RESISTENZA MULTIFATTORIALE AL FARMACO ANTIAGGREGANTE PIAStRINICO PLAVIX Introduzione. 1.1 Clinica. Il farmaco antiaggregante piastrinico Plavix trova applicazione in pazienti che presentano patologie di natura aterotrombotica. I soggetti che vengono trattati con questo farmaco sono sottoposti ad un tipo di trattamento preventivo, che ha come scopo evitare episodi vascolari di recidiva. Infatti il Plavix, essendo un farmaco che inibisce l’aggregazione trombocitaria, previene la formazione di trombi ed emboli che sono la causa scatenante dei problemi cardiovascolari. Tra le possibili patologie che possono richiedere la somministrazione di questo farmaco rientrano: Aterosclerosi L’aterosclerosi è un tipo di alterazione vasale caratterizzato dall’inspessimento e dalla perdita di elasticità dei vasi. Si contraddistingue per la formazione di placche fibrolipidiche intimali o di ateromi, che protrudono all’interno del lume e vanno incontro ad una serie di complicanze che possono predisporre alla trombosi. L’aterosclerosi gioca un ruolo molto importante nello sviluppo della trombosi coronarica. - Infarto del miocardio L’infarto è un’area di necrosi ischemica a carico di un tessuto causata dalla riduzione di apporto ematico arterioso o del drenaggio venoso. Quasi il 99% di tutti gli infarti ha un’origine trombotica o embolica, solitamente attribuibile ad una occlusione arteriosa. L’infarto ischemico (a livello celebrale) e del miocardio costituiscono la principale causa di morte nei paesi industrializzati. Il meccanismo che genera un’ ischemia coronarica è la trombosi coronarica in corrispondenza dell’erosione o rottura di una placca aterotrombotica. Alla lesione della placca segue come prima risposta l’attivazione e l’aggregazione piastrinica con formazione di un reticolo di piastrine legate tra loro da ponti di fibrinogeno (trombo piastrinico). 1 Contemporaneamente si ha l’attivazione della cascata coagulativa con formazione della trombina che accelera il processo di aggregazione trombocitaria e catalizza la conversione del fibrinogeno in fibrina, favorendo la formazione del trombo piastrinico. La sede dell’infarto miocardio è determinata dal punto in cui si verifica l’ostruzione coronaria e dalla distribuzione anatomica dell’arteria interessata [Kumar et al., 1999]. - Infarto celebrale Tra le cause di infarto cerebrale si ha l’aterosclerosi e la formazione di emboli che possono portare all’occlusione vascolare. Le occlusioni emboliche interessano con grande frequenza i vasi sanguigni intracranici, soprattutto l’arteria celebrale media. Quando l’irrorazione sanguigna di una parte del cervello è interrotta e l’apporto di sostanze nutritive e di ossigeno alle cellule nervose della zona colpita diminuisce o cessa del tutto si verifica un colpo apoplettico: se la circolazione sanguinea non viene ripristinata entro pochi minuti i neuroni subiscono danni irreversibili e muoiono. La sede e la distribuzione degli infarti celebrali dipendono da diversi fattori che comprendono il punto dell’occlusione arteriosa, il tempo in cui l’evento occlusivo si è sviluppato e la pressione di perfusione sistemica. - Arteriopatia obliterante periferica (AOP) L’aterosclerosi può interessare anche la circolazione periferica, vale a dire gli arti, con conseguenze disabilitanti. Ne consegue un disturbo chiamato arteriopatia obliterante periferica, dovuta proprio al restringimento o all’ostruzione di arterie provocati dalla placca aterosclelorica. Questo restringimento delle arterie provocato da un processo aterosclerotico in atto, riduce il flusso di sangue nelle gambe durante l’attività fisica ma anche a riposo. Nelle forma più gravi di AOP, i pazienti sono colpiti da ischemia critica degli arti inferiori, con deterioramento della loro funzionalità, tanto che in alcuni casi può essere richiesta la rivascolarizzazione chirurgica o, addirittura l’amputazione [Guyton et al.]. 1.2 Gli Stent. Gli stents sono protesi metalliche attualmente utilizzate in chirurgia vascolare per il trattamento di lesioni a livello di alcuni vasi, come per esempio le arterie coronariche. Si tratta di una struttura metallica che viene introdotta nel sistema vascolare del paziente, ripiegata attorno ad un pallone da angioplastica. Una volta posizionata la protesi nella zona della 2 lesione, il pallone viene gonfiato e la protesi stessa si distende e va ricoprire la lesione, a livello della quale rimane associata in modo permanente (Figura 1) [Hernandez et al.,2006]. Figura 1. Un sondino in lattice viene inserito nell’arteria da trattare e lo stent viene disteso nel punto lesionato. Questo intervento di angioplastica è in grado di ripristinare il flusso nell’arteria stenotica. Recentemente sono stati sviluppati stent di ultima generazione ricoperti con framaci antiproliferativi (stent medicalizzati) [Ong et al., 2005]. Questi stent presentano il vantaggio di essere associati ad un rilascio locale di farmaco ed evitare uno dei principali problemi degli interventi realizzati con BMS (stent tradizionali): la restenosi, ovvero la recidiva della lesione trattata, che si manifesta in una percentuale significativa negli stent non medicalizzati (circa 40%) [Morice et al., 2002]. L’utilizzo di materiali particolari di rivestimento degli stents o il rilascio di farmaci hanno lo scopo di evitare la risposta iperplastica cellulare e dunque una possibile recidiva. Il metodo più semplice per il rilascio di farmaci è l’utilizzo di stent metallici rivestiti da materiali in grado di veicolare o eluire (rilascio controllato) il farmaco [Herdeg C et al., 2000]. La messa in atto di questi accorgimenti (assieme all’utilizzo di inibitori della funzionalità piastrinica) risultano di importanza fondamentale perché, dopo impianto di stent, vi è un aumentato rischio trombogenico e di proliferazione cellulare [Carter AJ et al., 2000]. 1.3 I farmacianti aggreganti. I farmaci antiaggreganti piastrinici sono numerosi ed il loro utilizzo varia a seconda della 3 patologia. Questi farmaci impediscono alle piastrine di legarsi tra loro bloccando in questo modo la cascata emocoagulativa. Le piastrine sono spesso associate a fenomeni di trombosi quando si depositano alla superficie delle placche ateromasiche e per questo motivo risulta d’importanza fondamentale poter controllare la loro aggregazione con specifici inibitori. Il vantaggio che presenta questa categoria di farmaci è la loro eterogeneità dal punto di vista del meccanismo d’azione; infatti laddove un antiaggregante particolare non riesce ad avere un effetto di inibizione dell’attività piastrinica, a causa di una resistenza individuale o di patologie secondarie che potrebbero peggiorare in seguito a questa somministrazione, un altro inibitore dell’aggregazione trombocitaria può essere scelto per ottenere lo stesso effetto attraverso una pathway diversa. Tra questi possiamo citare uno dei più diffusi sul mercato e conosciuto da tempo per la sua attività di inibizione dell’aggregazione trombocitaria, l’Aspirina (ASA). Una dose bassa di aspirina si impiega per la prevenzione delle patologie trombotiche cerebrovascolari e cardiovascolari. L’uso dell’ASA è però limitato da presenza di problemi di natura gastrica. L’Aspirina viene somministrata anche il prima possibile dopo un evento ischemico. In questa categoria è compreso anche il Plavix, oggetto di questa tesi, che come l’ASA viene somministrato in seguito al manifestarsi di problemi aterotrombotici. Un altro potente inibitore dell’aggregazione piastrinica è rappresentato dal Cilostazol, che inibisce in maniera molto selettiva la fosfodiesterasi III. La probabilità di una trombosi a livello dello stent in pazienti che hanno subito un infarto miocardico acuto (AMI) è relativamente alta. Una percentuale significativa dei soggetti sottoposti ad impianti di stent, dopo l’intervento chirurgico presentano infatti un’attività piastrinica più accentuata rispetto a soggetti che non hanno subito l’intervento. E’ stato notato che una normale dose di clopidogrel in un gruppo di pazienti con queste caratteristiche non inibisce in maniera efficace l’aggregazione e la degranulazione dei trombociti [Lee et al., 2005]. Si può dunque affermare che una bassa risposta al clopidogrel ed una concomitante maggior attività piastrinica rappresentano dei fattori di rischio che possono determinare l’instaurarsi di nuovi eventi ischemici. La funzione piastrinica può essere monitorata attraverso l’uso di un aggregometro a trasmissione (light trasmission aggregometry) oppure con l’uso di un analizzatore della funzionalità piastrinica (PFA-100) che fornisce un’indicazione dell’effetto del farmaco sul soggetto a cui viene somministrato. 4 1.3.1 Emostasi e processo di coagulazione. Con il termine emostasi s’intende una serie di reazioni biochimiche e cellulari, finalizzate ad impedire la perdita di sangue dai vasi. Si tratta di un meccanismo di difesa deputato al mantenimento dell’integrità dei vasi sanguigni e della fluidità del sangue. Affinché sia assicurata un’efficiente emostasi, è necessario che siano perfettamente funzionanti quattro sistemi, che agendo in sintonia tra loro, portano alla riparazione di una ferita e mettono fine alla fuoriuscita di sangue. I sistemi implicati sono: 1. Vasi e costituenti della parete vascolare 2. Piastrine 3. Fattori di coagulazione coinvolti nella cascata enzimatica della coagulazione 4. Sistema fibrinolitico Immediatamente dopo un danno a livello di un vaso, la parete dello stesso si contrae provocando così una vasocostrizione che ne riduce il calibro; in questo modo viene istantaneamente ridotto il flusso sanguigno attraverso la zona lesionata. La lesione delle cellule endoteliali espone il tessuto connettivo sottoendoteliale altamente trombogenico, al quale le piastrine aderiscono entrando in uno stato di “attivazione” che comporta un cambiamento nella forma piastrinica ed una reazione di esocitosi. L’endotelio è un tessuto metabolicamente attivo, che, a seconda del suo stato funzionale, può favorire o inibire l’emostasi. In stato di quiescenza l’endotelio è in grado di assicurare la fluidità del sangue mediante un complesso meccanismo anticoagulante, mentre in seguito ad una lesione, la perdita della cellula endoteliale costituisce il punto d’avvio del processo di emostasi localizzata. I fattori che si liberano dai granuli piastrinici (es. ADP) reclutano ulteriori piastrine che aggregano sopra le prime, così da formare il tappo piastrinico. Questo tappo è formato appunto dalle piastrine (o trombociti), frammenti citoplasmatici di una cellula progenitrice midollare multinucleata, il megacariocita. Si tratta di piccoli dischi anucleati con proprietà secretrici di forma ovoidale e con un diametro compreso tra 1 e 4 µm. I trombociti hanno due potenti proprietà che permettono loro di formare il tappo emostatico, l’adesività e l’agglutinabilità. La secrezione delle piastrine avviene subito dopo l’adesione ed è un fenomeno legato all’aumento della concentrazione di calcio nelle cellule, che determina il rilascio dei 5 contenuto dei granuli piastrinici all’esterno. Nei granuli sono presenti in