Isaac Newton - Dipartimento di Matematica

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Isaac Newton
Philosophiae Naturalis Principia Mathematica
Si tratta della principale opera di Newton, e fu pubblicata a Londra
nel 1686. Essa getta le basi dell’astronomia fisica, e rappresenta una
reazione alla scienza di Cartesio, che Newton considerava
inadeguata, priva di rigore e non immune da errori. Il trattato è
suddiviso in tre libri.
Il Libro I contiene i tre principi della dinamica (detti anche assiomi
o leggi del moto), che traduciamo nel moderno linguaggio fisico:
Legge I “Qualunque corpo non soggetto a forze rimane nello stato di
riposo o di moto rettilineo uniforme.”
Legge II “La variazione della quantità di moto è proporzionale e
concorde alla forza applicata.”
Legge III “L’azione e la reazione sono uguali ed opposte”.
A Newton è dovuta, tra l’altro, la formulazione della nota regola del
parallelogramma per la composizione delle grandezze fisiche
vettoriali (forze, velocità, ecc.): un primo accenno di questo metodo si
trova, in realtà, già nelle opere meccaniche di Galileo. L’enunciato
appare nel Libro I come corollario alle Leggi I e II del moto:
COROLLARIO II “Un corpo sotto l’azione di due forze congiunte descrive la
diagonale del parallelogramma nel tempo stesso che impiegherebbe a
descrivere i lati di esso sotto l’azione delle singole forze.”
Newton introduce anche la nozione di quantità di moto, che egli
chiama “momento”, e la nozione di inerzia, che per lui è una “forza
insita o innata”, e che segna il punto di arrivo degli studi sulla
conservazione del moto iniziati da Galilei e Descartes. Così Newton
enuncia la legge di conservazione della quantità di moto, nel
Libro I, deducendola dalle Leggi II e III del moto:
COROLLARIO III “La quantità di moto che risulta dalla somma di tutti i
moti aventi uno stesso verso e dalla differenza di quelli aventi verso
contrario, non viene mutata dall’azione reciproca dei corpi.”
Sarà invece Leibniz a formulare la legge di conservazione dell’energia
cinetica, che egli chiamerà “forza viva”.
Ricerche storiche accurate hanno stabilito che il contenuto del Libro I
non è interamente originale: a Newton spetta comunque il merito di
aver saputo raccogliere l’eredità dei suoi predecessori, restituendola,
sulla carta, in una veste tutta nuova. Nessuno, prima di lui, era stato
in grado di costruire la meccanica dell’universo come un sistema
unitario, fondato su assiomi da cui tutto il resto può essere dedotto.
Lo storico Truesdell, parafrasando le espressioni di ammirazione che
i Principia di Newton suscitarono nei suoi contemporanei, dice: “Ciò
che Newton scrive è corretto, limpido, e conciso. Nelle opere precedenti
gli splendidi diamanti della scoperta giacevano segreti in una opaca
matrice fatta di complessi casi particolari, dettagli laboriosi, metafisica,
confusione ed errore, mentre Newton segue una vena di oro puro.”
Il Libro II è dedicato al moto dei corpi in un mezzo resistente ed al
moto dei fluidi, e pone le basi dell’idrodinamica.
Il Libro III riguarda l’ordinamento del sistema del mondo e contiene
la famosa legge della gravitazione universale:
PROPOSIZIONE VII. TEOREMA VII. Se la massa di due globi gravitanti l’uno
verso l’altro è omogenea a distanze uguali dai loro centri, i due globi si
attraggono con una forza inversamente proporzionale al quadrato della
distanza fra i loro centri.
Questa legge, che Newton applica alla Terra, al Sole, alla Luna, a
Saturno e Giove con i rispettivi satelliti (scoperti da Galilei e da lui
studiati nel Sidereus Nuncius), rappresenta un’unificazione della
teoria del moto dei pianeti (il “Sistema del mondo”). Questa viene così
riassunta dallo stesso Newton:
PROPOSIZIONE V. TEOREMA V. I satelliti di Giove gravitano verso Giove,
quelli di Saturno verso Saturno, e i pianeti verso il Sole; e le loro forze
di gravità li ritraggono dal moto rettilineo e li trattengono nelle loro
orbite curvilinee.
La forza di attrazione gravitazionale svolge dunque, nel moto
curvilineo dei pianeti, il ruolo di forza centripeta: si tratta della forza
che in ogni punto della traiettoria agisce sul corpo in movimento
puntando verso quello che, in quel punto, è il centro di curvatura
della traiettoria stessa. Noi sappiamo che la forza centripeta è
ortogonale (normale) alla tangente alla traiettoria in quel punto.
Newton trova un criterio geometrico per determinare la normale, ed
una formula che dà il valore della forza ad ogni istante in funzione
della velocità. Fu Newton a coniare il termine forza centripeta, ma il
primo a studiare il fenomeno era stato Huyghens.
La nozione di curvatura verrà successivamente estesa da Eulero e
Gauss dalle linee alle superficie.
Dalla legge della gravitazione universale è possibile dedurre facilmente
le tre leggi di Keplero, e spiegare fenomeni come le perturbazioni del
moto della Luna (dovute all’attrazione da parte della Terra e del Sole,
e che già Tolomeo aveva osservato), il moto delle comete, la
precessione degli equinozi, il fenomeno delle maree: tutto ciò che
Descartes aveva cercato di giustificare alla luce della sua fantasiosa
teoria dei vortici. A Descartes va comunque riconosciuto il merito
di aver posto, nell’universo, tanti centri di moto rotatorio.
