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Tumore al seno: corsa alla prevenzione
Author : Roberto Tunzi
Date : mag 22, 2015
Abstract: La città di Bari ospiterà nei giorni 22-23-24 maggio 2015 la “Race for the cure”,
evento simbolo della Susan G. Komen Italia, organizzazione senza scopi di lucro, basata sul
volontariato, che opera su tutto il territorio nazionale nella lotta al tumore al seno. La
manifestazione di tre giorni sarà ricca d’iniziative dedicate a salute, sport, benessere e
solidarietà e culminerà domenica con la maratona di 5 km e la passeggiata di 2 km. L’evento è
sponsorizzato da numerose aziende partner, locali e nazionali, tra cui Divella, Banca Popolare
di Bari, MSD e Sky, tutte impegnate nella lotta al tumore della mammella. Nonostante le
numerose iniziative volte a sensibilizzare i cittadini verso la prevenzione e la diagnosi precoce,
di cancro al seno continuano a morire 11000 donne l’anno, solo in Italia.
Il carcinoma della mammella è la più comune neoplasia maligna nelle donne, e si attesta al
secondo posto per mortalità in Italia, preceduto dal tumore al polmone e seguito dal cancro
della cervice uterina. Una donna che vive sino a novanta anni di età ha una possibilità su
otto di sviluppare un carcinoma della mammella. Recenti dati epidemiologici hanno
dimostrato un incremento delle diagnosi di tumore al seno; questi dati potrebbero spaventare un
occhio inesperto: l’aumento del numero dei casi è da ricondurre a un aumento della prospettiva
di vita della popolazione (maggior numero di diagnosi negli anziani) e a una migliore sensibilità
e specificità diagnostica degli esami di screening precoce. A un aumento del numero di diagnosi
si è, infatti, associato un calo della mortalità, per cui, dal 2008, il tumore al polmone ha
spiazzato il carcinoma della mammella come neoplasia più frequente e letale nella donna.
Quello che tuttora preoccupa è il divario tra Nord e Sud Italia nella percentuale di donne che si
sottopongono agli screening (80% contro 50%), il che spiega come la mortalità per cancro al
seno sia maggiore nel meridione rispetto al settentrione.
Si è osservato che la neoplasia della mammella è una malattia eterogenea con una grande
varietà di aspetti istologici (forma, numero, dimensione e numero delle cellule tumorali). Recenti
studi hanno dimostrato che esistono diversi tipi di carcinoma, che si possono però classificare in
alcuni grandi gruppi con importanti differenze biologiche, cliniche e terapeutiche. La maggior
parte dei carcinomi è positiva per il recettore degli estrogeni (ER). I carcinomi ER-positivi ed ERnegativi mostrano differenze significative in quanto a caratteristiche del paziente, aspetti
patologici, risposta alla terapia e prognosi; tra poco scopriremo il motivo.
Quali sono i fattori di rischio?
A differenza di altre neoplasie, per cui esistono solo elementi che predispongono al cancro, per
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il tumore al seno è stato possibile individuare fattori di rischio negativi (aumentano il rischio di
contrarre il tumore) e fattori di rischio positivi (riducono il rischio di contrarre il tumore). I più
comuni fattori di rischio sono stati raccolti nel modello Breast Cancer Assessment Tool
(BRCAT); il modello serve per calcolare il rischio assoluto che una specifica donna ha di
sviluppare un carcinoma nei successivi 5 anni oppure nel corso della vita.
- Sesso: il sesso rappresenta sicuramente il principale fattore di rischio; solo l’1% dei carcinomi
al seno si presenta negli uomini, che si traduce in un rischio nel corso della vita dello 0,11% per
gli uomini, rispetto al 13% delle donne.
- Età: l’incidenza aumenta nel corso della vita, con un picco all’età di 75-80 anni. L’età media
al momento della diagnosi è di 61 anni per le donne bianche, 56 per le ispaniche e 46 anni per
le afroamericane. Il carcinoma della mammella è molto raro in tutti i gruppi etnici prima dei 25
anni.
- Età del menarca: le donne che presentano il menarca (prima mestruazione) prima degli 11
anni hanno un aumento del rischio del 20% rispetto alle donne che raggiungono il menarca
dopo i 14 anni. Anche la menopausa tardiva (dopo i 56 anni) aumenta il rischio.
