RESISTENZA MULTIFATTORIALE AL FARMACO

RESISTENZA MULTIFATTORIALE AL FARMACO
ANTIAGGREGANTE PIAStRINICO PLAVIX
Introduzione.
1.1 Clinica.
Il farmaco antiaggregante piastrinico Plavix trova applicazione in pazienti che presentano
patologie di natura aterotrombotica. I soggetti che vengono trattati con questo farmaco sono
sottoposti ad un tipo di trattamento preventivo, che ha come scopo evitare episodi vascolari di
recidiva. Infatti il Plavix, essendo un farmaco che inibisce l’aggregazione trombocitaria,
previene la formazione di trombi ed emboli che sono la causa scatenante dei problemi
cardiovascolari.
Tra le possibili patologie che possono richiedere la somministrazione di questo farmaco
rientrano:
Aterosclerosi
L’aterosclerosi è un tipo di alterazione vasale caratterizzato dall’inspessimento e dalla perdita di
elasticità dei vasi. Si contraddistingue per la formazione di placche fibrolipidiche intimali o di
ateromi, che protrudono all’interno del lume e vanno incontro ad una serie di complicanze che
possono predisporre alla trombosi. L’aterosclerosi gioca un ruolo molto importante nello
sviluppo della trombosi coronarica.
- Infarto del miocardio
L’infarto è un’area di necrosi ischemica a carico di un tessuto causata dalla riduzione di apporto
ematico arterioso o del drenaggio venoso. Quasi il 99% di tutti gli infarti ha un’origine
trombotica o embolica, solitamente attribuibile ad una occlusione arteriosa.
L’infarto ischemico (a livello celebrale) e del miocardio costituiscono la principale causa di
morte nei paesi industrializzati. Il meccanismo che genera un’ ischemia coronarica è la trombosi
coronarica in corrispondenza dell’erosione o rottura di una placca aterotrombotica. Alla lesione
della placca segue come prima risposta l’attivazione e l’aggregazione piastrinica con formazione
di un reticolo di piastrine legate tra loro da ponti di fibrinogeno (trombo piastrinico).
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Contemporaneamente si ha l’attivazione della cascata coagulativa con formazione della trombina
che accelera il processo di aggregazione trombocitaria e catalizza la conversione del fibrinogeno
in fibrina, favorendo la formazione del trombo piastrinico.
La sede dell’infarto miocardio è determinata dal punto in cui si verifica l’ostruzione coronaria e
dalla distribuzione anatomica dell’arteria interessata [Kumar et al., 1999].
- Infarto celebrale
Tra le cause di infarto cerebrale si ha l’aterosclerosi e la formazione di emboli che possono
portare all’occlusione vascolare. Le occlusioni emboliche interessano con grande frequenza i
vasi sanguigni intracranici, soprattutto l’arteria celebrale media.
Quando l’irrorazione sanguigna di una parte del cervello è interrotta e l’apporto di sostanze
nutritive e di ossigeno alle cellule nervose della zona colpita diminuisce o cessa del tutto si
verifica un colpo apoplettico: se la circolazione sanguinea non viene ripristinata entro pochi
minuti i neuroni subiscono danni irreversibili e muoiono. La sede e la distribuzione degli infarti
celebrali dipendono da diversi fattori che comprendono il punto dell’occlusione arteriosa, il
tempo in cui l’evento occlusivo si è sviluppato e la pressione di perfusione sistemica.
- Arteriopatia obliterante periferica (AOP)
L’aterosclerosi può interessare anche la circolazione periferica, vale a dire gli arti, con
conseguenze disabilitanti. Ne consegue un disturbo chiamato arteriopatia obliterante periferica,
dovuta proprio al restringimento o all’ostruzione di arterie provocati dalla placca aterosclelorica.
Questo restringimento delle arterie provocato da un processo aterosclerotico in atto, riduce il
flusso di sangue nelle gambe durante l’attività fisica ma anche a riposo. Nelle forma più gravi di
AOP, i pazienti sono colpiti da ischemia critica degli arti inferiori, con deterioramento della loro
funzionalità, tanto che in alcuni casi può essere richiesta la rivascolarizzazione chirurgica o,
addirittura l’amputazione [Guyton et al.].
1.2 Gli Stent.
Gli stents sono protesi metalliche attualmente utilizzate in chirurgia vascolare per il trattamento
di lesioni a livello di alcuni vasi, come per esempio le arterie coronariche.
Si tratta di una struttura metallica che viene introdotta nel sistema vascolare del paziente,
ripiegata attorno ad un pallone da angioplastica. Una volta posizionata la protesi nella zona della
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lesione, il pallone viene gonfiato e la protesi stessa si distende e va ricoprire la lesione, a livello
della quale rimane associata in modo permanente (Figura 1) [Hernandez et al.,2006].
Figura 1. Un sondino in lattice viene inserito nell’arteria da trattare e lo stent viene disteso nel punto lesionato.
Questo intervento di angioplastica è in grado di ripristinare il flusso nell’arteria stenotica.
Recentemente
sono stati sviluppati stent di ultima generazione ricoperti con framaci
antiproliferativi (stent medicalizzati) [Ong et al., 2005]. Questi stent presentano il vantaggio
di essere associati ad un rilascio locale di farmaco ed evitare uno dei principali problemi
degli interventi realizzati con BMS (stent tradizionali): la restenosi, ovvero la recidiva della
lesione trattata, che si manifesta in una percentuale significativa negli stent non
medicalizzati (circa 40%) [Morice et al., 2002].
L’utilizzo di materiali particolari di rivestimento degli stents o il rilascio di farmaci hanno lo
scopo di evitare la risposta iperplastica cellulare e dunque una possibile recidiva.
Il metodo più semplice per il rilascio di farmaci è l’utilizzo di stent metallici rivestiti da
materiali in grado di veicolare o eluire (rilascio controllato) il farmaco [Herdeg C et al.,
2000].
La messa in atto di questi accorgimenti (assieme all’utilizzo di inibitori della funzionalità
piastrinica) risultano di importanza fondamentale perché, dopo impianto di stent, vi è un
aumentato rischio trombogenico e di proliferazione cellulare [Carter AJ et al., 2000].
1.3
I farmacianti aggreganti.
I farmaci antiaggreganti piastrinici sono numerosi ed il loro utilizzo varia a seconda della
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patologia. Questi farmaci impediscono alle piastrine di legarsi tra loro bloccando in questo modo la
cascata emocoagulativa.
Le piastrine sono spesso associate a fenomeni di trombosi quando si depositano alla
superficie delle placche ateromasiche e per questo motivo risulta d’importanza fondamentale
poter controllare la loro aggregazione con specifici inibitori.
Il vantaggio che presenta questa categoria di farmaci è la loro eterogeneità dal punto di vista
del meccanismo d’azione; infatti laddove un antiaggregante particolare non riesce ad avere
un effetto di inibizione dell’attività piastrinica, a causa di una resistenza individuale o di
patologie secondarie che potrebbero peggiorare in seguito a questa somministrazione, un
altro inibitore dell’aggregazione trombocitaria può essere scelto per ottenere lo stesso effetto
attraverso una pathway diversa.
Tra questi possiamo citare uno dei più diffusi sul mercato e conosciuto da tempo per la sua
attività di inibizione dell’aggregazione trombocitaria, l’Aspirina (ASA). Una dose bassa di
aspirina si impiega per la prevenzione delle patologie trombotiche cerebrovascolari e
cardiovascolari. L’uso dell’ASA è però limitato da presenza di problemi di natura gastrica.
L’Aspirina viene somministrata anche il prima possibile dopo un evento ischemico.
In questa categoria è compreso anche il Plavix, oggetto di questa tesi, che come l’ASA viene
somministrato in seguito al manifestarsi di problemi aterotrombotici.
Un altro potente inibitore dell’aggregazione piastrinica è rappresentato dal Cilostazol, che
inibisce in maniera molto selettiva la fosfodiesterasi III.
La probabilità di una trombosi a livello dello stent in pazienti che hanno subito un infarto
miocardico acuto (AMI) è relativamente alta. Una percentuale significativa dei soggetti
sottoposti ad impianti di stent, dopo l’intervento chirurgico presentano infatti un’attività
piastrinica più accentuata rispetto a soggetti che non hanno subito l’intervento.
E’ stato notato che una normale dose di clopidogrel in un gruppo di pazienti con queste
caratteristiche non inibisce in maniera efficace l’aggregazione e la degranulazione dei
trombociti [Lee et al., 2005].
Si può dunque affermare che una bassa risposta al clopidogrel ed una concomitante maggior
attività piastrinica rappresentano dei fattori di rischio che possono determinare l’instaurarsi
di nuovi eventi ischemici.
La funzione piastrinica può essere monitorata attraverso l’uso di un aggregometro
a
trasmissione (light trasmission aggregometry) oppure con l’uso di un analizzatore della
funzionalità piastrinica (PFA-100) che fornisce un’indicazione dell’effetto del farmaco sul
soggetto a cui viene somministrato.
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1.3.1 Emostasi e processo di coagulazione.
Con il termine emostasi s’intende una serie di reazioni biochimiche e cellulari, finalizzate ad
impedire la perdita di sangue dai vasi. Si tratta di un meccanismo di difesa deputato al
mantenimento dell’integrità dei vasi sanguigni e della fluidità del sangue.
Affinché sia assicurata un’efficiente emostasi, è necessario che siano perfettamente
funzionanti quattro sistemi, che agendo in sintonia tra loro, portano alla riparazione di una
ferita e mettono fine alla fuoriuscita di sangue.
I sistemi implicati sono:
1. Vasi e costituenti della parete vascolare
2. Piastrine
3. Fattori di coagulazione coinvolti nella cascata enzimatica della coagulazione
4. Sistema fibrinolitico
Immediatamente dopo un danno a livello di un vaso, la parete dello stesso si contrae
provocando così una vasocostrizione che ne riduce il calibro; in questo modo viene
istantaneamente ridotto il flusso sanguigno attraverso la zona lesionata.
La lesione delle cellule endoteliali espone il tessuto connettivo sottoendoteliale altamente
trombogenico, al quale le piastrine aderiscono entrando in uno stato di “attivazione” che
comporta un cambiamento nella forma piastrinica ed una reazione di esocitosi.
L’endotelio è un tessuto metabolicamente attivo, che, a seconda del suo stato funzionale,
può favorire o inibire l’emostasi. In stato di quiescenza l’endotelio è in grado di assicurare la
fluidità del sangue mediante un complesso meccanismo anticoagulante, mentre in seguito ad
una lesione, la perdita della cellula endoteliale costituisce il punto d’avvio del processo di
emostasi localizzata.
I fattori che si liberano dai granuli piastrinici (es. ADP) reclutano ulteriori piastrine che
aggregano sopra le prime, così da formare il tappo piastrinico.
Questo tappo è formato appunto dalle piastrine (o trombociti), frammenti citoplasmatici di
una cellula progenitrice midollare multinucleata, il megacariocita. Si tratta di piccoli dischi
anucleati con proprietà secretrici di forma ovoidale e con un diametro compreso tra 1 e 4
µm. I trombociti hanno due potenti proprietà che permettono loro di formare il tappo
emostatico, l’adesività e l’agglutinabilità.
La secrezione delle piastrine avviene subito dopo l’adesione ed è un fenomeno legato
all’aumento della concentrazione di calcio nelle cellule, che determina il rilascio dei
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contenuto dei granuli piastrinici all’esterno. Nei granuli sono presenti in alta concentrazione
molecole capaci di mantenere e soprattutto amplificare la risposta. Queste molecole
costituiscono tutte dei potenti agonisti dell’aggregazione: la superficie piastrinica è infatti
dotata di recettori per tali molecole, i quali inducono una potente risposta biochimica.
