pensieri‘, e linguisticamente,
sotto forma di ‗verba‘. Quel che fece Aristotele, in altri termini, fu
quello di individuare i poli essenziali del rapporto conoscitivo, quegli
stessi che passando per Kant e Husserl verranno definiti come ―polo
soggettivo‖, del soggetto che, a partire dalle proprie possibilità conoscitive, conosce, e come ―polo oggettivo‖, del mondo di oggetti, ed
esperienze, che vengono conosciuti. Per il tramite di un processo astrattivo, è possibile dunque distinguere tra il ―chi‖ e il ―cosa‖ della
conoscenza. Provando, allora, a tirare un po‘ le fila del discorso sin
qui condotto, è possibile scorgere l‘origine della ‗logica‘
nell‘intersezione di intenzionalità conoscitiva ed espressione verbale.
In realtà, si tratta di un punto oscuro della teoretica umana, benché
importante ai fini presenti. In altri termini, siamo in grado di indicare
la zona dalla quale promana la ‗logica‘, ma non siamo capaci di illuminarla adeguatamente. Così, in genere, tendiamo a mettere in corre8
Cfr. G. S. Bordoni, Linguaggio e realtà in Aristotele, Laterza, Roma – Bari, 1994, pp. 18 –
9.
9
Ivi, p. 28.
14
Capitolo I
lazione stretta, e triunivoca, l‘episteme, il linguaggio e l‘esperienza
degli uomini come la sede propria a partire dalla quale è possibile avere un pensiero, una comunicazione ed una conoscenza. Detto altrimenti, la teoretica umana sembra consistere nell‘interazione stretta di tre
elementi, per l‘appunto: episteme; linguaggio; ed, esperienza. Attualmente, si tende anche a mantenere separati i distinti piani, ma non
è stato sempre così, né alle origini della filosofia né in suoi specifici
momenti di sviluppo.
La connessione tra episteme, linguaggio ed esperienza è messa in
questione nell‘ultimo secolo, ma era uno degli assunti fondamentali
della filosofia medievale. Come sostiene, infatti, de Rijk: «fin
dall‘undicesimo secolo […]si presumeva che pensiero e linguaggio
fossero in relazione l‘uno con l‗altro e con la realtà nei loro elementi e
nella loro struttura. In ultima analisi, linguaggio, pensiero e realtà erano ritenuti logicamente coerenti»10. Ed ancora: «nel pensiero medievale, i punti di vista logico – semantici e metafisico sono, in conseguenza della percezione della loro interdipendenza, completamente mescolati»11. Se non è possibile parlare di identità tra i tre elementi, certamente non è possibile considerarli l‘uno isolato rispetto agli altri due.
Dunque, emerge, più o meno chiaramente, l‘idea secondo la quale ‗logica‘ sarebbe la scienza del lógos, ossia della maniera attraverso cui la
teoretica umana interagisce con la realtà esterna, e lo fa in termini
connessione e correlazione tra episteme, linguaggio ed esperienza.
Tuttavia, per potersi riferire meglio, e con maggiore efficacia, tanto
agli oggetti empirici quanto ai prodotti concettuali del proprio lavoro,
la teoretica umana utilizza dei simboli, ossia signa che stiano al posto
degli oggetti, ideali o reali, così per dire, al posto della loro concretezza, della loro materialità. Come dice, sebbene in un registro differente,
Boyer: «L‘uomo si differenzia dagli altri animali soprattutto per l‘uso
del linguaggio. Lo sviluppo di quest‘ultimo ha avuto una importanza
essenziale per il sorgere del pensiero matematico astratto: tuttavia le
parole che esprimono concetti numerici si vennero formando con relativa lentezza. Segni numerici probabilmente precedettero le parole che
10
Cfr. L. M. de Rijk, Le origini della teoria delle proprietà dei termini, in AA. VV., La logica nel medioevo, Jaca Book, Milano, 1999, p. 71.
11
Ibidem.