- Età del primo parto a termine: le donne che hanno il primo parto a termine a meno di 20 anni
hanno un rischio dimezzato rispetto alle donne senza figli o alle donne che all’epoca della
prima gravidanza a termine hanno più di 35 anni. Si suppone che la gravidanza comporti una
modificazione delle cellule della ghiandola che le sottrae da una possibile evoluzione
neoplastica; una gravidanza tardiva tuttavia, non allontana questo rischio, perché la
modificazione in senso tumorale potrebbe già essere avvenuta.
- Parenti di primo grado con tumore al seno: il rischio di sviluppare carcinoma mammario
aumenta con il numero di parenti di primo grado (madre, sorella, figlia) affetti da neoplasia della
mammella. Tuttavia solo il 13% delle donne con tumore al seno ha un parente di primo grado
affetto e, a sua volta, oltre l’87% delle donne con storia familiare di tumore al seno non
svilupperà il cancro.
- Razza: le donne bianche non ispaniche presentano la più elevata incidenza di tumore al seno;
tuttavia, nelle donne afroamericane e ispaniche la patologia si presenta più precocemente e con
maggiore aggressività.
- Iperplasia atipica: la precedenza di biopsie mammarie che mostravano un’iperplasia atipica,
aumenta il rischio di carcinoma invasivo.
- Esposizione agli estrogeni: è stato dimostrato che la terapia ormonale sostitutiva postmenopausale, ossia la somministrazione di estrogeni in donne in menopausa, aumenta il rischio
di tumore al seno di 1,2-1,7 volte e l’aggiunta di progesterone alla terapia aumenta
ulteriormente il rischio. Non è stato dimostrato in modo convincente che i contraccettivi orali
influiscano sul rischio di carcinoma della mammella, ma diminuiscono quello di sviluppare
carcinomi dell’endometrio e delle ovaie. I farmaci che bloccano gli effetti degli estrogeni o
limitano la formazione di estrogeni diminuiscono il rischio di carcinoma della mammella ERpositivo.
- Densità della mammella: un’alta radio densità della mammella rappresenta un forte fattore
di rischio per lo sviluppo del tumore al seno. L’alta densità è correlata alla giovane età, alla
predisposizione familiare e all’esposizione agli estrogeni.
- Esposizione a radiazioni: l’esposizione del torace a radiazioni dovute a radioterapia (in
passato soprattutto per linfomi del torace) o incidenti nucleari aumenta la frequenza di sviluppo
del tumore al seno in modo direttamente proporzionale alla quantità di radiazioni ricevute.
- Dieta: non sono state dimostrate associazioni significative tra dieta e sviluppo del carcinoma
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mammario; tuttavia si ritiene che i consumatori abituali di caffeina abbiano un rischio ridotto,
mentre chi consuma abbondantemente alcool, ha un rischio aumentato. Le donne obese in età
fertile hanno un rischio minore di contrarre il tumore; tuttavia l’obesità rappresenta un fattore
negativo dopo la menopausa, non solo per il tumore al seno, ma anche per lo sviluppo di
neoplasie del tratto gastrointestinale e patologie cardiovascolari.
- Allattamento al seno: quanto più le donne allattano al seno, tanto, maggiore è la riduzione
del rischio. La più bassa incidenza del carcinoma mammario nei Paesi in via di sviluppo è in
gran parte correlata alla più frequente e prolungata pratica dell’allattamento al seno.
- Fumo di sigaretta: il fumo non sembra essere associato allo sviluppo del tumore al seno;
tuttavia è associato con mastiti periduttali (processo infiammatorio della ghiandola mammaria) e
carcinoma polmonare.
Il tumore al seno
I maggiori fattori di rischio per lo sviluppo del carcinoma della mammella sono l’ereditarietà
genetica e l’esposizione ormonale. I tumori al seno possono perciò essere divisi in due grandi
gruppi: casi sporadici e casi ereditari.
