Componenti Elettronici
vers. 2.0
COMPONENTI ELETTRONICI
M.Zigliotto, S.Bolognani
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Sommario
Componenti per l’elettronica di potenza ............................................................................................................. 3
Materiali semiconduttori. .................................................................................................................................... 3
A.
Giunzione p-n................................................................................................................ 4
B.
Diodi a giunzione. ......................................................................................................... 5
B.1
Diodo polarizzato inversamente. ................................................................................... 5
B.2
Diodo polarizzato direttamente. .................................................................................... 6
C.
Transistore ad effetto di campo a giunzione (JFET). .................................................... 8
C.1
Tensione di pinch-off. ................................................................................................... 8
C.2
Zona a corrente costante. .............................................................................................. 8
C.3
Curve caratteristiche del JFET. ..................................................................................... 9
D.
MOSFET di potenza. .................................................................................................. 10
E.
Transistori bipolari a giunzione (BJT). ....................................................................... 11
F.
Transistore bipolare di potenza. .................................................................................. 12
G.
Insulated Gate Bipolar Transistor (IGBT). ................................................................. 13
G.1
Caratteristiche dell'IGBT. ........................................................................................... 14
H.
Il tiristore (SCR). ........................................................................................................ 14
H.1
Innesco del tiristore. .................................................................................................... 15
I.
I GTO. ......................................................................................................................... 16
J.
Evoluzione dei dispositivi di commutazione. .............................................................. 16
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Componenti per l’elettronica di potenza
Materiali semiconduttori.
Col nome di semiconduttori si denotano alcuni materiali aventi resistività intermedia fra quella dei
conduttori e degli isolanti. I più comunemente usati sono il germanio e il silicio, che hanno
rispettivamente una resistività alla temperatura ambiente di circa 0,6 e 2 x 103 m. Per confronto si
tenga conto che il rame (ottimo conduttore) ha una resistività alla temperatura ambiente di circa
1,8x10-8 m, mentre quella della porcellana (ottimo isolante) è di circa 1x1012.
Si tratta di elementi tetravalenti, aventi in altre parole quattro elettroni di valenza, i cui atomi si
aggregano in cristalli ove ciascuno mette in comunione i suoi quattro elettroni di valenza con
altrettanti atomi contigui. Ciò significa che intorno a ogni atomo ruotano otto elettroni, quattro propri
dell'atomo stesso e quattro propri di quattro atomi contigui. Ne risulta una struttura cristallina assai
stabile, in virtù degli stretti legami covalenti con cui gli elettroni in comune vincolano atomi adiacenti
(Fig.1). Tuttavia, già a temperatura ambiente, alcuni degli elettroni di valenza acquistano un'energia
sufficiente a svincolarsi dai loro atomi e a passare allo stato di elettroni liberi, lasciando ciascuno
nell’intreccio dei legami covalenti un posto vuoto, cui si assegna il nome di «lacuna» (Fig.2). La
lacuna rende disponibile nel semiconduttore una carica positiva.
Fig.1
Fig.2
Se si sottopone a un campo elettrico un cristallo di materiale semiconduttore, ad esempio di silicio, gli
elettroni liberi si muovono in verso opposto a quello del campo, secondo lo stesso meccanismo che dà
origine alla corrente elettrica nei conduttori. Anche gli elettroni di valenza ancora legati ai loro atomi
sono sollecitati a spostarsi in verso opposto a quello del campo elettrico, ma ne sono impediti dai
vincoli di attrazione che li legano ai rispettivi atomi. Accade però che se un elettrone di valenza di un
atomo è sospinto dal campo verso un atomo contiguo che presenti una lacuna, tale elettrone è
catturato dall'atomo contiguo, neutralizzandone la lacuna ma dando origine a una nuova lacuna in
corrispondenza dell'atomo da cui è partito. Tutto avviene cioè come se la lacuna si fosse spostata nello
stesso verso del campo elettrico. Le lacune si comportano cioè come delle cariche positive.
Poiché il fenomeno si ripete subito dopo per un elettrone di un atomo adiacente alla nuova lacuna
formatasi, si può affermare che la presenza del campo elettrico provoca uno scorrimento delle lacune
nello stesso verso del campo. È possibile perciò concludere che in un semiconduttore sottoposto a un
campo elettrico si genera una corrente, avente lo stesso verso convenzionale del campo, costituita da
uno scorrimento degli elettroni liberi in verso opposto a quello del campo e da uno scorrimento delle
lacune in verso concorde a quello del campo.
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Nei semiconduttori puri il numero degli elettroni liberi coincide evidentemente con il numero delle
lacune.
Questa situazione viene invece sensibilmente alterata se al semiconduttore sono aggiunte opportune
impurità. Si supponga ad esempio di introdurre, nel processo di produzione di un cristallo di silicio,
piccolissime quantità di un elemento pentavalente (ad esempio fosforo o antimonio o arsenico); gli
atomi dell'impurità aggiunta si inseriscono, senza alterarlo, nel reticolo cristallino del silicio,
occupando il posto di altrettanti atomi di silicio (Fig.3).
Fig.3
Fig.4
Tuttavia solo quattro dei cinque elettroni di valenza dei nuovi atomi sono necessari a stabilire i legami
covalenti con gli atomi adiacenti del reticolo, mentre il quinto elettrone passa immediatamente allo
stato di elettrone libero, senza che con ciò si formi una nuova lacuna nell’intreccio dei legami
covalenti. Ne consegue che la presenza di impurità pentavalenti provoca un aumento del numero
degli elettroni liberi del semiconduttore, mentre non aumenta invece il numero delle lacune. Il
semiconduttore si dice in tal caso drogato di tipo n (negativo): in esso gli elettroni liberi sono
chiamati cariche di maggioranza e le lacune cariche di minoranza.
Viceversa se si aggiungono delle piccole quantità di un elemento trivalente (ad esempio boro o indio o
gallio), Fig.4, i nuovi atomi si inseriscono nel reticolo cristallino al posto di altrettanti atomi di silicio.
I legami con atomi adiacenti sono però imperfetti, perché gli atomi estranei contribuiscono ad essi con
soli tre elettroni di valenza; ne segue che in corrispondenza di ogni atomo di impurità si forma una
lacuna, senza che alcun elettrone di valenza passi allo stato libero. La presenza di impurità trivalenti
provoca quindi un aumento del numero delle lacune, mentre non aumenta il numero degli elettroni
liberi. Il semiconduttore si dice in tal caso drogato di tipo p (positivo); le lacune sono ora cariche di
maggioranza e gli elettroni cariche di minoranza.