Lógos si dice in tanti modi
15
indicavano numeri»12. Si tratta di un discorso molto vicino a quello
condotto parecchi secoli prima già da Aristotele. Infatti, nel De interpretazione viene espressa una medesima concezione. Infatti, Bordoni
scrive: «nome, verbo ed enunciato sono detti in generale «simboli» di
affezioni dell‘anima»13. V‘è ovviamente un sottinteso in tutto ciò, e
che è bene esplicitare. Nelle parole sempre di Bordoni: «Aristotele intende proporre uno stretto isomorfismo tra piano psichico e piano linguistico: secondo noi esso vale anzitutto nel senso che il linguaggio riflette la struttura del pensiero»14. In questo senso, infatti, concorda
Husserl: «noi stabiliamo nello stesso tempo l‘universalità della coincidenza di linguaggio e pensiero»15. Se v‘è non proprio un isomorfismo,
ma quantomeno una corrispondenza, tra linguaggio e pensiero, allora
appaiono interessanti le parole di Raggiunti in merito ad Husserl: «La
logica come scienza si identifica, dunque, con la ragion pura»16. Si
tratta, certamente, di un‘impostazione interessante, ma distante dalla
maniera attuale di discutere le facoltà del pensiero in quanto espressione di un‘attività giudicativa razionale.
In merito, tuttavia, è rilevante osservare come Aristotele si sia posto in qualità di anticipatore di tale maniera di pensare e di considerare
le cose. Infatti, scrive Reale: «La logica considera, invece, la forma
che deve avere qualsiasi tipo di discorso che pretenda di dimostrare
qualcosa e, in genere, che voglia essere probante. La logica mostra,
quindi, come proceda il pensiero quando pensa, quale sia la struttura
del ragionamento, quali gli elementi di esso»17.In realtà, scavando un
po‘ nella sedimentazione culturale del termine ‗logica‘, è possibile
scorgere nella concezione greca della «scienza» la genesi di tale
modus operandi. Infatti, scrive Agazzi: «secondo il modello di conoscenza esplicitamente teorizzato dalla filosofia greca, il sapere autentico si raggiunge solo quando, dopo aver appurato una verità, si è anche in grado di darne la ragione, ossia di darne il perché […] offrire
12
Cfr. C. B. Boyer, Storia della matematica, Mondadori, Milano, 1990, p. 5.
Cfr. G. S. Bordoni, op. cit., p. 43.
14
Ivi, p. 44.
15
Cfr. E. Husserl, Logica formale e trascendentale, Laterza, Bari, 1966, p. 30.
16
Cfr. R. Raggiunti, Husserl. Dalla logica alla fenomenologia, Le Monnier, Firenze, 1967, p.
29.
17
Cfr. G. Reale, Aristotele, Laterza, Roma – Bari, 200011, p. 141.
13
16
Capitolo I
una dimostrazione»18. La logica, pertanto, viene concepita dai greci
come uno ―strumento‖ mediante il quale render conto delle verità raggiunte in ambito gnoseologico, ossia giustificare razionalmente i risultati conoscitivi conseguiti. Certamente un processo inesausto che, tuttavia, ha l‘onere di distinguere sempre con certezza tra verità e falsità.
Aggiunge, infatti, ancora Agazzi:«Il sapere autentico è un sapere dimostrativo, ossia argomentato e fondato in base a ragionamenti corretti […] ―in che consiste una dimostrazione?‖, ossia una concatenazione
logica (cioè conforme alle esigenze del logos) di ragionamenti?»19. In
Aristotele, pertanto, giunge a maturazione un processo innescato secoli prima e che aveva trovato già in Parmenide, nei Sofisti e in Platone
un‘iniziale, per quanto incompleta, formulazione: mettere a punto un
insieme di strumenti concettuali grazie ai quali render conto delle nostre conoscenze e dei modi adoperati per conseguirle, ossia giustificare la nostra conoscenza, specialmente rispetto all‘errore e alla falsità.
Pur non condividendo l‘opinione di quanti propendono per una concezione occasionalistica dello sviluppo culturale, è comunque possibile
scorgere come Aristotele faccia questo al momento opportuno: quando
i tempi sono maturi perché si passi da una riflessione sporadica, e non
sistematica, sulla fisiologia teoretica alla logica in quanto ―scienza‖.
Infatti, afferma ancora Reale: «la logica aristotelica ha pertanto una
genesi squisitamente filosofica: essa segna il momento in cui il logos
filosofico, dopo essere ormai completamente maturato attraverso la
strutturazione di tutti i principali problemi, diventa capace di porre a
problema se medesimo e il proprio modo di procedere, e così diventa
in grado, dopo aver imparato a ragionare, di stabilire che cos‘è la stessa ragione, ossia come si fa a ragionare, come quando e su che cosa è
possibile ragionare»20. D‘altro canto, è pure bene aggiungere che considerare la ratio umana quale un tutto non ulteriormente analizzabile
in facoltà distinte e in regole di funzionamento mette capo all‘esito ultimo di Husserl: considerare il lógos un anello di congiunzione tra il
pensiero umano e la concreta modalità conoscitiva propria degli esseri
umani. Nelle chiare parole di Raggiunti: «Una logica non può essere
18
Cfr. E. Agazzi, Le rivoluzioni scientifiche e il mondo moderno, Fondazione Achille e Giulia
Boroli, Milano, 2008, p. 20.