Considerando il complesso delle opere fisiche di Newton, ci si accorge
che egli è il primo a riconoscere l’esistenza di due forze d’attrazione:
quella che oggi chiamiamo debole, e che si esercita tra grandi masse
collocate a grandi distanze, e quella forte, che si esercita tra piccole
particelle vicine. Come afferma il Leopardi nella sua Storia
dell’astronomia, “l’attrazione fu il grande agente di Newton”. In effetti
lo scienziato inglese ricorse all’attrazione debole tra le particelle della
luce e del mezzo in cui essa si propaga per spiegare il fenomeno della
rifrazione. Il fatto di aver riconosciuto un’analogia sostanziale tra le
forze che governano il moto dei pianeti e quelle che risiedono nella
struttura microscopica della materia costituisce la prima importante
intuizione dell’uniformità delle leggi naturali. Quando, nel 1666,
Newton vide cadere la leggendaria mela dall’albero, egli pensò che se
la Luna fosse stata al posto di quel frutto, essa si sarebbe comportata
allo stesso modo. L’idea che i corpi potessero esercitare forze a
distanza venne rifiutata da molti contemporanei di Newton, tra cui
Huyghens, che disse: “Non riesco a capire come il Signor Newton abbia
potuto dedicare tanta buona matematica ad un’ipotesi fisica così
assurda.”
Nei Principia Newton distingue, per primo, il concetto di massa
(quantità di materia) da quello di peso. Ciò emerge chiaramente
anche dalla lettura delle pagine del Libro III:
PROPOSIZIONE VI. TEOREMA VI. Tutti i corpi gravitano verso i singoli
pianeti, e – a pari distanza dal centro – i loro pesi su di uno stesso
pianeta sono proporzionali alla loro quantità di materia.
L’argomento del Libro III è ripreso ed ampliato da Newton in un
opuscolo pubblicato postumo, il Sistema del mondo. Qui egli riporta
e rielabora osservazioni astronomiche di altri scienziati, tra cui
Keplero, uno dei primi autori che egli aveva studiato in gioventù.
Grande è lo spazio dedicato alla storia dei più recenti avvistamenti di
comete. Di questi corpi celesti egli studia la luminosità ed il moto: la
traiettoria ha la forma di un’ellisse allungata, che può essere confusa
(ed in passato lo era stata, da parte di molti autori) con una parabola.
Nel Seicento la natura di questi fenomeni e la loro collocazione nel
cielo erano state oggetto di accese controversie, che avevano coinvolto
anche Galilei. Newton le riconosce come corpi celesti, che divengono
visibili quando passano vicini alla Terra, ad una distanza che può
essere anche inferiore a quella di Marte.
La struttura dei Principia ricorda quella degli Elementi di Euclide:
è, infatti, organizzata in definizioni, assiomi, lemmi, proposizioni,
corollari. Sebbene Newton sia uno dei fondatori del calcolo
infinitesimale, in quest’opera egli non ricorre mai a quantità
infinitesime di per sé, a cui preferisce le “quantità evanescenti
divisibili”, ossia grandezze geometriche passibili di essere ridotte a
piacere. In ciò Newton procede nel solco della geometria classica, che
concepiva, nel metodo di esaustione, la possibilità di suddividere
una figura geometrica un numero qualsivoglia di volte. Essa, però,
non si preoccupava
di dare significato al risultato limite del
procedimento (differenza tra infinito potenziale ed infinito
attuale).
Col passare del tempo Newton ha della geometria una visione sempre
più dinamica. Alla fine gli oggetti geometrici non sono più, come
nella teoria degli indivisibili, il risultato dell’unione di infinite
particelle infinitesimali, bensì il frutto di un certo processo evolutivo.
Una curva è descritta da un punto che si muove, un angolo è
generato dalla rotazione di una linea retta. Spesso le sue
dimostrazioni si richiamano più all’intuizione fisica che al rigore
matematico. Ciò è in perfetto accordo con la sua visione dell’analisi
matematica, che è il calcolo delle flussioni, cioè studio del modo in
cui variano le quantità nel tempo e nello spazio. Così, ad esempio,
quella che noi chiamiamo velocità istantanea non è il rapporto tra
uno spazio infinitesimo “s” ed il tempo infinitesimo “t” necessario
per percorrerlo, ma il valore cui tende la velocità media Δv
nell’intervallo di tempo Δt, mano a mano che questo viene ridotto.
Newton immagina di sottoporre gli intervalli temporali, o i segmenti
che li rappresentano, ad un procedimento di riduzione continua. In
questo il metodo newtoniano si distingue, ad esempio, da quello
discreto discusso da Galileo nei suoi Discorsi, dove le lunghezze
infinitesime vengono concepite come il risultato finale dei
dimezzamenti successivi di un segmento.
L’idea newtoniana di passaggio al limite è ben illustrata nel Libro I
dei Principia, in cui Newton presenta il metodo delle prime ed
ultime ragioni.
Uno dei maggiori estimatori dell’opera newtoniana fu il fisico
austriaco Ernst Mach (1838-1916), noto per i suoi studi di
aerodinamica.
La fisica di Newton secondo Einstein
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