La reazione che porta alla formazione del tappo piastrinico avviene pochi minuti dopo la
lesione ed insieme alla vasocostrizione, costituisce la cosidetta emostasi primaria. In
condizioni normali sull’endotelio che riveste il vaso si trovano distribuite cariche elettriche
negative, e poiché anche la superficie delle piastrine è carica negativamente, le piastrine di
norma sono respinte dalla superficie interna dei vasi e si respingono tra loro. Quando si
verifica una piccola lesione ad un vaso si ha un mutamento della carica elettrica
dell’endotelio nel punto di lesione. Le piastrine si ammassano in gran numero su questo
punto ed aderiscono al tratto di superficie danneggiato.
L’esposizione di superficie negativa e di fattore tessutale nel sito di lesione, insieme ai
fattori piastrinici, attiva il sistema della coagulazione che porta alla formazione di trombina.
La trombina converte il fibrinogeno a fibrina, formando il coagulo di fibrina e stimolando un
ulteriore reclutamento di piastrine. Questo processo viene definito emostasi secondaria.
L’emostasi secondaria consiste dunque nella trasformazione del fibrinogeno, sostanza
presente nel plasma, in fibrina. Questa reazione avviene ad opera della trombina, che si
forma dalla protrombina sotto influenza della tromboplastina.
Pertanto in questo processo di coagulazione possiamo distinguere tre momenti:
1) formazione della tromboplastina
2) trasformazione della protrombina in trombina
3) trasformazione del fibrinogeno in fibrina
La formazione della tromboplastina è dovuta all’ attivazione di fattori tessutali e di fattori
plasmatici coinvolti nella coagulazione. Essi hanno la caratteristica peculiare di agire in
sequenza, uno dietro l’altro, e ad ogni tappa il fattore che circola inattivo nel sangue, viene
attivato ed agisce sul fattore successivo, che viene attivato a sua volta.
Una volta che la lesione vascolare è stata riparata si verifica la dissoluzione del coagulo
mediante il processo della fibrinolisi.
Contemporaneamente, si avvia anche il processo di riparazione della ferita, al termine del
quale si ricostituisce lo strato di cellule edoteliali e la parete vasale riacquista la sua normale
struttura [Beutler et al., 2001].
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1.3.2 Tipi di antiaggreganti piastrinici e meccanismi d’azione.
Questa farmaci rappresentano degli efficaci inibitori delle funzioni piastriniche e vengono
utilizzati per la prevenzione della formazione di trombi nel distretto arterioso della
circolazione, dove i trombi sono costituiti da piastrine e dove gli anticoagulanti che non
agiscono direttamente sulla funzionalità piastrinica hanno scarso effetto.
L’inibizione dell’attivazione trombocitaria può essere attuata agendo sulla via che interessa
l’attivazione del trombossano A2 (Aspirina ed inibitori dell’enzima trombossano sintasi),
oppure sulla via di attivazione legata all’ADP (tienopiridine).
Aspirina e FANS:
L’aspirina e gli anti-infiammatori non steroidei (FANS), agiscono inibendo in modo
irreversibile la cicloossigenasi, un enzima chiave nella trasformazione di acido arachidonico
in trombossano A2 (in questo modo la sintesi di trombossano da parte della piastrina viene
bloccata). Il trombossano ha proprietà vasocostringenti e favorisce l’aggregazione
trombocitaria attraverso un meccanismo che stimola l’espressione della glicoproteina
IIb/IIIa.
L’aspirina trova pertanto indicazione nel trattamento iniziale di infarto acuto del miocardio.
Dipiridamolo:
Il meccanismo d’azione di questo farmaco risulta molto più complesso. Esso agisce sulla
dilatazione coronaria, sull’aggregazione piastrinica ed inibisce l’adesione trombocitaria al
lume vascolare. La prima attività clinica attribuita a questo farmaco è stata la sua azione
vasodilatatrice. Per questo motivo il suo primo utilizzo è stato come farmaco vasodilatatore
coronario nei casi di angina pectoris. Questa sua attività è dovuta all’inibizione del recupero
di ADP e della sua degradazione da parte dei vasi. Questo comporta un potenziamento ed un
prolungamento dell’attività dell’adenosina endogena. È stata notata anche la capacità da
parte del Dipiridamolo d’inibire in vitro l’aggregazione e la secrezione piastrinica indotta da
ADP. Il meccanismo non è stato ancora del tutto delucidato ma sembra legato ad un effetto
inibitorio del farmaco sulla fosfodiesterasi piastrinica (PDE), che concorre ad un aumento
delle concentrazioni di cAMP intracellulare e ad un aumento di concentrazione di ADP nel
sangue conseguente all’inibizione della sua captazione. L’adenosina è un attivatore
dell’adenilato ciclasi che trasforma l’AMP in cAMP. A livello piastrinico il cAMP inibisce
la liberazione dei granuli di ADP e dunque l’aggregazione. L’attività antiaggregante del
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Dipiridamolo è maggiore ex vivo che in vitro: tale proprietà è probabilmente riconducibile
all’aumento dei livelli plasmatici di adenosina in vivo. Il dipiridamolo inibisce anche
l’adesione piastrinica al collagene in vitro e all’endotelio dei vasi danneggiati in vivo ed in
vitro.
Tienopiridine:
Le tienopiridine, a cui appartengono il clopidogrel e la ticlopidina, agiscono anch’esse sulla
via d’attivazione piastrinica mediata dall’ADP, ma più a monte. Queste molecole bloccano
infatti in modo irreversibile i recettori per l’ADP presenti sulla superficie piastrinica.
Tra i recettori per l’ADP ne sono stati identificati diversi tipi:
- P2X1: questi recettori mediano l’ingresso di cationi (in risposta all’ADP) all’interno del
trombocita. Questo meccanismo non sembra giocare un ruolo importante nell’aggregazione
piastrinica e le tienopiridine non hanno effetto su questa categoria di recettori.
- P2Y1: si tratta di una famiglia di recettori che risultano molto importanti perché coinvolti
nella risposta piastrinica all’ADP. Vengono distinti in base al loro effettore:
-
P2TPLC : sono legati all’attivazione della PLC (fosfolipasi C). La loro
attivazione provoca un aumento del calcio intracellulare ed una
conseguente variazione conformazionale della piastrina.
-
P2TAC : questi recettori sono implicati nell’inibizione dell’adenilato ciclasi.
In seguito a questa inibizione avviene anche la fosforilazione della proteina
VASP
(Vasodilatator-stimulated
phosphoprotein)
associata
al
citoscheletro.
Le tienopiridine esercitano la loro attività antiaggregante bloccando questa ultima categoria
di recettori, i P2TAC [Turner et al., 2001]. Nonostante il clopidogrel e la ticlopidina abbiano
lo stesso meccanismo d’azione, il clopidogrel presenta alcuni vantaggi significativi, quali
una minore latenza di azione, un’emivita più lunga (che rende possibile la
monosomministrazione giornaliera) ed un più favorevole profilo di sicurezza.
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Figura 2. Tienopiridine: [a] Ticlopidina e [b] Clopidogrel
Inibitori del recettore GP IIb/IIIa:
Tra questi possiamo citare Abcximab, Epifibatide e Tirofiban.
L’attivazione dei recettori glicoproteici IIb/IIIa costituisce la via finale dell’attivazione
piastrinica.
A questi recettori si lega il fibrinogeno circolante (ogni molecola si lega a ponte con i due
recettori di due piastrine) dando luogo al reticolo di piastrine e fibrinogeno, cioè al trombo
piastrinico.
L’Abcximab è un anticorpo monoclonale chimerico con un peso molecolare di 50'000
Dalton, caratterizzato da un legame forte per il recettore GP IIb/IIIa e quindi da una lenta
reversibilità dell’inibizione piastrinica dopo sospensione della somministrazione del farmaco
[Léoni et al., 2003].
1.3.3 Il Clopidogrel.
Il clopidogrel (SR25990C), principio attivo del farmaco Plavix, è un agente orale molto
potente usato per la diminuzione dell’aggregazione piastrinica ed indicato per la prevenzione
di trombosi vascolari in pazienti a rischio.
Questo farmaco viene prevalentemente somministrato allo scopo di ridurre l’incidenza di
problemi vascolari di origine aterosclerotica e aterotrombotica in pazienti affetti da infarto
del miocardio, ictus ischemico ed aretopatia obliterante periferica.
Il clopidogrel viene co-somministrato insieme all’acido acetilsalicilico anche in pazienti che
hanno subito uno stent coronario o che sono affetti da sindrome coronaria acuta (ACS).
Il clopidogrel ha inoltre mostrato un’efficacia significativamente superiore rispetto all’ASA
nel prevenire eventi ischemici nei pazienti con arteriopatia periferica.
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Figura 3. Meccanismo di azione del Plavix e dell’ASA. Plavix ed ASA hanno due diversi pathways per
l’inibizione dell’aggregazione piastrinica.
1.3.3.1 La Molecola.
Il clopidogrel è una tienopiridina di seconda generazione. Questo farmaco è in grado di inibire
l’aggregazione trombocitaria che viene indotta dall’ADP, da basse concentrazioni di
trombina, o dal collagene. La sua attività è legata ad una modifica irreversibile del recettore
purinergico dell’ADP presente sulla superficie piastrinica; il recettore P2Y12. Le piastrine dei
soggetti trattati con il clopidogrel restano modificate per tutta la durata della loro vita ed il
ritorno ad una normale funzione corrisponde al periodo per il rinnovo dei trombociti (vita
media nel sangue: circa 5-10 giorni).
1.3.3.2 Metabolismo.
Dopo la somministrazione orale, il clopidogrel viene rapidamente assorbito. Tuttavia le
concentrazioni plasmatiche del farmaco come tale sono molto basse ed al di sotto del limite
quantificabile (0,00025 mg/l) oltre le due ore dopo la somministrazione.
L’assorbimento è almeno del 50% sulla base dell’escrezione urinaria dei metaboliti del
clopidogrel. In vitro, il clopidogrel ed il suo principale metabolita
si legano in modo
irreversibile alle proteine plasmatiche umane (98% e 94% rispettivamente). Nell’uomo dopo
una dose orale di clopidogrel (75 mg) marcato con C14, circa il 50% viene escreto nelle urine
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e circa il 46% nelle feci entro 120 ore dalla somministrazione. L’emivita, ossia il valore che
esprime l’efficienza dei processi di eliminazione dell’organismo nei confronti del principale
metabolita circolante, il derivato carbossilico acido, è di 8 ore, sia dopo somministrazione di
dose singola che ripetuta.
Il valore di emivita è indipendente dalla concentrazione del farmaco, ma dipende unicamente
dallo stato funzionale degli organi o sistemi del paziente preposti all’eliminazione del farmaco
stesso.
1.3.3.3 Farmacocinetica e biodisponibilità.
Il clopidogrel è un profarmaco che richiede un’ossidazione da parte del citocromo epatico P450
per generare un metabolita attivo.
Il metabolita attivo, un derivato tiolico, è formato dall’ossidazione di clopidogrel in 2-oxoclopidogrel e successiva idrolisi. Il passaggio di ossidazione è regolato principalmente
dall’isoenzima 3A4 del citocromo P450 e in misura minore dagli isoenzimi 3A5, 1A1, 1A2 e
2C19.
L’enzima CYP3A4 è responsabile dell’ossidazione dell’anello tiofenico del clopidogrel ad 2oxo-clopidogrel, che viene poi nuovamente ossidato determinando l’apertura dell’anello e la
formazione di due gruppi, un derivato carbossilico ed un derivato tiolico.