La familiarità per il tumore al seno rappresenta un fattore di rischio importante. In alcune
famiglie, lo sviluppo della neoplasia è connesso alla mutazione di un singolo gene correlato al
carcinoma mammario (BRCA1 o BRCA2 geni del carcinoma mammario tipo 1 e 2). Le
mutazioni in questi geni sono responsabili del 3% dei casi totali di tumore al seno. La probabilità
di sviluppare il tumore per i portatori di questa mutazione varia dal 30% al 60%, a seconda della
specifica mutazione: le mutazioni di BRCA1 sono più spesso associati a una neoplasia
mammaria difficile da diagnosticare e trattare (il cosiddetto fenotipo triplo negativo) e
aumentano anche il rischio di sviluppare un carcinoma dell’ovaio (20-40% dei portatori); le
mutazioni di BRCA2 sono spesso associate a un carcinoma mammario ER-positivo, più facile
da trattare, hanno un rischio minore di sviluppare carcinoma ovarico (10-20% dei portatori), ma
sono più frequentemente associate al carcinoma della mammella maschile. Il celebre caso di
mastectomia bilaterale preventiva subito dall'attrice statunitense Angelina Jolie, poichè
portatrice del gene BRCA 1, ha aperto un dibattito sull'adeguatezza dell'intervento in presenza
della mutazione. Al momento la comunità scientifica non ha espresso pareri concordanti.
I principali fattori di rischio per il tumore al seno sporadico sono: sesso, età della prima
mestruazione e della menopausa, allattamento al seno e uso di estrogeni. La maggior parte di
queste neoplasie si sviluppa nelle donne dopo la menopausa ed è ER-positiva.
Aspettativa di vita
La prognosi nelle donne con tumore al seno varia ampiamente; molte donne hanno
un’aspettativa di vita normale, mentre altre hanno soltanto il 10% di possibilità di sopravvivere
entro 5 anni dalla diagnosi. Nella maggior parte dei casi la prognosi è determinata dall’esame
istologico del tumore e dei linfonodi ascellari. I principali fattori prognostici sono:
- Carcinoma invasivo e in situ: per definizione un carcinoma in situ (CIS) non può
metastatizzare. Tuttavia se un carcinoma in situ non è diagnosticato in tempo, può trasformarsi
in carcinoma invasivo, altamente associato alla formazione di metastasi. Circa la metà dei
carcinomi invasivi presenta metastasi a distanza al momento della diagnosi;
- Metastasi a distanza: una volta che le metastasi a distanza sono presenti, la guarigione è
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improbabile, sebbene remissioni a lungo tempo possano essere ottenute in donne con tumori
responsivi ai trattamenti ormonali. Le sedi più colpite da metastasi sono i linfonodi ascellari e
retro sternali, le ossa, i polmoni, il fegato e il sistema nervoso;
- Metastasi linfonodali: lo stato dei linfonodi ascellari è il più importante fattore prognostico per
il carcinoma invasivo della mammella in assenza di metastasi a distanza. Senza coinvolgimento
linfonodale, la sopravvivenza a 10 anni è vicina al 70-80%; con un numero da uno a tre
linfonodi positivi la sopravvivenza scende al 35-40% e al 10-15% in presenza di più di 10
linfonodi positivi. Il “linfonodo sentinella” rappresenta il linfonodo che per primo drena la linfa
proveniente dal tessuto tumorale; nella maggior parte dei casi la prima metastasi si localizza
proprio nel linfonodo sentinella. Se una biopsia limitata al linfonodo sentinella è negativa per
metastasi, esiste una bassa probabilità che altri linfonodi distanti siano coinvolti; per questo
motivo la biopsia del linfonodo sentinella è stata adottata da molti centri per la stadiazione e la
prognosi della malattia.
- Dimensioni tumorali: la dimensione del tumore rappresenta il secondo fattore prognostico
per importanza; i tumori maggiormente associati a una prognosi positiva, con sopravvivenza
superiore al 90% a 10 anni sono di dimensione inferiore al centimetro. Sfortunatamente,
l’autopalpazione della mammella non riduce la mortalità, suggerendo che quando le neoplasie
diventano palpabili (in genere quando raggiungono i 2-3 cm) hanno già acquisito capacità di
metastatizzare;
- Recettori per estrogeni e progesterone: la presenza di recettori per estrogeni sulle cellule
tumorali (ER-positivi) rappresenta un fattore prognostico migliore rispetto ai ER-negativi o ai
tripli negativi (tumori che non possiedono il recettore per gli estrogeni e i recettori cellulari HER2
– neu). Il motivo principale risiede nella capacità del tumore ER-positivo di rispondere alla
terapia ormonale con farmaci che bloccano gli effetti degli estrogeni (tamoxifene, raloxifene),
limitano la formazione degli estrogeni (inibitori dell’aromatasi), o bloccano il recettore
HER2-neu (trastuzumab). Gli estrogeni hanno un ruolo fondamentale nell’accrescimento delle
cellule tumorali, rappresentando dei veri e propri fattori di crescita. Bloccando l’attività degli
estrogeni è possibile bloccare l’accrescimento del tumore o addirittura indurne una
regressione.