19
Ibidem.
20
Cfr. G. Reale, op. cit., p. 145..
Lógos si dice in tanti modi
17
«logica» che per un soggetto, per una coscienza»21. Ma una coscienza
non è tale sui generis, possiede un‘indubbia universalità. In questo caso, l‘individualità della coscienza non esclude affatto l‘universalità
della ragione.
Dunque, tornando ai sentieri che, seppur con difficoltà, si sta cercando di battere, sembra proprio che neanche l‘etimo greco appaia
prima facie di qualche concreta utilità. Infatti, subito ci troviamo immersi nelle spesse e complesse sedimentazioni concettuali della parola
greca lÒgoj, facendo esperienza di una polisemia alla fine davvero
sconfortante. Tuttavia, ciò non vuol dire che sia impossibile individuare alcuni significati possibilmente validi. In altri termini, possiamo
benissimo elencare i significati principali che è possibile enucleare: (a)
la parola; (b) il discorso; (c) il contenuto del discorso; (d) l‘atto del
dell‘asserire; (e) la facoltà razionale; (f) la facoltà di formare concetti
legittimi. Per dirla con Aristotele, allora, certamente lÒgoj si dice in
tanti modi. Ma può dirsi lo stesso di ‗logica‘? Oppure, si può dire in
una maniera davvero sensata che ‗logica‘ si dica in tanti modi? La logica, infatti, non è soltanto una scienza, non nel mero significato di
conoscenza, della parola. Perlomeno non soltanto. Nemmeno è una
mera ―scienza del discorso‖. Assolutamente non è una ―scienza dei
contenuti dei discorsi‖. Ancora, non è certo una ―scienza
dell‘asserire‖. Dunque, sembra proprio che la parola ‗logica‘ non possieda un rapporto stringente con i primi quattro significati indicati.
Sugli ultimi due significati del termine greco di origine, invece, è
possibile trovare un accordo che possieda un significato sensato. Infatti, la logica appare essere tanto una ―scienza della facoltà razionale‖
quanto una ―scienza della facoltà di formare concetti legittimi‖. In altri termini, la ‗logica‘ appare essere, almeno in via provvisoria, una
scienza che mira a formalizzare il funzionamento dell‘attitudine razionale. Ovviamente, di quest‘ultima non in termini così vasti e generici,
ma solo nel momento in cui essa mira a formare concetti, ossia quando ―si ragiona‖, quando si costruiscono ragionamenti, quando si formano argomentazioni. Altrimenti, infatti, non sarebbe possibile scorgere più alcuna differenza dalla psicologia, conoscenza della fisiologia
mentale. Invece, in maniera più pregnante, la ‗logica‘ può essere inte21
Cfr. R. Raggiunti, op. cit., p. 250.
18
Capitolo I
sa quale lo studio delle ―condizioni di possibilità del pensiero umano‖.
E tuttavia…
…e tuttavia ancora una volta si fa esperienza di una certa imprecisione ogniqualvolta si cerca di definire il significato della parola ‗logica‘. Infatti, certo si tratta di una considerazione delle condizioni di
possibilità del pensiero umano. Ma di quale pensiero umano si tratta?
