L'Iliade di Baricco. Un libro che fa molto discutere È giusto intervenire, come ha fatto Baricco, su un classico? Forse è una domanda retorica. Forse no. Ma cosa succede se il “classico” in questione è l’Iliade e chi lo riscrive è un autore di successo come Alessandro Baricco? Fin dalla sua uscita Omero, Iliade ha suscitato (e suscita ancora) aspre polemiche. Un’Iliade senza dèi? Un’altra bellezza? Riscrivere Omero? Sono solo alcuni degli interrogativi che l’opera di Baricco ha fatto sorgere. Interrogativi a cui diversi critici hanno risposto attraverso interventi (dei quali riportiamo un’ampia rassegna), apparsi sulle più importanti testate nazionali con toni che vanno dall’apprezzamento al dileggio. "La Stampa" , 25/09/2004 Massimo Gramellini , Scrivere per le orecchie "La parola su carta è un tesoro inerte che ha bisogno di un soffio che le dia vita. I poeti antichi erano cantautori, ma anche Flaubert inscenava letture collettive dei capitoli di "Madame Bovary", a mano a mano che li scriveva. Poi il rito della condivisione si è perso, frantumandosi in una visione distorta della letteratura come apoteosi dell'inaccessibile. Il futuro dei libri passerà ancora dagli occhi, ma attraverso le orecchie: in piazza, alla radio, in tv, nelle cassette che terranno compagnia a chi considera la lettura una fatica, mentre l'ascolto è un ritorno all'infanzia: a quando la parola scritta, prima di trasformarsi in dovere sui libri di scuola, entrava nelle nostre vite come piacere purissimo, con la voce della mamma intenta a raccontarci favole che veniva voglia di leggere solo dopo averle ascoltate da lei." Va in scena la guerra di Troia di Lauretta Colonnelli, tratto da “Corriere della Sera”, 22 settembre 2004 "Chiediamo sempre agli artisti qual è il sogno che non hanno ancora realizzato. Non è detto che noi riusciamo a farlo. Comunque ci proviamo", dice Monique Veaute, direttore artistico del Romaeuropa Festival. Il sogno di Alessandro Baricco, di leggere l'Iliade tutta di seguito davanti a una grande platea, è riuscita ad esaudirlo. "Sarà un reading lungo una dozzina di ore - spiega Baricco - diviso in tre serate. Una scena essenziale, costumi appena accennati, una fonica impeccabile. Su un grande schermo saranno proiettati i primi piani degli attori che leggono. L'idea è di provare a mettere la narrazione orale, forse addirittura la pura parola, al centro dell'attenzione e farne una forma di rito, di emozione collettiva, di spettacolo". Ma quale Iliade si potrà ascoltare? Non quella che ci ricordiamo dai tempi della scuola, tradotta in endecasillabi da Vincenzo Monti, e neppure le più agevoli versioni in prosa pubblicate negli ultimi decenni. Per Baricco, leggere l'Iliade oggi e in pubblico, significava inevitabilmente riscriverla. Così ha preso la traduzione in prosa di Maria Grazia Ciani (si può trovare in libreria edita da Marsilio) e ha cominciato a lavorarci sopra. "Ho cercato di trarne un testo da poter leggere in un tempo ragionevole e con qualche possibilità di non esasperare la pazienza degli ascoltatori". Per riuscirci ha dovuto fare una serie di interventi. Per prima cosa ha eliminato le ripetizioni, che nel testo omerico sono numerose. Poi, memore della lezione di Lukacs per il quale il romanzo è l'epopea del mondo disertato dagli dei, ha tagliato via tutte le apparizioni delle divinità. "Mi sono avvicinato all'Iliade - spiega - non per comprendere la civiltà omerica, ma per capire da dove vengo io. Gli dei sporcano la linea narrativa dell'Iliade. Sfilandoli via, Omero appare un narratore modernissimo". Un altro