CLASSIFICAZIONI DELLE DISABILITA'
EDUCAZIONE RELIGIOSA
INSEGNAMENTO DELLA RELIGIONE
Relazione di Don GIUSEPPE MORANTE,
Docente presso il Pontificio Ateneo Salesiano
Premessa.
Si può dire che oggi il problema dei disabili raccoglie una certa sensibilità generale; ma da
questo a pensare che il loro problema educativo sia del tutto risolto, ne passa...
E' soprattutto il problema della loro educazione religiosa che sembra ancora molto lontano
da essere risolto sia nella scuola che nella parrocchia (se si eccettuino alcune istituzioni benefiche);
basti pensare che una pubblicistica al riguardo è quasi assente dal mercato, eccetto qualche
sporadico articolo che affronta questioni marginali.
Forse non è azzardato pensare che la dimensione etico religiosa della personalità non sia
stata finora adeguatamente valorizzata nella scuola neppure per i cosiddetti allievi normali, perché‚
si registra uno scarso interesse per il positivo ed integrale contributo che la religione può offrire al
disadattato. Per certi ambienti sociali si potrebbe parlare persino di malcelata diffidenza e sfiducia
per le ingerenze della religione che indebitamente si occupa dei disabili.
Il nostro impegno parte da tre postulati:
1. l'educazione religiosa è prima di tutto educazione dell'uomo, perché‚ la religiosità è una
caratteristica squisitamente umana della personalità;
2. ogni persona, perché‚ limitata, è un po' handicappato motivo per cui l'educazione religiosa
"specifica" per gli alunni disabili è valida anche per i "normali";
3. l'educazione religiosa a scuola si preoccupa di tutti coloro che necessitano di normalizzazione,
socializzazione e integrazione a qualsiasi livello, ma dimostra un'attenzione particolare per
ragazzi e adolescenti in difficoltà vitali.
L'azione didattica del "recupero" dovrebbe considerare le linee ortopedagogiche
fondamentali le (esigenze specifiche in rapporto con l'educazione morale) a complemento
dell'educazione religiosa. Se me sottolinea perciò l'importanza sia sotto l'aspetto teorico che sotto
quello operativo: cioè il valore educativo dell'espressione religiosa ed il significato pedagogico del
simbolismo.
Ogni principio di ortopedagogia religiosa però deve fondarsi sulle esigenze personali dei
soggetti, per cui necessita una conoscenza delle possibili classificazioni di handicappati.
1. - TIPOLOGIE DI DISABILITA' ED EDUCAZIONE RELIGIOSA
E' noto che una classificazione completa e difinitiva delle varie forme di disadattamento è
quasi impossibile; esistono nel settore varie teorie, in modo particolare per quanto concerne
l'eziologia del limite esaminato.
Di conseguenza, i termini impiegati dagli studiosi risentono delle ipotesi e delle prospettive
assunte da ciascuno; ne deriva una varietà molto vasta, di cui è bene aver presente il valore non
assoluto.
Le divergenze tuttavia possono e devono condurre ad una posizione di sintesi; in nessuna
teoria si trova tutta intera la verità, ma in ognuna vi è qualche elemento utile per l'armonia e
l'arricchimento.
Qualche tempo fa, facendo riferimento agli studi e sperimentazioni classiche, soprattutto
alcuni autori (Bissonnier) distinguevano due forme di disadattamento: handicappati per "agenesia" e
handicappati per "disgenesia"1
Per agenesia s'intende una relativa assenza di sviluppo della personalità psichica, dovuta ad
insufficienza intellettiva; cosi deboli mentali, i deficienti mentali, gli oligofrenici o ritardati
mentali...
Per "disgenesia" s'intende un'alterazione, una disorganizzazione della personalità psichica,
anche se sviluppata fino al più alto livello. Si tratta di soggetti che hanno intelligenza normale e
persino superiore, ma il loro comportamento presenta manifestazioni anormali dovute ad uno stato
interiore di angoscia incontrollabile, di fuga dalla realtà. Le loro forze interiori, anche se
considerevoli, si manifestano in modo tempestoso, oppure sono respinte con violenza da un Io tanto
più esigente quanto più disarmato (come i caratteriali, i nevrotici, gli psicotici, gli isterici).