In entrambi i casi, sia di cristallo di tipo n che di tipo p, la resistività elettrica ne risulta di molto
diminuita e il materiale semiconduttore drogato diventa un discreto o un buon conduttore a seconda
dell’intensità del drogaggio.
A. Giunzione p-n
Introducendo in un cristallo puro di silicio o di germanio impurità di tipo p da un estremo ed impurità
di tipo n dall'altro, la superficie di separazione, nell'interno del cristallo, tra un tipo di impurità e
l'altro è chiamata giunzione p-n (p-n junction). Poiché la situazione dei legami covalenti è
completamente diversa nelle due zone, nasce una corrente di diffusione, indotta dal richiamo degli
elettroni della zona di tipo n ad occupare le lacune della zona di tipo p per completare correttamente i
legami covalenti. Alcuni elettroni liberi, che si trovano nella zona di tipo n, attraversano quindi la
giunzione e, in prossimità di essa, occupano le lacune della zona di tipo p. Tale ricombinazione
determina una diminuzione delle cariche libere in una piccola regione a cavallo della giunzione,
chiamata strato di svuotamento (depletion layer o transition region).
Si osservi che in prossimità della giunzione si determina un eccesso di elettroni (cariche negative)
nella zona di tipo p, rispetto alle cariche positive presenti, e, allo stesso modo, una diminuzione di
elettroni nella zona di tipo n. Immediatamente ai lati della giunzione, dunque, vi sono cariche fisse
negative nella zona p (elettroni collocati nelle presistenti lacune) e positive a destra (protoni nei nuclei
degli atomi pentavalenti non più compensati da quegli elettroni che si sono trasperiti nella zona p);
lontano dalla giunzione, invece, ogni carica fissa è elettricamente neutralizzata dalla corrispondente
carica mobile di segno opposto. La presenza di cariche non neutralizzate (uncovered charges) ai lati
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della giunzione determina la creazione di un campo elettrico e, quindi, di una differenza di potenziale
di valore massimo V0 (Fig.5), con la zona di tipo p (che ha ricevuto elettroni) a potenziale negativo
rispetto alla zona n (che li ha ceduti). Viene così ostacolata l'ulteriore diffusione delle cariche mobili
di tipo maggioritario. Soltanto quelle dotate di energia sufficiente a vincere la barriera di potenziale,
cioè W = q V0, possono attraversare la giunzione. La corrente di diffusione, quindi, diminuisce
all'aumentare di V0. Bisogna ricordare, però, che nel cristallo sono presenti anche le cariche
minoritarie; in particolare delle lacune nella zona di tipo n, e degli elettroni nella zona di tipo p. La
barriera di potenziale agevola il passaggio attraverso la giunzione di tali cariche minoritarie, che
originano, quindi, una corrente di drift.
zona P
zona N
Fig.5
Fig.6
In corrispondenza alla giunzione coesistono, dunque, sia una corrente di diffusione Il sia una corrente
di drift I2, dirette però in senso opposto (Fig.6).
Al crescere di V0 si riduce la corrente di diffusione, inizialmente preponderante, finché non diventa
uguale a quella di drift: diventando nulla la carica complessiva che attraversa la giunzione, la d.d.p.
V0 non può variare ulteriormente e si giunge ad una situazione di equilibrio. Il valore di V0 è appena
inferiore al Volt.
B. Deiodi a giunzion.
Il diodo a giunzione è costituito da un cristallo di materiale semiconduttore (germanio o silicio), in cui
sono a diretto contatto due zone drogate rispettivamente con impurità di tipo p e di tipo n. Il diodo è
essenzialmente una giunzione, che viene opportunamente polarizzata tramite un circuito elettrico
esterno. Più in dettaglio, polarizzare una giunzione p-n significa applicare ai terminali metallici,
collegati alle zone p ed n di cui si è detto sopra, una tensione V, che risulta localizzata ai capi della
giunzione p-n. A circuito aperto, si è detto che è presente in equilibrio un certo potenziale di contatto
V0. Applicando una tensione tramite dei contatti ohmici, a seconda della polarità di V la barriera di
potenziale può aumentare o diminuire ed in corrispondenza si ha una polarizzazione inversa o diretta
(reverse/ direct biased junction).
B.1 Diodo polarizzato inversamente.
In Fig.7 il polo negativo della batteria V è collegato alla zona p e quello positivo alla zona n. La d.d.p.
V è allora concorde con V0 e l'altezza della barriera di potenziale viene aumentata. Diminuisce di
conseguenza la corrente di diffusione e prevale, quindi, quella di drift.
Infatti, lacune della zona p vengono attratte dal polo negativo della batteria V ed elettroni liberi della
zona n vengono attratti dal polo positivo della batteria V. Il depletion layer si allarga, aumenta cioè il
numero di ioni non neutralizzati ai lati della giunzione e, quindi, l'altezza della barriera di potenziale.
Al crescere in valore assoluto della tensione V, la corrente di diffusione diminuisce fino ad annullarsi:
rimane allora la sola corrente di drift, I0, indipendente da V. Tale corrente viene detta inversa (reverse
current): essa è normalmente trascurabile rispetto a quella che potrà attraversare la giunzione in senso
diretto ed è dipende fortemente dalla temperatura, crescendo con essa circa esponenzialmente. Si deve
infatti ricordare che la corrente di drift è dovuta alle cariche minoritarie (lacune di n che passano in p
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ed elettroni liberi di p che passano in n), cioè coppie elettrone-lacuna del cristallo base il cui numero
dipende esclusivamente, e fortemente, dalla temperatura.
V
Fig.7
V
Fig.8
Tensione di rottura: Se la tensione V che polarizza inversamente la giunzione p-n assume valori
troppo elevati, avviene la così detta rottura (breakdown): la corrente inversa cresce rapidamente a
tensione presso che costante, determinando la distruzione della giunzione, se non viene
opportunamente limitata tale corrente e, quindi, la potenza dissipata sulla giunzione stessa. Il
fenomeno può essere dovuto a due cause: l'effetto Zener oppure l'effetto valanga o entrambi. L 'effetto
Zener è prevalente per tensioni di breakdown inferiori alla decina di Volt. Esso determina un
aumento delle cariche minoritarie dovuto alla rottura di nuovi legami covalenti ad opera del campo
elettrico, divenuto particolarmente intenso. L’effetto valanga (avalanche effect) prevale quando la
tensione di rottura è superiore alla decina di Volt. Ad opera dell'elevato campo elettrico le cariche
che attraversano la giunzione per drift acquistano una velocità molto elevata. Nell'urto contro gli
atomi di semiconduttore, l'elevata energia cinetica ceduta è sufficiente a rompere nuovi legami
covalenti, determinando una moltiplicazione "a valanga" delle cariche disponibili per la conduzione.