Il derivato tiolico, che è stato isolato in vitro, si lega rapidamente, mediante la formazione di
un ponte disolfuro a due residui cisteinici extracellulari localizzati sul recettore P2Y12. Questo
legame risulta irreversibile e pertanto impedisce il legame dell’ADP al suo recettore per tutta
la durata della vita piastrinica. Questo metabolita non è stato rilevato nel plasma.
Solo una parte del clopidogrel somministrato viene però metabolizzato dal citocromo P450. La
maggior parte del farmaco viene infatti idrolizzata da proteine con attività esterasica, in un
derivato carbossilico acido, metabolita inattivo del clopidogrel.
Questo metabolita inattivo rappresenta circa l’85% del prodotto circolante nel sangue.
Il picco plasmatico di questo metabolita (circa 3 mg/l) si manifesta circa un’ora dopo la
somministrazione e la sua cinetica è lineare (le concentrazioni plasmatiche aumentano in
proporzione alla dose).
Una dose standard del farmaco non assicura un effetto antagonistico completo; infatti
l’inibizione dell’aggregazione piastrinica
risulta dipendente dal tempo e dalla dose
somministrata. In studi recenti è stato dimostrato che una monodose di 75 mg giornaliera è in
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grado di legare approssimativamente solo il 60% dei siti di legame per l’ADP [Angiolillo et
al., 2004].
Fino ad oggi nessuno studio ha messo a confronto le percentuali di saturazione dei siti di
legame da parte del farmaco tra pazienti risultanti resistenti al farmaco e pazienti non
resistenti.
1.3.3.4 Proprietà farmacologiche e farmacodinamiche
Il clopidogrel agisce modificando irreversibilmente il recettore piastrinico per l’ADP. Di
conseguenza, le piastrine esposte al farmaco sono influenzate per il resto della loro vita ed il
recupero della funzione piastrinica normale avviene ad una velocità proporzionale al rinnovo
piastrinico.
Fin dalla prima somministrazione si ha una notevole inibizione della reazione emostatica
ADP-indotta; l’inibizione aumenta poi progressivamente fino a stabilizzarsi intorno al
sesto/settimo giorno. In questa condizione di “steady-state” il livello medio di inibizione
osservato con una dose di 75 mg al giorno, è compreso tra 40-60%.
1.4 Il Citocromo P450
Gli enzimi biotrasformatori, come il citocromo P450, sono largamente diffusi nei vertebrati e
sono presenti in molti compartimenti subcellulari. In particolare questi enzimi si trovano nella
pelle, nella lingua, nella mucosa nasale, negli occhi e nel tratto gastrointestinale; vale a dire in
quegli organi che più si trovano esposti a composti xenobiotici. Sono anche presenti in
abbondanza nel pancreas, nella milza, nel cuore, nel cervello, nei reni, nei testicoli e nelle
ovaie. Ma l’organo in cui sono decisamente più abbondanti è il fegato, dove questi enzimi
sono localizzati principalmente sulle membrane del reticolo endoplasmatico, o nella frazione
solubile del citoplasma e in quantità minore nei mitocondri e nei lisosomi.
Il processo di biotrasformazione permette di eliminare sostanze chimiche dal corpo, prima che
queste possano, con i loro effetti tossici, danneggiare l’organismo. In alcuni casi è invece il
processo di biotrasformazione stessa che trasforma una sostanza innocua in una tossica o
cancerogena per l’organismo.
Alcuni farmaci devono essere biotrasformati prima di poter esercitare un effetto terapeutico,
in quanto è il metabolita ad avere un effetto farmacologico. Nella maggior parte dei casi però
la biotrasformazione termina l’effetto farmacologico di un farmaco e ne riduce la tossicità.
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Molto spesso sono appunto gli enzimi coinvolti nella biotrasformazione di un farmaco che ne
determinano la durata d’azione, giocando un ruolo chiave nella sua tossicità.
Le reazioni catalizzate dagli enzimi biotrasformatori sono generalmente divise in due gruppi
che corrispondono ad altrettante fasi ben distinte di metabolizzazione. Le reazioni della prima
fase comportano idrolisi, riduzione ed ossidazione. Queste reazioni liberano o introducono un
gruppo funzionale (-OH, -NH2, SH2, -COOH), provocando un aumento dell’idrofilia della
molecola.
Le reazioni di seconda fase includono glucoronizzazione, solfatazione, acetilazione,
metilazione, ecc. Questi gruppi vengono normalmente attaccati a gruppi funzionali presenti
sulla molecola esogena o introdotti nella reazione della prima fase. Le reazioni della seconda
fase provocano un ulteriore aumento dell’ idrofilia e favoriscono l’eliminazione dei composti.
Tra gli enzimi coinvolti nella prima fase della biotrasformazione di sostanze esogene ma
anche endogene, troviamo il citocromo P450. Questo enzima è potenzialmente presente in tutti
i tessuti, ma la più alta concentrazione la troviamo nel reticolo endoteliale delle cellule del
fegato [Omura et al., 1999].
Gli isoenzimi del citocromo P450 sono un gruppo di proteine contenenti un gruppo eme con un
gruppo ferrico (Fe3+). Quando il gruppo ferrico viene ridotto a ferroso (Fe2+), il citocromo
P450 può legare ossigeno e monossido di carbonio. Il complesso formato da P450 e monossido
di carbonio ha un assorbimento massimo a 450 nm (da cui deriva il nome P450) dovuto ad un
particolare legame formato da una cisteina della catena proteica con il gruppo eme. La
sequenza amminoacidica attorno a questa cisteina è altamente conservata in tutti gli isoenzimi
del P450.
La reazione catalizzata dal citocromo P450 è una monoossigenazione dove un atomo di
ossigeno viene incorporato in un substrato, indicato come RH, mentre l’altro atomo di
ossigeno viene ridotto dall’acqua grazie agli equivalenti di riduzione che derivano dal
NADPH secondo la seguente reazione:
Substrato (RH) + O2 +NADPH +H+ P450→ Prodotto(ROH)+H2O+ NADP+
Gli isoenzimi del citocromo P450 vengono divisi in famiglie e sottofamiglie a seconda
dell’omologia nella sequenza degli amminoacidi della parte proteica. Finora sono stati
identificati circa 50 diversi isoenzimi del citocromo P450.
I citocromi P450, vengono indicati come CYP seguito da un numero, questo numero
rappresenta la famiglia (es. CYP 3). Dopo il numero segue una lettera, questa indica la
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sottofamiglia (CYP 3A), segue poi ancora un numero che indica l’enzima specifico (CYP
3A4).
Particolarmente importanti per la prima fase di biotrasformazione dei farmaci risultano essere
una dozzina di isoenzimi CYP. L’abbondanza relativa degli isoenzimi del P450, nel fegato è
variabile, si va da circa il 60% per l’isoenzima CYP3A4 al 1-2% per il CYP2D6. Dal punto di
vista funzionale 3 isoforme (CYP3A4, CYP2D6 e CYP2C9) sono responsabili del 80-90%
delle biotrasformazioni e altre 3 (CYP1A2, CYP2C19 e CYP2E1) hanno un ruolo
significativo per la biotrasformazione di medicamenti [Streetman et al., 1998].
1.4.1 Interazioni tra farmaci
Quando si somministra un medicamento bisogna sempre tenere conto del fatto che questo può
essere substrato di un determinato P450, oppure può funzionare da inibitore o attivatore di un
P450. Questo ha spinto la farmacologia a tenere in considerazione l’eventuale effetto di un
medicamento su il metabolismo di un altro medicamento.
Conosciuto è il ruolo del succo di pompelmo nell’inibire il citocromo CYP3A4 e quindi di
alterare i processi di biotrasformazione dei medicamenti metabolizzati da questo citocromo.
1.4.2 Polimorfismi del citocromo P450
Un fenomeno conosciuto da sempre ma che recentemente ha acquistato grande importanza
nello studio farmacologico, è l’individualità delle risposte ai farmaci. Capire quali
meccanismi stiano alla base della risposta individuale ad un medicamento e come mai un
determinato farmaco su un paziente ha effetto benefico, mentre su un altro causa importanti
effetti secondari, aiuta il medico nel scegliere prima di tutto il medicamento e poi la dose da
somministrare.
Un importante ruolo in questo processo è stato e viene tuttora attribuito al citocromo P450, la
cui attività o espressione può essere influenzata dai polimorfismi genetici. Si è visto che ogni
citocromo può presentare diverse forme alleliche, rappresentate in percentuale diversa nelle
varie etnie. L’identificazione di questi polimorfismi ha permesso di classificare i pazienti in
tre categorie, per quanto riguarda l’attività enzimatica di metabolizzazione dei medicamenti
da parte di un citocromo. Le tre classi sono “metabolizzatore normale”, “metabolizzatore
lento” e “metabolizzatore rapido”.
14
Ben conosciuto è il polimorfismo del citocromo CYP2D6 dove, sono state identificate diverse
forme alleliche. Alcune di queste forme sono state associate ad un metabolismo rallentato
mentre altre ad un metabolismo accelerato.
Ad esempio il CYP 2D6*4 è risultato essere un metabolizzatore lento per alcuni medicamenti
antidepressivi, antipsicotici, beta-bloccanti e narcotici. Questo polimorfismo del CYP 2D6*4
è rappresentato nella popolazione caucasica con una frequenza del 20% circa.
1.4.3 Il citocromo CYP3A4
Il CYP 3A4 (detto anche EC 1.14.14.1, nifdipine oxidase, NF-25, P-450-PCN1) è il più
abbondante e significativo dal punto di vista clinico della famiglia dei citocromi P450. La
famiglia dei citocromi CYP 3A è composta da cinque enzimi, CYP 3A3, CYP 3A4, CYP
3A5, CYP 3A7 e CYP 3A43. Tutti gli enzimi della famiglia 3A presentano una grande
similarità nella sequenza amminoacidica (più del 97%).
Più del 60% dei P450 appartengono alla famiglia del CYP 3A, e da questa famiglia viene
metabolizzato circa il 50% dei medicamenti usati in medicina. Questo spiega la ragione per
cui molte interazioni fra medicamenti coinvolgono questa famiglia di citocromi. Oltre a
questo la maggior parte degli steroidi endogeni vengono metabolizzati dal CYP 3A. Un altro
particolare di rilievo è che il CYP3A è localizzato anche nell’intestino tenue ed è responsabile
della maggior parte di “first-pass metabolism”. Questo è importante in quanto un aumento o
una diminuzione del “first-pass metabolism”, può avere un effetto sulla dose di medicamento
da somministrare. Il CYP 3A4 intestinale gioca un ruolo importante nel metabolismo dei
medicamenti in quanto agisce in modo sinergico con la P-glicoproteina. Il CYP3A4 agendo
con la P-gicoproteina limita la biodisponibilità di un substrato. I polimorfismi del gene del
CYP3A4 oppure di altri geni che a loro volta controllano l’espressione del gene del CYP3A4,
possono spiegare, la diversità individuale nel metabolizzare e quindi nella reazione ad un
determinato medicamento. Questo potrebbe spiegare il motivo per cui un medicamento causa
degli effetti secondari indesiderati a certi pazienti. Un esempio di polimorfismo del CYP3A4,
è la mutazione trovata nel promotore stesso del gene, (CYP3A4* 1B) in questo caso non è la
proteina (CYP3A4) ad essere mutata, ma è l’espressione del gene che può essere alterata, vale
a dire diminuita o aumentata.
Altre mutazioni possono però risiedere all’interno del gene, in questo caso o vi è il cambio di
un singolo amminoacido oppure come nel caso del CYP3A4*6, viene cambiato il codice di
15
lettura del gene (frameshift). Il risultato è una proteina completamente diversa della proteina
di tipo selvatico. Basandosi sul fatto che i polimorfismi sono associabili ad un’alterazione del
metabolismo di alcuni medicamenti , si possono associare questi polimorfismi allo sviluppo di
malattie oppure al decorso di altre patologie. Un esempio, il CYP3A4*1B è stato associato ad
un decorso più sfavorevole del tumore alla prostata.