alta concentrazione molecole capaci di mantenere e soprattutto amplificare la risposta. Queste molecole costituiscono tutte dei potenti agonisti dell’aggregazione: la superficie piastrinica è infatti dotata di recettori per tali molecole, i quali inducono una potente risposta biochimica. La reazione che porta alla formazione del tappo piastrinico avviene pochi minuti dopo la lesione ed insieme alla vasocostrizione, costituisce la cosidetta emostasi primaria. In condizioni normali sull’endotelio che riveste il vaso si trovano distribuite cariche elettriche negative, e poiché anche la superficie delle piastrine è carica negativamente, le piastrine di norma sono respinte dalla superficie interna dei vasi e si respingono tra loro. Quando si verifica una piccola lesione ad un vaso si ha un mutamento della carica elettrica dell’endotelio nel punto di lesione. Le piastrine si ammassano in gran numero su questo punto ed aderiscono al tratto di superficie danneggiato. L’esposizione di superficie negativa e di fattore tessutale nel sito di lesione, insieme ai fattori piastrinici, attiva il sistema della coagulazione che porta alla formazione di trombina. La trombina converte il fibrinogeno a fibrina, formando il coagulo di fibrina e stimolando un ulteriore reclutamento di piastrine. Questo processo viene definito emostasi secondaria. L’emostasi secondaria consiste dunque nella trasformazione del fibrinogeno, sostanza presente nel plasma, in fibrina. Questa reazione avviene ad opera della trombina, che si forma dalla protrombina sotto influenza della tromboplastina. Pertanto in questo processo di coagulazione possiamo distinguere tre momenti: 1) formazione della tromboplastina 2) trasformazione della protrombina in trombina 3) trasformazione del fibrinogeno in fibrina La formazione della tromboplastina è dovuta all’ attivazione di fattori tessutali e di fattori plasmatici coinvolti nella coagulazione. Essi hanno la caratteristica peculiare di agire in sequenza, uno dietro l’altro, e ad ogni tappa il fattore che circola inattivo nel sangue, viene attivato ed agisce sul fattore successivo, che viene attivato a sua volta. Una volta che la lesione vascolare è stata riparata si verifica la dissoluzione del coagulo mediante il processo della fibrinolisi. Contemporaneamente, si avvia anche il processo di riparazione della ferita, al termine del quale si ricostituisce lo strato di cellule edoteliali e la parete vasale riacquista la sua normale struttura [Beutler et al., 2001]. 6 1.3.2 Tipi di antiaggreganti piastrinici e meccanismi d’azione. Questa farmaci rappresentano degli efficaci inibitori delle funzioni piastriniche e vengono utilizzati per la prevenzione della formazione di trombi nel distretto arterioso della circolazione, dove i trombi sono costituiti da piastrine e dove gli anticoagulanti che non agiscono direttamente sulla funzionalità piastrinica hanno scarso effetto. L’inibizione dell’attivazione trombocitaria può essere attuata agendo sulla via che interessa l’attivazione del trombossano A2 (Aspirina ed inibitori dell’enzima trombossano sintasi), oppure sulla via di attivazione legata all’ADP (tienopiridine). Aspirina e FANS: L’aspirina e gli anti-infiammatori non steroidei (FANS), agiscono inibendo in modo irreversibile la cicloossigenasi, un enzima chiave nella trasformazione di acido arachidonico in trombossano A2 (in questo modo la sintesi di trombossano da parte della piastrina viene bloccata). Il trombossano ha proprietà vasocostringenti e favorisce l’aggregazione trombocitaria attraverso un meccanismo che stimola l’espressione della glicoproteina IIb/IIIa. L’aspirina trova pertanto indicazione nel trattamento iniziale di infarto acuto del miocardio. Dipiridamolo: Il meccanismo d’azione di questo farmaco risulta molto più complesso. Esso agisce sulla dilatazione coronaria, sull’aggregazione piastrinica ed inibisce l’adesione trombocitaria al lume vascolare. La prima attività clinica attribuita a questo farmaco è stata la sua azione vasodilatatrice. Per questo motivo il suo primo utilizzo è stato come farmaco vasodilatatore coronario nei casi di angina pectoris. Questa sua attività è dovuta all’inibizione del recupero di ADP e della sua degradazione da parte dei vasi. Questo comporta un potenziamento ed un prolungamento dell’attività dell’adenosina endogena. È stata notata anche la capacità da parte del Dipiridamolo d’inibire in vitro l’aggregazione e la secrezione piastrinica indotta da ADP. Il meccanismo non è stato ancora del tutto delucidato ma sembra legato ad un effetto inibitorio del farmaco sulla fosfodiesterasi piastrinica (PDE), che concorre ad un aumento delle concentrazioni di cAMP intracellulare e ad un aumento di concentrazione di ADP nel sangue conseguente all’inibizione della sua captazione. L’adenosina è un attivatore dell’adenilato ciclasi che trasforma l’AMP in cAMP. A livello piastrinico il cAMP inibisce la liberazione dei granuli di ADP e dunque l’aggregazione. L’attività antiaggregante del 7 Dipiridamolo è maggiore ex vivo che in vitro: tale proprietà è probabilmente riconducibile all’aumento dei livelli plasmatici di adenosina in vivo. Il dipiridamolo inibisce anche l’adesione piastrinica al collagene in vitro e all’endotelio dei vasi danneggiati in vivo ed in vitro. Tienopiridine: Le tienopiridine, a cui appartengono il clopidogrel e la ticlopidina, agiscono anch’esse sulla via d’attivazione piastrinica mediata dall’ADP, ma più a monte. Queste molecole bloccano infatti in modo irreversibile i recettori per l’ADP presenti sulla superficie piastrinica. Tra i recettori per l’ADP ne sono stati identificati diversi tipi: - P2X1: questi recettori mediano l’ingresso di cationi (in risposta all’ADP) all’interno del trombocita. Questo meccanismo non sembra giocare un ruolo importante nell’aggregazione piastrinica e le tienopiridine non hanno effetto su questa categoria di recettori. - P2Y1: si tratta di una famiglia di recettori che risultano molto importanti perché coinvolti nella risposta piastrinica all’ADP. Vengono distinti in base al loro effettore: - P2TPLC : sono legati all’attivazione della PLC (fosfolipasi C). La loro attivazione provoca un aumento del calcio intracellulare ed una conseguente variazione conformazionale della piastrina. - P2TAC : questi recettori sono implicati nell’inibizione dell’adenilato ciclasi. In seguito a questa inibizione avviene anche la fosforilazione della proteina VASP (Vasodilatator-stimulated phosphoprotein) associata al citoscheletro. Le tienopiridine esercitano la loro attività antiaggregante bloccando questa ultima categoria di recettori, i P2TAC [Turner et al., 2001]. Nonostante il clopidogrel e la ticlopidina abbiano lo stesso meccanismo d’azione, il clopidogrel presenta alcuni vantaggi significativi, quali una minore latenza di azione, un’emivita più lunga (che rende possibile la monosomministrazione giornaliera) ed un più favorevole profilo di sicurezza. 8 Figura 2. Tienopiridine: [a] Ticlopidina e [b] Clopidogrel Inibitori del recettore GP IIb/IIIa: Tra questi possiamo citare Abcximab, Epifibatide e Tirofiban. L’attivazione dei recettori glicoproteici IIb/IIIa costituisce la via finale dell’attivazione piastrinica. A questi recettori si lega il fibrinogeno circolante (ogni molecola si lega a ponte con i due recettori di due piastrine) dando luogo al reticolo di piastrine e fibrinogeno, cioè al trombo piastrinico. L’Abcximab è un anticorpo monoclonale chimerico con un peso molecolare di 50'000 Dalton, caratterizzato da un legame forte per il recettore GP IIb/IIIa e quindi da una lenta reversibilità dell’inibizione piastrinica dopo sospensione della somministrazione del farmaco [Léoni et al., 2003]. 1.3.3 Il Clopidogrel. Il clopidogrel (SR25990C), principio attivo del farmaco Plavix, è un agente orale molto potente usato per la diminuzione dell’aggregazione piastrinica ed indicato per la prevenzione di trombosi vascolari in pazienti a rischio. Questo farmaco viene prevalentemente somministrato allo scopo di ridurre l’incidenza di problemi vascolari di origine aterosclerotica e aterotrombotica in pazienti affetti da infarto del miocardio, ictus ischemico ed aretopatia obliterante periferica. Il clopidogrel viene co-somministrato insieme all’acido acetilsalicilico anche in pazienti che hanno subito uno stent coronario o che sono affetti da sindrome coronaria acuta (ACS). Il clopidogrel ha inoltre mostrato un’efficacia significativamente superiore rispetto all’ASA nel prevenire eventi ischemici nei pazienti con arteriopatia periferica. 9 Figura 3. Meccanismo di azione del Plavix e dell’ASA. Plavix ed ASA hanno due diversi pathways per l’inibizione dell’aggregazione piastrinica. 1.3.3.1 La Molecola. Il clopidogrel è una tienopiridina di seconda generazione. Questo farmaco è in grado di inibire l’aggregazione trombocitaria che viene indotta dall’ADP, da basse concentrazioni di trombina, o dal collagene. La sua attività è legata ad una modifica irreversibile del recettore purinergico dell’ADP presente sulla superficie piastrinica; il recettore P2Y12. Le piastrine dei soggetti trattati con il clopidogrel restano modificate per tutta la durata della loro vita ed il ritorno ad una normale funzione corrisponde al periodo per il rinnovo dei trombociti (vita media nel sangue: circa 5-10 giorni). 1.3.3.2 Metabolismo. Dopo la somministrazione orale, il clopidogrel viene rapidamente assorbito. Tuttavia le concentrazioni plasmatiche del farmaco come tale sono molto basse ed al di sotto del limite quantificabile (0,00025 mg/l) oltre le due ore dopo la somministrazione. L’assorbimento è almeno del 50% sulla base dell’escrezione urinaria dei metaboliti del clopidogrel. In vitro, il clopidogrel ed il suo principale metabolita si legano in modo irreversibile alle proteine plasmatiche umane (98% e 94% rispettivamente). Nell’uomo dopo una dose orale di clopidogrel (75 mg) marcato con C14, circa il 50% viene escreto nelle urine 10 e circa il 46% nelle feci entro 120 ore dalla somministrazione. L’emivita, ossia il valore che esprime l’efficienza dei processi di eliminazione dell’organismo nei confronti del principale metabolita circolante, il derivato carbossilico acido, è di 8 ore, sia dopo somministrazione di dose singola che ripetuta. Il valore di emivita è indipendente dalla concentrazione del farmaco, ma dipende unicamente dallo stato funzionale degli organi o sistemi del paziente preposti all’eliminazione del farmaco stesso. 