Il breakdown può avvenire per tensioni molto diverse, secondo il drogaggio: da pochi Volt a oltre
1000V.
B.2 Diodo polarizzato direttamente.
In Fig.8 il polo positivo della batteria è collegato alla regione di tipo p e quello negativo a quella di
tipo n. La d.d.p. V è allora discorde da quella V 0 e l'altezza della barriera di potenziale viene
diminuita. Sulla corrente di drift prevale quella di diffusione, che può assumere valori molto maggiori
della prima, tanto più quanto maggiore è V. Il meccanismo della conduzione diventa il seguente. Nel
circuito esterno circolano, naturalmente, soltanto elettroni, uscenti dal polo negativo ed entranti in
quello positivo della batteria. Da un lato elettroni escono dal polo negativo della batteria, entrano e si
diffondono nella zona n. Dall'altro lato elettroni dalla zona p entrano nel polo positivo della batteria,
che ha determinato la rottura dei loro legami covalenti e la formazione di nuove lacune. La corrente
nel cristallo, prevalentemente di diffusione, è costituita da elettroni e lacune: elettroni liberi passano
da n a p e qui si ricombinano. Lacune passano da p a n e qui si ricombinano. Tale corrente,
prevalentemente di diffusione, si dice diretta (direct current): essa è funzione, soprattutto, della
tensione applicata e, in minor misura, della temperatura. Il suo valore diventa decisamente più grande
di quello I0 della corrente inversa solo quando V supera un determinato valore, detto tensione di
soglia (threshold voltage). Normalmente per il germanio si ha una tensione di soglia di 0,1 V; per il
silicio, invece, essa vale 0,5 V.
Massima tensione diretta. Quando V tende ad annullare V0, non esiste più il depletion layer: la
barriera di potenziale non limita più il valore della corrente diretta, che viene limitata
esclusivamente dal circuito esterno. La tensione V, tuttavia, non si trasferisce tutta ai capi della
giunzione, perché non è più trascurabile la caduta di tensione sui contatti metallici e sul
semiconduttore drogato, esterno al depletion layer. La corrente deve però essere limitata dal circuito
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esterno, se si vuole evitare la distruzione del dispositivo. La massima tensione V non distruttiva è
dell'ordine del Volt per il silicio e di qualche decimo di Volt per il germanio.
Macroscopicamente, il diodo presenta una resistenza assai piccola ad una corrente avente verso
convenzionale diretto (all'interno del cristallo) dalla zona di drogatura p alla zona a drogatura n,
mentre interdice praticamente ogni circolazione di corrente in verso opposto. Questo fatto può essere
rilevato sperimentalmente mediante il circuito riportato in Fig.9.
Fig.9
Fig.10
Quando la tensione U applicata al diodo D è positiva, l'amperometro indica la circolazione di una
corrente, che va crescendo col crescere della tensione applicata. Si dice allora che il diodo è
polarizzato direttamente e si trova in stato di conduzione. Se invece il diodo è sottoposto a una
tensione negativa, l’amperometro non dà alcuna indicazione apprezzabile di corrente e si dice che il
diodo è polarizzato inversamente e si trova in stato di interdizione. È evidente quindi che la giunzione
p-n che costituisce il diodo si comporta come una «valvola» che permette la circolazione della
corrente in un dato verso, mentre la impedisce nel verso opposto. Ciò vuol dire, in altri termini, che il
diodo è un dispositivo a semiconduttore assimilabile a un interruttore ideale comandato (con rapidità
elevatissima) dalla sua stessa tensione o corrente: l'interruttore (diodo) è chiuso, cioè in conduzione,
se la corrente che lo atraversa è positiva e si apre nel momento in cui la corrente si annulla e tende ad
invertirsi (per diventare negativa): è invece aperto, cioè non in conduzione, se la tensione applicata è
negativa ed esso si chiude nel momento cui cui la tensione si annulla e tende ad invertirsi (per
diventare positiva). Questo particolare comportamento del diodo a giunzione viene messo in evidenza
dal grafico di Fig.10 che rappresenta la caratteristica di conduzione del diodo. Come si può osservare,
quando la tensione applicata assume valori positivi (tensione diretta U D), il diodo si lascia
liberamente attraversare da una corrente diretta ID la cui intensità è tanto maggiore quanto maggiore è
la tensione diretta applicata. Per ogni diodo disponibile in commercio è fissato un valore della
corrente massima diretta che non deve mai essere superato poiché, al disopra di questa intensità di
corrente, il riscaldamento diventa intollerabile per la buona conservazione del dispositivo. Assegnata
la curva caratteristica del diodo si può analizzare il funzionamento di un circuito che includa il diodo
stesso. Si consideri ad esempio il circuito di Fig.11. In serie con il generatore di f.e.m. E si ha il diodo
D e la resistenza di carico R. Tra la corrente I e la tensione U esistente ai capi A e K del diodo si ha il
legame funzionale dato dalla curva di Fig.12.
Fig.11
Fig.12
Fra gli stessi punti A e K vale anche la relazione U = E -R I, caratteristica del bipolo costituito dal
generatore di f.e.m. E e dalla resistenza di carico R: nel diagramma tale relazione è rappresentata dalla
cosiddetta retta di carico tra P1 e P2. Il punto P1 è determinato dalla tensione a vuoto Uo = E; il punto
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P2 dalla corrente di cortocircuito Icc = E/R. E' evidente che l'intersezione tra la caratteristica del diodo
e quella del carico determina l'unico punto P (punto di lavoro) che appartiene sia alla caratteristica del
diodo che alla retta di carico, e perciò definisce la tensione U e la corrente I a cui il circuito si porta a
funzionare.
C. Transistore ad effetto di campo a giunzione (JFET).
Il transistore ad effetto di campo a giunzione (JFET, Junction Field Effect Transistor) è costituito da
una barretta di semiconduttore (Silicio, raramente Germanio) debolmente drogato ai cui lati si hanno
due zone drogate in modo opposto e più intensamente. Le zone laterali sono chiamate gate (G), e
quella centrale canale. Esistono due tipi di transistore: il tipo a canale n (più diffuso) e il tipo a canale
p. Si chiama source (sorgente, S) l'estremità del canale da cui provengono i portatori di carica, e drain
(pozzo, scarico, D) l'estremità verso cui si dirigono.
C.1 Tensione di pinch-off.