La proteina CYP 3A4 viene codificata da un gene di 26502 bp, composto da 13 esoni
[Spurdle et al., 2002].
1.5 Resistenza all’antiaggregante clopidogrel
L’effetto antiaggregante del clopidogrel non risulta uniforme in tutti i soggetti a cui viene
somministrato. Il concetto di “resistenza al clopidogrel” è stato usato nella letteratura medica
per definire l’insuccesso di questo farmaco nell’inibire l’aggregazione trombocitaria in vitro.
Una manifestata resistenza a questo farmaco è multifattoriale [Wiviott et al., 2004].
La percentuale dei soggetti che non rispondono al clopidogrel è valutata tra un 4% e un 30%
(la resistenza si manifesta 24h dopo la somministrazione). Si può dunque affermare che
l’effetto di questo farmaco è paziente-dipendente. I diversi meccanismi che portano ad una
resistenza al farmaco possono essere classificati in due categorie ben distinte: meccanismi
intrinseci e meccanismi estrinseci. Tra le cause estrinseche possiamo comprendere una dose
insufficiente del clopidogrel ed interazioni di natura competitiva tra farmaci che possono
interferire con la biotrasformazione del farmaco a metabolita attivo.
I possibili meccanismi intrinseci includono dei polimorfismi a livello del gene che codifica
per il recettore target P2Y12, che portano ad un aumento del numero di recettori sulla
superficie piastrinica e dei polimorfismi a livello del principale metabolizzatore, l’enzima
CYP3A4.
Tra le possibili cause di una resistenza al Plavix vi sono anche un possibile aumento nel
rilascio di ADP ed una up-regulation di altre vie di traduzione che portano all’attivazione
piastrinica (pathways che coinvolgono per esempio la trombina, il collagene, il trombossano
A2 e l’epinefrina).
1.5.1 Polimorfismi del CYP3A4
Una relazione tra l’attività dell’enzima CYP3A4 e la resistenza al clopidogrel è stata
ipotizzata solo recentemente.
16
Un gruppo di ricercatori ha dimostrato che inibendo l’attività dell’enzima si ha un riscontro
negativo sull’attività antiaggregante del clopidogrel [Wiviott et al., 2004].
Lo studio è stato condotto su 10 volontari sani a cui è stato somministrata una dose di
Rinfampin, farmaco che inibisce l’attività metabolizzatrice dell’enzima.
In seguito a questa somministrazione si sono ottenuti dei risultati molto interessanti: 3
soggetti presentavano una manifestata resistenza agli effetti del clopidogrel (con
un’inibizione piastrinica minore al 10%), un quarto soggetto risultava invece un low
responder (con un’inibizione compresa tra 10% e 29%), mentre gli altri volontari
rientravano nella definizione di soggetti non-resistenti al farmaco (con valori d’inibizione
trombocitaria maggiori al 30%). L’espressione e l’attività dell’enzima è molto variabile tra
individui diversi ed indipendentemente dall’uso di farmaci o sostanze inibitrici o induttrici.
Nella maggior parte dei casi una variabilità individuale di queste caratteristiche dell’enzima
è imputabile a dei polimorfismi genetici. Queste differenze interindividuali nell’attività del
CYP3A4 possono avere una conseguenza nell’effettiva efficacia del clopidogrel.
Sono state identificate più di 30 singole sostituzioni nucleotidiche (SNPs) che interessano il
gene codificante l’enzima. Queste varianti genetiche possono dunque contribuire, senza però
essere considerate la causa principale, alle differenze interindividuali riscontrabili nei
metabolismi dipendenti dal CYP3A4. La maggior parte di questi polimorfismi presentano
infatti una bassa frequenza di incidenza e delle limitate alterazioni nell’espressione ed
attività catalitica dell’enzima stesso. Nel nostro studio è stato considerato il polimorfismo
CYP3A4*1B, localizzato nella regione promotrice del gene. Una sostituzione nucleotidica in
questa regione altera i livelli di espressione del gene spiegando così le variazioni
interindividuali nell’intensità e nella durata dell’azione del farmaco.
1.5.2 Polimorfismi del recettore P2Y12
Il recettore dell’adenosina difosfato, P2Y12, è un recettore accoppiato ad una proteina G che
ha un ruolo d’importanza fondamentale nel processo di aggregazione piastrinica. Rappresenta
il target di efficaci agenti antitrombotici tra cui la ticlopidina, il clopidogrel e AR-C66096.
Tutte le mutazioni che interessano il gene codificante questo recettore, sono coinvolte in
disordini
congeniti della coagulazione. Le piastrine dei soggetti
portatori di questi
polimorfismi presentano dei problemi nel meccanismo che porta alla capacità di cambiamento
conformazionale dei trombociti in seguito al legame dell’ADP. L’ADP è uno dei più
17
importanti mediatori che permettono l’emostasi ed il suo effetto sulle piastrine è mediato da
due recettori della famiglia P2Y, il recettore P2Y1 e il recettore P2Y12.
La traduzione del segnale in seguito al legame dell’ADP ad entrambi i recettori, provoca un
aumento della concentrazione di Ca2+ intracellulare che risulta indispensabile nel processo di
coagulazione. In seguito al legame dell’ADP al nostro recettore si ha inibizione dell’enzima
adenilato ciclasi (enzima che catalizza la trasformazione di AMP in cAMP) con conseguente
diminuzione della concentrazione intracellulare di cAMP. Il recettore P2Y12 è inoltre
coinvolto nell’attivazione della glicoproteina transmembrana IIb/IIIa attraverso la via dei
fosfoinositidi.
Questo recettore risulta avere pertanto un ruolo di importanza fondamentale nell’ondata
irreversibile di aggregazione piastrinica in seguito al legame dell’ADP. La risposta piastrinica
indotta da ADP ha una variabilità interindividuale abbastanza importante, infatti, le
concentrazioni di adenosina difosfato necessarie per provocare una risposta irreversibile
dell’aggregazione piastrinica variano da individuo ad individuo. Per questo motivo vengono
considerate le variazioni nella sequenza del gene che codifica per il recettore P2Y12. Queste
variazioni possono spiegare la variabilità nell’aggregazione piastrinica indotta dall’ ADP.
Il gene che codifica il recettore è formato da due esoni separati da un introne. L’introne è
lungo 1700 nt ed è localizzato a monte del codone di inizio traduzione ATG.
Il secondo esone codifica i 342 amminoacidi che formano la proteina. Nella sequenza del
gene sono stati localizzati cinque polimorfismi. I polimorfismi consistono di quattro diverse
sostituzioni di un singolo nucleotide (SNPs) e di un’inserzione mononucleotidica.
Due delle quattro sostituzioni sono localizzate nell’introne:
-
in posizione 139 si ha sostituzione di C con T
-
in posizone 744 si ha sostituzione di T con C
Nell’introne troviamo anche l’unica inserzione, ossia l’inserimento di una A in posizione 801
(i-ins801A). Gli SNPs a livello degli introni possono interferire con i livelli di espressione
delle proteine (trascrizione, stabilità e traducibilità del messaggero) ma anche con la struttura
in caso che essi interferiscano con il processo di splicing.
Le restanti sostituzioni sono state localizzate a livello del secondo esone:
-
in posizione 34 si ha transizione da C a T
-
in posizione 52 si ha una transversione da G a T
Nessuna di queste ultime due sostituzioni modificano la sequenza amminoacidica della
proteina. I polimorfismi i-C139T, i-T744C, i-ins801A e G52T sono in completo linkage
18
disequilibrium nella popolazione caucasica. In questo modo è possibile discriminare due
aplotipi diversi, l’aplotipo H1 e l’aplotipo H2.
Aplotipo H1:
-
C in posizione 139
-
T in posizione 744
-
assenza dell’inserzione di A in posizione 801
-
G in posizione 52
Aplotipo H2:
-
T in posizione 139
-
C in posizione 744
-
inserzione di A in posizione 801
-
T in posizione 52
L’aplotipo H1 rappresenta l’aplotipo maggiore con una frequenza nella popolazione
dell’86%, H2 risulta dunque essere l’aplotipo minore e si presenta con una frequenza del
14%. Le frequenze alleliche di tutti i polimorfismi sono in equilibrio secondo l’equazione di
Hardy-Weinberg. L’aplotipo H2 è stato associato in base ad uno studio fatto da un gruppo di
ricercatori francesi, ad una massima aggregazione piastrina in risposta all’ADP [Nguyen et
al., 2005]. Il polimorfismo C34T non è stato associato a questo fenomeno di aggregazione
massimale. Una spiegazione valida per questa differenza di aggregazione piastrinica in
soggetti portatori dell’allele H2 porta alla formulazione dell’ipotesi che vi sia un aumento
del numero di recettori P2Y12 sulla superficie piastrinica, con una conseguente maggior
risposta all’ADP. L’aplotipo H2 può essere associato ad una variazione nella sequenza
promotrice; questa variazione determina un aumento nell’efficienza di trascrizione.
Dallo stesso gruppo di ricercatori è stato anche dimostrato che il recettore è coinvolto nella
formazione di tappi emostatici e negli eventi di trombosi arteriosa. Il fatto che sia stato
evidenziato che un aplotipo di questo recettore è fortemente associato con un aumento
consistente dell’aggregazione piastrinica in risposta all’ADP, comporta che vi sia un
aumento del rischio di problemi di aterotrombosi per i soggetti portatori dell’aplotipo in
questione [Fontana et al., 2003].
19
Figura 4. Colorazione immunocitochimica che evidenzia
l’epressione del recettore piastrinico P2Y12 umano mediante
uso di anticorpo policlonale SP442P
Figura 5. Colorazione immunoistochimica che evidenzia la
presenza del recettore P2Y12 a livello dei megacariociti. Uso di
anticorpo policlonale SP4030P.
1.5.2.1 Pathway di trasduzione del segnale
L’ADP gioca un ruolo di fondamentale importanza nell’attivazione e conseguente
aggregazione piastrinica. In seguito ad un danno di un vaso o di una rottura dell’endotelio,
le piastrine circolanti aderiscono immediatamente alla parete del vaso nelle prossimità
della zona danneggiata, costituendo delle interazioni con i costituenti del subendotelio
(collagene, fattori di von Willebrand ed altre proteine adesive tra cui la fibronectina e la
laminina). Dopo questa adesione, le piastrine coinvolte in questo processo, cominciano a
cambiare forma grazie all’azione di alcuni fattori estrinseci di attivazione
come il
collagene, la trombina e l’epinefrina. Solo a questo punto i trombociti cominciano a
rilasciare il contenuto dei loro granuli densi (agonisti piastrinici come l’ADP e la
serotonina) e dei granuli alfa (fibrinogeno, von Willebrand factor, altre proteine adesive,
fattori proinfammatori e fattori protrombotici). Le piastrine attivate e degranulate
espongono sulla loro superficie la glicoproteina GPIIb/IIIa, un recettore in grado di legare
il fibrinogeno. In seguito a questo legame
si formano dei ponti di fibrinogeno che
collegano la tra loro le piastrine attivate; in questo modo si ha la formazione di un tappo
emostatico composto per l’appunto da piastrine e filamenti di fibrina. L’ADP interagisce
con i propri recettori per autocrinia e paracrinia. In questo modo innesca due vie distinte di
trasduzione, una che coinvolge una proteina Gq, e l’altra che fa partecipe una proteina Gi.