intervento riguarda lo stile. Più che un gergo da filologi, Baricco ha scelto un italiano vivo, eliminando "tutti gli spigoli arcaici che allontanano dal cuore delle cose". E poi ha cercato un ritmo, affidando a Giovanni Sollima la colonna sonora. Ma l'intervento più evidente è quello effettuato sulla narrazione. Baricco racconta la guerra di Troia in prima persona scegliendo alcuni personaggi dell'Iliade e sostituendoli ad Omero. "Per lo più è una faccenda puramente tecnica - precisa - invece di dire che il padre prese la figlia tra le braccia, nel mio testo c'è la figlia che dice che il padre l'ha presa tra le braccia. Credo che questo cambiamento possa aiutare chi legge a non smarrirsi e chi ascolta a non addormentarsi". Sul palco, dunque, oltre a Baricco che fa le parti di Nestore, Fenice e Priamo, ci saranno altri dodici dicitori: dall'autore satirico Stefano Benni che dà voce a Demodoco, a Paolo Rossi che veste i panni di Tersite, dallo scrittore Sandro Veronesi che interpreta Ulisse a Carolina Deregibus che presta la sua bellezza alla divina Elena. Con una sorpresa: ad interpretare Achille sarà una fanciulla, Carolina Felline. E con un finale diverso da quello del poema originale. Come si sa, l'Iliade finisce con la morte di Ettore e con la restituzione del suo corpo a Priamo. Non c'è traccia del cavallo di Ulisse e della caduta di Troia. Ma Baricco, pensando che fosse perfido non raccontare come quella guerra fosse poi finita, ha rubato dall'Odissea l'episodio in cui un vecchio aedo, Demodoco, canta la caduta di Troia davanti ad Ulisse e lo ha aggiunto ad alcuni passi di un libro che risale forse al quarto secolo dopo Cristo, La presa di Ilio di Trifiodoro. Achille il Pacifico (Annalena Benini, “Il Foglio”, 22 settembre 2004) Alessandro Baricco si è arrotolato le maniche sopra il gomito per dare pubblica lettura all’Iliade. Nel farlo si è accorto che il poema era troppo lungo, occorreva una riduzione. Ha scelto una traduzione in prosa, l’ha un po’ tagliata, poi ha tolto gli dei perché, “per quanto sia brutto dirlo”, ha scritto nell’introduzione, “non sono necessari”. L’Iliade, per lui, è “un’umanissima storia”. “È una scelta puerile, perché gli dei fanno parte dell’umanità – ha detto Luciano Canfora al Foglio – allora come adesso, come sempre. Cancellarli significa mutilare un testo che ne ha bisogno. La conoscenza diretta degli dei è uno degli indicatori più evidenti della mentalità che Omero ha voluto rappresentare: gli eroi veramente pensavano che Atena scendesse in campo e proteggesse un guerriero. Non era una frigida invenzione, e allora fa parte dell’umano”. Ma Baricco ha preferito la “forte ossatura laica”, e dopo aver levato di mezzo le divinità ha pensato anche di migliorare il testo di Omero: “Naturalmente non ho resistito alla tentazione e ho fatto alcune, poche aggiunte”: dice che c’erano faccende tra le righe che Omero non “poteva pronunciare ad alta voce”, e allora lui l’ha capito e ce le ha messe in corsivo. Cose tipo: “Non avevo mai visto la pace così vicina. Allora mi alzai e cercai Nestore, il vecchio e saggio Nestore. Volevo guardarlo negli occhi. E nei suoi occhi vedere morire la guerra. E l’arroganza di chi la vuole. E la follia di chi la combatte”. L’ha fatto dire a Tersite, lo zoppo che parlava male dei re. Ha aggiunto ai racconti dello storpio anche altre cosette: “La guerra è un’ossessione dei vecchi, che mandano i giovani a combatterla”. Perché Baricco nel rileggere l’Iliade ha scoperto cose sorprendenti, ha trovato “tra le righe di un monumento alla guerra, la memoria di un