Si consideri, ad esempio, un transistore a canale n, come in Fig.1. Se si polarizza inversamente la
giunzione gate-canale, e la corrente di drain è nulla (ID = O), attorno alla giunzione si ha una zona di
svuotamento e la corrente di gate è nulla. Si può osservare che in assenza di corrente circolante nella
barretta, tutti i punti del canale sono equipotenziali ed il depletion layer presenta, quindi, spessore
uniforme (Fig.1). Quanto maggiore è la tensione VGS di polarizzazione inversa, tanto più si allarga la
zona di svuotamento e si restringe il canale. Ad ogni valore di V GS corrisponde una sezione del canale
e quindi una diversa resistenza tra drain e source. Si ottiene dunque una resistenza controllata dalla
tensione di polarizzazione inversa (voltage controlled resistance, VCR). Poiché il canale è drogato più
debolmente del gate, la zona di svuotamento si estende notevolmente nel canale ed il controllo è
molto sensibile. All'aumentare della polarizzazione inversa, ad un certo punto, quando la tensione di
polarizzazione inversa gate-canale raggiunge il valore detto tensione di pinch-off (VP), la zona di
svuotamento occupa tutto il canale che risulta privo di cariche libere. In corrispondenza, la resistenza
tra i terminali D e S, teoricamente infinita, è dell'ordine del M .
C.2 Zona a corrente costante.
Si supponga ora VGS = 0, e al drain sia applicata una tensione positiva rispetto al source, V DS > 0, come
in Fig.2. In presenza di piccole tensioni VDS la la sbarretta di tipo n si comporta come una semplice
resistenza a semiconduttore, e la Id cresce
linearmente con VDS. Al crescere della
corrente, la caduta resistiva tra regione del
canale e gate polarizza inversamente la
giunzione e la parte conduttrice del canale
comincia a restringersi, come evidenziato in
Fig.2. Il restringimento non risulta uniforme.
Al crescere della tensione si arriva ad una
strozzatura quasi completa del canale. Il
canale,
infatti,
non
può
chiudersi
completamente, perché verrebbe meno la
Fig.1
corrente e con lei anche la caduta di tipo
resistivo che attua la polarizzazione inversa.
La corrente Id dipende dalla mobilità delle cariche maggioritarie, ovvero dagli elettroni. Tale mobilità
è costante per campi magnetici inferiori a 1000 V/m. Dunque la corrente cresce con la tensione,
secondo la legge di Ohm. Quando il canale si strozza sulle cariche agiscono campi magnetici molto
elevati, per i quali la mobilità delle cariche risulta inversamente proporzionale al campo elettrico. Il
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risultato è che aumentando la tensione la corrente nella strozzatura rimane costante. Si giunge dunque
ad un equilibrio dinamico con una corrente costante ed uno spessore della strozzatura pure costante.
Al crescere ulteriore di VDS la zona strozzata si allunga, dunque si allunga il tratto in cui la velocità
delle cariche (data dal prodotto della mobilità per il campo elettrico) è costante.
Fig.2
Naturalmente, se si applica anche una tensione VGS il canale risulta già in parte (ed uniformemente)
strozzato, per cui si arriverà alla stozzatura (pinch off) con una tensione canale-gate dovuta alla caduta
resistiva inferiore, ovvero con correnti di drain più basse e tensioni V DS minori, come si può
riscontrare nelle caratteristiche d’uscita del componente.
C.3 Curve caratteristiche del JFET.
Il funzionamento del transistore è rappresentato completamente dalla famiglia delle caratteristiche di
drain o d'uscita. Queste rappresentano la corrente di drain ID in funzione della tensione drain-source
VDS, con parametro la tensione gate-source VGS. Una tipica caratteristica (ID, VDS) è riportata in
Fig.3. Nel tratto di funzionamento normale oltre la tensione di pinch-off, ID è costante e il suo valore
dipende solo da VGS. Con buona approssimazione il circuito equivalente del transistore FET può
essere rappresentato da un generatore ideale di corrente comandato in tensione da V GS, cosi come
rappresentato in Fig.4. La grandezza gm = ID/VGS viene definita transconduttanza. Per quanto
riguarda l'ingresso del transistore, si presenta come un diodo polarizzato inversamente, ed ha quindi
resistenza elevatissima (anche 1011 ). La corrente di gate IG è dunque praticamente nulla, e ciò
giustifica la parte sinistra del circuito di Fig.4. Si può concludere che il FET può considerarsi un
dispositivo controllato solo in tensione.
Fig.3. – Caratteristica d’uscita di un JFET.
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Fig.4
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Fig.2 - MOSFET
D. MOSFET di potenza.
I transistori MOSFET di potenza, detti anche FET a struttura verticale o VMOS poiché la corrente li
attraversa da una parte all'altra, interessando tutta la superficie del dispositivo, possono avere correnti
nominali di drain fino ad alcune centinaia di ampere e tensioni di blocco UDS pure di qualche
centinaia di volt. Sono componenti veloci, capaci di frequenze di lavoro elevate, perché possono
commutare fra gli stati ON e OFF in tempi dell'ordine della decina di nanosecondi, molto inferiori a
quelli dei BJT di potenza. I MOSFET di potenza trovano applicazione come interruttori statici nei
controlli dei motori, negli alimentatori switching, nel comando delle bobine dei relè, oltre che come
componenti negli stadi di uscita audio di potenza. Un semplice esempio di impiego è mostrato in Fig.2
a) ove un MOSFET è impiegato come interruttore per comandare un carico R-L. Nella Fig.2 b) sono
rappresentate le caratteristiche UDS-ID oltre alla retta statica di carico. Il guadagno di potenza del
MOSFET è molto alto, richiedendosi una modestissima potenza d'ingresso per il pilotaggio. Il
dispositivo entra in conduzione quando al gate è applicata una tensione positiva superiore ad una
soglia che varia fra 0.8 e 2V, mentre non è praticamente assorbita corrente 1. Un livello di tensione
alto al terminale G porta in conduzione il MOSFET (stato ON) e il punto di lavoro si stabilizza nel
punto S della Fig.2 b). E' essenziale nelle applicazioni di potenza, come si vede per i BJT, che il punto
di lavoro in conduzione cada alla sinistra della linea s tracciata in Fig.2 b) nella cosiddetta regione
resistiva del dispositivo. Ciò al fine di ridurre al minimo la perdite di potenza che non sarebbero
sopportabili dal MOSFET se lavorasse nella regione lineare a destra della linea s. Allo scopo la
tensione di pilotaggio applicata al gate deve essere sufficientemente alta, in genere compresa fra 10 e
15 V. Un tensione negativa o nulla al gate porta invece all'interdizione il MOSFET (stato OFF). La
sua corrente va a zero, mentre la corrente del carico, che non può estinguersi istantaneamente per la
presenza dell'induttanza, si richiude attraverso il diodo D per decadere con costante di tempo L/R. Si
previene così la sovratensione distruttiva che si verrebbe a manifestare sul MOSFET se la corrente
induttiva fosse bruscamente interrotta. Il punto di lavoro in interdizione finisce in B in Fig.2 b), ove
tutta la tensione della sorgente Us è applicata fra drain e source del dispositivo. Si comprende che tale
tensione non deve superare le capacità di tenuta del MOSFET oltre le quali si ha una distruttiva
scarica a valanga (breakdown). Una caratteristica peculiare del MOSFET di potenza è che la loro
struttura interna fa sì che fra source e drain venga a individuarsi un diodo parassita che è stato
indicato a tratteggio in Fig.2 a). Ciò impedisce al componente di sostenere tensioni inverse, mentre
conduce corrente inversa indipendentemente dalle condizioni di pilotaggio (Fig.2 b)). In molte
applicazioni tuttavia questo è un vantaggio, anche perché il diodo parassita ha in genere caratteristiche
statiche e dinamiche comparabili con quelle del MOSFET che lo ospita e può essere impiegato come
diodo di potenza in tutti quei circuiti ove un diodo è richiesto in antiparallelo all'interruttore statico.