1.3.3.3 Farmacocinetica e biodisponibilità. Il clopidogrel è un profarmaco che richiede un’ossidazione da parte del citocromo epatico P450 per generare un metabolita attivo. Il metabolita attivo, un derivato tiolico, è formato dall’ossidazione di clopidogrel in 2-oxoclopidogrel e successiva idrolisi. Il passaggio di ossidazione è regolato principalmente dall’isoenzima 3A4 del citocromo P450 e in misura minore dagli isoenzimi 3A5, 1A1, 1A2 e 2C19. L’enzima CYP3A4 è responsabile dell’ossidazione dell’anello tiofenico del clopidogrel ad 2oxo-clopidogrel, che viene poi nuovamente ossidato determinando l’apertura dell’anello e la formazione di due gruppi, un derivato carbossilico ed un derivato tiolico. Il derivato tiolico, che è stato isolato in vitro, si lega rapidamente, mediante la formazione di un ponte disolfuro a due residui cisteinici extracellulari localizzati sul recettore P2Y12. Questo legame risulta irreversibile e pertanto impedisce il legame dell’ADP al suo recettore per tutta la durata della vita piastrinica. Questo metabolita non è stato rilevato nel plasma. Solo una parte del clopidogrel somministrato viene però metabolizzato dal citocromo P450. La maggior parte del farmaco viene infatti idrolizzata da proteine con attività esterasica, in un derivato carbossilico acido, metabolita inattivo del clopidogrel. Questo metabolita inattivo rappresenta circa l’85% del prodotto circolante nel sangue. Il picco plasmatico di questo metabolita (circa 3 mg/l) si manifesta circa un’ora dopo la somministrazione e la sua cinetica è lineare (le concentrazioni plasmatiche aumentano in proporzione alla dose). Una dose standard del farmaco non assicura un effetto antagonistico completo; infatti l’inibizione dell’aggregazione piastrinica risulta dipendente dal tempo e dalla dose somministrata. In studi recenti è stato dimostrato che una monodose di 75 mg giornaliera è in 11 grado di legare approssimativamente solo il 60% dei siti di legame per l’ADP [Angiolillo et al., 2004]. Fino ad oggi nessuno studio ha messo a confronto le percentuali di saturazione dei siti di legame da parte del farmaco tra pazienti risultanti resistenti al farmaco e pazienti non resistenti. 1.3.3.4 Proprietà farmacologiche e farmacodinamiche Il clopidogrel agisce modificando irreversibilmente il recettore piastrinico per l’ADP. Di conseguenza, le piastrine esposte al farmaco sono influenzate per il resto della loro vita ed il recupero della funzione piastrinica normale avviene ad una velocità proporzionale al rinnovo piastrinico. Fin dalla prima somministrazione si ha una notevole inibizione della reazione emostatica ADP-indotta; l’inibizione aumenta poi progressivamente fino a stabilizzarsi intorno al sesto/settimo giorno. In questa condizione di “steady-state” il livello medio di inibizione osservato con una dose di 75 mg al giorno, è compreso tra 40-60%. 1.4 Il Citocromo P450 Gli enzimi biotrasformatori, come il citocromo P450, sono largamente diffusi nei vertebrati e sono presenti in molti compartimenti subcellulari. In particolare questi enzimi si trovano nella pelle, nella lingua, nella mucosa nasale, negli occhi e nel tratto gastrointestinale; vale a dire in quegli organi che più si trovano esposti a composti xenobiotici. Sono anche presenti in abbondanza nel pancreas, nella milza, nel cuore, nel cervello, nei reni, nei testicoli e nelle ovaie. Ma l’organo in cui sono decisamente più abbondanti è il fegato, dove questi enzimi sono localizzati principalmente sulle membrane del reticolo endoplasmatico, o nella frazione solubile del citoplasma e in quantità minore nei mitocondri e nei lisosomi. Il processo di biotrasformazione permette di eliminare sostanze chimiche dal corpo, prima che queste possano, con i loro effetti tossici, danneggiare l’organismo. In alcuni casi è invece il processo di biotrasformazione stessa che trasforma una sostanza innocua in una tossica o cancerogena per l’organismo. Alcuni farmaci devono essere biotrasformati prima di poter esercitare un effetto terapeutico, in quanto è il metabolita ad avere un effetto farmacologico. Nella maggior parte dei casi però la biotrasformazione termina l’effetto farmacologico di un farmaco e ne riduce la tossicità. 12 Molto spesso sono appunto gli enzimi coinvolti nella biotrasformazione di un farmaco che ne determinano la durata d’azione, giocando un ruolo chiave nella sua tossicità. Le reazioni catalizzate dagli enzimi biotrasformatori sono generalmente divise in due gruppi che corrispondono ad altrettante fasi ben distinte di metabolizzazione. Le reazioni della prima fase comportano idrolisi, riduzione ed ossidazione. Queste reazioni liberano o introducono un gruppo funzionale (-OH, -NH2, SH2, -COOH), provocando un aumento dell’idrofilia della molecola. Le reazioni di seconda fase includono glucoronizzazione, solfatazione, acetilazione, metilazione, ecc. Questi gruppi vengono normalmente attaccati a gruppi funzionali presenti sulla molecola esogena o introdotti nella reazione della prima fase. Le reazioni della seconda fase provocano un ulteriore aumento dell’ idrofilia e favoriscono l’eliminazione dei composti. Tra gli enzimi coinvolti nella prima fase della biotrasformazione di sostanze esogene ma anche endogene, troviamo il citocromo P450. Questo enzima è potenzialmente presente in tutti i tessuti, ma la più alta concentrazione la troviamo nel reticolo endoteliale delle cellule del fegato [Omura et al., 1999]. Gli isoenzimi del citocromo P450 sono un gruppo di proteine contenenti un gruppo eme con un gruppo ferrico (Fe3+). Quando il gruppo ferrico viene ridotto a ferroso (Fe2+), il citocromo P450 può legare ossigeno e monossido di carbonio. Il complesso formato da P450 e monossido di carbonio ha un assorbimento massimo a 450 nm (da cui deriva il nome P450) dovuto ad un particolare legame formato da una cisteina della catena proteica con il gruppo eme. La sequenza amminoacidica attorno a questa cisteina è altamente conservata in tutti gli isoenzimi del P450. La reazione catalizzata dal citocromo P450 è una monoossigenazione dove un atomo di ossigeno viene incorporato in un substrato, indicato come RH, mentre l’altro atomo di ossigeno viene ridotto dall’acqua grazie agli equivalenti di riduzione che derivano dal NADPH secondo la seguente reazione: Substrato (RH) + O2 +NADPH +H+ P450→ Prodotto(ROH)+H2O+ NADP+ Gli isoenzimi del citocromo P450 vengono divisi in famiglie e sottofamiglie a seconda dell’omologia nella sequenza degli amminoacidi della parte proteica. Finora sono stati identificati circa 50 diversi isoenzimi del citocromo P450. I citocromi P450, vengono indicati come CYP seguito da un numero, questo numero rappresenta la famiglia (es. CYP 3). Dopo il numero segue una lettera, questa indica la 13 sottofamiglia (CYP 3A), segue poi ancora un numero che indica l’enzima specifico (CYP 3A4). Particolarmente importanti per la prima fase di biotrasformazione dei farmaci risultano essere una dozzina di isoenzimi CYP. L’abbondanza relativa degli isoenzimi del P450, nel fegato è variabile, si va da circa il 60% per l’isoenzima CYP3A4 al 1-2% per il CYP2D6. Dal punto di vista funzionale 3 isoforme (CYP3A4, CYP2D6 e CYP2C9) sono responsabili del 80-90% delle biotrasformazioni e altre 3 (CYP1A2, CYP2C19 e CYP2E1) hanno un ruolo significativo per la biotrasformazione di medicamenti [Streetman et al., 1998]. 1.4.1 Interazioni tra farmaci Quando si somministra un medicamento bisogna sempre tenere conto del fatto che questo può essere substrato di un determinato P450, oppure può funzionare da inibitore o attivatore di un P450. Questo ha spinto la farmacologia a tenere in considerazione l’eventuale effetto di un medicamento su il metabolismo di un altro medicamento. Conosciuto è il ruolo del succo di pompelmo nell’inibire il citocromo CYP3A4 e quindi di alterare i processi di biotrasformazione dei medicamenti metabolizzati da questo citocromo. 1.4.2 Polimorfismi del citocromo P450 Un fenomeno conosciuto da sempre ma che recentemente ha acquistato grande importanza nello studio farmacologico, è l’individualità delle risposte ai farmaci. Capire quali meccanismi stiano alla base della risposta individuale ad un medicamento e come mai un determinato farmaco su un paziente ha effetto benefico, mentre su un altro causa importanti effetti secondari, aiuta il medico nel scegliere prima di tutto il medicamento e poi la dose da somministrare. Un importante ruolo in questo processo è stato e viene tuttora attribuito al citocromo P450, la cui attività o espressione può essere influenzata dai polimorfismi genetici. Si è visto che ogni citocromo può presentare diverse forme alleliche, rappresentate in percentuale diversa nelle varie etnie. L’identificazione di questi polimorfismi ha permesso di classificare i pazienti in tre categorie, per quanto riguarda l’attività enzimatica di metabolizzazione dei medicamenti da parte di un citocromo. Le tre classi sono “metabolizzatore normale”, “metabolizzatore lento” e “metabolizzatore rapido”. 14 Ben conosciuto è il polimorfismo del citocromo CYP2D6 dove, sono state identificate diverse forme alleliche. Alcune di queste forme sono state associate ad un metabolismo rallentato mentre altre ad un metabolismo accelerato. Ad esempio il CYP 2D6*4 è risultato essere un metabolizzatore lento per alcuni medicamenti antidepressivi, antipsicotici, beta-bloccanti e narcotici. Questo polimorfismo del CYP 2D6*4 è rappresentato nella popolazione caucasica con una frequenza del 20% circa. 1.4.3 Il citocromo CYP3A4 Il CYP 3A4 (detto anche EC 1.14.14.1, nifdipine oxidase, NF-25, P-450-PCN1) è il più abbondante e significativo dal punto di vista clinico della famiglia dei citocromi P450. La famiglia dei citocromi CYP 3A è composta da cinque enzimi, CYP 3A3, CYP 3A4, CYP 3A5, CYP 3A7 e CYP 3A43. Tutti gli enzimi della famiglia 3A presentano una grande similarità nella sequenza amminoacidica (più del 97%). Più del 60% dei P450 appartengono alla famiglia del CYP 3A, e da questa famiglia viene metabolizzato circa il 50% dei medicamenti usati in medicina. Questo spiega la ragione per cui molte interazioni fra medicamenti coinvolgono questa famiglia di citocromi. Oltre a questo la maggior parte degli steroidi endogeni vengono metabolizzati dal CYP 3A. Un altro particolare di rilievo è che il CYP3A è localizzato anche nell’intestino tenue ed è responsabile della maggior parte di “first-pass metabolism”. Questo è importante in quanto un aumento o una diminuzione del “first-pass metabolism”, può avere un effetto sulla dose di medicamento da somministrare. Il CYP 3A4 intestinale gioca un ruolo importante nel metabolismo dei medicamenti in quanto agisce in modo sinergico con la P-glicoproteina. Il CYP3A4 agendo con la P-gicoproteina limita la biodisponibilità di un substrato. I polimorfismi del gene del CYP3A4 oppure di altri geni che a loro volta controllano l’espressione del gene del CYP3A4, possono spiegare, la diversità individuale nel metabolizzare e quindi nella reazione ad un determinato medicamento. Questo potrebbe spiegare il motivo per cui un medicamento causa degli effetti secondari indesiderati a certi pazienti. Un esempio di polimorfismo del CYP3A4, è la mutazione trovata nel promotore stesso del gene, (CYP3A4* 1B) in questo caso non è la proteina (CYP3A4) ad essere mutata, ma è l’espressione del gene che può essere alterata, vale a dire diminuita o aumentata. Altre mutazioni possono però risiedere all’interno del gene, in questo caso o vi è il cambio di un singolo amminoacido oppure come nel caso del CYP3A4*6, viene cambiato il codice di 15 lettura del gene (frameshift). Il risultato è una proteina completamente diversa della proteina di tipo selvatico. Basandosi sul fatto che i polimorfismi sono associabili ad un’alterazione del metabolismo di alcuni medicamenti , si possono associare questi polimorfismi allo sviluppo di malattie oppure al decorso di altre patologie. Un esempio, il CYP3A4*1B è stato associato ad un decorso più sfavorevole del tumore alla prostata. La proteina CYP 3A4 viene codificata da un gene di 26502 bp, composto da 13 esoni [Spurdle et al., 2002]. 