Unità e processi nella morfologia

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Linguistica generale, 2e Giovanni Gobber, Moreno Morani Copyright © 2014 –McGraw‐Hill Education (Italy) Risposte alle domande del Capitolo 4 4.1 Qual è l’oggetto di indagine della morfologia? La morfologia rappresenta l’organizzazione interna delle parole e delle forme di parola. Essa ha il compito di descrivere ٛ.
la flessione delle parole ٛ.
i processi di formazione delle parole. 4.2 Che cosa si intende per parola? Il termine parola ha denotati diversi a seconda del livello di osservazione scelto: ٛ.
vi è una parola fonologica, che si articola in uno o più piedi, organizzati in sillabe secondo le regole della lingua considerata; ٛ.
una parola morfologica si articola in elementi, disposti in un ordine stabile: per esempio, i morfemi flessionali compaiono dopo i morfemi lessicali e i suffissi (cant‐are e non *are‐cant; noi‐
os‐o e non *os‐noi‐o / *os‐o‐noi ecc.); ٛ.
la parola ortografica si caratterizza come elemento isolato da spazi nella scrittura; ٛ.
nel discorso, i confini di parola sono punti di pausa potenziale. Le parole possono configurarsi diversamente a seconda della lingua considerata. Per esempio, in inglese he gave it up presenta una parola morfologica give up che si articola in due “parole sintattiche” distanziate fra loro. Del pari, in tedesco fangen Sie mit der Arbeit an! ‘cominci il lavoro!’ contiene una forma del verbo anfangen ‘cominciare’ che si articola in due parole sintattiche fangen… an. È poi fondamentale un’ulteriore distinzione: una parola si manifesta sempre in una forma di parola. Per alcune parole vi è una sola forma, come, per esempio, in come, sopra, quasi. Più forme di una medesima parola costituiscono il paradigma delle forme di tale parola: torta e torte sono due forme della parola torta. A volte, si usa il maiuscoletto per designare una parola, intesa come classe di tutte le sue forme; queste ultime, invece, sono indicate in corsivo: per esempio, gatto è la forma singolare della parola GATTO. Quando rappresenta la parola (anche se non è scritta in maiuscoletto), una forma di parola è usata come forma di citazione. Per l’italiano, i verbi sono indicati dalla forma dell’infinito; a loro volta, i nomi, gli aggettivi e i pronomi sono designati dalle forme del maschile singolare. La forma di citazione è una forma di parola che funziona come esponente (ossia ‘rappresentante’) della rispettiva parola. In un vocabolario le forme di citazione sono impiegate per indicare i lemmi, ossia le voci, che attestano i vocaboli di una lingua. 4.3 Qual è la differenza tra un parola e una forma di parola? La parola, intesa come lessema, ha una componente morfologica (i morfemi che le danno struttura) e grammaticale (appartiene a una classe del lessico e ha un comportamento sintattico nella frase). La parola può manifestarsi in più di una forma di parola: sedia e sedie sono due forme della stessa parola; alto, alta, alti alte sono quattro forme della stessa parola. Abbiamo così il paradigma delle forme nelle quali si manifesta una stessa parola. Per alcune parole vi è una sola forma; in questo caso, la classe di forme ha un solo elemento: come, sopra, quasi sono esempi di parola con una sola forma. Generalizzando, si può dire che una parola è la classe delle forme con cui essa è manifestata nei testi. Una parola ha bisogno di una forma di parola per manifestarsi. Per questo, ogni parola è indicata da una forma di parola, che è detta forma di citazione. Per esempio, l’aggettivo alto è indicato dalla forma al maschile singolare: nei vocabolari si cerca alto e non alti (anche nel discorso in funzione metalinguistica, cioè nelle parole che parlano di parole: “ho detto alto, non basso!”). 