Sicuramente, non di tutte le sue potenzialità, altrimenti avremmo a che
fare con qualcosa di diverso dalla logica stessa, di certo una sua particolare articolazione. Quale? Per dirla con Husserl, la ‗logica‘ è lo studio non di tutte le condizioni di possibilità del pensiero umano, ma
soltanto delle condizioni legittime di possibilità del pensiero. Esiste,
dunque, una duplicità potenziale per il pensiero umano: (1) essere tout
– court, così come viene; e, (2) essere in modo legittimo. La prima
possibilità rimanda di certo alla spontaneità umana, fatta di giravolte
improvvise e di trovate sovente inconsuete. La seconda possibilità, invece, delimita nel potenziale umano esclusivamente le maniere degne,
valide, legittime di pensiero. In questo modo, allora, è possibile registrare, stavolta in positivo, la pluralità di voci, recante, ciascuna, uno
specifico significato della parola ‗logica‘. Ad esempio, per Berto, noi
«definiamo la logica a partire da quelli che secondo molti (ancorché
non tutti) sono il suo oggetto principale e il suo scopo. La logica è la
disciplina che studia le condizioni di correttezza del ragionamento. Il
suo scopo è dunque elaborare criteri e metodi, attraverso i quali si
possano distinguere i ragionamenti corretti, detti anche validi, da
quelli scorretti, o invalidi»22. Cosa fa, dunque, la logica? Da un lato
ricerca i principi primi della ragiona umana, e, dall‘altro lato, ne prescrive l‘assoluto rispetto se si vuole formare ragionamenti corretti, validi, legittimi. Essa è, cioè, bifronte: (a) in tanto conosce i principi della ragione umana; (b) in quanto li prescrive ogni volta che si intende
pensare in una maniera quanto meno fondata. Tant‘è che il parere dei
Kneale è perentorio: «la logica tratta i principi dell‘inferenza valida»23. Tuttavia, lo stesso deve essere corretto, o quanto meno integrato, dall‘opinione seguente di Frixione: «la logica […] specifica a quali
22
23
Cfr. F. Berto, Logica. Da zero a Gödel, Laterza, Roma – Bari, 2007, p. 3.
Cfr. W. & M. Kneale, Storia della logica, Einaudi, Torino, 1972, p. 5.
Lógos si dice in tanti modi
19
condizioni un ragionamento deduttivo risulta logicamente corretto»24.
La ‗logica‘ sarebbe, allora, non la scienza di qualsiasi concetto possa
produrre la nostra ragione, ma soltanto la scienza dei concetti validi,
legittimi, in fin dei conti corretti. Essa, dunque, è la scienza che ci
consegna le regole per il retto pensare, il cui rispetto conferisce correttezza25, e quindi anche validità, ai nostri pensieri. Come afferma
Lolli: «La logica è una disciplina antichissima […] ma nel corso dei
secoli ha avuto significati e obiettivi diversissimi. Il denominatore
comune è stato lo studio, o la codifica (e non sono la stessa cosa) dei
ragionamenti corretti, o accettabili, o sicuri»26. Quel che fa la ‗logica‘,
allora, è prescrivere quali regole bisogna rispettare per formare pensieri sensati, retti, validi.
Se la ‗logica‘ ci dice a quali condizioni i nostri ragionamenti sono
corretti, allora la si può definire in maniera molto più concisa seguendo l‘affermazione di Varzi, Nolt e Rohatyn secondo i quali:«La logica
è lo studio delle argomentazioni»27. Dello stesso tenore, le parole di
Copi e Cohen: «La logica è lo studio dei metodi e dei principi usati
per distinguere il ragionamento corretto da quello scorretto»28. Se c‘è
un modo corretto di pensare, ve ne sarà almeno un altro scorretto. Ecco, dunque, che la ‗logica‘ deriva dalla filosofia il medesimo atteggiamento dualistico: esiste una differenza, non mediata né mediabile,
tra correttezza e scorrettezza, tra validità e invalidità, tra verità e falsità. Dunque, la prima molla che ha spinto gli uomini sul sentiero della
logica è stata la necessità di disporre di canoni chiari e sicuri in virtù
dei quali distinguere, e separare, le due facce della medesima realtà, la
certezza da una parte e l‘errore dall‘altra parte. In questo siamo sicuri
di poter accettare la seguente affermazione della Facco secondo la
quale: «Alle origini della logica si trova la fondamentale esigenza
dell‘uomo di conoscere il vero, di evitare cioè le insidie della falsità e
dell‘errore»29. In effetti, sembra proprio che «La ragione è lo strumen24
Cfr. M. Frixione, Come ragioniamo, Laterza, Roma – Bari, 2007, p. 9.
Cfr. E. Agazzi, La logica simbolica, La Scuola, Brescia, 199015, p. 31.
26
Cfr. G. Lolli, Introduzione alla logica formale, Il Mulino, Bologna, 1991,p. 11.
27
Cfr. A. C. Varzi – J. Nolt – D. Rohatyn, Logica, McGraw Hill, Milano, 20072, p. 1.
28
Cfr. I. M. Copi – C. Cohen, Introduzione alla logica, Il Mulino, Bologna, 1999, p. 19.
29
Cfr. M. L. Facco, Metafisica, logica, matematica. Leibniz, Boole, Rosmini, Marsilio, Venezia, 1997, p. 9.