1.5 Resistenza all’antiaggregante clopidogrel L’effetto antiaggregante del clopidogrel non risulta uniforme in tutti i soggetti a cui viene somministrato. Il concetto di “resistenza al clopidogrel” è stato usato nella letteratura medica per definire l’insuccesso di questo farmaco nell’inibire l’aggregazione trombocitaria in vitro. Una manifestata resistenza a questo farmaco è multifattoriale [Wiviott et al., 2004]. La percentuale dei soggetti che non rispondono al clopidogrel è valutata tra un 4% e un 30% (la resistenza si manifesta 24h dopo la somministrazione). Si può dunque affermare che l’effetto di questo farmaco è paziente-dipendente. I diversi meccanismi che portano ad una resistenza al farmaco possono essere classificati in due categorie ben distinte: meccanismi intrinseci e meccanismi estrinseci. Tra le cause estrinseche possiamo comprendere una dose insufficiente del clopidogrel ed interazioni di natura competitiva tra farmaci che possono interferire con la biotrasformazione del farmaco a metabolita attivo. I possibili meccanismi intrinseci includono dei polimorfismi a livello del gene che codifica per il recettore target P2Y12, che portano ad un aumento del numero di recettori sulla superficie piastrinica e dei polimorfismi a livello del principale metabolizzatore, l’enzima CYP3A4. Tra le possibili cause di una resistenza al Plavix vi sono anche un possibile aumento nel rilascio di ADP ed una up-regulation di altre vie di traduzione che portano all’attivazione piastrinica (pathways che coinvolgono per esempio la trombina, il collagene, il trombossano A2 e l’epinefrina). 1.5.1 Polimorfismi del CYP3A4 Una relazione tra l’attività dell’enzima CYP3A4 e la resistenza al clopidogrel è stata ipotizzata solo recentemente. 16 Un gruppo di ricercatori ha dimostrato che inibendo l’attività dell’enzima si ha un riscontro negativo sull’attività antiaggregante del clopidogrel [Wiviott et al., 2004]. Lo studio è stato condotto su 10 volontari sani a cui è stato somministrata una dose di Rinfampin, farmaco che inibisce l’attività metabolizzatrice dell’enzima. In seguito a questa somministrazione si sono ottenuti dei risultati molto interessanti: 3 soggetti presentavano una manifestata resistenza agli effetti del clopidogrel (con un’inibizione piastrinica minore al 10%), un quarto soggetto risultava invece un low responder (con un’inibizione compresa tra 10% e 29%), mentre gli altri volontari rientravano nella definizione di soggetti non-resistenti al farmaco (con valori d’inibizione trombocitaria maggiori al 30%). L’espressione e l’attività dell’enzima è molto variabile tra individui diversi ed indipendentemente dall’uso di farmaci o sostanze inibitrici o induttrici. Nella maggior parte dei casi una variabilità individuale di queste caratteristiche dell’enzima è imputabile a dei polimorfismi genetici. Queste differenze interindividuali nell’attività del CYP3A4 possono avere una conseguenza nell’effettiva efficacia del clopidogrel. Sono state identificate più di 30 singole sostituzioni nucleotidiche (SNPs) che interessano il gene codificante l’enzima. Queste varianti genetiche possono dunque contribuire, senza però essere considerate la causa principale, alle differenze interindividuali riscontrabili nei metabolismi dipendenti dal CYP3A4. La maggior parte di questi polimorfismi presentano infatti una bassa frequenza di incidenza e delle limitate alterazioni nell’espressione ed attività catalitica dell’enzima stesso. Nel nostro studio è stato considerato il polimorfismo CYP3A4*1B, localizzato nella regione promotrice del gene. Una sostituzione nucleotidica in questa regione altera i livelli di espressione del gene spiegando così le variazioni interindividuali nell’intensità e nella durata dell’azione del farmaco. 1.5.2 Polimorfismi del recettore P2Y12 Il recettore dell’adenosina difosfato, P2Y12, è un recettore accoppiato ad una proteina G che ha un ruolo d’importanza fondamentale nel processo di aggregazione piastrinica. Rappresenta il target di efficaci agenti antitrombotici tra cui la ticlopidina, il clopidogrel e AR-C66096. Tutte le mutazioni che interessano il gene codificante questo recettore, sono coinvolte in disordini congeniti della coagulazione. Le piastrine dei soggetti portatori di questi polimorfismi presentano dei problemi nel meccanismo che porta alla capacità di cambiamento conformazionale dei trombociti in seguito al legame dell’ADP. L’ADP è uno dei più 17 importanti mediatori che permettono l’emostasi ed il suo effetto sulle piastrine è mediato da due recettori della famiglia P2Y, il recettore P2Y1 e il recettore P2Y12. La traduzione del segnale in seguito al legame dell’ADP ad entrambi i recettori, provoca un aumento della concentrazione di Ca2+ intracellulare che risulta indispensabile nel processo di coagulazione. In seguito al legame dell’ADP al nostro recettore si ha inibizione dell’enzima adenilato ciclasi (enzima che catalizza la trasformazione di AMP in cAMP) con conseguente diminuzione della concentrazione intracellulare di cAMP. Il recettore P2Y12 è inoltre coinvolto nell’attivazione della glicoproteina transmembrana IIb/IIIa attraverso la via dei fosfoinositidi. Questo recettore risulta avere pertanto un ruolo di importanza fondamentale nell’ondata irreversibile di aggregazione piastrinica in seguito al legame dell’ADP. La risposta piastrinica indotta da ADP ha una variabilità interindividuale abbastanza importante, infatti, le concentrazioni di adenosina difosfato necessarie per provocare una risposta irreversibile dell’aggregazione piastrinica variano da individuo ad individuo. Per questo motivo vengono considerate le variazioni nella sequenza del gene che codifica per il recettore P2Y12. Queste variazioni possono spiegare la variabilità nell’aggregazione piastrinica indotta dall’ ADP. Il gene che codifica il recettore è formato da due esoni separati da un introne. L’introne è lungo 1700 nt ed è localizzato a monte del codone di inizio traduzione ATG. Il secondo esone codifica i 342 amminoacidi che formano la proteina. Nella sequenza del gene sono stati localizzati cinque polimorfismi. I polimorfismi consistono di quattro diverse sostituzioni di un singolo nucleotide (SNPs) e di un’inserzione mononucleotidica. Due delle quattro sostituzioni sono localizzate nell’introne: - in posizione 139 si ha sostituzione di C con T - in posizone 744 si ha sostituzione di T con C Nell’introne troviamo anche l’unica inserzione, ossia l’inserimento di una A in posizione 801 (i-ins801A). Gli SNPs a livello degli introni possono interferire con i livelli di espressione delle proteine (trascrizione, stabilità e traducibilità del messaggero) ma anche con la struttura in caso che essi interferiscano con il processo di splicing. Le restanti sostituzioni sono state localizzate a livello del secondo esone: - in posizione 34 si ha transizione da C a T - in posizione 52 si ha una transversione da G a T Nessuna di queste ultime due sostituzioni modificano la sequenza amminoacidica della proteina. I polimorfismi i-C139T, i-T744C, i-ins801A e G52T sono in completo linkage 18 disequilibrium nella popolazione caucasica. In questo modo è possibile discriminare due aplotipi diversi, l’aplotipo H1 e l’aplotipo H2. Aplotipo H1: - C in posizione 139 - T in posizione 744 - assenza dell’inserzione di A in posizione 801 - G in posizione 52 Aplotipo H2: - T in posizione 139 - C in posizione 744 - inserzione di A in posizione 801 - T in posizione 52 L’aplotipo H1 rappresenta l’aplotipo maggiore con una frequenza nella popolazione dell’86%, H2 risulta dunque essere l’aplotipo minore e si presenta con una frequenza del 14%. Le frequenze alleliche di tutti i polimorfismi sono in equilibrio secondo l’equazione di Hardy-Weinberg. L’aplotipo H2 è stato associato in base ad uno studio fatto da un gruppo di ricercatori francesi, ad una massima aggregazione piastrina in risposta all’ADP [Nguyen et al., 2005]. Il polimorfismo C34T non è stato associato a questo fenomeno di aggregazione massimale. Una spiegazione valida per questa differenza di aggregazione piastrinica in soggetti portatori dell’allele H2 porta alla formulazione dell’ipotesi che vi sia un aumento del numero di recettori P2Y12 sulla superficie piastrinica, con una conseguente maggior risposta all’ADP. L’aplotipo H2 può essere associato ad una variazione nella sequenza promotrice; questa variazione determina un aumento nell’efficienza di trascrizione. Dallo stesso gruppo di ricercatori è stato anche dimostrato che il recettore è coinvolto nella formazione di tappi emostatici e negli eventi di trombosi arteriosa. Il fatto che sia stato evidenziato che un aplotipo di questo recettore è fortemente associato con un aumento consistente dell’aggregazione piastrinica in risposta all’ADP, comporta che vi sia un aumento del rischio di problemi di aterotrombosi per i soggetti portatori dell’aplotipo in questione [Fontana et al., 2003]. 19 Figura 4. Colorazione immunocitochimica che evidenzia l’epressione del recettore piastrinico P2Y12 umano mediante uso di anticorpo policlonale SP442P Figura 5. Colorazione immunoistochimica che evidenzia la presenza del recettore P2Y12 a livello dei megacariociti. Uso di anticorpo policlonale SP4030P. 1.5.2.1 Pathway di trasduzione del segnale L’ADP gioca un ruolo di fondamentale importanza nell’attivazione e conseguente aggregazione piastrinica. In seguito ad un danno di un vaso o di una rottura dell’endotelio, le piastrine circolanti aderiscono immediatamente alla parete del vaso nelle prossimità della zona danneggiata, costituendo delle interazioni con i costituenti del subendotelio (collagene, fattori di von Willebrand ed altre proteine adesive tra cui la fibronectina e la laminina). Dopo questa adesione, le piastrine coinvolte in questo processo, cominciano a cambiare forma grazie all’azione di alcuni fattori estrinseci di attivazione come il collagene, la trombina e l’epinefrina. Solo a questo punto i trombociti cominciano a rilasciare il contenuto dei loro granuli densi (agonisti piastrinici come l’ADP e la serotonina) e dei granuli alfa (fibrinogeno, von Willebrand factor, altre proteine adesive, fattori proinfammatori e fattori protrombotici). Le piastrine attivate e degranulate espongono sulla loro superficie la glicoproteina GPIIb/IIIa, un recettore in grado di legare il fibrinogeno. In seguito a questo legame si formano dei ponti di fibrinogeno che collegano la tra loro le piastrine attivate; in questo modo si ha la formazione di un tappo emostatico composto per l’appunto da piastrine e filamenti di fibrina. L’ADP interagisce con i propri recettori per autocrinia e paracrinia. In questo modo innesca due vie distinte di trasduzione, una che coinvolge una proteina Gq, e l’altra che fa