Entrambi i recettori accoppiati alle due G-protein appartengono alla famiglia dei recettori
P2Y. Si tratta di proteine ubiquitarie particolarmente abbondanti, oltre che sulla superficie
piastrinica, in cervello, vasi, rene, pancreas endocrino e fegato. Il recettore P2Y1 a cui è
20
associata una proteina Gq, mobilizza il Ca
2+
intracellulare, determinando un aumento
transiente della concentrazione citoplasmatica (influsso dall’esterno e da store interni) che
media il cambio conformazionale e l’aggregazione trombocitaria. Il recettore P2Y12 (o
P2Y(ADP)) è accoppiato alla proteina Gi; in seguito al legame dell’ADP la proteina G,
attivata dal recettore, rilascia le subunità αGi e βγ che seguono due percorsi diversi e che
porteranno all’aggregazione piastrinica. La subunità αGi inibisce l’attività dell’adenilato
ciclasi, provocando così una diminuzione dei livelli di cAMP. Si ha una conseguente
diminuzione dell’attivazione di specifiche proteine kinasi, che non possono fosforilare la
proteina VASP (vasodilator-stimulated phosphoprotein). La fosforilazione di questa
proteina risulta però una tappa essenziale per l’inibizione del recettore GP IIb/IIIa, dunque
se la proteina VASP non viene fosforilata (VASP-P), si ha un’attivazione della
glicoproteina ed una conseguente aggregazione piastrinica. La subunità βγ attiva la
proteina fofatidilinositolo 3-kinasi, che risulta essere un’importante molecola segnale che
potenzia la secrezione piastrinica (granuli densi e granuli α) e l’attivazione della proteina
GP IIb/IIIa.
Figura 6. Pathway di traduzione del segnale mediata dall’ADP.
21
Scopo della tesi.
Il Plavix è un farmaco antiaggregante piastrinico somministrato prevalentemente a scopo
preventivo in soggetti che presentano un rischio elevato di patologie cardiovascolari.
In alcuni casi è stata tuttavia riscontrata una resistenza al farmaco, che risulta essere soggettiva e
caratterizzata da una natura multifattoriale. Tra le possibili cause di questo insuccesso del
farmaco sono stati ascritti polimorfismi genetici che coinvolgono il recettore purinergico
bersaglio P2Y12. Un altro fattore considerato rilevante per l’insorgere della resistenza interessa
polimorfismi genetici a livello del principale metabolizzatore del farmaco, il citocromo P450, ed
in particolare l’isoenzima CYP3A4. La presenza di varianti alleliche nel gene che codifica per il
CYP3A4 può infatti determinare una diversa efficienza della sua attività enzimatica.
Studi recenti hanno anche dimostrato che l’interazione del Plavix con altri farmaci o la presenza
di una situazione competitiva tra il farmaco ed altre sostanze per lo stesso substrato, il CYP3A4,
possono contribuire all’instaurarsi di resistenza che comporta l’inefficacia del trattamento.
Questa tesi ha come obiettivo la caratterizzazione dei polimorfismi genetici che interessano il
recettore P2Y12 e l’isoenzima CYP3A4 in un pannello di pazienti in trattamento con Plavix, e lo
studio di un’eventuale associazione tra i medesimi polimorfismi e l’insorgenza della resistenza al
clopidogrel (principio attivo del Plavix). In particolare, in questo lavoro di tesi si è posto
l’obiettivo di chiarire se il genotipo ai loci P2Y12 e CYP3A4 sia in grado di predire il rischio di
“ricaduta” per pazienti che assumono questo farmaco. Al fine di correlare una possibile
resistenza determinata da questi due polimorfismi con la manifestazione clinica, sono stati
effettuati test sulla funzionalità piastrinica nei pazienti, allo scopo di determinare l’attendibilità
del metodo PFA-100 per la rilevazione della funzionalità piastrinica, nel monitoraggio
dell’effetto del Plavix sui pazienti coinvolti.
22
Materiali e metodi.
3.1 Selezione dei pazienti
Il nostro gruppo di studio comprende pazienti che fanno riferimento al Cardiocentro Ticino
perché affetti da patologie cardiovascolari. Questi individui sono tutti sotto cura con il farmaco
Plavix a scopo preventivo. Oltre alla terapia di prevenzione, questi soggetti hanno in comune un
altro fattore: tutti hanno subito un intervento di angioplastica, tecnica di rivascolarizzazione
alternativa alla chirurgia, nel quale è stato impiantato uno stent medicato.
3.2 Estrazione del DNA
Il DNA utilizzato per questo studio è stato estratto da campioni di sangue intero EDTA.
L’estrazione è stata eseguita grazie all’impiego del Kit (QIAamp DNA mini Kit) della ditta
QIAGEN.
Procedura per l’estrazione del DNA:
1. In un eppendorf da 1,5 ml deporre 25 µl (20 mg/ml) di proteasi, 200 µl di sangue e
200 µl di Buffer AL
2. Vortexare immediatamente il tutto ed incubare a 56 °C per almeno 10 minuti
3. Dare un colpo di centrifuga ed aggiungere 200 µl di etanolo 100%, vortexare e
centrifugare brevemente
4. Preparare il collection tube con la colonna di estrazione, mettere con cura il miscuglio
del punto 3 sulla colonna e centrifugare 1 minuto a 8000 rpm (6000 g) a temperatura
ambiente.
5. Gettare il collection tube e mettere la colonna QIAamp spin in un nuovo collection
tube, aprire con cura la colonna e aggiungere 500 µl di Buffer AW1, centrifugare un
minuto a 8000 rpm (6000 g), gettare il collection tube e mettere la colonna QIAamp
in un nuovo collection tube
6. Aprire con cura la colonna e aggiungere 500 µl del Buffer AW2, centrifugare tre
minuti a velocità massima
7. Metter la colonna in un eppendorf da 1,5 ml etichettato con il numero del paziente ed
eluire il DNA con 200µl di acqua distillata, lasciare quindi riposare per 3-4 minuti ed
infine centrifugare 1 minuto a 8000 rpm (6000 g).
23
8. Conservare il DNA a 4°C o a -20°C
3.3 Organizzazione del lavoro per la PCR
La PCR è una reazione che ha un’enorme capacità di amplificazione e risulta dunque molto
sensibile alle contaminazioni. Per questo motivo è essenziale lavorare in condizioni di sterilità,
evitando pertanto le contaminazioni che possono pregiudicare i risultati del nostro lavoro. La
presenza di una minima traccia di DNA estraneo potrebbe essere amplificata a livelli rilevabili
conducendo pertanto a risultati errati.
Per evitare dei problemi di questo tipo, il lavoro viene suddiviso in tre locali distinti. Il locale
pre-PCR è riservato per la preparazione della miscela contenente tutti i reagenti necessari per la
PCR (MMX).
Dopo aver eseguito l’attività, il banco di lavoro viene pulito con candeggina ed irradiato con
lampada UV durante le ore successive.
Un secondo locale è adibito alla pipettatura del DNA in studio nei mastermix. Questa operazione
si effettua elusivamente sotto cappa.
Nella terza stanza è adibita per l’amplificazione e la successiva analisi di restrizione degli
ampliconi ottenuti.
La PCR è una reazione che porta ad un’amplificazione esponenziale di una ben determinata
matrice.
Tutti questi accorgimenti hanno lo scopo di evitare la comparsa di falsi positivi.
Da queste considerazioni risulta quindi chiaro quanto importante sia una netta separazione tra la
zona di amplificazione, la zona in cui si estrae la matrice e la zona in cui si preparano le miscele
di reazione.
3.4 Preparazione dei Mastermix
La preparazione dei mastermix (MMX) richiede l’utilizzo di una cappa che evita le
contaminazioni.
24
I MMX vengono preparati in modo che i nucleotidi, il Taq-buffer, l’acqua ed i primers siano
sempre presenti in una quantità di 40 µl.
Per preparare uno stock di 100 mastermix bisogna pipettare in un tubo:
-
2,9 ml di H2 O deionizzata
-
500 µl di 10x PCR-Buffer (100mM Tris-HCl, 500 mM KCl, 15 mM MgCl2 , 0,1%
gelatina, 2 mM dNTP, pH 8.3; Microsynth, Svizzera)
-
250 µl di primer senso ad una concentrazione di 10 µM (Microsynth, Svizzera)
-
250 µl di primer antisenso ad una concentrazione di 10 µM (Microsynth, Svizzera)
-
10 µl di ogni nucleotide: A, T, C, G
Dopo aver aggiunto tutti i componenti si mischia bene e si possono aliquotare i 40 µl in ogni
tubo di PCR.
I primers vengono forniti dalla Microsynth in forma liofilizzata. Prima di essere utilizzati
vengono sospesi in acqua deionizzata (Noion Aqua, Magliaso, Svizzera) per portarli ad una
concentrazione di 100 µM. in seguito alla sospensione , ogni volta,vengono allestiti dei tubi con
250 µl soluzione contenenti i primers ad una concentrazione di 10µM. Questi sono poi utilizzati
per la preparazione dei MMX.
3.5
Protocollo per la PCR
I primers utilizzati per l’amplificazione dei polimorfismi genetici del recettore P2Y12 sono stati
disegnati sulla sequenza del gene che codifica la proteina.
La sequenza dei primers è stata modificata con lo scopo di inserire delle mutazioni puntiformi
(segnate in rosso) che rientrassero nel sito di taglio di un enzima di restrizione. Queste
sostituzioni nucleotidiche ci permettono così di discriminare i polimorfismi genetici importanti
da evidenziare per il nostro studio.
Per individuare l’aplotipo H2 del recettore P2Y12 è sufficiente una sola reazione di PCR.
Vengono usati dei primers che identificano il singolo polimorfismo T744C (le altre sostituzioni
risultano in linkage disequilibrim con questa).
3.7
PFA-100®
®
Il PFA-100 (Dade Behring, Düdingen, Svizzera) è un sistema composto da uno strumento e da
apposite cartucce, nel quale il processo di adesione ed aggregazione piastrinica, conseguente ad
25
un danno vascolare, viene simulato in vitro. Le disfunzioni piastriniche rilevate dal sistema PFA®
100 possono essere acquisite, ereditarie o indotte da inibitori piastrinici.
Questo sistema permette una valutazione rapida della funzionalità piastrinica su piccoli campioni
di sangue intero addizionato di anticoagulante sodio citrato tamponato al 3, 8% (0,129M) oppure
al 3,2% (0,105M).
®
La cartuccia monouso PFA-100
è composta
da un certo numero di parti integrate
comprendenti un capillare con un diametro di 200 µm a cui viene applicata una costante
pressione negativa, un alloggiamento per il campione ed una membrana biochimicamente attiva
con un’apertura centrale. Il sangue intero addizionato di anticoagulante viene aspirato
dall’allogiamento del campione attraverso il capillare e l’apertura, con conseguente esposizione
delle piastrine a condizioni di elevato stress da scorrimento. La membrana è ricoperta da
collageno (2 mg di collageno equino di tipo I), una proteina subendoteliale generamente
considerata la matrice iniziale per l’adesione pastrinica. Si ritiene che l’adesione delle piastrine
al collageno inneschi lo stimolo fisiologico iniziale dell’attivazione piastrinica. In aggiunta, la
membrana può essere ricoperta di epinefrina (10 mg)
o ADP (50 mg), altri antagonisti
fisiologici che, insieme con il collageno, sono ampiamente utilizzati in aggregometria per
®
attivare le piastrine. Nella fase iniziale del test PFA-100 , viene dispensata la soluzione attivante
per inumidire la membrana. Durante il test le piastrine aderiscono alla membrana ricoperta di
collageno. Successivamente, le piastrine divengono attive e rilasciano il contenuto dei loro
granuli dopo contatto con agonisti quali l’ADP o l’epinefrina. Il rilascio del contenuto dei granuli
è seguito da adesione reciproca delle piastrine con successiva formazione di aggregati. Nel
®
sistema PFA-100 , il processo dell’aggregazione piastrinica, come espressione della funzionalità
piastrinica, forma un trombo di piastrine sull’apertura, rallentando gradualmente ed infine
arrestando il flusso del sangue.