La sintomatologia
La sintomatologia più comune in un processo patologico della mammella comprende: dolore
(mastodinia o mastalgia), prurito, secrezione, una massa (nodulo) palpabile. Il dolore è un
sintomo comune che può presentarsi in forma ciclica in corrispondenza del ciclo mestruale. Il
dolore non ciclico si manifesta in un’area ben delimitabile della mammella e può essere
attribuito a traumi, infiammazione o rottura di cisti. Sebbene la maggior parte delle cisti sia
benigna, è bene ricordare che il 10% circa dei carcinomi mammari si presenta con dolore.
Anche i noduli palpabili sono frequentemente presenti: solo il 10% dei noduli mammari in donne
con meno di quarant’anni è risultato maligno, contro il 60% dei noduli in donne con età
superiore ai sessant’anni. La fuoriuscita di secreto dal capezzolo, in particolar modo stiata di
sangue o francamente ematica, è un sintomo poco frequente ma non va trascurato quando la
secrezione è spontanea e monolaterale, poiché potrebbe essere causata da un carcinoma. I
segni radiografici (mammografici) principali di un tumore al seno sono gli addensamenti e le
calcificazioni, tuttavia nel 10% dei casi non è possibile rilevare alcuna alterazione radiografica.
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La diagnosi
La diagnosi del tumore al seno si avvale dell’esame fisico della mammella e di esami
strumentali come la mammografia, l’ecografia mammaria e l’agoaspirato. I due esami di
screening di primo livello sono la visita senologica e la mammografia. La visita senologica
consiste nell’esame clinico completo del seno da parte di un medico specializzato. È una
metodica semplice e indolore ma non è da sola sufficiente a formulare una diagnosi precisa. La
visita senologica non è necessaria per le donne giovani con meno di quarant’anni che
effettuano l’autopalpazione. Dai quarant’anni è fortemente raccomandata una visita senologica
annuale. Le donne con familiarità di tumore al seno sono invitate a effettuare la visita
annualmente dai venti anni. La mammografia è un esame radiografico che consente di
improntare su una pellicola fotografica la struttura del tessuto mammario; non è indicata nelle
donne di età compresa tra i venti e i quaranta, a causa della particolare densità del tessuto
mammario. Tra i quaranta e i cinquanta è consigliabile effettuare una mammografia ogni due
anni, mentre dai cinquant’anni è indicato un esame mammografico annualmente. La cadenza
dell’esame può essere modificata in base al risultato dei precedenti referti o della familiarità per
tumore. Nelle donne con familiarità per tumore al seno è indicata l’analisi genetica del DNA per
l’identificazione di mutazioni nei geni BRCA 1 e 2. Qualora siano identificate le mutazioni, è
indicata un’ecografia semestrale e una risonanza magnetica annuale.
La diagnosi positiva per neoplasia negli screening di primo livello necessita di una conferma
diagnostica di secondo livello, che si avvale dell’agoaspirato e della biopsia mammaria. Un
frammento di tessuto mammario è prelevato mediante sofisticati strumenti chirurgici e
analizzato al microscopio per la diagnosi del tipo istologico. Il differente tipo di tumore
(essenzialmente ER-posisivo e negativo) rispecchia un differente approccio terapeutico. Una
volta confermata la diagnosi di tumore al seno è indicata l’individuazione del linfonodo
sentinella nonché una HR-TAC (Tomografia Assiale Computerizzata ad alta risoluzione) o una
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RMN (Risonanza Magnetica Nucleare) per la ricerca di eventuali metastasi a distanza.
L’autopalpazione
L’autopalpazione resta un momento di fondamentale importanza nella diagnosi precoce
del tumore al seno. La comunità scientifica concorda sulla questione della
responsabilizzazione del paziente: il paziente deve prendere coscienza del proprio stato di
salute e agire come medico per se stesso. L’autopalpazione del seno è una pratica che tutte le
donne, dai vent’anni in su, dovrebbero praticare almeno una volta al mese davanti allo
specchio, tra il settimo e il quattordicesimo giorno del ciclo mestruale. La mammella femminile
può essere anatomicamente divisa in quattro quadranti per mezzo di una croce con centro nel
capezzolo; in alternativa, si può considerare la mammella come il quadrante di un orologio e un
reperto può esservi localizzato indicandovi l’ora corrispondente e la distanza in centimetri dal
capezzolo. La maggior parte dei carcinomi mammari (70-80%) si localizza nel quadrante
superiore esterno. L’auto-esame della mammella consiste di sue momenti fondamentali:
ispezione e palpazione.