25
20
Capitolo I
to da cui noi esseri umani dobbiamo dipendere quando il nostro obiettivo è quello di formarci giudizi che diano affidamento»30. Ma se la
‗logica‘, pertanto, condividerebbe con la filosofia le medesime esigenze di fondo, è possibile stabilire un momento preciso nella statuizione
di tale bisogno? A nostra modesta opinione sì: Parmenide. È con il filosofo di Elea che si fissa in maniera compiuta e durevole l‘esigenza
teoretica di distinguere tra verità e menzogna, il bisogno, cioè, di disporre di un metodo in forza del quale discernere, e discriminare, tra
certezza ed errore. Pertanto, esattamente come si potrebbe ritenere
l‘eleate il primo filosofo, prima ancora della scuola milesia, allo stesso
modo Parmenide può essere considerato il primo logico, ossia il primo
autore ad essersi posto il problema delle regole razionali da rispettare
se si vuol pensare in modo sensato. In merito, soddisfacenti appaiono
le parole di Odifreddi: «il ragionamento di Parmenide, per quanto elementare, si basava implicitamente su tre ingredienti niente affatto
banali, che sono poi entrati a far parte del bagaglio degli attrezzi della
logica. Primo: dire che «il non essere non è l‘essere» significa dare
una definizione di verità della negazione («il non essere è») come falsità del negato («non è l‘essere»). Secondo: dire «il non essere è il non
essere» significa affermare il principio di identità, secondo cui ogni
cosa è uguale a se stessa. Terzo: dire che «il non essere non può allo
stesso tempo essere e non essere» significa intravedere il principio di
non contraddizione, secondo cui una cosa non può allo stesso tempo
avere e non avere una stessa proprietà»31. Pertanto, l‘origine della ‗logica‘ appare del tutto analoga, sia pure su un piano diverso, a quella
della filosofia. In merito, appaiono interessanti le parole di Albert secondo il quale «Quando perseguiamo il fine della conoscenza, intendiamo evidentemente conseguire la verità circa la natura di certi nessi
reali, vogliamo, cioè, procurarci delle convinzioni vere su certi ambiti,
frammenti o settori della realtà. Sembra pertanto naturale che miriamo
a conseguire la sicurezza che quanto è stato trovato è anche vero, e
una tale sicurezza appare ottenibile solo disponendo di un fondamento
per il nostro sapere»32. È pur vero che lo studio del lógos non è prero30
Cfr. I. M. Copi – C. Cohen, op. cit., p. 15.
Cfr. P. Odifreddi, Le menzogne di Ulisse. L‟avventura della logica da Parmenide ad Amartya Sen, Tea, Milano, 2006, pp. 38 – 9.
32
Cfr. H. Albert, Per un razionalismo critico, Il Mulino, Bologna, 1973, p. 17.
31
Lógos si dice in tanti modi
21
gativa esclusiva della filosofia. Allo stesso modo la ratio in uso in ‗logica‘ non è affatto differente da quella in uso in filosofia. Pertanto,
come la filosofia mira a trovare un fondamento che conferisca certezza
e validità alle nostre conoscenze, così la ‗logica‘ sembra mirare a trovare un fondamento cognitivo che conferisca certezza e validità alle
nostre elucubrazioni, ai nostri pensieri, ai nostri ragionamenti. D‘altra
parte, sussiste certo un certo isomorfismo tra pensiero e linguaggio.
Come sostiene Bordoni: «il pensiero si esprime nel lógos apofantico»33. Questa è un‘espressione linguistica dovuta alla perfetta coincidenza aristotelica, ma già parmenidea, tra il pensiero e il linguaggio.
Infatti, aggiunge Bordoni: «strutturale corrispondenza o isomorfismo
tra pensiero e linguaggio»34. In altre parole, «Aristotele dice cioè che
le forme semantiche del linguaggio, ovvero nome, verbo, enunciato,
sono corrispettivi delle forme del pensiero, cioè concetti e proposizioni: alla presenza delle une nel linguaggio deve corrispondere la presenza delle altre nell‘anima»35. A ciò si aggiunga quanto sostiene Reale «la verità (o la falsità) non è mai nei termini singolarmente presi,
ma solo nel giudizio che li connette, e nella proposizione che esprime
tale connessione»36.
Possiamo derivare dei risultati sensati dal discorso sin qui condotto? In altri termini, al di là delle difficoltà mostrate, quante logiche sono possibili?
33
Cfr. G. S. Bordoni, op. cit., p. 50.
Ivi, p. 51.
35
Ibidem.
36
Cfr. G. Reale, op. cit., p. 147.
34
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