4.4 Precisa le differenze tra una classificazione formale e una classificazione funzionale dei morfemi. È detta formale una classificazione che si propone di rilevare le posizioni dei morfemi nella forma di parola. Una distinzione basata su un criterio formale distingue radici, affissi e desinenze: p.es. riguardare presenta un affisso ri‐, che si dice prefisso perché precede la radice guard; la forma di parola è chiusa da –are, che si può considerare un unico segmento desinenziale –are oppure si può scomporre in un elemento tematico ‐a‐ e in una desinenza ‐re (in seguito si preferirà la prima soluzione, che appare più semplice e congrua con il punto di vista scelto in questo capitolo). Un affisso può seguire una radice e precedere la desinenza: questo tipo è chiamato suffisso. La forma di parola nevoso contiene la radice nev‐, il suffisso –os‐ e la desinenza –o. Un prefisso può precedere un altro prefisso, come in preriscaldare. Lo stesso vale per i suffissi, come in sindacalizzazione. Da un punto di vista formale, anche le desinenze sono affissi: sono considerate suffissi di un tipo particolare, che “chiudono” la forma di parola. Il punto di vista funzionale considera il ruolo dei morfemi entro i processi di formazione delle parole e nella flessione delle forme di parola: p.es. la desinenza –o e il suffisso –os‐ di nevoso hanno compiti diversi (‐o mi dà una forma di parola, che è anche la forma di citazione della parola stessa; invece –os‐ mi serve per derivare la parola da un’altra parola (neve  nevoso). In questa prospettiva, cui si fa in seguito riferimento, si possono riconoscere tre tipi di morfemi: i morfemi lessicali, i morfemi flessionali e i formativi lessicali, che sono chiamati anche morfemi derivazionali, perché intervengono in processi di derivazione di parole. 4.5. Quale differenza vi è tra un morfema lessicale e un lessema? Il termine lessema indica un’unità del vocabolario, inteso come repertorio delle parole di una lingua. In una prospettiva psicolinguistica, tale repertorio è visto come un “lessico mentale”, ossia come una rappresentazione della competenza lessicale di cui dispone un parlante ideale. Un lessema ha anche una componente “grammaticale”: si tratta delle “istruzioni” sul comportamento morfologico e sintattico. Per esempio, il lessema GATTO (il maiuscoletto serve qui per distinguere la parola dalle forme in cui si manifesta: vedi sopra, domanda 2) è predisposto a funzionare come nome comune di genere grammaticale maschile; esso si manifesta attraverso due forme di parola, una per il singolare, una per il plurale. Queste caratteristiche sono registrate nell’area dell’informazione grammaticale di una voce lessicografica. Il morfema lessicale, invece, è la componente morfologica minima di un lessema: gatt‐ è il morfema lessicale del lessema GATTO; noi‐ è il morfema lessicale di un lessema semplice come NOIA e di un lessema strutturato come NOIOSO (che ha anche il formativo lessicale –os‐). Nel testo, abbiamo preferito evitare l’uso del maiuscoletto, per semplicità espositive. La differenza tra morfema lessicale e lessema mette in luce la presenza di una gerarchia di livelli nella struttura della parola: vi è un livello morfologico (con morfemi lessicali, derivazionali, flessionali) e un livello grammaticale, con le “informazioni” sulla classe del lessico e la flessione. Dalle informazioni sulla classe lessicale (nome, aggettivo, verbo ecc.) discendono le predisposizioni a funzionare nella frase come nucleo di un sintagma (nominale, aggettivale, verbale ecc.). 4.6 Perché i morfemi flessionali sono tenuti distinti dai formativi lessicali? La differenza è di natura funzionale: i morfemi flessionali caratterizzano forme diverse della medesima parola (del medesimo lessema); i formativi lessicali intervengono nella formazione di lessemi strutturati a partire da altri lessemi, che possono essere elementari o strutturati. 4.7 Sono possibili forme di parola senza morfemi flessionali? Certamente: preposizioni, congiunzioni, avverbi sono privi di morfemi flessionali. 