Nell’ispezione la paziente è invitata a porsi a petto nudo davanti allo specchio e valutare:
- Dimensioni e asimmetria: una lieve asimmetria o differenza di volume può essere normale;
- Contorno: per evidenziare eventuali masse, fossette o retrazioni la paziente deve sollevare le
braccia sopra la testa o premere le mani contro i fianchi;
- Aspetto della cute: colore, ispessimento o edema, reticoli venosi, arrossamento, cute a
buccia d’arancia;
- Dimensioni e forma dei capezzoli: un’introflessione congenita del capezzolo è normale,
tuttavia una deviazione anomala o un’introflessione di un capezzolo normale può essere indice
di un sottostante tumore o processo infiammatorio;
- Presenza di eruzioni o ulcerazioni: le dermatiti sono suggestive per un cancro
infiammatorio;
- Secrezioni: la presenza di secrezione, soprattutto dopo la stimolazione del capezzolo è
frequente; la natura della secrezione può essere d’aiuto: in genere il secreto di una paziente
con tumore al seno è generalmente striato di sangue o francamente ematico;
- Colore: un cambiamento del colore dell’areola è apprezzabile durante la gravidanza.
La palpazione della mammella sarà volta a meglio definire eventuali reperti osservati o a
coglierne di nuovi. Per una migliore valutazione è consigliato alla paziente di porsi a petto nudo
davanti allo specchio e di sollevare sopra la testa il braccio dello stesso lato della mammella da
analizzare, mentre con l’altro si effettua la palpazione. Successivamente si inverte la posizione.
Con i polpastrelli delle tre dita centrali bisogna palpare dolcemente e, attraverso movimenti
rotatori, tutto il tessuto mammario, esaminando un quadrante alla volta. I movimenti da usare
possono essere: dall’alto verso il basso, circolari, latero-laterali, un quadrante per volta. I
caratteri da valutare sono: consistenza ed elasticità dei tessuti, la dolorabilità, la presenza di
eventuali noduli; in periodo premestruale sono frequenti una lieve dolorabilità e tensione delle
mammelle. Nel caso siano presenti noduli, andranno descritti sede, dimensioni, consistenza,
mobilità e dolorabilità degli stessi. Infine deve essere palpato ciascun capezzolo per valutare
forma, consistenza, elasticità, dolorabilità e la presenza di eventuali secrezioni. È importante
notare le differenze tra le due mammelle nell’individuare eventuali anomalie. Nella palpazione
del seno non bisogna tralasciare il cavo ascellare: dal quadrante superiore esterno si diparte
verso l’ascella il legamento di Cooper, legamento fibroso che mantiene sollevato il seno e lo
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attacca al cavo ascellare. Frequentemente, residui di tessuto mammario si estendono verso
l’ascella e frequentemente possono essere interessati dal processo neoplastico. Nell’esame
del cavo ascellare andrà valutato l’aspetto della pelle, il colore, la consistenza, la dolorabilità, la
sudorazione e l’eventuale presenza di noduli che possono rappresentare il primo segno di un
tumore al seno.
La terapia
La prima e più efficace terapia nei confronti dei tutti i tumori solidi è senza dubbio la terapia
chirurgica. Dai primi interventi di mastectomia radicale, in cui si rimuoveva tutto il seno e tutti i
linfonodi del cavo ascellare, si è arrivati a delle tecniche chirurgiche sofisticate e conservative
che permettono di conservare gran parte della mammella, avendo un impatto significativo sia
sulla patologia sia sulla psiche della donna che ha subito l’intervento. La quandrantectomia è la
tecnica chirurgica più adoperata, quando le dimensioni del tumore lo permettono, poiché
consente l’asportazione di una parte limitata di tessuto mammario e muscolo pettorale con
risultati estetici sovrapponibili a quelli di un normale intervento di riduzione del seno
(mastoplastica riduttiva). Spesso all’intervento sulla mammella col tumore, si aggiunge un
intervento di riduzione del seno opposto al fine di migliorare il risultato estetico. Spesso alla
terapia chirurgica sono affiancate la radioterapia e la chemioterapia con lo scopo di ridurre al
minimo la possibilità che il tumore si ripresenti (recidiva). Quando la chirurgia non può essere
adoperata, chemioterapia e radioterapia rappresentano dei supporti volti a prolungare la
sopravvivenza delle pazienti, con risultati non sempre efficaci.