Non è superfluo ricordare che le due anomalie possono coesistere nel medesimo soggetto e
influenzarne tutte le componenti della personalità psichica.
Ma forse gli IdR hanno bisogno di una classificazione più aderente alla realtà scolastica e
capace di favorire una più normale integrazione. Offriamo qualche esempio.
1.1. Una classificazione "pratica"
Una classificazione, abbastanza empirica, studiata da diversi autori e presentata in sintesi da
Hanselmann, si presta bene al nostro caso, perché‚ mentre distingue le varie categorie di handicap,
si offre ad una loro interpretazione ed ad un possibile intervento di ortopedagogia religiosa. Offre
agli insegnanti di religione possibili agganci psicopedagogici.
1.1.1. Handicappati nella percezione
Sono i soggetti con difficoltà per accettare e ricevere stimoli, in modo particolare ciechi
(frequenza secondo A. SANDERS: 0,31) e sordo-muti (frequenza: 0,35).
Le caratteristiche principali dei ciechi derivanti dalla mancanza della vista e quindi
evidenziati nel comportamento sono: isolamento, dipendenza dall'ambiente, mancanza di libertà nel
muoversi nello spazio e di conseguenze facilità di egocentrismo e frustrazione del sentimento di
libertà.
L'educazione religiosa per questi soggetti si può sempre fare: occorre creare per un clima
comunitario entro cui collocare i disabili tra altre persone.
Inoltre ad essi può essere offerta una proposta catechistica quasi normale, a condizione che
si offrano loro tutti gli strumenti necessari alla comprensione uditiva e tattile.
Caratteristiche principali dei sordomuti derivanti dalla mancanza dell'udito e della parola
sono: carenza di linguaggio, scarsità di strumenti per la comunicazione, modi di pensare diversi.
Per quanto concerne l'educazione religiosa bisogna tener conto che l'esperienza vitale della
parola è liberante, perché‚ la parola di un'altra persona ha la capacità di far muovere, di spingere...
1
Cfr. BISSONNIER H., Educazione religiosa e turbe della personalità, LDC Leumann (To); RIVA S., Recupero in
educazione religiosa, in “La pedagogia speciale ed i suoi metodi “(a cura di ZAVALLONI R., La Scuola, Brescia
1969; BOLTANSKI E., Bambini handicappati, Borla, Roma 1978)
Una specifica educazione religiosa suppone il superamento di una difficoltà preliminare:
integrare un patrimonio di almeno 500-600 parole nell'arco del processo evolutivo; senza di che la
sua possibilità è fortemente limitata.
1.1.2. Handicappati nell'elaborazione
Sono i soggetti capaci di vivere stimoli, ma incapaci di elaborarli o di elaborarli in maniera
approssimativa. Il loro handicap fondamentale è la riduzione dell'intelligenza e quindi la capacità di
comprendere messaggi.
A seconda della gravità della deficienza intellettiva si dividono in sottocategorie: deboli
mentali lievi, deboli mentali moderati, deboli mentali gravi, deboli mentali profondi.
Questi soggetti sentono il linguaggio, ricevono gli stimoli, ma non sono in grado di capirli;
alcuni capiscono il linguaggio in modo approssimativo; presentano perciò le seguenti
caratteristiche:
- rigidità della personalità (è portato a fare sempre le stesse cose anche se riceve stimoli
differenti),
- globalità nel percepire l'affettività (manifestano sempre un clima di festa anche in situazioni
feriali; il che è indice di povertà...);
- cambiamento improvviso di umore,
- tendenze biologiche molto sviluppate,
- instabilità e labilità di comportamento,
- egocentrismo
- dipendenza prolungata.
Quanto all'educazione religiosa, è necessario scegliere le parti più importanti: usando un
linguaggio semplice, chiaro, non veloce; visualizzare il linguaggio in modo da interessare altri
centri sensoriali; non presentare il Cristo storico perché‚ essi non hanno senso di storicità; ripetere
l'esperienza religiosa in altro ambiente di vita; far scoprire le bellezze che da soli non riuscirebbero
a cogliere; il materiale deve essere semplice e, secondo la gravità, scendere all’essenziale; il
comportamento religioso sarà… sempre legato ad una persona, non sarà mai certamente autonomo.