1 Poiché nelle applicazioni di potenza il comando che si vuole realizzare è di tipo ON-OFF, esso può realizzarsi con un
comparatore o con una porta logica CMOS (ma sono possibili anche pilotaggi con logica TTL).
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E. Transistori bipolari a giunzione (BJT).
Il transistore bipolare a giunzione (BJT, Bipolar Junction Transistor) è costituito da un
semiconduttore (silicio o germanio) diviso in tre parti drogate alternativamente in modo diverso, di
tipo p o di tipo n. Esistono quindi due tipi di transistore: il tipo p-n-p e il tipo n-p-n. La zona centrale
molto sottile e poco drogata viene chiamata base (H); le altre due zone sono dette emettitore (E) e
collettore (C). Essenzialmente l'emettitore è una sorgente di cariche di maggioranza che passano
attraverso la base e per la maggior parte raggiungono il collettore (Fig.13). Poiché la base è molto
sottile e debolmente drogata, piccola è la frazione di cariche catturate dal suo elettrodo.
Fig.13
Fig.14
Ovviamente per la corrente è valida la relazione IE = IB + IC. Il rapporto
= IC/IB è detto
coefficiente di amplificazione di corrente. In pratica esso dipende solo dalla struttura della base e non
dalle tensioni collettore-emettitore (UCE) o base-emettitore (UBE); ha valore sensibilmente costante
e compreso tra 10 e 150. Ad esso è dovuto il potere amplificatore del transistore, essendo IC = IB: al
variare della corrente di base IB varia la corrente di collettore IC; in questo senso il BJT è detto «a
comando di corrente». Nel funzionamento normale, cioè quando il transistore è in conduzione, la
giunzione base-emettitore è polarizzata direttamente e la giunzione base-collettore è polarizzata
inversamente (Fig.14). Perciò normalmente UBE è dello stesso segno di UCE. Quando la giunzione
base-emettitore è polarizzata inversamente si ha IB = 0 (per il BJT al silicio è sufficiente che sia
cortocircuitata), allora il transistor non conduce (resta solo una debole corrente di minoranza). In
Fig.15 sono riportate le caratteristiche di collettore o d'uscita. Esse rappresentano la corrente di
collettore IC in funzione della tensione collettore-emettitore UCE, parametrizzate dalla corrente di
base IB. Si ha IC = f(UCE, IB). Nel tratto di funzionamento normale le curve sono quasi orizzontali,
appunto perché le Ic sono circa costanti, cioè indipendenti da UCE, quando si tenga costante IB.
In prima approssimazione questo funzionamento può essere rappresentato da un circuito
equivalente costituito da un generatore ideale di corrente comandato da IB così come nella parte destra
della Fig.17, in cui IC= IB.
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Fig.15
Fig.16
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Fig.17
Al di sotto del ginocchio invece non si ha più questo funzionamento; UCE è bassa, inferiore a UBE,
si inverte la polarizzazione della giunzione B-C, entrambe le giunzioni conducono. In Fig.16 sono
riportate le caratteristiche di base o di ingresso. Rappresentano la corrente di base IB in funzione della
tensione base-emettitore UBE. Le curve sono parametrate dalla tensione collettore-emettitore UCE. In
realtà esse dipendono poco da UCE e spesso viene fornita una sola curva. In prima approssimazione,
allora, poiché la corrente IB dipende solo dalla tensione UBE, nel circuito equivalente di Fig.17 si
dispone la resistenza RBE. Questa figura nel suo complesso rappresenta quindi il circuito equivalente
semplificato del transistore BJT.
F. Transistore bipolare di potenza.
Il transistore bipolare (bipolar junction transistor: BJT) è un componente a semiconduttore a tre
strati e, quindi, due giunzioni n-p generalmente noto come amplificatore di segnale (vedi sopra). In
questo contesto se ne illustra l'impiego come interruttore statico di potenza (power switch). Per
descrivere
le
condizioni
operative di un transistore di
potenza
funzionante
da
interruttore statico si faccia
riferimento alla Fig.1 a) ove è
mostrato un circuito in cui un
transistore di potenza è
utilizzato come interruttore per
connettere o no un carico
resistivo R ad una sorgente di
f.e.m. Us. La Fig.1-b) illustra le
a)
caratteristiche UCE - IC del
Fig.1 – Caratteristiche del transistor di potenza
transistore assieme alla retta di
carico definita dall'equazione
IC = (US - UCE)/R. Si supponga dapprima che l'interruttore S sia aperto cosicché nessuna corrente
interessa la base del transistore: IB = 0. Il punto di lavoro corrisponde pertanto al punto B nella Fig.1b) corrispondente all'intersezione fra la curva del transistore a corrente di base nulla con la retta di
carico. Si dice in questo caso che il transistore è in condizioni di blocco (OFF) ed esso è assimilabile
ad un interruttore aperto essendo molto piccola la corrente di collettore che lo percorre mentre la
tensione UCE è praticamente pari alla tensione US della sorgente di alimentazione. Esiste un limite
superiore alla tensione che un transistore di potenza è capace di sostenere in condizioni di blocco,
superato il quale si hanno effetti distruttivi della sua struttura interna (breakdown). Se ora s’invia una
corrente di base IB non nulla come la IB1 il punto di lavoro si sposta in A che si trova nella regione di
funzionamento lineare o regione attiva del transistore. Essa corrisponde al settore che sta fra l'asse
orizzontale e la retta a ed è la regione di funzionamento tipicamente impiegata nelle applicazioni del
transistore come amplificatore di segnale, ma accuratamente da evitare nei transistori di potenza.