L’identificazione istologica di particolari recettori (estrogeni – HER2-neu) ha aperto la strada a
nuove forme di terapie farmacologiche (tamoxifene, raloxifene, trastuzumab) ampiamente
efficaci, da affiancare alla chirurgia.
Spesso però ci si dimentica che la patologia neoplastica va oltre a quello che è il semplice
tumore della mammella: la diagnosi di un carcinoma ha un profondo effetto negativo sulla
psicologia del paziente che ha bisogno di non sentirsi solo, e di non essere trattato come un
pezzo di carne da cui asportare qualcosa di marcio. Il rapporto tra il medico e il paziente
neoplastico è spesso difficile e richiede grande umanità ed empatia da parte del medico, ma
anche da parte dell’equipe ospedaliera e da tutti coloro che circondano il paziente. Sono
numerosissimi gli studi che hanno dimostrato la diretta correlazione tra un atteggiamento
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negativo, la depressione, le psicosi, con lo sviluppo o l’aggravamento di patologie, tra cui i
tumori. È importante rassicurare il paziente sulle proprie condizioni di salute e fare in modo che
ogni alternativa terapeutica non sia tralasciata; ecco perché al chirurgo e all’oncologo, devono
essere affiancate figure che permettano un recupero psicologico del paziente tanto da renderlo
di nuovo padrone della propria vita e sicuro di sé. Queste figure sono gli psicologi, ma la
maggior parte del lavoro è svolta da parenti e amici. Spesso la chirurgia oncologica della
mammella lascia un segno indelebile sul corpo e nell’anima di chi la subisce. Le pazienti sono
invitate a sottoporsi a sedute di chirurgia ricostruttiva del seno, che restituisca la normale
armonia della mammelle e la consapevolezza di sentirsi donna a tutti gli effetti. Da circa tre anni
è stato introdotto il corso di laurea di “Beauty Recovery Specialist” presso l’Università Campus
Biomedico di Roma. Questo corso di laurea, promosso dall’unità operativa di chirurgia plastica,
ricostruttiva ed estetica, mira alla formazione di figure indispensabili che affianchino il medico
nella gestione del paziente. Il corso si rivolge prevalentemente a chi possiede diploma di
estetista e si pone l’obiettivo di aumentare, attraverso la specializzazione, la formazione di
operatrici capaci di eseguire trattamenti estetici e di supporto psicologico su persone che hanno
subito interventi chirurgici traumatici (in primis la mastectomia radicale). Questa figura
professionale fornisce la propria consulenza in cosmesi e trattamento delle lesioni cutanee,
nonché la propria consulenza psicologica volta a far sentire il paziente una persona e non un
malato. Nonostante il corso di laurea sia avviato da almeno 3 anni, si parla ancora poco del
beauty recovery specialist. Spesso in mancanza di un supporto da parte delle istituzioni,
nascono associazioni di volontariato che forniscono supporto farmacologico, e psicologico a
malati terminali o pazienti sottoposti a chirurgia demolitiva. L’associazione Gabriel, nata da
un’idea della beauty recovery specialist Leda Enke, in collaborazione col professor Gennaro
Palmiotti, responsabile dell’unità operativa oncologica dell’ospedale Di Venere di Bari,
promuove, attraverso il volontariato, l’umanizzazione in oncologia, mediante la formazione di
ambienti idonei in cui non si cura solo la malattia, ma anche la persona, facendola sentire
apprezzata, restituendo l’importanza della cura del corpo. L’associazione fa conto sull’aiuto di
volontari, medici e beauty recovery specialist. In questo modo è possibile non solo guarire il
cancro, ma anche restituire la vita al paziente.
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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE:
Harrison, principi di medicina interna XVIII edizione (2013);
Robbins e Cotran, le basi patologiche delle malattie VIII edizione (2013);
Fradà e Fradà, Semeiotica medica, IV edizione (2009);
www.airc.it;
www.registri-tumori.it;
www.unicampus.it/beauty-recovery-specialist;
www.associazionegabriel.altervista.org;
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