Quanto ad una proposta specifica di fede, è possibile se si tiene conto delle capacità di ogni
soggetto. Però la catechesi per deboli mentali deve sempre essere fatta in‚ équipe affinché‚ non si
identifichino nell'unica persona dell'educatore; è necessario non insistere sui fatti miracolosi,
perché‚ essi non si meravigliano dei miracoli, trovandoli normali.
1.1.3. Handicappati nell'espressione e relazione
Sono quei soggetti disabili, capaci di ricevere e di elaborare gli stimoli che ricevono, ma
sono incapaci di esprimere il risultato reale di ciò che hanno ricevuto ed elaborato: handacappati
fisici e neurologici (frequenza: 0.3); handicappati della parola (frequenza: 0,7); handicappati dei
disturbi affettivi (frequenza 0,9); ammalati cronici (frequenza: 0,2).
Gli handicappati fisici hanno, in genere, una normale intelligenza ma non accettano la loro
immobilità; cadono spesso in un atteggiamento vittimistico. Insieme agli handicappati neurologici
hanno spesso atteggiamenti di aggressività.
Gli ammalati cronici (tubercolotici, diabetici...) fondamentalmente sono egocentrici ed
esprimono atteggiamenti di accettazione degli altri come autodifesa della propria malattia.
Dal punto di vista della educazione religiosa non presentano difficoltà per la comunicazione
del messaggio salvifico; anche se bisogna tenere conto della lor particolare psicologia.
1.2. Una tassonomia "più scolastica
La tabella che segue descrive la tassonomia delle disabilità più diffuse in età scolare,
secondo il curricolo "Discipline a carattere biologico" dei nuovi programmi per i corsi di
specializzazione per insegnanti di sostegno, predisposti dal Ministero della Pubblica Istruzione. Ma
pedagogicamente è veramente praticabile?
TASSONOMIA DELLE DISABILITA'
Disabilità
Riferimenti esemplificativi
---------------------------------------------------------------------------------------------------------- --Senso-percettiva
VISIVA
- sensoriale (ciechi, ipovedenti)
- percettiva
UDITIVA
- sensoriale (sordi)
- percettiva
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------Esecutiva/prassica
Praticamente inesistenti
(focomelici, amputati, distrofici,
paraplegici, ecc.;
impropriamente
- spastici
--------------------------------------------------------------------------------------------------------------Integrativo-cognitivo
OLIGOFRENICI
decisionale
- disgenetici (es Down)
- acquisiti (es postasfittici, meningoencefalitici)
--------------------------------------------------------------------------------------------------------------Interpersonali
SOCIO-CULTURALE
- Socio-culturale
- deprivati socio-economici: immigrati,
iperprotetti (?)
- Affettivo-relazionale
AFFETTIVE-RELAZIONALI
- autistici (?), schizofrenici, disadattati
--------------------------------------------------------------------------------------------------------------Disabilità plurime
SORDO-CIECO
- ciechi e/o sordi+oligofrenici
- spastici+oligofrenici+disturbati relazionali
- oligofrenici e disadattati
--------------------------------------------------------------------------------------------------------------Altre
- dislessici, discalculici, ipercinetici
- difficoltà di apprendimento
- bisogni educativi speciali temporanei.
---------------------------------------------------------------------------------------------------------------
La classificazione (che tiene conto delle indicazioni dell'Organizzazione Mondiale della
Sanità) risulta propositiva e non esaustiva e prevede due comparti specifici:
- quello delle disabilità multiple;
- e quello di altre disabilità non facilmente classificabili; o di disabilità che, per ragioni
operative, si desidera classificare fuori dello schema precedente.