Infatti, le correnti e le tensioni usualmente in gioco sono tali che la dissipazione di potenza nel
transistore operante in A non è assolutamente sopportabile, neanche per tempi brevissimi. Inviando
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invece una corrente di base come la IB3 il punto di lavoro si sposta in S ove si manifesta la minima
tensione UCE possibile per quella corrente di collettore, quest'ultima essendo circa pari a US/R. Il
regime di funzionamento descritto da punti come S che stanno sulla linea s prende il nome di
funzionamento in saturazione e la tensione fra collettore ed emettitore corrispondente è indicata con
UCEsat. In virtù della piccola caduta di tensione la potenza dissipata dal transistore è in questo caso
modesta anche con correnti notevoli e quindi il funzionamento in saturazione è adatto alle
applicazioni di potenza. Si afferma che il transistore è in conduzione (ON) ed esso è ora assimilabile
ad un interruttore chiuso. I passaggi dal funzionamento in blocco a quello in conduzione e viceversa
non sono in pratica istantanei, ma, con adeguate correnti di base, sono comunque estremamente
rapidi. Per contenere le durate di tali transizioni e l'energia dissipata ad esse connessa, il punto di
funzionamento in conduzione può essere portato in Q, nel settore fra le linee s ed a, detto di quasi
saturazione, caratterizzato comunque da una ridotta caduta di tensione. Lo studio del comportamento
fin qui fatto è stato limitato a tensioni UCE e correnti IC maggiori di zero. Sono queste in effetti le
sole condizioni di pratica utilità: i componenti BJT non ammettono, per la loro struttura interna,
correnti collettore-emettitore negative e la tensione di blocco inversa non supera i 20 V. Le perdite di
potenza dei BJT possono esser distinte in perdite per conduzione e perdite per commutazione. Le
prime sono dovute alle già citate cadute di tensione e correnti di conduzione come in un qualsiasi
conduttore. Le seconde si manifestano durante i cambiamenti di stato, dipendono dalle modo di
comando del transistore e dal circuito nel quale è inserito oltre ad essere proporzionali alla frequenza
con cui si ripetono le commutazioni. I transistori di potenza oggigiorno disponibili sono capaci di
sostenere tensioni di blocco che vanno da 100 V a 1000 V con correnti di conduzione comprese
rispettivamente fra qualche centinaio e qualche decina di ampere. I tempi di transizione dallo stato
ON a quello OFF e viceversa sono in genere di 10-20 s e la frequenza di commutazione arriva a
qualche KHz. I transistori di potenza hanno avuto grandissima diffusione, ma ad essi sono attualmente
quasi sempre preferiti i transistori IGBT.
G. Insulated Gate Bipolar Transistor (IGBT).
La capacità del FET di condurre corrente è severamente limitata dalla intrinseca elevata resistenza
dello strato attivo. Per evitare dissipazioni eccessive la densità di corrente deve essere quindi limitata
ad un basso valore. Pertanto per raggiungere correnti elevate sono necessarie ampie aree di silicio. I
transistori bipolari, costruttivamente diversi, permettono densità di corrente maggiori. L'ibridazione di
tecnologia FET e BJT costituisce un passo avanti fondamentale nella moderna elettronica di potenza,
e forma la base tecnologica degli IGBT .
Tecnologia: L 'IGBT è un dispositivo a quattro strati i cui componenti essenziali sono un MOSFET
ed un transistore bipolare del tipo PNP. Il suo circuito equivalente è rappresentato in Fig.8.
Fig.8
Fig.9
La base del transistore PNP è alimentata direttamente dal MOSFET. Quindi la connessione di gate
dell'IGBT è isolata dalla base del bipolare attraverso il MOSFET. Di qui l'origine del termine
Insulated Gate Bipolar Transistor (IGBT). Il transistor NPN presente è un elemento "parassita", che in
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determinate condizioni di corrente di emettitore può causare la perdita di controllo da parte del gate.
Questo fenomeno, abbastanza complesso, prende il nome di latch-up ("chiavistello").
G.1 Caratteristiche dell'IGBT.
La caduta di tensione dell'IGBT è la somma della caduta di un diodo della giunzione PN (baseemettitore del transistor PNP) e di quella del MOSFET di comando. La Fig.9 illustra la caduta di
tensione di due IGBT e di un MOSFET di uguale area di chip ed a pari corrente. La maggiore
limitazione dell'IGBT è rappresentata dalla bassa velocità di turn-off, dovuta al tempo di vita delle
cariche minoritarie della base del PNP. Tale base non è accessibile per cui non è possibile agire
dall'esterno per ridurre il tempo di commutazione. La tecnologia attuale consente comunque tempi di
ON e di OFF inferiori al microsecondo, per dispositivi di media potenza (decina di ampere). Per
quanto riguarda la capacità di sopportare sovracorrenti, è da ricordare che questa è determinata da
sole considerazioni termiche e che è possibile che un semiconduttore non possa sopportare una
corrente elevata poiché, ad elevate correnti, il suo guadagno scende a valori molto bassi. Questo
comporta un aumento della corrente di pilotaggio e della relativa tensione base-emettitore, con
riscaldamento della giunzione. Il guadagno degli IGBT raggiunge un massimo a valori di corrente
molto superiori a quelli di un bipolare e di un MOSFET, per i quali il guadagno diminuisce già al
limite della corrente nominale. La migliore situazione dell'IGBT lo rende dunque in grado di
sopportare transitoriamente anche correnti molto elevate. Esse provocano la desaturazione del
componente, che deve essere prontamente rivelata con appositi circuiti di misura, per evitare la
distruzione del componente.
H. Il tiristore (SCR).
Il tiristore C è un dispositivo a semiconduttore destinato a svolgere la funzione di raddrizzatore
controllato. Strutturalmente il tiristore è costituito da un cristallo di silicio compreso fra due elettrodi
principali A (anodo) e C (catodo), suddiviso in quattro strati aventi ordinatamente, a partire
dall'anodo, caratteristiche di drogatura p-n-p-n, come è illustrato nella Fig.5: allo strato p intermedio
fa capo un terzo elettrodo ausiliario G, designato col termine inglese gate (porta); funzione di questo
elettrodo è controllare 1o stato di conduzione o di blocco della corrente che circola dall'anodo verso il
catodo.
Fig.5
Fig.6
Il passaggio della corrente in senso inverso è
invece permanentemente bloccato, come avviene
nei diodi a giunzione. Il tiristore cosi descritto
viene realizzato costruttivamente nella forma
indicata in Fig.5 a) e viene rappresentato
convenzionalmente con il simbolo di Fig.5 b) o
c). Il simbolo è analogo a quello del diodo a
giunzione, dal quale differisce soltanto per
l'indicazione dell'elettrodo di controllo G.