4.8 Qual è la differenza tra morfemi intrinseci e morfemi estrinseci (o “contestuali”)? Un morfema flessionale intrinseco è scelto dalla semantica (porto i libri a casa perché ne porto più di uno). Un morfema estrinseco è detto anche sintattico o contestuale perché è scelto da un’altra parola nella frase. Per esempio, in italiano i morfemi del genere e del numero nell’aggettivo sono imposti dal nome con cui l’aggettivo concorda: gatti neri (e non *gatti nero). In questo caso si parla di concordanza. Altro esempio: in Vogliono che io paghi subito la forma del verbo paghi è al congiuntivo, che è il modo imposto dal verbo della reggente vogliono. In questo caso si parla di reggenza (vogliono richiede il congiuntivo del verbo nella frase dipendente). La scelta del morfema estrinseco è un fenomeno morfo‐sintattico: la morfologia flessionale serve per manifestare un nesso sintattico. 4.9 Perché si può dire che in inglese i nomi non hanno genere grammaticale? Non hanno genere grammaticale perché non vi sono morfemi della classe del genere. Peraltro, un nome può denotare un individuo di sesso maschile oppure femminile e quest’ultimo è un genere ontologico (cioè della realtà, non della lingua). In tali casi, la presenza del genere ontologico è desunta dalla conoscenza del significato lessicale (si sa che teacher denota un uomo oppure una donna che insegna). A decidere quale sia il genere è il discorso concreto e le conoscenze condivise dai parlanti (che si riferiscono a una certa persona); spesso nel testo ci sono pronomi (he o she) che da soli chiariscono il genere ontologico della persona indicata. 4.10 Descrivi i fenomeni di allomorfia, sincretismo e amalgama Si ha un amalgama morfematico (o pacchetto di morfemi) quando un morfo manifesta contemporaneamente più morfemi, appartenenti a classi morfematiche differenti. Esempi: il morfo –o di gatto manifesta l’amalgama di morfemi “maschile + singolare”; ‐a di bella manifesta l’amalgama “maschile + plurale”; invece, in ‐o di leggo vi è l’amalgama “indicativo + presente + I persona + singolare” e ‐a di veda manifesta “congiuntivo + presente + I oppure II oppure III persona + singolare”. Nell’ultimo esempio citato, si riscontra un caso di sincretismo: un’opposizione tra morfemi non è distinta da strategie di manifestazione differenti: il medesimo morfo –a manifesta ora la prima, ora la seconda, ora la terza persona. Allo stesso modo si comporta il morfo –i di canti in quanto forma del congiuntivo presente (il morfo –i di canti può manifestare anche la II persona singolare del presente indicativo). 4.11 Descrivi, negli aspetti fondamentali, i processi di formazione delle parole (composizione, prefissazione, derivazione, alterazione). In generale, i processi di formazione delle parole costituiscono lessemi strutturati a partire da lessemi elementari. Un lessema strutturato può risultare dall’applicazione di uno o più formativi lessicali a un lessema elementare. I tipi fondamentali di formativi sono i prefissi e i suffissi. Le formazioni con prefissi caratterizzano soprattutto i verbi (scrivere → prescrivere) e tendenzialmente non comportano il cambiamento della classe lessicale. I suffissi intervengono nella derivazione e si caratterizzano per la capacità di indicare le informazioni morfologiche del derivato (per esempio, ‐os‐ indica la classe lessicale dell’aggettivo; ‐
ione indica la classe del sostantivo e il genere grammaticale femminile, e così via). La derivazione può attuarsi anche senza l’intervento di suffissi: si parla di derivazione zero se vi è solo il cambiamento della morfologia flessionale (inflazione →inflazionare). Si ha una conversione se non intervengono modifiche nel significante, ma vi è un cambiamento di classe lessicale (come è il caso di deputato, che da participio passa ad aggettivo e in seguito a nome, senza modifiche delle caratteristiche morfologiche). La composizione, meno frequente in italiano rispetto alle lingue germaniche, si caratterizza, per lo più, come la determinazione di un lessema ad opera di un altro lessema (piano è determinato da alto in altopiano e da basso in bassopiano). L’alterazione, infine, è caratteristica della lingua italiana, la quale, oltre ai diminutivi (presenti in molte altre lingue, in particolare nelle lingue slave), si avvale anche degli accrescitivi e dei peggiorativi. Si deve osservare che l’uso degli alterati è assai vario e, non di rado, si lascia ricostruire solo considerando la concreta dinamica della comunicazione. 