La classificazione consente di prendere in considerazione anche le voci sino ad ora non
previste dalla norma italiana ma prese in considerazione in altri paesi della Comunità Europea:
disturbi della personalità; turbe comportamentali (disabilità affettivo relazionali); disturbi
relazionali; minorazioni fisiche e disabilità motorie con danno cerebrale; bisogni educativi speciali;
difficoltà di apprendimento; difficoltà specifiche di apprendimento della lettura o della scrittura;
disturbi del linguaggio; difficoltà e/o disturbo non specificato; pluriminorazioni e sindromi
genetiche complesse.
La tassonomia offre pure il confronto con quella dell'OMS (cfr art. 3 punto 4 del DPR): a.
(d) sensoriale; b. (e) motorio prassico; c. (a) cognitivo; d. (b) affettivo relazionale; e. (c) linguistico;
f. (d) neuropsicologico; g. (g) autonomia personale e sociale.
E secondo l'art 4 punto 3b (Profilo dinamico Funzionale) come segue: a. (5) sensoriale
(visivo, uditivo); b. (6) motorio prassico; c. (1) cognitivo; d. (2) affettivo-relazionale; e. (4)
linguistico; f. (7) neuropsicologico; g. (8) dell'autonomia; h. (3) della comunicazione; i. (9)
dell'apprendimento.
Tiene conto cioè che una classificazione della disabilità, secondo quanto proposto
dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, deve catalogare gli ambiti e le attività in cui l'individuo
mostra di avere un deficit di funzionalità. Secondo tale punto di vista i deficit motori e sensoriali
(disabilità esecutivo prassica e disabilità sensitivo percettiva), così come il deficit intellettivo nel
ritardo mentale (disabilità integrativo cognitivo decisionale), non costituiscono delle menomazioni a
cui possono essere ricondotte le disabilità nel comportamento, nella comunicazione e nella cura
della propria persona.
La classificazione sintetica della tabella considera la classe delle disabilità interpersonali
socioculturali e affettivo relazionali. Si tratta di deficit nella capacità dell'individuo di impostare e
mantenere delle relazioni interpersona i significative, deficit che sono riconducibili a fattori di
deprivazione socioculturale o affettivo-relazionale.
Tuttavia, benchè‚ sia stata chiaramente dimostrata l'importanza del ruolo giocato dal fattori
psicosociali nella comparsa di disturbi o disabilità psichiche, non è provata la loro connessione con
specifici quadri psicopatologici.
Suscita, inoltre, non poche perplessità la "psichiatrizzazione" di "immigrati" e "deprivati
socioeconomici", utilizzati come riferimenti esplicativi di una classe di disabilità psichiche.
Quanto alla categoria delle disabilità plurime, l'utilità clinica di tale categoria potrebbe
essere superata dall'adozione di uno schema multiassiale sul modello di quello proposto dall'OMS
per i disturbi psichiatrici infantili:
- asse I: sindrome psichiatrica (disturbi affettivi, comportamentali, ecc.);
- asse Il: specifici ritardi evolutivi (specifici ritardi nella lettura, ecc.);
- asse III: livello intellettivo (normale, ritardo mentale);
- asse IV: sindromi mediche (paralisi cerebrale, ecc.);
- asse V: fattori psicosociali anomali.
Questo sistema, oltre ad ampliare enormemente le possibilità di combinazione dei singoli
fattori di deficit, permette la raccolta sistematica di informazioni che facilitano l'estrazione di dati e
favoriscono i tentativi di correlazione.
Ancora un'osservazione relativa alla categoria delle "altre" disabilità: in questa categoria
vengono inclusi alcuni disturbi con quadri sintomatologici, fattori eziologici e predisponenti e
richieste di trattamento molto diversi tra loro.
Per l'intervento pedagopegico va sottolineata l'importanza della classificazione come sistema
di significati condiviso da tutti i membri dell'equipe, che facilita la comunicazione
interprofessionale. Perché‚ si realizzi una comunicazione efficace, all'interno dell'équipe deve
esistere un accordo sui principi in base ai quali viene attribuito un certo significato alle diverse
categorie diagnostiche.