Questo strumento determina il tempo dall’inizio del test fino ad occlusione dell’apertura da parte
delle piastrine e riporta tale intervallo di tempo come Tempo di Chiusura (TC). Il TC è un indice
della funzionalità piastrinica nel campione di sangue intero in esame. Se non vi è formazione di
un aggregato piastrinico prima di 300 secondi (tempo limite del test), l’analisi si ferma da sola.
Per definire l’intervallo di riferimento sono stati valutati i campioni raccolti in sodio citrato
tamponato al 3,8% (0,129 M) da 127 soggetti sicuramente sani. Tali soggetti non presentavano
anamnesi o risultati di laboratorio indicativi di disfunzione piastrinica indotta da difetti intrinseci
delle piastrine, da malattia di von Willebrand o da esposizione ad inibitori piastrinici. I seguenti
26
intervalli di riferimento sono stati determinati in base all’intervallo centrale al 90% dei risultati
delle determinazioni in doppio sui 127 soggetti e sono riportati nella tabella qui di seguito:
Tipo di cartuccia
Media (sec)
Intervallo di riferimento (sec)
- Col/EPI
124
85-165
- Col/ADP
92
71-118
27
Risultati
4.1 Casistica
La casistica di questo studio consiste in 100 pazienti affetti da patologie cardiovascolari e
sottoposti a somministrazione a scopo preventivo con il farmaco Plavix. Nella tabella
sottostante sono rappresentati i pazienti e le loro caratteristiche biologiche. L’81% dei
pazienti è di sesso maschile e l’età media si aggira attorno ai 58 anni.
campione
101
102
103
104
105
106
107
108
109
110
111
112
113
114
115
116
117
118
119
120
121
122
123
124
125
126
127
128
129
130
131
132
133
134
135
136
137
138
139
140
141
142
143
144
Anno di
nascita
Sesso
Aplotipo
P2Y12
Aplotipo
CYP3A4*1B
1942
1922
1942
1929
1918
1964
1943
1958
1950
1948
1940
1954
1949
1937
1932
1946
1937
1944
1954
1937
1957
1951
1920
1947
1934
1942
1947
1945
1928
1954
1948
1940
1944
1934
1938
1932
1939
1933
1946
1954
1948
1964
1932
1937
maschio
maschio
maschio
femmina
femmina
maschio
maschio
maschio
maschio
femmina
maschio
maschio
maschio
maschio
maschio
maschio
femmina
maschio
maschio
maschio
maschio
maschio
femmina
maschio
maschio
maschio
maschio
maschio
maschio
maschio
maschio
maschio
maschio
maschio
femmina
maschio
maschio
maschio
maschio
femmina
maschio
maschio
maschio
maschio
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/M
WT/M
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/M
WT/WT
WT/WT
WT/M
WT/M
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/M
WT/WT
WT/WT
WT/WT
M/M
M/M
WT/WT
WT/WT
WT/M
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
28
145
146
147
148
149
150
151
152
153
154
155
156
157
158
159
160
161
162
163
164
165
166
167
168
169
170
171
172
173
174
175
176
177
178
179
180
181
182
183
184
185
186
187
188
189
190
191
192
193
194
195
196
197
198
199
200
1931
1928
1932
1955
1932
1932
1943
1948
1931
1942
1928
1924
1934
1927
1954
1924
1943
1943
1955
1953
1950
1940
1935
1946
1941
1940
1924
1925
1934
1941
1932
1940
1927
1963
1950
1934
1945
1951
1930
1943
1942
1916
1959
1945
1942
1936
1936
1941
1931
1936
1948
1942
1932
1942
1924
1934
femmina
maschio
maschio
maschio
maschio
maschio
femmina
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maschio
maschio
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femmina
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maschio
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maschio
femmina
femmina
maschio
maschio
maschio
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maschio
maschio
femmina
maschio
femmina
femmina
maschio
maschio
maschio
maschio
maschio
maschio
maschio
maschio
femmina
maschio
maschio
29
WT/WT
WT/WT
WT/M
WT/M
WT/M
WT/M
WT/M
WT/M
WT/WT
WT/WT
WT/M
WT/M
WT/M
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/M
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/M
WT/M
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/M
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/M
WT/WT
WT/WT
WT/M
WT/M
WT/M
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/M
WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
WT/WT
4.2 Frequenza allelica e genotipica per il polimorfismo del
recettore P2Y12
Nella prima fase sperimentale di questo lavoro, è stata determinata la frequenza allelica degli
aplotipi H1 e H2 a livello del locus del recettore purinergico P2Y12. A questo scopo sono stati
genotipizzati (mediante la reazione di PCR descritta in Materiali e Metodi) tutti i 100 individui
coinvolti in questo studio.
La figura 7 mostra i risultati ottenuti. Come da descrizione in letteratura, sono state riscontrate le
seguenti bande:
-
Per l’allele di tipo selvatico (omozigoti H1, WT/WT), 2 frammenti di 191 e
40bp (lane 3 - 4)
-
Per i soggetti eterozigoti (WT/M), 4 frammenti di 191, 158, 40 e 33 bp (lane 5
– 6)
-
Per l’allele H2 (omozigoti H2, M/M), 3 frammenti di 158, 40 e 33 bp (lane 7 –
8)
50bp
1
2
3
4
5
6
7
8
Figura 7. Analisi di campioni amplificati per il recettore P2Y12 su gel di agarosio al 3%. M: marker (50 bp step
ladder), pozzetto 1 e 2: prodotto di amplificazione costituito da un frammento di 231 bp. Più in basso sono visibili
due bande che corrispondono all’eccesso di primers; pozzetti 3 e 4: Gene di tipo selvatico. Prodotto digerito in cui si
hanno due frammenti di 191 e 40 bp. Nei pozzetti 5 e 6 sono visibili due campioni eterozigoti con le corrispondenti
bande più basse in cui vi sono i frammenti di 40 e 33 bp. Negli ultimi due pozzetti si si dstinguono due soggetti
omozigoti per l’allele H2.
Nel nostro gruppo di studio, includente tutti soggetti in terapia con Plavix a scopo preventivo, 22
persone, vale a dire il 22% dei soggetti, sono risultati eterozigoti per l’allele H2. Il 76% degli
individui invece è risultato di tipo selvatico per questo polimorfismo.
30
In questo gruppo sono stati inoltre riscontrati due soggetti omozigoti per l’aplotipo determinante
suscettibilità (H2).
La distribuzione genotipica così rilevata appare illustrata nella figura 8.
100
76%
90
80
70
60
Numero
50
40
22%
30
20
2%
10
0
WT/WT
WT/H2
H2/H2
Genotipo
Figura 8. Distribuzione della frequenza genotipica nel gruppo di soggetti (N=100) sottoposti a
somministrazione di Plavix (75mg/giorno).
In totale, sono stati identificati 15 alleli H2 in una popolazione formata da 100 soggetti (per un
totale di 200 alleli), determinando pertanto una frequenza dell’allele H2 dell’8%. (figura 9).
Questa frequenza non trova riscontro con quella riportata in letteratura, dove viene descritta una
frequenza allelica per l’allele H2 pari al 14% [Ziegler et al., 2005].
100%
90%
80%
93%
70%
60%
Frequenza
50%
40%
30%
8%
20%
10%
0%
H1
H2
Allele
Figura 9. Distribuzione della frequenza allelica nel gruppo di soggetti trattati con il Plavix.
31
4.3 Frequenza allelica e genotipica per il polimorfismo
CYP3A4*1B
Analogamente a quanto sopra riportato, è stata successivamente determinata nello stesso gruppo
di 100 pazienti la frequenza allelica del polimorfimo *1B a livello dell’isoenzima CYP 3A4.
Il DNA genomico totale dei 100 soggetti in questione è stato pertanto analizzato per questo
polimorfismo mediante la reazione di PCR descritta in Materiali e Metodi. La figura 10 mostra i
risultati per questo polimorfismo. Come atteso sono state riscontrate le seguenti bande:
-
Per l’allele di tipo selvatico, una banda di 152 bp
-
Per l’allele *1B (eterozigote), 3 bande di 152, 132 e 20 bp
La banda di 20 bp non è visibile nel gel.
Non è stato riscontrato nessun caso di soggetti omozigoti per la mutazione.
50bp
1
2
3
4
5
6
7
8
Figura 10. Analisi di campioni amplificati per il polimorfismo *1B che interessa l’enzima CYP 3A4 su gel di
agarosio al 3%. M: marker (50 bp step ladder), pozzetto 1e 2: prodotto di amplificazione costituito da un frammento
di 152 bp; pozzetti 3, 4 e 5: campioni wild type; pozzetti 6,7 e 8: campioni eterozigoti in cui sono visibili due bande
di 152 e 132 bp.
La frequenza allelica del polimorfismo *1B è risultata molto bassa, come riportato nella figura
11. Infatti, solo due individui sono risultati eterozigoti per il polimorfismo *1B, determinando
pertanto una frequenza genotipica del 2%.
32
I soggetti wild type assommano al 98%. Non sono stati riscontrati individui omozigoti per l’allele
*1B. Questi dati non trovano riscontro con la letteratura, dove la frequenza di soggetti eterozigoti
per l’allele *1B assomma al 9% [Spurdle et al., 2002].
La presenza di un numero molto esiguo di soggetti portatori del polimorfismo al locus CYP 3A4
non ha purtroppo permesso di determinare una possibile correlazione di questo polimorfismo
genetico con una eventuale manifestazione della resistenza al Plavix.
100%
90%
98%
80%
70%
60%
Frequenza
50%
40%
30%
20%
10%
0%
WT/WT
2%
0%
WT/*1B
*1B/*1B
Genotipo
Figura 11. Distribuzione genotipica del polimorfismo *1B
Integrazione dei risultati
Nell’ottica dell’interpretazione dei risultati ottenuti, è necessario avere una visione globale delle
frequenze dei polimorfismi all’interno del gruppo di studio. Nella seguente tabella si presentano
le percentuali risultanti dalla ricerca circa la presenza di varianti genetiche.
Polimorfismi determinanti
suscettibilità nello sviluppo di
una resistenza al Plavix
Aplotipo H2
Polimorfismo CYP3A4 *1B
Pazienti trattati con Plavix
(N=100)
8%
1%
33
4.4 Esame delle cartelle cliniche
Dopo aver genotipizzato tutti gli individui appartenenti al nostro gruppo di studio (N=100) per i
due polimorfismi di interesse, potenzialmente associati ad una possibile manifestazione di
resistenza al Plavix, sono state esaminate tutte le cartelle cliniche dei pazienti alla ricerca di
eventi di recidiva durante la terapia.
La popolazione di individui recidivi risulta abbastanza eterogenea e comprende le seguenti
manifestazioni cliniche: restenosi a livello di stent impiantati recentemente (dai 3 ai 6 mesi),
trombosi a livello dello stent, o nei casi peggiori, episodi ripetuti di AMI.
Significativamente, la gran parte di pazienti con recidiva è risultata appartenere al gruppo di
pazienti risultati eterozigoti per l’allele H2 in seguito all’analisi genetica.
soggetti
recidivi
3%
soggetti non
recidivi
97%
Figura 12. Distribuzione della recidività su 76 soggetti WT/WT secondo criteri clinici.
Infatti, nel sottogruppo di pazienti (N=76) risultanti dalle analisi genetiche come omozigoti per
l’allele wild-type (per entrambi i polimorfismi considerati) sono stati identificati solo due
individui (3% del totale) nei quali è stata riscontrata un’espressione di recidiva nei confronti
della terapia in atto (figura 12).