Fig.7
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Per spiegare il comportamento del dispositivo si osservi che la presenza delle tre giunzioni G 1, G2 e
G3 fra strati caratterizzati da drogatura di tipo opposto fa si che il tiristore possa essere rappresentato
schematicamente come una connessione in serie di tre diodi a giunzione, nella forma indicata in Fig.6.
Si comprende allora facilmente come, in assenza di un segnale di controllo applicato all'elettrodo G, il
tiristore interdica la circolazione di corrente tanto in un verso che nel verso opposto. In particolare se
il tiristore viene sottoposto a una polarizzazione inversa (l'anodo e il catodo vengono connessi
rispettivamente al polo negativo e al polo positivo di un generatore}, mentre il diodo D2
corrispondente alla giunzione G2 sarebbe favorevole alla circolazione di corrente, i diodi D1 e D3
risultano invece bloccati. In queste condizioni il tiristore è interdetto e la circolazione di corrente è
limitata alla corrente inversa di fuga, che è dovuta al flusso di cariche di minoranza, come la corrente
inversa di un diodo a giunzione, ed è quindi assai debole. Questa situazione permane fino a che la
tensione di polarizzazione inversa non raggiunge il valore VI cosi elevato da dare origine alla
conduzione per scarica a valanga (Fig.7). Questo fenomeno si innesca per tensioni limite che variano
da tipo a tipo di tiristore e che possono giungere anche fino a un migliaio di volt. Se invece il tiristore
è polarizzato direttamente (anodo e catodo connessi rispettivamente al polo positivo e al polo negativo
di un generatore), la situazione di blocco della corrente è assicurata dalla polarizzazione inversa del
diodo D2. Anche in questo caso si ha tuttavia la circolazione di una debole corrente diretta di fuga,
che assume il carattere di una scarica a valanga solo quando la tensione di polarizzazione raggiunge
un valore limite VD analogo a quello per cui avviene la scarica in senso inverso. In conclusione nel
tiristore è interdetta la circolazione di correnti rilevanti sia dirette che inverse. Il comportamento di
blocco fin qui descritto è rappresentato dalla curva caratteristica del tiristore, riportata in Fig.7.
H.1 Innesco del tiristore.
Se in un istante t in cui il tiristore è polarizzato direttamente si applica fra l'elettrodo di controllo G e
il catodo K una tensione che provochi la circolazione da G verso K di un debole impulso di corrente
anche di durata molto breve, si verifica lo sblocco immediato del diodo D2 e il tiristore assume una
caratteristica di conduzione del tutto paragonabile a quella di un diodo a giunzione direttamente
polarizzato; esso ammette cioè il passaggio di una corrente diretta dall'anodo verso il catodo di
intensità anche elevata, a cui corrisponde il tratto
OF della caratteristica. L’SCR può essere visto
infatti come l’interconnessione di due transistor, un
pnp ed un npn. E’ importante notare che la base di
ciascun transistor è pilotata con una corrente che
è volte la sua corrente di collettore Se il prodotto
dei guadagni dei due transistor è superiore all’unità,
si può dimostrare che, una volta che un po’ di
corrente sia cominciata a scorrere, i due transistor
si piloteranno a vicenda fino alla saturazione. Un
breve impulso al terminale di gate è una possibile
strada per dare il via a questo processo. E’
importante ricordare che, una volta che l'impulso di corrente impresso all'elettrodo di controllo ha
eliminato la situazione di blocco del tiristore e lo ha condotto in stato di conduzione, la nuova
situazione permane inalterata anche dopo la fine dell'impulso stesso: l'elettrodo G dunque perde il
controllo del tiristore e lo riacquista solo quando il dispositivo sarà ritornato in condizione di blocco.
Quest'ultimo fatto si verifica quando la corrente che attraversa il tiristore da A a K scende per
qualsiasi ragione al disotto di un determinato valore IDm (corrente di automantenimento). Dall'esame
delle caratteristiche si può osservare che il comportamento del tiristore nello stato di blocco è
assimilabile a quello di una resistenza di valore molto elevato, mentre nello stato di conduzione esso
corrisponde abbastanza bene a quello di una resistenza di valore molto basso: si parla in questo senso
di resistenza di blocco e di resistenza di conduzione del tiristore. Si sono realizzati tiristori aventi
resistenze di blocco dell'ordine di 100 k e resistenze di conduzione dell'ordine di 0,01 . La
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corrente di conduzione del tiristore è limitata soltanto dal pericolo che l'eccessiva potenza dissipata
sul dispositivo lo porti a temperature troppo elevate: la corrente massima di conduzione IM varia da
tipo a tipo di tiristore e può raggiungere valori dell'ordine delle migliaia di ampere; mentre le tensioni
sopportabili, dirette e inverse, sono dell'ordine di alcuni kilovolt.
Il più importante impiego dei tiristori si ha nella conversione industriale delle tensioni alternate
(monofasi o trifasi) in tensioni continue, con ottima possibilità di regolazione.
I.
I GTO.
Il termine GTO deriva da Gate Turn-Off thyristor per intendere un componente a semiconduttore
della famiglia dei tiristori, che presenta tre terminali: i due principali A (anodo) e K (catodo) e quello
di controllo G (gate). Un simbolo frequentemente impiegato per rappresentarlo è quello di Fig.4 a). Le
sue caratteristiche sono poco inferiori a quelle degli SCR, con in più la pregevole proprietà che un
impulso negativo di corrente applicato al terminale di controllo mentre il dispositivo è in stato di
conduzione (ON) consente di interdire la corrente e commutare il GTO nello stato di blocco (OFF).
Perciò il GTO è attualmente il dispositivo a semiconduttore dotato di comando di spegnimento,
capace di essere interessato dalle più alte tensioni e correnti.
Il passaggio dallo stato di blocco diretto a quello in conduzione avviene in modo del tutto simile a
quello dell'SCR mediante un impulso positivo di corrente al gate. Il passaggio inverso si ottiene
prelevando dal gate G una corrente sufficientemente elevata (in pratica dal 20 al 25% della corrente di
conduzione). Si osservi come tale intervento non
sia efficace per gli SCR perché la conformazione
estesa della loro giunzione G1, impedisce che un
impulso negativo di corrente (di ampiezza
sopportabile dall'SCR) riesca a interessare tutta la
b)
sezione del componente. Per ottenere questo
risultato i GTO hanno una struttura interna
ottimizzata all'uopo, che purtroppo comporta
anche capacità di blocco diretto leggermente
inferiori di quelle dei normali tiristori e cadute di
tensione un po' maggiori. Le caratteristiche di
uscita di un GTO possono essere rappresentate
Fig.4 – GTO
come in Fig.4- b) ove è evidenziata la possibilità
di comandare sia l'accensione che lo spegnimento del componente. I GTO si stanno comunque
affermando come gli interruttori statici a semiconduttore più adeguati per tutti i convertitori a
commutazione forzata di elevata potenza (tipica applicazione è la trazione elettrica ferroviaria).