A questo scopo è necessario che risulti chiaro l'asse principale di classificazione e che cosa
viene classificato. Nella proposta di classificazione descritta, l'adozione di più principi tassonomici
(descrittivo per le prime tre categorie, eziologico per la quarta), determina una confusione tra
sintomatologia ed eziologia delle disabilità. L'estrema eterogeneità inter- e intra-classe, oltre alla
sua dichiarata non esaustività, fanno di tale proposta di classificazione uno strumento poco utile alla
comunicazione interprofessionale.
1.4. La classificazione della Organizzazione Mondiale Sanità2
Il riferimento bibliografico è al testo seguente che può essere utilmente consultato per un
confronto, anche se la sua classificazione ampiamente commentata si colloca pi— sul campo
medico e terapeutico che su quello specificamente pedagogico: ORGANIZZAZIONE
MONDIALE DELLA SANITA', ICDH. Classificazione internazionale delle menomazioni, delle
disabilità e degli svantaggi esistenziali, Minerva Italica, Torino 1980.
Come si nota dal titolo, il manuale propone tre classificazioni diverse per sindromi e disturbi
della personalità: una per le menomazioni, una per disabilità e una per gli handicap.
Le tre classificazioni possono essere utilizzate in maniera congiunta per delineare un profilo
in cui si chiariscono i rapporti tra menomazioni, disabilità e handicap; oppure singolarmente in
correlazione rispettivamente ai servizi medici, riabilitativi e assistenziali.
I presupposti teorici del manuale riguardano la definizione dei tre aspetti che caratterizzano
l'esperienza vissuta dopo la malattia e la descrizione del processo che li unifica. All'origine
dell'intero processo vi è una condizione morbosa, che può essere congenita oppure acquisita.
La malattia determina nel soggetto una condizione di "menomazione" ossia un'alterazione
della funzionalità di organi e sistemi, o dell'aspetto e della struttura del corpo, che ha degli influssi
più o meno
2. - I FATTORI CHE INFLUISCONO SULLA PERSONALITA'
Tra i fattori che influiscono sulla formazione della personalità ci sono prima di tutto i fattori
cognitivi che i soggetti ricevono dall'ambiente esterno.
2.1. Fattori cognitivi
Una definizione del concetto di "cognitivo", oggi generalmente accettata, suona così:
"l'insieme dei fattori e delle attività implicati nella percezione, nella elaborazione, nella
conservazione e nel richiamo o ripetizione dell'informazione".
Dalla definizione si può notare l'influsso della teoria cognitiva. Perciò una scarsa
comprensione dell'informazione, da parte del disabile, può portare a disturbi della sua personalità.
2.1.1. Stentata comprensione del senso della vita
Una prima conseguenza è il mondo irrigidito del disabile mentale, non totalmente chiuso ma
impoverito, scarso. Un mondo che si riconosce dallo sviluppo stentato nel dare un senso alla vita,
meno differenziato e meno flessibile.
Vivere in un mondo povero significa non capire la totalità dei segnali o la ricchezza di una
determinata situazione; significa che le stesse relazioni umane e interpersonali rischiano di perdere
molto di densità.
A poco a poco diviene sempre più un mondo con poca profondità, superficiale. Le
esperienze raggiungono un valore ristretto, restano legate rigidamente al fatto di una esperienza
isolata, determinata; non diventano vitali perché‚ non vanno oltre il valore esteriore; il loro è un
mondo del momento.
Perciò è necessario introdurre l'handicappato mentale in un mondo egli:
- deve imparare a scoprire la dimensione reale, nascosta dietro l'aspetto esteriore dei singoli fatti
dell'esistenza;
- deve imparare ad entrare in un mondo dove si individuano i valori simbolici degli atti (fatti e loro
significati);
- imparare ad inserirsi da persona (integrazione, socializzazione, normalizzazione) in un ambiente
più ricco di umanità.
2.1.2. Linguaggio a sviluppo limitato
Una caratteristica fondamentale dell'handicappato mentale consiste in uno sviluppo verbale
ritardato. Sebbene la conoscenza verbale passiva sia molto più estesa della conoscenza attiva della
lingua, sembra che nei due aspetti si evidenzi un ritardo considerevole, se si confrontano coi
compagni di età.