partecipe una proteina Gi. Entrambi i recettori accoppiati alle due G-protein appartengono alla famiglia dei recettori P2Y. Si tratta di proteine ubiquitarie particolarmente abbondanti, oltre che sulla superficie piastrinica, in cervello, vasi, rene, pancreas endocrino e fegato. Il recettore P2Y1 a cui è 20 associata una proteina Gq, mobilizza il Ca 2+ intracellulare, determinando un aumento transiente della concentrazione citoplasmatica (influsso dall’esterno e da store interni) che media il cambio conformazionale e l’aggregazione trombocitaria. Il recettore P2Y12 (o P2Y(ADP)) è accoppiato alla proteina Gi; in seguito al legame dell’ADP la proteina G, attivata dal recettore, rilascia le subunità αGi e βγ che seguono due percorsi diversi e che porteranno all’aggregazione piastrinica. La subunità αGi inibisce l’attività dell’adenilato ciclasi, provocando così una diminuzione dei livelli di cAMP. Si ha una conseguente diminuzione dell’attivazione di specifiche proteine kinasi, che non possono fosforilare la proteina VASP (vasodilator-stimulated phosphoprotein). La fosforilazione di questa proteina risulta però una tappa essenziale per l’inibizione del recettore GP IIb/IIIa, dunque se la proteina VASP non viene fosforilata (VASP-P), si ha un’attivazione della glicoproteina ed una conseguente aggregazione piastrinica. La subunità βγ attiva la proteina fofatidilinositolo 3-kinasi, che risulta essere un’importante molecola segnale che potenzia la secrezione piastrinica (granuli densi e granuli α) e l’attivazione della proteina GP IIb/IIIa. Figura 6. Pathway di traduzione del segnale mediata dall’ADP. 21 Scopo della tesi. Il Plavix è un farmaco antiaggregante piastrinico somministrato prevalentemente a scopo preventivo in soggetti che presentano un rischio elevato di patologie cardiovascolari. In alcuni casi è stata tuttavia riscontrata una resistenza al farmaco, che risulta essere soggettiva e caratterizzata da una natura multifattoriale. Tra le possibili cause di questo insuccesso del farmaco sono stati ascritti polimorfismi genetici che coinvolgono il recettore purinergico bersaglio P2Y12. Un altro fattore considerato rilevante per l’insorgere della resistenza interessa polimorfismi genetici a livello del principale metabolizzatore del farmaco, il citocromo P450, ed in particolare l’isoenzima CYP3A4. La presenza di varianti alleliche nel gene che codifica per il CYP3A4 può infatti determinare una diversa efficienza della sua attività enzimatica. Studi recenti hanno anche dimostrato che l’interazione del Plavix con altri farmaci o la presenza di una situazione competitiva tra il farmaco ed altre sostanze per lo stesso substrato, il CYP3A4, possono contribuire all’instaurarsi di resistenza che comporta l’inefficacia del trattamento. Questa tesi ha come obiettivo la caratterizzazione dei polimorfismi genetici che interessano il recettore P2Y12 e l’isoenzima CYP3A4 in un pannello di pazienti in trattamento con Plavix, e lo studio di un’eventuale associazione tra i medesimi polimorfismi e l’insorgenza della resistenza al clopidogrel (principio attivo del Plavix). In particolare, in questo lavoro di tesi si è posto l’obiettivo di chiarire se il genotipo ai loci P2Y12 e CYP3A4 sia in grado di predire il rischio di “ricaduta” per pazienti che assumono questo farmaco. Al fine di correlare una possibile resistenza determinata da questi due polimorfismi con la manifestazione clinica, sono stati effettuati test sulla funzionalità piastrinica nei pazienti, allo scopo di determinare l’attendibilità del metodo PFA-100 per la rilevazione della funzionalità piastrinica, nel monitoraggio dell’effetto del Plavix sui pazienti coinvolti. 22 Materiali e metodi. 3.1 Selezione dei pazienti Il nostro gruppo di studio comprende pazienti che fanno riferimento al Cardiocentro Ticino perché affetti da patologie cardiovascolari. Questi individui sono tutti sotto cura con il farmaco Plavix a scopo preventivo. Oltre alla terapia di prevenzione, questi soggetti hanno in comune un altro fattore: tutti hanno subito un intervento di angioplastica, tecnica di rivascolarizzazione alternativa alla chirurgia, nel quale è stato impiantato uno stent medicato. 3.2 Estrazione del DNA Il DNA utilizzato per questo studio è stato estratto da campioni di sangue intero EDTA. L’estrazione è stata eseguita grazie all’impiego del Kit (QIAamp DNA mini Kit) della ditta QIAGEN. Procedura per l’estrazione del DNA: 1. In un eppendorf da 1,5 ml deporre 25 µl (20 mg/ml) di proteasi, 200 µl di sangue e 200 µl di Buffer AL 2. Vortexare immediatamente il tutto ed incubare a 56 °C per almeno 10 minuti 3. Dare un colpo di centrifuga ed aggiungere 200 µl di etanolo 100%, vortexare e centrifugare brevemente 4. Preparare il collection tube con la colonna di estrazione, mettere con cura il miscuglio del punto 3 sulla colonna e centrifugare 1 minuto a 8000 rpm (6000 g) a temperatura ambiente. 5. Gettare il collection tube e mettere la colonna QIAamp spin in un nuovo collection tube, aprire con cura la colonna e aggiungere 500 µl di Buffer AW1, centrifugare un minuto a 8000 rpm (6000 g), gettare il collection tube e mettere la colonna QIAamp in un nuovo collection tube 6. Aprire con cura la colonna e aggiungere 500 µl del Buffer AW2, centrifugare tre minuti a velocità massima 7. Metter la colonna in un eppendorf da 1,5 ml etichettato con il numero del paziente ed eluire il DNA con 200µl di acqua distillata, lasciare quindi riposare per 3-4 minuti ed infine centrifugare 1 minuto a 8000 rpm (6000 g). 23 8. Conservare il DNA a 4°C o a -20°C 3.3 Organizzazione del lavoro per la PCR La PCR è una reazione che ha un’enorme capacità di amplificazione e risulta dunque molto sensibile alle contaminazioni. Per questo motivo è essenziale lavorare in condizioni di sterilità, evitando pertanto le contaminazioni che possono pregiudicare i risultati del nostro lavoro. La presenza di una minima traccia di DNA estraneo potrebbe essere amplificata a livelli rilevabili conducendo pertanto a risultati errati. Per evitare dei problemi di questo tipo, il lavoro viene suddiviso in tre locali distinti. Il locale pre-PCR è riservato per la preparazione della miscela contenente tutti i reagenti necessari per la PCR (MMX). Dopo aver eseguito l’attività, il banco di lavoro viene pulito con candeggina ed irradiato con lampada UV durante le ore successive. Un secondo locale è adibito alla pipettatura del DNA in studio nei mastermix. Questa operazione si effettua elusivamente sotto cappa. Nella terza stanza è adibita per l’amplificazione e la successiva analisi di restrizione degli ampliconi ottenuti. La PCR è una reazione che porta ad un’amplificazione esponenziale di una ben determinata matrice. Tutti questi accorgimenti hanno lo scopo di evitare la comparsa di falsi positivi. Da queste considerazioni risulta quindi chiaro quanto importante sia una netta separazione tra la zona di amplificazione, la zona in cui si estrae la matrice e la zona in cui si preparano le miscele di reazione. 3.4 Preparazione dei Mastermix La preparazione dei mastermix (MMX) richiede l’utilizzo di una cappa che evita le contaminazioni. 24 I MMX vengono preparati in modo che i nucleotidi, il Taq-buffer, l’acqua ed i primers siano sempre presenti in una quantità di 40 µl. Per preparare uno stock di 100 mastermix bisogna pipettare in un tubo: - 2,9 ml di H2 O deionizzata - 500 µl di 10x PCR-Buffer (100mM Tris-HCl, 500 mM KCl, 15 mM MgCl2 , 0,1% gelatina, 2 mM dNTP, pH 8.3; Microsynth, Svizzera) - 250 µl di primer senso ad una concentrazione di 10 µM (Microsynth, Svizzera) - 250 µl di primer antisenso ad una concentrazione di 10 µM (Microsynth, Svizzera) - 10 µl di ogni nucleotide: A, T, C, G Dopo aver aggiunto tutti i componenti si mischia bene e si possono aliquotare i 40 µl in ogni tubo di PCR. I primers vengono forniti dalla Microsynth in forma liofilizzata. Prima di essere utilizzati vengono sospesi in acqua deionizzata (Noion Aqua, Magliaso, Svizzera) per portarli ad una concentrazione di 100 µM. in seguito alla sospensione , ogni volta,vengono allestiti dei tubi con 250 µl soluzione contenenti i primers ad una concentrazione di 10µM. Questi sono poi utilizzati per la preparazione dei MMX. 3.5 Protocollo per la PCR I primers utilizzati per l’amplificazione dei polimorfismi genetici del recettore P2Y12 sono stati disegnati sulla sequenza del gene che codifica la proteina. La sequenza dei primers è stata modificata con lo scopo di inserire delle mutazioni puntiformi (segnate in rosso) che rientrassero nel sito di taglio di un enzima di restrizione. Queste sostituzioni nucleotidiche ci permettono così di discriminare i polimorfismi genetici importanti da evidenziare per il nostro studio. Per individuare l’aplotipo H2 del recettore P2Y12 è sufficiente una sola reazione di PCR. Vengono usati dei primers che identificano il singolo polimorfismo T744C (le altre sostituzioni risultano in linkage disequilibrim con questa). 3.7 PFA-100® ® Il PFA-100 (Dade Behring, Düdingen, Svizzera) è un sistema composto da uno strumento e da apposite cartucce, nel quale il processo di adesione ed aggregazione piastrinica, conseguente ad 25 un danno vascolare, viene simulato in vitro. Le disfunzioni piastriniche rilevate dal sistema PFA® 100 possono essere acquisite, ereditarie o indotte da inibitori piastrinici. Questo sistema permette una valutazione rapida della funzionalità piastrinica su piccoli campioni di sangue intero addizionato di anticoagulante sodio citrato tamponato al 3, 8% (0,129M) oppure al 3,2% (0,105M). ® La cartuccia monouso PFA-100 è composta da un certo numero di parti integrate comprendenti un capillare con un diametro di 200 µm a cui viene applicata una costante pressione negativa, un alloggiamento per il campione ed una membrana biochimicamente attiva con un’apertura centrale. Il sangue intero addizionato di anticoagulante viene aspirato dall’allogiamento del campione attraverso il capillare e l’apertura, con conseguente esposizione delle piastrine a condizioni di elevato stress da scorrimento. La membrana è ricoperta da collageno (2 mg di collageno equino di tipo I), una proteina subendoteliale generamente considerata la matrice iniziale per l’adesione pastrinica. Si ritiene che l’adesione delle piastrine al collageno inneschi lo stimolo fisiologico iniziale dell’attivazione piastrinica. In aggiunta, la membrana può essere ricoperta di epinefrina (10 mg) o ADP (50 mg), altri antagonisti fisiologici che, insieme con il collageno, sono ampiamente utilizzati in aggregometria per ® attivare le piastrine. Nella fase iniziale del test PFA-100 , viene dispensata la soluzione attivante per inumidire la membrana. Durante il test le piastrine aderiscono alla membrana ricoperta di collageno. Successivamente, le piastrine divengono attive e rilasciano il contenuto dei loro granuli dopo contatto con agonisti quali l’ADP o l’epinefrina. Il rilascio del contenuto dei granuli è seguito da adesione reciproca delle piastrine con successiva formazione di aggregati. Nel ® sistema PFA-100 , il processo dell’aggregazione piastrinica, come espressione della