Viceversa, nel gruppo di soggetti eterozigoti, che presentano il polimorfismo H2 (N=22) a
livello del recettore P2Y12, sono stati individuati cinque individui recidivanti (23% del totale)
(figura 13). Per quanto attiene al polimorfismo per l’isoenzima CYP3A4, dei due individui
portatori di un allele mutato uno ha sviluppato una trombosi a livello dello stent ed è dunque da
considerarsi come un soggetto per il quale la terapia non risulta efficace.
34
soggetti recidivi
23%
soggetti non
recidivi
77%
Figura 13. Distribuzione dei soggetti recidivi secondo criteri clinici nel gruppo di WT/M (N=21).
E’ da ricordare che l’analisi della correlazione tra genotipo ed eventi di recidiva è
necessariamente sensibile al fattore temporale: nel gruppo di studio sono stati infatti inclusi
anche pazienti di recente trattamento, che non hanno probabilmente ancora avuto modo di
sviluppare una recidiva. Un follow-up ulteriore di questo gruppo potrebbe pertanto rivelare
un’ ulteriore aumento della differenza di eventi recidivi tra i due gruppi di genotipi.
Calcoli statistici
Comparando statisticamente i due gruppi distinguibili per il genotipo, rispetto alla loro
frequenza di recidiva, si nota che il gruppo wild-type presenta solo un 3% di recidivi,
mentre nel gruppo genotipicamente WT/M, il 23% dei soggetti risulta recidivo.
Recidivi
Non Recidivi
Totali
Wild-type
2
74
76
eterozigoti
5
17
22
totali
7
91
98
La differenza tra le frequenze di recidiva nei due gruppi è risultata statisticamente
significativa (p >0,05) al Chi-square test.
35
4.5 Funzionalità piastrinica
Allo scopo di stabilire gli effetti del trattamento con Plavix ad uno stadio a monte della
manifestazione clinica (recidiva), è stato utilizzato il test PFA-100 (descritto in Materiali e
Metodi) per definire il tempo di chiusura (TC) dipendente dalla formazione dell’aggregato
piastrinico nella maggior parte degli individui appartenenti al nostro gruppo di studio
(N=46).
Inizialmente il test è stato eseguito su un totale di 24 soggetti. Il 42% dei soggetti ancora
in terapia con il clopidogrel al momento dell’attuazione del test è risultata non-responder
agli effetti del farmaco, in quanto i pazienti presentavano dei TC molto brevi, che non
rispecchiavano pertanto l’effetto sperato per la terapia in atto. La figura 14 illustra la
distribuzione di questi pazienti, dove più di un terzo del totale risulta “non antiaggregato”.
Questi risultati ottenuti trovano poco riscontro con la percentuale di non-responder alla
terapia riportati in letteratura, dove si ha una frequenza di individui resistenti al Plavix che
varia dal 4 al 30%[Wiviott et al., 2004]. Alcuni autori hanno recentemente ipotizzato che il
PFA-100 rappresenti un test poco sensibile agli effetti delle tienopiridine come il Plavix
[Grau et al., 2003].
42%
58%
soggetti
antiaggregati
soggetti NON
antiaggregati
Figura 14. Misurazione dell’attività piastrinca con PFA-100 in condizioni standard in 24 soggetti in terapia
con Plavix.
36
Suddividendo il gruppo di 24 soggetti in due sottogruppi sulla base del genotipo al locus
P2Y12, le frequenze alleliche riscontrate forniscono una chiara indicazione della non
idoneità di questo test nel monitoraggio degli effetti del polimorfismo al locus P2Y12 sullo
stato di funzionalità piastrinica.
In figura 15 sono riportate le frequenze di non-responder (secondo i dati ottenuti grazie
all’analizzatore PFA-100) alla terapia in atto. Nel gruppo genotipico WT/WT abbiamo una
percentuale di soggetti non-antiaggregati che assomma al 40%. Questa frequenza non è
significativamente diversa da quella riscontrata nel gruppo di individui portatori di almeno
un allele di suscettibilità (50 %).
Questi dati possono essere interpretati ipotizzando che il test condotto con il PFA-100 non
sia adatto per poter prevedere con una discreta accuratezza lo svilupparsi dell’evento di
recidiva. Inoltre, appare evidente come il genotipo al locus P2Y12 non sia apparentemente
correlato ad una differenza significativa nello stato di funzionalità piastrinica
60%
50%
40%
30%
soggetti WT/M
soggetti WT/WT
20%
10%
0%
soggetti NON
antiaggregati
soggetti
antiaggregati
Figura 15. Percentuale di responders al clopidogrel in funzione del genotipo (misurazioni eseguite con PFA100).
Una spiegazione verosimile per poter giustificare tale risultato consiste nell’ipotizzare un
effetto di “camuffamento” degli effetti del Plavix sul tempo di aggregazione trombocitaria,
esercitati da un secondo recettore presente sulla superficie delle piastrine, anch’esso in
grado di legare l’ADP. Il recettore P2Y1, appartenente alla stessa famiglia del recettore
P2Y12, ha come antagonista principale l’ADP, e durante il test i TC possono essere
sensibili all’attivazione di questo recettore (figura 16). Allo scopo di ottenere risultati più
attendibili, abbiamo quindi deciso di ripetere il test PFA-100 in presenza di un antagonista
37
di questo secondo recettore, l’MRS 2179 [Pidcock M. et al., 2006]. L’inibitore è stato
utilizzato ad una concentrazione finale di 100 µM. Per poter ottenere dei dati più
significativi, abbiamo deciso di accrescere il campionario di soggetti convolti in questo test
(N=46).
P2Y12
P2Y1
H1/H1
PLAVI
X
P2Y12
MRS
2179
P2Y1
H1/H2
Figura 16. Rappresentazione schematica dell’inibizione dei recettori piastrinici P2Y1 e P2Y12 determinata
dalla presenza rispettivamente dei farmaci MRS 2179 e Plavix.
La figura 17 mostra i risultati ottenuti con l’inibitore del recettore P2Y1, dove solo il 9%
dei pazienti risulta non-antiaggregato, mostrando una situazione molto più attinente alla
realtà rispetto al test condotto in precedenza.
9%
91%
soggetti antiaggregati
soggetti NON antiaggregati
Figura 17. Misurazione dell’attività piastrinica con PFA-100 in 46 soggetti utilizzando una concentrazione
di 100 µM di inibitore MRS 2179.
38
Nella figura 18 viene correlata la risposta al farmaco (basata sull'esito del test di
funzionalità piastrinica) con il genotipo dei soggetti analizzati. Nel gruppo di individui
WT/M si evidenzia una percentuale nettamente superiore (sebbene statisticamente non
significativa) di non-responder alla terapia antiaggregante rispetto al gruppo wild-type
(16,6% vs 5,8%), confermando dunque la tendenza dei soggetti portatori dell’allele H2 a
manifestare una resistenza al Plavix [Nguyen TA. et al.].
La percentuale di individui che presentano invece un TC prolungato, che rispecchia
dunque un effetto del farmaco sull’aggregazione trombocitaria, è rispettivamente per il
gruppo WT/WT il 94,2%, e per i portatori dell’allele H2 l’83,4%.
100,00%
90,00%
94.20%
83.40%
80,00%
70,00%
60,00%
50,00%
40,00%
30,00%
20,00%
10,00%
16.60%
5.80%
0,00%
soggetti WT/M
soggetti WT/WT
soggetti NON antiaggregati
soggetti antiaggregati
Figura 18. Percentuale di responders al clopidogrel in funzione del genotipo (misurazioni eseguite in
presenza di 100 µM di inibitore MRS 2179).
Questa evidente differenza di dati tra i due test può essere pertanto giustificata dal fatto che
nel test in cui è stato aggiunto l’inibitore del recettore P2Y1, si ha una situazione in cui due
pathway vengono inibite in parallelo: la via di trasduzione del segnale in cui è coinvolto il
recettore P2Y12 , e la via in cui è coinvolto il recettore P2Y1. Viceversa, nel gruppo di
soggetti in cui il test non è stato modificato dall’aggiunta dell’antagonista del recettore
P2Y1 si ha l’inibizione di una sola pathway.
Comparando i dati ottenuti dai test condotti con l’analizzatore della funzionalità piastrinica
(test condotti con l’utilizzo dell’inibitore MRS 2179) abbiamo la seguente tabella:
39
Non antiaggregati
antiaggregati
Totali
Wild-type
2
32
34
eterozigoti
2
10
12
Totali
4
42
46
Come accennato, le differenze riscontrate tra i due gruppi di genotipi sono risultate non
significative al test Chi-square, a causa di una bassa potenza del test. Per raggiungere un
power del 50% con le proporzioni indicate (2/34 e 2/12) e con alfa 0.05 bisognerebbe
disporre di un numero di dati molto maggiore ( N = circa 95).
40
Discussione
La resistenza al Plavix mostra una natura di origine multifattoriale [Wiviott et al., 2004].
Quando si riscontrano soggetti non-responder per questo farmaco, bisogna prendere in
considerazione diversi aspetti che possono spiegare questa condizione di bassa o nulla
responsività al farmaco.
Tra gli aspetti più rilevanti che possono essere alla base dell’insorgenza dello stato di lowresponder o non-responder, vi è la presenza di polimorfismi a livello del recettore target per
l’adenosina difosfato, P2Y12, e del principale metabolizzatore di questo farmaco, l’enzima
CYP3A4. Ad esempio, è stato dimostrato che tutte le mutazioni che interessano il gene del
recettore P2Y12 sono coinvolte in disordini congeniti della coagulazione [Nguyen et al.; 2005].
La categoria di farmaci a cui appartiene il Plavix ha il vantaggio di presentare un’elevata
eterogeneità dal punto di vista del meccanismo d’azione [Clarke et al.,2003]. Pertanto, nel
momento in cui un particolare antiaggregante non riesce ad avere un effetto sperato d’inibizione
dell’attività piastrinica, a causa di una resistenza o di patologie secondarie che potrebbero
peggiorare in seguito a questa somministrazione, può essere somministrato un altro inibitore
dell’aggregazione trombocitaria per ottenere lo stesso effetto ma attraverso una pathway di
trasduzione del segnale diversa [Cattaneo et al., 2004].
Il clopidogrel è una tienopiridina di seconda generazione e viene ampiamente somministrato a
scopo preventivo in seguito ad infarti del miocardio, ictus ischemici, interventi di PTCA ed in
casi di arteropatia obliterante periferica [Gestel et al.,2003]. Il suo uso viene preferito ad altri
antiaggreganti perché presenta numerosi vantaggi, tra cui una latenza minore d’azione, una
emivita più lunga che permette una monosomministrazione giornaliera ed un più favorevole
profilo di sicurezza [Pereillo et al., 2002].
In molte terapie si riscontra la concomitante somministrazione di più farmaci appartenenti alla
categoria farmacoterapeutica degli antiaggreganti; questa strategia viene adottata perché, con
questa somministrazione contemporanea, si assiste all’instaurarsi di un effetto sinergico tra i
farmaci ed un conseguente effetto maggiore della cura [Lee et al.,2005].
Tuttavia, anche la somministrazione simultanea di questi farmaci risulta a volte incapace di
prevenire l’avanzamento del processo emocoagulativo. Di fronte a tale contesto di resistenza ai
farmaci somministrati, risulta di importanza fondamentale determinare le basi fisiologiche e
molecolari della resistenza stessa. Per questo motivo, i soggetti inclusi in questo studio sono stati
genotipizzati per i polimorfimi del recettore P2Y12 e del gene codificante per l’isoenzima
41
CYP3A4, due presunti fattori di rischio per la mancata o parziale risposta al trattamento con
farmaci antiaggreganti.