Possono avere tensioni di tenuta diretta e inversa fino a 4000 V e correnti fino a 3000 A.
J.
Evoluzione dei dispositivi di commutazione.
I limiti di tensione e di corrente per i dispositivi elettronici di commutazione continuano a
crescere. Appaiono inoltre nel mercato nuovi componenti, più efficienti e veloci dei loro predecessori,
con costruzioni più compatte e dunque meno ingombranti. La Tab.I.2.5.a riporta i limiti di tensione e
corrente per gli attuali dispositivi di commutazione.
L'aumento di potenza gestibile con gli interruttori statici è legato all'aumento dell'area di wafer di
silicio utilizzabile, che a sua volta si è ingrandita per la possibilità tecnologica di distribuire in modo
uniforme le impurità nel processo di diffusione nel silicio.
Gli IEGT (Injection-Enhanced Gate Transistor) sono stati sviluppati da Toshiba come evoluzione
degli IGBT. Essi integrano una resistenza termica estremamente bassa con perdite ridotte di
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conduzione, e sono perciò adatti per applicazioni in cui si desideri ottimizzare gli ingombri e
l'efficienza. La massima resistenza termica giunzione-contenitore (junction-to-case thermalresistance) è di soli 8°K/kW. Un contenitore in Alluminio Silicio Carbonio (AlSiC) permette di
facilitare poi la dissipazione del calore verso l'ambiente e di aumentare il tempo di vita del
componente. I componenti IEGT sono adatti ad applicazioni di alta potenza, che includono
azionamenti per trazione elettrica (locomotive e tram), UPS (uninterruptible power supplies), impianti
di trasmissione e distribuzione dell'energia. Le dimensioni dell'IEGT MG1200FXF1US53 (3.3 kV, 1.2
kA, one-to-one) sono 140 x 190 x 38mm.
Gli HVIGBT (High voltage IGBT) e gli HVIPM (High Voltage Intelligent Power Modules) sono stati
sviluppati da Mitsubishi per sostituire i GTO (Gate Turn-Off Thyristor) e i transistor di potenza. E' stata
prestata una grande attenzione nell'aumentarne l'affidabilità rispetto ai dispositivi citati. Si sono ad
esempio introdotte tecniche di wire-bonding, di saldatura sotto vuoto per eliminare le bolle vuote, e la
successiva ispezione ai raggi X delle saldature interne. Rispetto ai GTO, i nuovi componenti possono
essere pilotati in tensione, per ridurre le dimensione dei circuiti di pilotaggio, e permettono frequenze
di commutazione più elevate (fino a 3 kHz). Rispetto ai GTO, hanno anche pesi ed ingombri ridotti, e
ridotta circuiteria esterna.
Tab.I.2.5.a - Limiti tecnologici per interruttori di potenza (anno 2000).
dispositivo
massima
tensione
massima
corrente
costruttore
IGBT
(Insulated Gate Bipolar Transistor)
3.3 kV
1.2 kA
diversi
4.5 kV
1 kA
6.5 kV
0.6 kA
Eupec
IEGT
(Injection-Enhanced Gate Transistor)
3.3 kV
1.2 kA
Toshiba
GTO
(Gate Turn-Off Thyristor)
6 kV
6 kA
Mitsubishi
HVIGBT
(High Voltage IGBT)
3.3 kV
1.2 kA
Mitsubishi
HVIPM
(High Voltage Intelligent Power Modules)
3.3 kV
1.2 kA
Mitsubishi
4.5 kV
4 kA
Mitsubishi
ETO
(Emitter Turn-Off Thyristor)
6 kV
4 kA
CPES
IGCT
(Integrated Gate Commutated Thyristor)
5.5 kV
2.3 kA
ABB
10 kV
2 kA
ABB
7.5 kV
1.65 kA
Powerex
12 kV
1.5 kA
Powerex
GCT
(Gate Commutated Turn-Off Thyristor)
SCR
(Silicon Controlled Rectifier)
Rispetto agli HVIBGT, gli HVIPM includono sofisticata circuiteria interna di controllo e
protezione, che elimina virtualmente tutti i guasti che normalmente possono affliggere un IGBT. Un
esempio di schema a blocchi di un HVIPM è riportato in Fig.I.2.5.a.
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Fig.I.2.5.a - Schema a blocchi di un HVIPM (Courtesy of Mitsubishi Co, Japan)
I picchi energetici (surge) di tensione durante lo spegnimento vengono monitorati attraverso un
sensore di corrente, come pure le sovracorrenti in conduzione (desaturation) e la tensione di
alimentazione insufficiente (supply undervoltage). Le applicazioni più frequenti degli HVIGBT e
HVIPM sono nella trazione (power trains) e nei laminatoi delle acciaierie (steel mill equipment). La
ricerca su questi componenti è ora rivolta verso la diminuzione delle perdite ed il contemporaneo
aumento della loro frequenza di commutazione.
I GCT (Gate Commutated Turn-Off Thyristor) sono stati studiati come ulteriore alternativa ai
GTO, per rimanendo tecnologicamente dei tiristori. Ad essi si possono accumunare anche gli ETO
(Emitter Turn-Off Thyristor), sviluppati dal Virginia Tech e gli IGCT, sviluppati dalla ABB. In tutti i
casi si tratta di componenti sviluppati con un'attenzione particolare per ottenere la minima induttanza
di gate possibile (pochi nH, cento volte più piccola dei GTO), in modo che sia possibile far transitare
attraverso il gate la corrente di drain, allo scopo di forzare lo spegnimento del componente, in tempi
brevissimi. La corrente nel gate durante lo spegnimento (turn-off) ha derivate dell'ordine di diversi
kA/s, pur mantenendo tensioni di gate di soli 20 V. Rispetto ai GTO, anche i GCT hanno frequenze di
commutazione maggiori (attorno ai 2-3 kHz) e perdite di commutazione ridotte di quasi il 50% a
carico. Risulta anche più facile il parallelo e la serie dei componenti, comuni nelle applicazioni che
richiedono tensioni e/o correnti più elevate di quelle che il singolo componente è in grado di
sopportare.
La tendenza attuale è quella verso la ricerca di dispositivi in grado di commutare a frequenze più
alte, con minori perdite, tensioni e correnti più alte, ingombri e pesi minori.
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