Il linguaggio dei disabili rimane fortemente legato al concreto: una sola parola, un solo
significato. La scarsa possibilità di riflessione si manifesta ugualmente nell'uso delle parole.
Un certo numero di programmi di intervento perciò mirano alla crescita linguistica: allargare
il vocabolario e le relazioni associative; moltiplicare i diversi sensi delle parole, le strutture
grammaticali e della sintassi; favorire l'uso attivo della lingua.
Tuttavia tali interventi diventano efficaci, e producono profitto nell'espressione verbale, se
sono accompagnati parallelamente da esercizi che migliorano le strutture del pensiero.
2.1.3. Esperienza a carattere isolato
Le impressioni, le esperienze e i concetti di apprendimento sembrano esistere senza
collegamenti tra loro. Il mondo degli handicappati mentali è costituito da elementi staccati, senza
legami, senza molta struttura. Essi non fanno distinzione fra l'essenziale e l'accessorio; difficilmente
mettono legami causali.
Per tale mancanza di coerenza logica, i segnali hanno valore come presagi: gli eventi si
presentano improvvisi e immediati. Anche le difficoltà vissute non sono percepite dal disabile, che
ne rimane sorpreso e le subisce, senza la minima predisposizione.
Da questo punto di vista, perciò, è necessario
- favorire la coerenza logica nel pensiero come un importante impegno per la didattica
pedagogica;
- insegnare a distinguere ciò che è l'essenziale di un dato, farne scoprire il nucleo, che è
l'intenzione propria di una persona;
- far vedere il rapporto tra diverse cose, far scoprire quanti eventi sono prevedibili, come si
possono applicare ad altre occasioni.
2.1.4. Conoscenza stagnante
Presso gli handicappati mentali l'evoluzione cognitiva è stata studiata da VAN MEEL
(1973). La sua ricerca esaminava il pensare convergente e divergente tra handicappati mentali e
bambini normali.
La loro riflessione su un sistema chiuso secondo regole precise e prestabilite e dove per
ciascuno vale una sola soluzione (pensare convergente), non evidenziava differenze significative.
Invece sul terreno del pensare divergente sono emerse diversità grandi e significative. Il pensiero
divergente si situa in un sistema aperto, dove parecchie soluzioni sono possibili, e nel quale assume
maggior importanza la creatività e l'inventività.
In questi compiti gli handicappati si dimostrano presto chiaramente meno capaci: trovano
poche risposte e quasi mai delle alternative.
In uno stesso contesto VAN MEEL fa osservare la debolezza degli handicappati mentali nel
pensiero associativo: nella loro mente sono presenti un certo numero di concetti ma non arrivano a
collegarli a causa della scarsa possibilità associativa.
2.1.5. Memoria poco strutturata
Per quanto riguarda la memoria, molti handicappati mentali sorprendono il loro ambiente:
riconoscono luoghi, persone e anche eventi che hanno incontrato in modo fugace o tanto tempo
prima. Comunemente i genitori interpretano spesso questa capacità di memorizzazione come segni
d'intelligenza.
Di fatto è vero che la capacità riproduttiva sembra essere abbastanza buona. Ma nelle
esperienze sulle prove cognitive sopra citate VAN MEEL fa osservare l'assenza di una valida
struttura. Paragona la loro memoria a un ragazzino in disordine, dove effettivamente sono presenti
mucchi di elementi ma non ordinati e senza coerenza.
2.2. I fattori dinamico-affettivi
Un altro tipo di fattori che influiscono sulla formazione della personalità in evoluzione sono
quei fattori dinamicoaffettivi che dovrebbero portare ad un normale rapporto con gli altri, ma che
invece nei disabili manifestano tendenze negative.
2.2.1. Impulsività nell'agire
Per impulsività si intende il fattore che fa reagire immediatamente agli stimoli e agli impulsi,
che provoca un comportamento incontrollato e senza freni. L'impulsività denota incapacità all'attesa
e mancanza di riflessione, pianificazione e deliberazione.
Questo tratto impulsivo - caratteristica comune all'handicappato e al bambino normale - è
stato oggetto di vari studio da parte di parecchie autori ed è definito con parole diverse.