Dopo aver determinato il genotipo di tutti i soggetti coinvolti in questo studio, abbiamo ottenuto
le frequenze alleliche concernenti i due polimorfismi in questione. In letteratura, la frequenza di
non-responder al Plavix viene stimata in un range che va dal 4% al 30% dei soggetti trattati
[Nguyen et al.,2005].
Per quel che concerne le varianti genetiche che interessano il recettore purinergico presente sulla
superficie trombocitaria, sono state evidenziate frequenze alleliche diverse tra il gruppo in
studio ed i dati riportati in letteratura [Ziegler et al.,2005]: la frequenza dell’aplotipo H2, che
risulta fortemente associato ad un aumento consistente dell’aggregazione piastrinica in risposta
all’ADP, è risultata pari all’ 8% nel gruppo di individui sottoposti a cura preventiva con il
clopidogrel, mentre in letteratura viene riportata una frequenza allelica del 14%.
L’ipotesi più accreditata che possa spiegare una resistenza al Plavix legata all’aplotipo H2, è la
presenza in quest’ultimo di una variazione genetica nel promotore del gene, che comporta una
maggiore efficienza nella trascrizione contribuendo in modo significativo ad un incremento del
numero di recettori sulla superficie delle piastrine [Fontana et al., 2003].
Risulta pertanto interessante determinare se i portatori dell’allele H2 nel nostro gruppo di studio
siano stati coinvolti in eventi secondari anche durante la cura con il clopidogrel. A questo scopo
è stato condotto uno studio molto approfondito sulle cartelle cliniche dei soggetti coinvolti in
questo studio. Dopo un’attenta analisi dei dati a disposizione (riportati nelle cartelle) per ogni
singolo individuo coinvolto in questo lavoro di tesi, siamo giunti ad ottenere dei dati molto
interessanti. Lo studio si proponeva di determinare una possibile correlazione delle recidive (end
point) dopo impianto di stent medicalizzato con il polimorfismo presente a livello del recettore
P2Y12.
Nel sottogruppo di soggetti portatori dell’allele di suscettibilità H2, ben 5 individui hanno
sviluppato recidive durante la terapia con Plavix. Nel sottogruppo comprendente invece pazienti
wild-type per lo stesso allele, solo 2 pazienti hanno mostrato delle complicanze nel corso del
periodo di somministrazione del medicamento. Dal punto di vista statistico questi dati risultano
altamente significativi (p< 0.006).
Dall’analisi di questi risultati possiamo pertanto ipotizzare che il polimorfismo rappresenti un
fattore di rischio nella manifestazione dell’end point recidiva, e che lo stent medicato risulti un
ottimo metodo per ridurre eventi di questo tipo (rispetto agli stent metallici tradizionali che
vengono associati ad un’incidenza di restenosi pari al 40%), ma che non siano sufficienti per
evitare del tutto la comparsa di recidive [Carter et al., 2000].
42
I portatori di questo allele rappresentano pertanto individui che presentano un aumento del
rischio di eventi vascolari avversi, soprattutto se portatori di altri fattori di suscettibilità, e
potranno pertanto manifestare una tendenza maggiore allo sviluppo di disturbi legati al
meccanismo dell’aggregazione trombocitaria.
La resistenza al Plavix non è riscontrabile fenotipicamente nelle persone in cura (tranne che nei
casi dove si sia verificata una recidiva anche durante la terapia), a meno che non venga
constantemente monitorata l’aggregazione piastrinica. Nel nostro lavoro sono stati eseguiti test
sulla funzionalità piastrinica, con l’utilizzo dell’analizzatore PFA-100, nei pazienti coinvolti
nello studio. Lo scopo di questi test è stato principalmente quello di determinare l’eventuale
attendibilità del PFA-100 nel monitorare gli effetti del Plavix nei soggetti sottoposti ad una
somministrazione prolungata di questo farmaco. In base ai risultati (ottenuti sotto forma di tempi
di chiusura (TC)) è stato condotto uno studio comparativo tra i due gruppi genotipici, ossia
portatori o meno dei polimorfismi trattati in questa tesi.
Inizialmente il test è stato condotto in maniera standard, ed è subito parso chiaro che i valori di
TC ottenuti dai soggetti in analisi non trovavano riscontro con la percentuale di non-responders
al Plavix riportata in letteratura (ben il 42% dei soggetti sottoposti al test risultavano non
antiaggregati contro un massimo del 30% riscontrato in letteratura) [Nguyen et al., 2005]. Per
questo motivo il test è stato modificato con lo scopo di ottenere dei dati più attendibili. Abbiamo
infatti ipotizzato un effetto di “camuffamento” degli effetti del Plavix sul tempo di aggregazione
trombocitaria, esercitato da un recettore presente sulla superficie piastrinica, il P2Y1, in grado di
legare l’ADP [Turner et al., 2001]. Ad ogni campione di sangue è stato aggiunto pertanto un
inibitore di questo recettore, l’MRS 2179 [ Pidcock M et al.], ed è stato ripetuto il test.
Dopo questa modifica, si sono ottenuti risultati decisamente diversi rispetto al test condotto in
maniera standard; a questo punto abbiamo comparato il grado di inibizione piastrinica tra
soggetti WT/WT e soggetti WT/M.
Nel sottogruppo di individui portatori dell’allele H2, sono stati riscontarti il 16,6% di nonresponder agli effetti del Plavix, mentre nel secondo gruppo, costituito da individui wild-type per
il polimorfismo del recettore P2Y12, solo il 5,8% dei soggetti presentava una residua attività
piastrinica.
Con il proposito di avere un diretto riscontro tra i due metodi di conduzione del test, abbiamo
correlato anche nel primo gruppo di studio (gruppo composto da 24 soggetti, in cui l’inibitore
non era ancora stato utilizzato) il genotipo di ogni individuo con i dati ottenuti dal test di
funzionalità piastrinica.
43
In questo caso i dati ottenuti sono risultati alquanto diversi rispetto a quelli ottenuti in presenza
dell’antagonista del recettore P2Y1: si è riscontrato infatti il 50% di individui antiaggregati con
genotipo WT/M, in contrapposizione ad un 84,6% nelle misurazioni condotte col test modificato.
Negli individui wild-type per il polimorfismo abbiamo invece riscontarto il 40% di individui
antiaggregati in opposizione al 94,2% nelle misurazioni condotte col test modificato. Dal punto
di vista statistico questi dati non risultano significativi, probabilmente a causa del basso numero
di soggetti utilizzato per questo test.
Da questo confronto possiamo tuttavia dedurre che l’analizzatore PFA-100 non rappresenti un
metodo idoneo per poter ottenere dati attendibili sugli effetti reali del Plavix, e questa ipotesi
viene suffragata dal fatto che molti pazienti che hanno effettivamente sviluppato una recidiva,
sono risultati responders alla terapia in base al test. Il problema principale che si presenta
nell’utilizzo dell’inibitore P2Y1, consiste nel fatto che la situazione simulata in vitro non
corrisponde alla condizione in vivo e di conseguenza l’alternativa migliore per poter ovviare a
questo inconveniente è adottare un metodo diverso per poter ottenere dei dati significativi.
Possiamo dunque commentare questi dati affermando che il polimorfismo in questione manifesta
una correlazione con l’end point “recidiva” ma che non vi è una corrispondenza reciproca tra
genotipo e stato di attivazione trombocitaria, oppure che semplicemente, questa corrispondenza
non sia evidenziabile attraverso l’utilizzo del PFA-100. Questa conclusione viene supportata dal
fatto che i soggetti recidivi risultino come antiaggregati. Possiamo dunque ipotizzare che
l’antiaggregazione stabilita col metodo PFA-100 non rappresenti una prerogativa per
l’insorgenza di un’ eventuale recidiva futura, o che semplicemente il test utilizzato non sia
abbastanza sensibile da poter discriminare differenze nella popolazione di antiaggregati che
potrebbero però rivelarsi importanti nella futura manifestazione della resistenza [Raman et al.,
2004].
Come già accennato il Plavix è un profarmaco, ovvero una sostanza che appena somministrata
non risulta attiva, ma che nell’organismo subisce una trasformazione in metabolita attivo. Per
questo motivo s’introduce un’altra variabile, ossia l’efficienza dei processi metabolici, con cui il
profarmaco in questione viene convertito in farmaco biologicamente attivo. La velocità della
biotrasformazione dipende dalla disponibilità dagli enzimi coinvolti. La famiglia dei CYP 3A
metabolizza circa il 50% dei medicamenti usati in medicina, e tra questi è compreso anche il
clopidogrel [Cupp et al., 1996].
L’enzima coinvolto nell’attivazione del Plavix è l’isoenzima CYP 3A4, ed un polimorfismo nel
gene codificante per questo enzima o in geni che a loro volta controllano l’espressione di questo
44
gene possono spiegare la diversità individuale nel metabolizzare e quindi nella reazione al
farmaco [Eiselt et al., 2001].
Il polimorfismo trattato in questa tesi è il CYP3A4*1B che consiste in una mutazione nel
promotore stesso; in questo caso non è la proteina ad essere modificata ma l’espressione del gene
che può essere alterata [Spurdle et al., 2002].
Nel nostro gruppo di studio è stata evidenziata una frequenza allelica molto bassa, pari al 1%.
Dei due individui portatori di questo polimorfismo (in forma eterozigote), uno ha sviluppato una
trombosi a livello dello stent. Questa recidiva ci fa supporre che la presenza di questa variante
genetica potrebbe in qualche modo determinare delle situazioni problematiche in pazienti
sottoposti ad una terapia con il clopidogrel, ma i dati a disposizione non ci permettono di trarre
delle conclusioni supportate da risultati significativi.
®
Purtroppo non è stato possibile sottoporre questi due individui al test con il PFA-100 , perché
nel frattempo la terapia è stata sospesa.
Bisogna comunque tener conto che in questo studio sono stati valutati solo due markers genetici
che potrebbero contribuire alla resistenza ed in questo tipo di patologie è molto probabile
un’influenza poligenetica sulla resistenza.
Se un paziente presentasse entrambi i polimorfismi determinanti suscettibilità, si potrebbe
ipotizzare un rischio maggiore rispetto ad un soggetto portatore di uno solo dei polimorfismi, ma
nel nostro studio non si evidenziano casi in di questo tipo.
Da questa possibilità di definire a priori, attraverso la tipizzazione per questi due polimorfimi,
una categoria di pazienti potenzialmente resistenti al Plavix, è nata una collaborazione con il
Cardiocentro Ticino, che in seguito a questa genotipizzazione potrà monitorare con più
attenzione i pazienti che secondo questa analisi genetica risulteranno possedere un rischio
aumentato di non rispondere in modo adeguato ad una somministrazione standard del
medicamento.
Un aspetto molto interessante, ma che per motivi di tempo non è stato trattato in questa tesi, è
l’ipotizzata correlazione di un altro polimorfismo che interessa sempre il recettore P2Y12, con lo
sviluppo di effetti secondari molto seri durante la somministrazione prolungata del Plavix
[Ziegler et al.,2005].
In alcuni soggetti si sono accertate ischemie celebrali che risulterebbero per l’appunto correlate
con questo polimorfismo rilevato nella sequenza codificante del recettore. Questa variante non è
in linkage disequilibrium con le altre quattro che determinano gli aplotipi H1 ed H2.
45
Un aspetto interessante che potrebbe divenire oggetto di studio futuro, è pertanto rappresentato
dalla caratterizzazione di un maggior numero di polimorfismi che possano determinare una
manifestata resistenza alla categoria farmacologica degli inibitori dell’attività piastrinica e che
sono dunque localizzati in pathway distinte rispetto a quella studiata in questa tesi.
46
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