funzionalità piastrinica, forma un trombo di piastrine sull’apertura, rallentando gradualmente ed infine arrestando il flusso del sangue. Questo strumento determina il tempo dall’inizio del test fino ad occlusione dell’apertura da parte delle piastrine e riporta tale intervallo di tempo come Tempo di Chiusura (TC). Il TC è un indice della funzionalità piastrinica nel campione di sangue intero in esame. Se non vi è formazione di un aggregato piastrinico prima di 300 secondi (tempo limite del test), l’analisi si ferma da sola. Per definire l’intervallo di riferimento sono stati valutati i campioni raccolti in sodio citrato tamponato al 3,8% (0,129 M) da 127 soggetti sicuramente sani. Tali soggetti non presentavano anamnesi o risultati di laboratorio indicativi di disfunzione piastrinica indotta da difetti intrinseci delle piastrine, da malattia di von Willebrand o da esposizione ad inibitori piastrinici. I seguenti 26 intervalli di riferimento sono stati determinati in base all’intervallo centrale al 90% dei risultati delle determinazioni in doppio sui 127 soggetti e sono riportati nella tabella qui di seguito: Tipo di cartuccia Media (sec) Intervallo di riferimento (sec) - Col/EPI 124 85-165 - Col/ADP 92 71-118 27 Risultati 4.1 Casistica La casistica di questo studio consiste in 100 pazienti affetti da patologie cardiovascolari e sottoposti a somministrazione a scopo preventivo con il farmaco Plavix. Nella tabella sottostante sono rappresentati i pazienti e le loro caratteristiche biologiche. L’81% dei pazienti è di sesso maschile e l’età media si aggira attorno ai 58 anni. campione 101 102 103 104 105 106 107 108 109 110 111 112 113 114 115 116 117 118 119 120 121 122 123 124 125 126 127 128 129 130 131 132 133 134 135 136 137 138 139 140 141 142 143 144 Anno di nascita Sesso Aplotipo P2Y12 Aplotipo CYP3A4*1B 1942 1922 1942 1929 1918 1964 1943 1958 1950 1948 1940 1954 1949 1937 1932 1946 1937 1944 1954 1937 1957 1951 1920 1947 1934 1942 1947 1945 1928 1954 1948 1940 1944 1934 1938 1932 1939 1933 1946 1954 1948 1964 1932 1937 maschio maschio maschio femmina femmina maschio maschio maschio maschio femmina maschio maschio maschio maschio maschio maschio femmina maschio maschio maschio maschio maschio femmina maschio maschio maschio maschio maschio maschio maschio maschio maschio maschio maschio femmina maschio maschio maschio maschio femmina maschio maschio maschio maschio WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/M WT/M WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/M WT/WT WT/WT WT/M WT/M WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/M WT/WT WT/WT WT/WT M/M M/M WT/WT WT/WT WT/M WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT 28 145 146 147 148 149 150 151 152 153 154 155 156 157 158 159 160 161 162 163 164 165 166 167 168 169 170 171 172 173 174 175 176 177 178 179 180 181 182 183 184 185 186 187 188 189 190 191 192 193 194 195 196 197 198 199 200 1931 1928 1932 1955 1932 1932 1943 1948 1931 1942 1928 1924 1934 1927 1954 1924 1943 1943 1955 1953 1950 1940 1935 1946 1941 1940 1924 1925 1934 1941 1932 1940 1927 1963 1950 1934 1945 1951 1930 1943 1942 1916 1959 1945 1942 1936 1936 1941 1931 1936 1948 1942 1932 1942 1924 1934 femmina maschio maschio maschio maschio maschio femmina maschio maschio maschio femmina maschio femmina maschio maschio maschio maschio maschio maschio maschio femmina maschio maschio maschio maschio maschio femmina maschio maschio maschio femmina femmina maschio maschio maschio maschio maschio maschio maschio maschio maschio femmina maschio femmina femmina maschio maschio maschio maschio maschio maschio maschio maschio femmina maschio maschio 29 WT/WT WT/WT WT/M WT/M WT/M WT/M WT/M WT/M WT/WT WT/WT WT/M WT/M WT/M WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/M WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/M WT/M WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/M WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/M WT/WT WT/WT WT/M WT/M WT/M WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/M WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT WT/WT 4.2 Frequenza allelica e genotipica per il polimorfismo del recettore P2Y12 Nella prima fase sperimentale di questo lavoro, è stata determinata la frequenza allelica degli aplotipi H1 e H2 a livello del locus del recettore purinergico P2Y12. A questo scopo sono stati genotipizzati (mediante la reazione di PCR descritta in Materiali e Metodi) tutti i 100 individui coinvolti in questo studio. La figura 7 mostra i risultati ottenuti. Come da descrizione in letteratura, sono state riscontrate le seguenti bande: - Per l’allele di tipo selvatico (omozigoti H1, WT/WT), 2 frammenti di 191 e 40bp (lane 3 - 4) - Per i soggetti eterozigoti (WT/M), 4 frammenti di 191, 158, 40 e 33 bp (lane 5 – 6) - Per l’allele H2 (omozigoti H2, M/M), 3 frammenti di 158, 40 e 33 bp (lane 7 – 8) 50bp 1 2 3 4 5 6 7 8 Figura 7. Analisi di campioni amplificati per il recettore P2Y12 su gel di agarosio al 3%. M: marker (50 bp step ladder), pozzetto 1 e 2: prodotto di amplificazione costituito da un frammento di 231 bp. Più in basso sono visibili due bande che corrispondono all’eccesso di primers; pozzetti 3 e 4: Gene di tipo selvatico. Prodotto digerito in cui si hanno due frammenti di 191 e 40 bp. Nei pozzetti 5 e 6 sono visibili due campioni eterozigoti con le corrispondenti bande più basse in cui vi sono i frammenti di 40 e 33 bp. Negli ultimi due pozzetti si si dstinguono due soggetti omozigoti per l’allele H2. Nel nostro gruppo di studio, includente tutti soggetti in terapia con Plavix a scopo preventivo, 22 persone, vale a dire il 22% dei soggetti, sono risultati eterozigoti per l’allele H2. Il 76% degli individui invece è risultato di tipo selvatico per questo polimorfismo. 30 In questo gruppo sono stati inoltre riscontrati due soggetti omozigoti per l’aplotipo determinante suscettibilità (H2). La distribuzione genotipica così rilevata appare illustrata nella figura 8. 100 76% 90 80 70 60 Numero 50 40 22% 30 20 2% 10 0 WT/WT WT/H2 H2/H2 Genotipo Figura 8. Distribuzione della frequenza genotipica nel gruppo di soggetti (N=100) sottoposti a somministrazione di Plavix (75mg/giorno). In totale, sono stati identificati 15 alleli H2 in una popolazione formata da 100 soggetti (per un totale di 200 alleli), determinando pertanto una frequenza dell’allele H2 dell’8%. (figura 9). Questa frequenza non trova riscontro con quella riportata in letteratura, dove viene descritta una frequenza allelica per l’allele H2 pari al 14% [Ziegler et al., 2005]. 100% 90% 80% 93% 70% 60% Frequenza 50% 40% 30% 8% 20% 10% 0% H1 H2 Allele Figura 9. Distribuzione della frequenza allelica nel gruppo di soggetti trattati con il Plavix. 31 4.3 Frequenza allelica e genotipica per il polimorfismo CYP3A4*1B Analogamente a quanto sopra riportato, è stata successivamente determinata nello stesso gruppo di 100 pazienti la frequenza allelica del polimorfimo *1B a livello dell’isoenzima CYP 3A4. Il DNA genomico totale dei 100 soggetti in questione è stato pertanto analizzato per questo polimorfismo mediante la reazione di PCR descritta in Materiali e Metodi. La figura 10 mostra i risultati per questo polimorfismo. Come atteso sono state riscontrate le seguenti bande: - Per l’allele di tipo selvatico, una banda di 152 bp - Per l’allele *1B (eterozigote), 3 bande di 152, 132 e 20 bp La banda di 20 bp non è visibile nel gel. Non è stato riscontrato nessun caso di soggetti omozigoti per la mutazione. 50bp 1 2 3 4 5 6 7 8 Figura 10. Analisi di campioni amplificati per il polimorfismo *1B che interessa l’enzima CYP 3A4 su gel di agarosio al 3%. M: marker (50 bp step ladder), pozzetto 1e 2: prodotto di amplificazione costituito da un frammento di 152 bp; pozzetti 3, 4 e 5: campioni wild type; pozzetti 6,7 e 8: campioni eterozigoti in cui sono visibili due bande di 152 e 132 bp. La frequenza allelica del polimorfismo *1B è risultata molto bassa, come riportato nella figura 11. Infatti, solo due individui sono risultati eterozigoti per il polimorfismo *1B, determinando pertanto una frequenza genotipica del 2%. 32 I soggetti wild type assommano al 98%. Non sono stati riscontrati individui omozigoti per l’allele *1B. Questi dati non trovano riscontro con la letteratura, dove la frequenza di soggetti eterozigoti per l’allele *1B assomma al 9% [Spurdle et al., 2002]. La presenza di un numero molto esiguo di soggetti portatori del polimorfismo al locus CYP 3A4 non ha purtroppo permesso di determinare una possibile correlazione di questo polimorfismo genetico con una eventuale manifestazione della resistenza al Plavix. 100% 90% 98% 80% 70% 60% Frequenza 50% 40% 30% 20% 10% 0% WT/WT 2% 0% WT/*1B *1B/*1B Genotipo Figura 11. Distribuzione genotipica del polimorfismo *1B Integrazione dei risultati Nell’ottica dell’interpretazione dei risultati ottenuti, è necessario avere una visione globale delle frequenze dei polimorfismi all’interno del gruppo di studio. Nella seguente tabella si presentano le percentuali risultanti dalla ricerca circa la presenza di varianti genetiche. Polimorfismi determinanti suscettibilità nello sviluppo di una resistenza al Plavix Aplotipo H2 Polimorfismo CYP3A4 *1B Pazienti trattati con Plavix (N=100) 8% 1% 33 4.4 Esame delle cartelle cliniche Dopo aver genotipizzato tutti gli individui appartenenti al nostro gruppo di studio (N=100) per i due polimorfismi di interesse, potenzialmente associati ad una possibile manifestazione di resistenza al Plavix, sono state esaminate tutte le cartelle cliniche dei pazienti alla ricerca di eventi di recidiva durante la terapia. La popolazione di individui recidivi risulta abbastanza eterogenea e comprende le seguenti manifestazioni cliniche: restenosi a livello di stent impiantati recentemente (dai 3 ai 6 mesi), trombosi a livello dello stent, o nei casi peggiori, episodi ripetuti di AMI. Significativamente, la gran parte di pazienti con recidiva è risultata appartenere al gruppo di pazienti risultati eterozigoti per l’allele H2 in seguito all’analisi genetica. soggetti recidivi 3% soggetti non recidivi 97% Figura 12. Distribuzione della recidività su 76 soggetti WT/WT secondo criteri clinici. Infatti, nel sottogruppo di pazienti (N=76) risultanti dalle analisi genetiche come omozigoti per l’allele wild-type (per entrambi i polimorfismi considerati) sono stati identificati solo due individui (3% del totale) nei quali è stata riscontrata un’espressione di recidiva nei confronti della terapia in atto (figura 12). Viceversa, nel gruppo di soggetti eterozigoti, che presentano il polimorfismo H2 (N=22) a livello del recettore P2Y12, sono stati individuati cinque individui recidivanti (23% del totale) (figura 13). Per quanto attiene al polimorfismo per l’isoenzima CYP3A4, dei due individui portatori di un allele mutato uno ha sviluppato una trombosi a livello dello stent ed è dunque da considerarsi come un soggetto per il quale la terapia non risulta efficace. 