HANSELMAN parla di imperfezione nell'inibizione. KUNKEL vede in esso un corto
circuito tra stimolo e reazione. BUYTENDIJCK parla di uno stato dominato dalla situazione. Altri,
come VAN MEEL (1973), preferiscono sottolineare superficialità •_•di attenzione, o carenze di
abilità di concentramento.
Negli anni più recenti questo fenomeno viene indicato come incapacità di auto-governarsi
(VAN PRRREREN, 1983). Nella letteratura anglofona questa incoerenza viene spiegata come
mancanza di "self-control" (SANDERS, 1978), di autoregolazione (LITROWNIK 1978),
"self-management" (HORNER, 1979) o di "self-monitoring" (LITROWNIK, 1978).
Esempi di comportamento impulsivo sono a portata di mano. Un comportamento impulsivo
si esprime nell'umore, nell'apatia, nella svogliatezza, nelle prestazioni sbagliate in classe o in
gruppo.
L'impegno pedagogico consiste nello sviluppare una forma di auto-guida. HANSELMANN
sostiene che si deve educare dando un tempo di intervallo tra lo stimolo e la risposta, per permettere
un tempo di riflessione.
Nel programma di addestramento di FEUERSTEIN (1980) in funzione dello sviluppo
cognitivo degli handicappati mentali, nessun allievo pu• immediatamente dedicarsi all'esecuzione
dell'esercizio. Ci vuole un tempo di riflessione tra la lettura del problema e l'esecuzione
dell'esercizio.
2.2.2. Personalità rigida e poco flessibile
Il termine "rigidità" evoca associazioni con la famosa teoria da tempo già di KURT LEWIN
(1935) sulla rigidità, dove la descrizione della personalità dei deboli mentali sorge come una
struttura di base con poche differenziazioni e impermeabilità dei limiti fra le diverse regioni
psichiche.
Senza approfondire la teoria che ispira sempre una certa simpatia, ricordiamo soltanto che
l'handicappato mentale è percepito con una grande dose di immutabilità, poca iniziativa scarsa
mobilità nel pensare e nel fare.
In realtà, ritrovare sempre gli stessi modelli e compiere gli stessi atti nelle stesse situazioni,
da un senso di sicurezza: i disabili sanno che cosa avviene, che cosa si aspetta da loro, e sanno bene
dove trovare le stesse gioie: così si sentono bene.
L'intervento educativo, perciò, deve rompere con molta pazienza e dolcezza queste abitudini
rassicuranti per sostituirle con nuove esperienze ambientali e nuove attitudini evolutive.
Probabilmente sarà necessaria una dolce insitenza, perchè‚ da se stesso l'handicappato
mentale non è propenso ad esplorare nuove situazioni. La crescita umana Š legata a quest'impegno e
giustifica sufficientemente tali interventi.
2.2.3. Minacciato concetto di sè
La terminologia "concetto di sè" indica l'insieme di caratteri positivi e negativi che gli
handicappati si attribuiscono e vivano sul piano soggettivo. Purtroppo dobbiamo far osservare che
le ricerche scientifiche non mostrano una grande coerenza tra loro. Questi risultati divergenti sono
dovuti alle differenze dei metodi delle ricerche e al fatto che hanno come oggetto di ricerca gruppi
che in sè non sono da paragonare reciprocamente.
Purtroppo un non acquisito concetto di sè è generalmente indicato o come sottovalutazione o
come supervalutazione delle capacità proprie, ma anche come immagine di sè continuamente
variabile.
Forse, all'interno di un ambiente protetto con poche reLazioni, l'handicappato mentale si
interroga su se stesso assumendo i comportamenti evidenziati; ma se messo a confronto più
frequentemente con gli altri, o confronta le sue prestazioni nell'apprendere a quelle dei fratelli e
delle sorelle, o fuori casa fa uso dei mezzi pubblici, o moltiplica le attività sociali... allora egli si
renderà conto delle sue minorazioni.
Nella prospettiva ortopedagogica, l'acquisizione del concetto di sè realistico e positivo,
prevede un lungo cammino di accompagnamento.