amore ostinato per la pace”, e ha lavorato per fare uscire quest’amore pacifista da ogni bocca, da ogni battaglia, da ogni sanguinario eroe che ha combattuto e ammazzato per Troia. Una riscrittura a tesi, non soltanto una riduzione per il grande pubblico. Omero maltrattato Dice Canfora che naturalmente la propaganda pacifista è di per sé legittima, “però dissento dalla strumentalizzazione: non si può prendere un libro e stravolgerlo, ma non solo, aggiungerci anche parole che non ci sono. È una farcitura addirittura insensata perché Omero è talmente grande, è il padre di tutte le letterature occidentali venute dopo, che aggiungere le frasette è un po’ ridicolo”. Ma Baricco ha voluto che fosse chiaro quanto desiderio di pace regni nell’umanità che suo malgrado combatte, e quanta riluttanza a scendere in battaglia governi il guerriero per eccellenza, Achille. “Nell’Iliade c’è tutto e il contrario di tutto, questo è vero, ma lo sapevamo da tanto tempo – dice Canfora – c’è la guerra, c’è il dolore, c’è la sofferenza del genere femminile che è schiacciato dalla guerra e può solo assistere alla morte, c’è la schietta disperazione di Achille ma c’è anche il suo furore bestiale. Sullo scudo di Achille è descritta anche la pace, la vita serena, i tribunali, la serenità della festa. Come disse una volta Eric A. Havelock, nell’Iliade c’è un’enciclopedia tribale”. Da quest’enciclopedia Baricco ha tratto quel che più gli è piaciuto, e gli è piaciuto così tanto Achille da attribuirgli “l’inclinazione, femminile, alla pace”. L’eroe che ha ammazzato più di quanto qualunque guerriero abbia mai ammazzato, quello che ha trascinato con i cavalli il cadavere di Ettore nella terra, facendogli sollevare una nuvola di polvere e sangue, quello che solo davanti al pianto di Priamo ha acconsentito a restituirgli il corpo massacrato del figlio, Baricco lo descrive mentre, “come una donna, assiste da lontano alla guerra, suonando una cetra e rimanendo al fianco di quelli che ama”. E gli attribuisce il “più violento e indiscutibile grido di pace che i nostri padri ci abbiano tramandato”. Un parlare “esplicito e definitivo”. È il dolore feroce per la morte di Patroclo, l’amico e amante per cui tre volte Achille grida, (e per tre volte il terrore scende nel cuore dei Troiani), e poi piange. Per Baricco è un messaggio di pace, per Canfora “è il grido di amore, probabilmente omosessuale, per Patroclo: è un amore stravolto dalla morte, perciò lui impreca e dice cose che da guerriero professionale non direbbe, ma lo fa in quella situazione estrema, e Baricco è troppo raffinato letterato per non saperlo”. Ma la ritrosia dell’eroe, che non vorrebbe scendere in guerra, che sceglie di uccidere solo per vendicare l’amore perduto, che, come scrive Baricco nella postfazione, “lascia intravedere una civiltà di cui i Greci non furono capaci, e che tuttavia avevano intuito”? Per Canfora è questo “il caso tipico in cui il moderno lettore sovrappone se stesso e rifà il testo che ha davanti. Il ragionamento però è debole, perché Achille è nell’Iliade per una geniale trovata dell’autore in uno scorcio finale, è la storia di pochi giorni, forse Baricco se ne è dimenticato. La guerra è alle spalle, Achille ha fatto il diavolo a quattro. Ha seminato morte come forse nessun altro, però Omero lo isola nei momenti in cui per le ragioni ben note lui si ritrae dalla battaglia, ma la storia comincia molto prima e prima ha caratteri diversi. Non bisogna perdere di vista un dato importante: l’Iliade è l’opera di un genio, maltrattamenti e usi abusivi andrebbero evitati”.