34 soggetti recidivi 23% soggetti non recidivi 77% Figura 13. Distribuzione dei soggetti recidivi secondo criteri clinici nel gruppo di WT/M (N=21). E’ da ricordare che l’analisi della correlazione tra genotipo ed eventi di recidiva è necessariamente sensibile al fattore temporale: nel gruppo di studio sono stati infatti inclusi anche pazienti di recente trattamento, che non hanno probabilmente ancora avuto modo di sviluppare una recidiva. Un follow-up ulteriore di questo gruppo potrebbe pertanto rivelare un’ ulteriore aumento della differenza di eventi recidivi tra i due gruppi di genotipi. Calcoli statistici Comparando statisticamente i due gruppi distinguibili per il genotipo, rispetto alla loro frequenza di recidiva, si nota che il gruppo wild-type presenta solo un 3% di recidivi, mentre nel gruppo genotipicamente WT/M, il 23% dei soggetti risulta recidivo. Recidivi Non Recidivi Totali Wild-type 2 74 76 eterozigoti 5 17 22 totali 7 91 98 La differenza tra le frequenze di recidiva nei due gruppi è risultata statisticamente significativa (p >0,05) al Chi-square test. 35 4.5 Funzionalità piastrinica Allo scopo di stabilire gli effetti del trattamento con Plavix ad uno stadio a monte della manifestazione clinica (recidiva), è stato utilizzato il test PFA-100 (descritto in Materiali e Metodi) per definire il tempo di chiusura (TC) dipendente dalla formazione dell’aggregato piastrinico nella maggior parte degli individui appartenenti al nostro gruppo di studio (N=46). Inizialmente il test è stato eseguito su un totale di 24 soggetti. Il 42% dei soggetti ancora in terapia con il clopidogrel al momento dell’attuazione del test è risultata non-responder agli effetti del farmaco, in quanto i pazienti presentavano dei TC molto brevi, che non rispecchiavano pertanto l’effetto sperato per la terapia in atto. La figura 14 illustra la distribuzione di questi pazienti, dove più di un terzo del totale risulta “non antiaggregato”. Questi risultati ottenuti trovano poco riscontro con la percentuale di non-responder alla terapia riportati in letteratura, dove si ha una frequenza di individui resistenti al Plavix che varia dal 4 al 30%[Wiviott et al., 2004]. Alcuni autori hanno recentemente ipotizzato che il PFA-100 rappresenti un test poco sensibile agli effetti delle tienopiridine come il Plavix [Grau et al., 2003]. 42% 58% soggetti antiaggregati soggetti NON antiaggregati Figura 14. Misurazione dell’attività piastrinca con PFA-100 in condizioni standard in 24 soggetti in terapia con Plavix. 36 Suddividendo il gruppo di 24 soggetti in due sottogruppi sulla base del genotipo al locus P2Y12, le frequenze alleliche riscontrate forniscono una chiara indicazione della non idoneità di questo test nel monitoraggio degli effetti del polimorfismo al locus P2Y12 sullo stato di funzionalità piastrinica. In figura 15 sono riportate le frequenze di non-responder (secondo i dati ottenuti grazie all’analizzatore PFA-100) alla terapia in atto. Nel gruppo genotipico WT/WT abbiamo una percentuale di soggetti non-antiaggregati che assomma al 40%. Questa frequenza non è significativamente diversa da quella riscontrata nel gruppo di individui portatori di almeno un allele di suscettibilità (50 %). Questi dati possono essere interpretati ipotizzando che il test condotto con il PFA-100 non sia adatto per poter prevedere con una discreta accuratezza lo svilupparsi dell’evento di recidiva. Inoltre, appare evidente come il genotipo al locus P2Y12 non sia apparentemente correlato ad una differenza significativa nello stato di funzionalità piastrinica 60% 50% 40% 30% soggetti WT/M soggetti WT/WT 20% 10% 0% soggetti NON antiaggregati soggetti antiaggregati Figura 15. Percentuale di responders al clopidogrel in funzione del genotipo (misurazioni eseguite con PFA100). Una spiegazione verosimile per poter giustificare tale risultato consiste nell’ipotizzare un effetto di “camuffamento” degli effetti del Plavix sul tempo di aggregazione trombocitaria, esercitati da un secondo recettore presente sulla superficie delle piastrine, anch’esso in grado di legare l’ADP. Il recettore P2Y1, appartenente alla stessa famiglia del recettore P2Y12, ha come antagonista principale l’ADP, e durante il test i TC possono essere sensibili all’attivazione di questo recettore (figura 16). Allo scopo di ottenere risultati più attendibili, abbiamo quindi deciso di ripetere il test PFA-100 in presenza di un antagonista 37 di questo secondo recettore, l’MRS 2179 [Pidcock M. et al., 2006]. L’inibitore è stato utilizzato ad una concentrazione finale di 100 µM. Per poter ottenere dei dati più significativi, abbiamo deciso di accrescere il campionario di soggetti convolti in questo test (N=46). P2Y12 P2Y1 H1/H1 PLAVI X P2Y12 MRS 2179 P2Y1 H1/H2 Figura 16. Rappresentazione schematica dell’inibizione dei recettori piastrinici P2Y1 e P2Y12 determinata dalla presenza rispettivamente dei farmaci MRS 2179 e Plavix. La figura 17 mostra i risultati ottenuti con l’inibitore del recettore P2Y1, dove solo il 9% dei pazienti risulta non-antiaggregato, mostrando una situazione molto più attinente alla realtà rispetto al test condotto in precedenza. 9% 91% soggetti antiaggregati soggetti NON antiaggregati Figura 17. Misurazione dell’attività piastrinica con PFA-100 in 46 soggetti utilizzando una concentrazione di 100 µM di inibitore MRS 2179. 38 Nella figura 18 viene correlata la risposta al farmaco (basata sull'esito del test di funzionalità piastrinica) con il genotipo dei soggetti analizzati. Nel gruppo di individui WT/M si evidenzia una percentuale nettamente superiore (sebbene statisticamente non significativa) di non-responder alla terapia antiaggregante rispetto al gruppo wild-type (16,6% vs 5,8%), confermando dunque la tendenza dei soggetti portatori dell’allele H2 a manifestare una resistenza al Plavix [Nguyen TA. et al.]. La percentuale di individui che presentano invece un TC prolungato, che rispecchia dunque un effetto del farmaco sull’aggregazione trombocitaria, è rispettivamente per il gruppo WT/WT il 94,2%, e per i portatori dell’allele H2 l’83,4%. 100,00% 90,00% 94.20% 83.40% 80,00% 70,00% 60,00% 50,00% 40,00% 30,00% 20,00% 10,00% 16.60% 5.80% 0,00% soggetti WT/M soggetti WT/WT soggetti NON antiaggregati soggetti antiaggregati Figura 18. Percentuale di responders al clopidogrel in funzione del genotipo (misurazioni eseguite in presenza di 100 µM di inibitore MRS 2179). Questa evidente differenza di dati tra i due test può essere pertanto giustificata dal fatto che nel test in cui è stato aggiunto l’inibitore del recettore P2Y1, si ha una situazione in cui due pathway vengono inibite in parallelo: la via di trasduzione del segnale in cui è coinvolto il recettore P2Y12 , e la via in cui è coinvolto il recettore P2Y1. Viceversa, nel gruppo di soggetti in cui il test non è stato modificato dall’aggiunta dell’antagonista del recettore P2Y1 si ha l’inibizione di una sola pathway. Comparando i dati ottenuti dai test condotti con l’analizzatore della funzionalità piastrinica (test condotti con l’utilizzo dell’inibitore MRS 2179) abbiamo la seguente tabella: 39 Non antiaggregati antiaggregati Totali Wild-type 2 32 34 eterozigoti 2 10 12 Totali 4 42 46 Come accennato, le differenze riscontrate tra i due gruppi di genotipi sono risultate non significative al test Chi-square, a causa di una bassa potenza del test. Per raggiungere un power del 50% con le proporzioni indicate (2/34 e 2/12) e con alfa 0.05 bisognerebbe disporre di un numero di dati molto maggiore ( N = circa 95). 40 Discussione La resistenza al Plavix mostra una natura di origine multifattoriale [Wiviott et al., 2004]. Quando si riscontrano soggetti non-responder per questo farmaco, bisogna prendere in considerazione diversi aspetti che possono spiegare questa condizione di bassa o nulla responsività al farmaco. Tra gli aspetti più rilevanti che possono essere alla base dell’insorgenza dello stato di lowresponder o non-responder, vi è la presenza di polimorfismi a livello del recettore target per l’adenosina difosfato, P2Y12, e del principale metabolizzatore di questo farmaco, l’enzima CYP3A4. Ad esempio, è stato dimostrato che tutte le mutazioni che interessano il gene del recettore P2Y12 sono coinvolte in disordini congeniti della coagulazione [Nguyen et al.; 2005]. La categoria di farmaci a cui appartiene il Plavix ha il vantaggio di presentare un’elevata eterogeneità dal punto di vista del meccanismo d’azione [Clarke et al.,2003]. Pertanto, nel momento in cui un particolare antiaggregante non riesce ad avere un effetto sperato d’inibizione dell’attività piastrinica, a causa di una resistenza o di patologie secondarie che potrebbero peggiorare in seguito a questa somministrazione, può essere somministrato un altro inibitore dell’aggregazione trombocitaria per ottenere lo stesso effetto ma attraverso una pathway di trasduzione del segnale diversa [Cattaneo et al., 2004]. Il clopidogrel è una tienopiridina di seconda generazione e viene ampiamente somministrato a scopo preventivo in seguito ad infarti del miocardio, ictus ischemici, interventi di PTCA ed in casi di arteropatia obliterante periferica [Gestel et al.,2003]. Il suo uso viene preferito ad altri antiaggreganti perché presenta numerosi vantaggi, tra cui una latenza minore d’azione, una emivita più lunga che permette una monosomministrazione giornaliera ed un più favorevole profilo di sicurezza [Pereillo et al., 2002]. In molte terapie si riscontra la concomitante somministrazione di più farmaci appartenenti alla categoria farmacoterapeutica degli antiaggreganti; questa strategia viene adottata perché, con questa somministrazione contemporanea, si assiste all’instaurarsi di un effetto sinergico tra i farmaci ed un conseguente effetto maggiore della cura [Lee et al.,2005]. Tuttavia, anche la somministrazione simultanea di questi farmaci risulta a volte incapace di prevenire l’avanzamento del processo emocoagulativo. Di fronte a tale contesto di resistenza ai farmaci somministrati, risulta di importanza fondamentale determinare le basi fisiologiche e molecolari della resistenza stessa. Per questo motivo, i soggetti inclusi in questo studio sono stati genotipizzati per i polimorfimi del recettore P2Y12 e del gene codificante per l’isoenzima 41 CYP3A4, due presunti fattori di rischio per la mancata o parziale risposta al trattamento con farmaci antiaggreganti. Dopo aver determinato il genotipo di tutti i soggetti coinvolti in questo studio, abbiamo ottenuto le frequenze alleliche concernenti i due polimorfismi in questione. In letteratura, la frequenza di non-responder al Plavix viene stimata in un range che va dal 4% al 30% dei soggetti trattati [Nguyen et al.,2005]. Per quel che concerne le varianti genetiche che interessano il recettore purinergico presente sulla superficie trombocitaria, sono state evidenziate frequenze alleliche diverse tra il gruppo in studio ed i dati riportati in letteratura [Ziegler et al.,2005]: la frequenza dell’aplotipo H2, che risulta fortemente associato ad un aumento consistente dell’aggregazione piastrinica in risposta all’ADP, è risultata pari all’ 8% nel gruppo di individui sottoposti a cura preventiva con il clopidogrel, mentre in letteratura viene riportata una frequenza allelica del 