Progressivamente il disabile dovrà accettare che tutte le cose connesse con l'intelligenza
resteranno difficilmente accessibili per lui; che anche un certo numero di professioni sono al di là
delle sue capacità. Ma allo stesso tempo l'educatore prover… a fargli vedere che queste restrizioni
non inglobano la totalità della sua persona, che ci rimangono parecchi altri lavori possibili, che egli
può avere un'importanza specifica per gli altri, che ci saranno sempre persone amabili sensibili per
accogliere il suo affetto.
Durante questo processo di crescita l'handicappato mentale avrà bisogno di grande sostegno,
di incoraggiamento, di una buona e autentica relazione interpersonale con un contatto
individualizzato.
2.2.4. Valutazione esagerata di prestazioni fisiche
Forza fisica, ardimento, temerità sono valori grandemente apprezzati dagli handicappati
mentali, che in questa identificazione non divergono dai loro coetanei normali: i divi sportivi, i
cantanti rock sono anche i loro idoli; i film che evidenziano persone vincenti influiscono su di loro
come un polo magnetico.
Parlare con millanteria, vantarsi degli eventi del week-end, non abbastanza normale
l'handicappato mentale; gli piace esagerare nelle sue relazioni.
E' evidente che cercano in questo un modo una compensazione alle lacune intellettive.
Sovente l'educatore si riferisce alle prestazioni fisiche per correggere tratti e lati negativi nel
concetto di sè. Ma ci si deve convincere che una Supervalutazione delle forze fisiche porta insito il
pericolo di abbrutimento, rendendo più povero il loro mondo psichico.
2.2.5. Vulnerabilità elevata
Pur con visioni ed esemplificazioni contrastanti, pare innegabile che parecchi handicappati
mentali vivano con problemi emotivi, dimostrando una grande vulnerabilit…, soprattutto perchè‚
intuiscono di non poter rispondere alle aspettive dell'ambiente.
E questa situazione di disturbo rischia di aggraversi nell'adolesensa. Come qualsiasi persona,
l'handicappato desidera di essere accettato come persona, vuole mostrarsi come qualcuno, chede di
essere ascoltato come un individuo con possibilità di esprimersi e di comunicare tutto ciò che sente
in se stesso. Ma allo stesso momento egli manifesia una grande labilità, con umori che cambiano
velocemente. E' una persona oscillante tra il bisogno di affermarsi ed il dubbio sulle proprie
possibilità: tutto questo sotto il desiderio di un comportamento forte, virile.
Questa grande vulnerabilità richiede da parte dell'educatore una attenzione particolare ed
esplicita.
Si potevano considerare altre caratteristiche della personalità dell'handicappato, ma si sono
analizzate le conseguenze più importanti nella perspettiva dell'educazione religiosa.
Ricordiamo che l'handicappato mentale non può essecato da solo, ma c'è una necessità
primordiale di situarlo sempre in relazione con il suo ambiente, specialmente quello familiare. Il
significato del focolare familiare sull'educazione - e soprattutto nell'educazione religiosa - va tenuto
in grande considerazione.
3. RAPPORTI TRA DISABILI E PROGRAMMI DI I.R.C
Gli Insegnanti di Religione, lavorando sui Programmi didattici in tempi di programmazione,
dovranno fare gli opportuni adattamenti, tenendo conto dei seguenti criteri:
1°. Allievi con ritmi più lenti di apprendimento
- nessuna riduzione degli obiettivi
- interventi di recupero e di sostegno
- attività di gruppo fra allievi
- differenziata scansione di tempi.
2°. Allievi con deprivazione socio-culturali
- nessuna riduzione degli obiettivi
- differenziazione delle tappe
- differenziazione metodologica
3°. Allievi con handicap motori o sensoriali
- nessuna riduzione delle finalità generali
- riduzione dehli obiettivi specifici
- differenziazione degli aspetti strumentali
- uso di sussidi audiovisivi e informatici
4°. Allievi con handicap intellettivi
- riduzione degli obiettivi
- sostituzione di contenuti disciplinari
- tempi di intervento più distesi
- obiettivi formativi in direzione possibile...