4.12 Chiarisci la nozione di funzione lessicale. Una funzione è una relazione tra una parola X e un gruppo di parole Y. Se applichiamo la funzione f all’argomento X otteniamo come valore Y. Per esempio, se la funzione è l’intensificazione di una parola X, si ottiene un gruppo di parole che manifesta il valore della funzione lessicale di intensificazione. Così, se X è bagnato, la funzione di intensificazione si manifesta nell’espressione fradicio o nell’espressione come un pulcino. Ovviamente, il significato di queste espressioni è la manifestazione della funzione lessicale: quando si traduce, si tiene conto di questo loro uso, e non di altre valenze. Così, per esempio, in tedesco bagnato come un pulcino si renderà con nass wie ein Pudel ossia ‘bagnato come un barboncino”. Del pari, prendere in prendere una decisione sarà reso da make in inglese (to make a decision, da cui decision maker ‘decisore’), da treffen in tedesco (eine Entscheidung treffen). Quando si traduce, si deve aver presente che il gruppo di parole prendere una decisione è il valore Y di una funzione lessicale f applicata a X. Occorre individuare X e riconoscere la funzione lessicale manifestata da una certa espressione, per esempio da prendere. Dalla funzione lessicale si risalirà poi all’espressione che la manifesta nella lingua di arrivo. 4.13. Che cosa è un sintema? Si porti un esempio di sintema Per l’aspetto grammaticale, un sintagma è un gruppo di parole ben formato; in questo è simile a un sintagma. Tuttavia, differisce da quest’ultimo per l’organizzazione semantica: nel sintagma, il significato dell’intero si coglie a partire dal significato delle parti. Per esempio, il significato del sintagma sedia di paglia si ricava considerando i significati dei lessemi sedia e paglia, che sono dotati di autonomia semantica. Invece, i costituenti del sintema coda di paglia non sono dotati di autonomia semantica. Il significato dell’intero si coglie considerando l’uso del sintema nei testi. Per questo, un sintema si caratterizza come un’unità lessicale dotata di un significato unitario non composizionale. 4.14 Quali caratteristiche distinguono i prestiti dai calchi strutturali e dai calchi semantici? Il prestito è la ripresa (l’imitazione, la riproduzione) sia del significante sia del significato del modello. Il calco strutturale, invece, si applica alla “forma interna” dell’espressione presa a modello. La riproduzione è compiuta impiegando materiale lessicale della lingua d’arrivo. Nel calco semantico, poi, la ripresa concerne il significato, cioè l’uso che nella lingua donatrice si fa dell’espressione presa a modello. Tale significato si accumula nel potenziale semantico di una struttura lessicale già esistente nella lingua di arrivo. 4.15 Illustra, con esempi, l’induzione di fonemi e la nuova distribuzione di allofoni nei prestiti. a) Per induzione si intende ‘introduzione’ di fonemi nel sistema della lingua di arrivo. Vi sono casi anche in italiano. Per esempio, la fricativa postalveolare (o prepalatale) sonora di beige o di garage si trova in prestiti che riprendono un modello francese. Si può dire che essi introducono in italiano un nuovo fonema . La distribuzione degli allofoni è un termine “difficile” per indicare un fenomeno semplice: un fonema può essere realizzato da foni che non compaiono in certe posizioni. Per esempio nelle parole del lessico originario italiano le occlusive non sono finali di parola. I prestiti dall’inglese hanno però introdotto anche questa posizione per le occlusive (p.es. smog, sport, stop, stock ecc.). Questo è un caso di “nuova distribuzione degli allofoni” dovuta ai prestiti. Un caso più difficile è dato dal nesso [sk] dell’inglese. Il lessico originario antico inglese aveva cambiato questo nesso germanico in una fricativa postalveolare sorda , come in shirt, fish. Ma nel X secolo giunsero molti prestiti dall’antico nordico e alcuni di questi reintrodussero il nesso [sk], come in skirt e sky (che sono prestiti dall’antico nordico). 
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