14%. L’ipotesi più accreditata che possa spiegare una resistenza al Plavix legata all’aplotipo H2, è la presenza in quest’ultimo di una variazione genetica nel promotore del gene, che comporta una maggiore efficienza nella trascrizione contribuendo in modo significativo ad un incremento del numero di recettori sulla superficie delle piastrine [Fontana et al., 2003]. Risulta pertanto interessante determinare se i portatori dell’allele H2 nel nostro gruppo di studio siano stati coinvolti in eventi secondari anche durante la cura con il clopidogrel. A questo scopo è stato condotto uno studio molto approfondito sulle cartelle cliniche dei soggetti coinvolti in questo studio. Dopo un’attenta analisi dei dati a disposizione (riportati nelle cartelle) per ogni singolo individuo coinvolto in questo lavoro di tesi, siamo giunti ad ottenere dei dati molto interessanti. Lo studio si proponeva di determinare una possibile correlazione delle recidive (end point) dopo impianto di stent medicalizzato con il polimorfismo presente a livello del recettore P2Y12. Nel sottogruppo di soggetti portatori dell’allele di suscettibilità H2, ben 5 individui hanno sviluppato recidive durante la terapia con Plavix. Nel sottogruppo comprendente invece pazienti wild-type per lo stesso allele, solo 2 pazienti hanno mostrato delle complicanze nel corso del periodo di somministrazione del medicamento. Dal punto di vista statistico questi dati risultano altamente significativi (p< 0.006). Dall’analisi di questi risultati possiamo pertanto ipotizzare che il polimorfismo rappresenti un fattore di rischio nella manifestazione dell’end point recidiva, e che lo stent medicato risulti un ottimo metodo per ridurre eventi di questo tipo (rispetto agli stent metallici tradizionali che vengono associati ad un’incidenza di restenosi pari al 40%), ma che non siano sufficienti per evitare del tutto la comparsa di recidive [Carter et al., 2000]. 42 I portatori di questo allele rappresentano pertanto individui che presentano un aumento del rischio di eventi vascolari avversi, soprattutto se portatori di altri fattori di suscettibilità, e potranno pertanto manifestare una tendenza maggiore allo sviluppo di disturbi legati al meccanismo dell’aggregazione trombocitaria. La resistenza al Plavix non è riscontrabile fenotipicamente nelle persone in cura (tranne che nei casi dove si sia verificata una recidiva anche durante la terapia), a meno che non venga constantemente monitorata l’aggregazione piastrinica. Nel nostro lavoro sono stati eseguiti test sulla funzionalità piastrinica, con l’utilizzo dell’analizzatore PFA-100, nei pazienti coinvolti nello studio. Lo scopo di questi test è stato principalmente quello di determinare l’eventuale attendibilità del PFA-100 nel monitorare gli effetti del Plavix nei soggetti sottoposti ad una somministrazione prolungata di questo farmaco. In base ai risultati (ottenuti sotto forma di tempi di chiusura (TC)) è stato condotto uno studio comparativo tra i due gruppi genotipici, ossia portatori o meno dei polimorfismi trattati in questa tesi. Inizialmente il test è stato condotto in maniera standard, ed è subito parso chiaro che i valori di TC ottenuti dai soggetti in analisi non trovavano riscontro con la percentuale di non-responders al Plavix riportata in letteratura (ben il 42% dei soggetti sottoposti al test risultavano non antiaggregati contro un massimo del 30% riscontrato in letteratura) [Nguyen et al., 2005]. Per questo motivo il test è stato modificato con lo scopo di ottenere dei dati più attendibili. Abbiamo infatti ipotizzato un effetto di “camuffamento” degli effetti del Plavix sul tempo di aggregazione trombocitaria, esercitato da un recettore presente sulla superficie piastrinica, il P2Y1, in grado di legare l’ADP [Turner et al., 2001]. Ad ogni campione di sangue è stato aggiunto pertanto un inibitore di questo recettore, l’MRS 2179 [ Pidcock M et al.], ed è stato ripetuto il test. Dopo questa modifica, si sono ottenuti risultati decisamente diversi rispetto al test condotto in maniera standard; a questo punto abbiamo comparato il grado di inibizione piastrinica tra soggetti WT/WT e soggetti WT/M. Nel sottogruppo di individui portatori dell’allele H2, sono stati riscontarti il 16,6% di nonresponder agli effetti del Plavix, mentre nel secondo gruppo, costituito da individui wild-type per il polimorfismo del recettore P2Y12, solo il 5,8% dei soggetti presentava una residua attività piastrinica. Con il proposito di avere un diretto riscontro tra i due metodi di conduzione del test, abbiamo correlato anche nel primo gruppo di studio (gruppo composto da 24 soggetti, in cui l’inibitore non era ancora stato utilizzato) il genotipo di ogni individuo con i dati ottenuti dal test di funzionalità piastrinica. 43 In questo caso i dati ottenuti sono risultati alquanto diversi rispetto a quelli ottenuti in presenza dell’antagonista del recettore P2Y1: si è riscontrato infatti il 50% di individui antiaggregati con genotipo WT/M, in contrapposizione ad un 84,6% nelle misurazioni condotte col test modificato. Negli individui wild-type per il polimorfismo abbiamo invece riscontarto il 40% di individui antiaggregati in opposizione al 94,2% nelle misurazioni condotte col test modificato. Dal punto di vista statistico questi dati non risultano significativi, probabilmente a causa del basso numero di soggetti utilizzato per questo test. Da questo confronto possiamo tuttavia dedurre che l’analizzatore PFA-100 non rappresenti un metodo idoneo per poter ottenere dati attendibili sugli effetti reali del Plavix, e questa ipotesi viene suffragata dal fatto che molti pazienti che hanno effettivamente sviluppato una recidiva, sono risultati responders alla terapia in base al test. Il problema principale che si presenta nell’utilizzo dell’inibitore P2Y1, consiste nel fatto che la situazione simulata in vitro non corrisponde alla condizione in vivo e di conseguenza l’alternativa migliore per poter ovviare a questo inconveniente è adottare un metodo diverso per poter ottenere dei dati significativi. Possiamo dunque commentare questi dati affermando che il polimorfismo in questione manifesta una correlazione con l’end point “recidiva” ma che non vi è una corrispondenza reciproca tra genotipo e stato di attivazione trombocitaria, oppure che semplicemente, questa corrispondenza non sia evidenziabile attraverso l’utilizzo del PFA-100. Questa conclusione viene supportata dal fatto che i soggetti recidivi risultino come antiaggregati. Possiamo dunque ipotizzare che l’antiaggregazione stabilita col metodo PFA-100 non rappresenti una prerogativa per l’insorgenza di un’ eventuale recidiva futura, o che semplicemente il test utilizzato non sia abbastanza sensibile da poter discriminare differenze nella popolazione di antiaggregati che potrebbero però rivelarsi importanti nella futura manifestazione della resistenza [Raman et al., 2004]. Come già accennato il Plavix è un profarmaco, ovvero una sostanza che appena somministrata non risulta attiva, ma che nell’organismo subisce una trasformazione in metabolita attivo. Per questo motivo s’introduce un’altra variabile, ossia l’efficienza dei processi metabolici, con cui il profarmaco in questione viene convertito in farmaco biologicamente attivo. La velocità della biotrasformazione dipende dalla disponibilità dagli enzimi coinvolti. La famiglia dei CYP 3A metabolizza circa il 50% dei medicamenti usati in medicina, e tra questi è compreso anche il clopidogrel [Cupp et al., 1996]. L’enzima coinvolto nell’attivazione del Plavix è l’isoenzima CYP 3A4, ed un polimorfismo nel gene codificante per questo enzima o in geni che a loro volta controllano l’espressione di questo 44 gene possono spiegare la diversità individuale nel metabolizzare e quindi nella reazione al farmaco [Eiselt et al., 2001]. Il polimorfismo trattato in questa tesi è il CYP3A4*1B che consiste in una mutazione nel promotore stesso; in questo caso non è la proteina ad essere modificata ma l’espressione del gene che può essere alterata [Spurdle et al., 2002]. Nel nostro gruppo di studio è stata evidenziata una frequenza allelica molto bassa, pari al 1%. Dei due individui portatori di questo polimorfismo (in forma eterozigote), uno ha sviluppato una trombosi a livello dello stent. Questa recidiva ci fa supporre che la presenza di questa variante genetica potrebbe in qualche modo determinare delle situazioni problematiche in pazienti sottoposti ad una terapia con il clopidogrel, ma i dati a disposizione non ci permettono di trarre delle conclusioni supportate da risultati significativi. ® Purtroppo non è stato possibile sottoporre questi due individui al test con il PFA-100 , perché nel frattempo la terapia è stata sospesa. Bisogna comunque tener conto che in questo studio sono stati valutati solo due markers genetici che potrebbero contribuire alla resistenza ed in questo tipo di patologie è molto probabile un’influenza poligenetica sulla resistenza. Se un paziente presentasse entrambi i polimorfismi determinanti suscettibilità, si potrebbe ipotizzare un rischio maggiore rispetto ad un soggetto portatore di uno solo dei polimorfismi, ma nel nostro studio non si evidenziano casi in di questo tipo. Da questa possibilità di definire a priori, attraverso la tipizzazione per questi due polimorfimi, una categoria di pazienti potenzialmente resistenti al Plavix, è nata una collaborazione con il Cardiocentro Ticino, che in seguito a questa genotipizzazione potrà monitorare con più attenzione i pazienti che secondo questa analisi genetica risulteranno possedere un rischio aumentato di non rispondere in modo adeguato ad una somministrazione standard del medicamento. Un aspetto molto interessante, ma che per motivi di tempo non è stato trattato in questa tesi, è l’ipotizzata correlazione di un altro polimorfismo che interessa sempre il recettore P2Y12, con lo sviluppo di effetti secondari molto seri durante la somministrazione prolungata del Plavix [Ziegler et al.,2005]. In alcuni soggetti si sono accertate ischemie celebrali che risulterebbero per l’appunto correlate con questo polimorfismo rilevato nella sequenza codificante del recettore. Questa variante non è in linkage disequilibrium con le altre quattro che determinano gli aplotipi H1 ed H2. 45 Un aspetto interessante che potrebbe divenire oggetto di studio futuro, è pertanto rappresentato dalla caratterizzazione di un maggior numero di polimorfismi che possano determinare una manifestata resistenza alla categoria farmacologica degli inibitori dell’attività piastrinica e che sono dunque localizzati in pathway distinte rispetto a quella studiata in questa tesi. 46 Bibliografia Angiolillo D, Fernandez-Ortiz A, Bernardo E, Ramirez C, Sabaté M, Banuelos C, HernandezAntolin R, Escaned J, Moreno R, Alfonso F, Macaya C. High Clopidogrel loading dose during coronary stenting: effects on drug response and interindividual variability. European Herat Journal, 2004;25:1903-1910 Baurand A, Eckly A, Hechler B, Kauffenstein G, Galzi JL, Cazenave JP, Léon C, Gachet C. 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