William Carey e il Trio di Serampore

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A
Roberto Catalano
William Carey
e il Trio
di Serampore
La missione e i suoi rapporti
con l’induismo
Prefazione di
Alberto Trevisiol
Copyright © MMXII
ARACNE editrice S.r.l.
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via Raffaele Garofalo, /A–B
 Roma
() 
 ----
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: novembre 
Indice

Ringraziamenti

Prefazione
di Alberto Trevisiol

Premessa

Capitolo I
La missione alla luce della Riforma, del Colonialismo e dell’Illuminismo
.. Missione fra Riforma e Colonialismo,  – ... Il colonialismo e la missione, 
– ... Riforma e missione,  – ... Riforme nella Riforma: pietismo e puritanesimo,  – ... Illuminismo e cristianesimo: conseguenze per la missione,  – .. Il
cristianesimo in India alla fine del XVII secolo,  – ... Il Padroado e l’esperienza
di De Nobili,  – ... La Missione di Halle: Bartolomeus Ziegenbalg e Heinrich
Plütschau, .

Capitolo II
L’impresa della missione di Serampore
.. I protagonisti,  – ... William Carey,  – ... William Ward,  – ... I
Marshman,  – .. Il “Grande Mandato” non è esaurito. An Enquiry: una
chiamata e una proposta di teologia della missione,  – ... Il contesto e la
preparazione,  – ... Struttura e contenuti,  – ... Il “Grande Mandato”
è ancora vincolante?,  – ... Quali sono state le esperienze di missione nella
Chiesa?,  – ... Lo stato attuale del cristianesimo nel mondo,  – ... Impegno
concreto per la conversione dei pagani,  – .. La Baptist Missionary Society, 
– ... Fondazione e finalità,  – ... Rapporti con altre denominazioni e con il
potere politico–amministrativo,  – ... Problemi interni,  – ... Tensioni fra
la BMS e il Trio di Serampore,  – ... Alcune valutazioni sull’Enquiry e sulla
BMS,  – .. Serampore e la sua proposta di missione,  – ... Il centro
della Missione e i piani del suo sviluppo: il Form of Agreement,  – ... La Parola
di Dio nelle lingue locali,  – ... Promozione dell’istruzione e scolarità,  –
... Formazione di una Chiesa e di missionari locali,  – ... Riforme e promozione sociale,  – ... Il modello comunitario,  – ... Il “pleasing dream”:
albori dell’ecumenismo, .

Indice


Capitolo III
Il Trio di Serampore e le religioni e la cultura dell’India
.. Diversi livelli di rapporti con le religioni dell’India,  – ... La vita quotidiana,  – ... La predicazione,  – ... Rapporti con pundits locali e con
le scritture,  – ... Un rapporto complesso: Raja Rammohan Roy,  – .. Le
religioni dell’India nei canali di comunicazione di Serampore,  – ... Lettere
e pubblicazioni,  – ... L’Account of the Writings, Religion, and Manners of
the Hindoos,  – .. Considerazioni sul rapporto del Trio con la religione
dell’India,  – ... Aspetti generali,  – ... Aspetti teologici ed ermeneutici,  – ... Le caratteristiche della missione evangelicale,  – ... Rapporto fra
società e religione,  – .. Al crocevia fra orientalismo, anglicismo e rinascita
del Bengala,  – ... Il Bengala dalla decadenza alla rinascita,  – ... La
rinascita del Bengala: la prima fase alla fine XVIII secolo,  – ... Periodo iniziale
del rinascimento del Bengala,  – ... La rinascita del Bengala: seconda fase,  –
... La terza fase della rinascita del Bengala,  – ... Il ruolo dei missionari nella
rinascita del Bengala, .

Conclusione
.. Una valutazione della missione di Serampore,  – ... La collocazione
storica,  – ... I modelli di ispirazione,  – ... Una missione fra eroismo e
collaborazione con potere coloniale,  – .. Serampore e la sua rilevanza oggi,  –
... La novità di maggior rilievo di Carey: la comunità come fraternità,  – ... La
profezia ecumenica,  – ... Il rapporto con la cultura e le religioni locali,  –
.. Limiti ed errori, .

Bibliografia
Ringraziamenti
Mi pare doveroso ringraziare quanti mi hanno incoraggiato e sostenuto nel
lavoro e nella successiva pubblicazione di questa ricerca.
Vorrei, qui, ricordare il prof. Giuseppe Maria Zanghì, vero maestro di
vita e di pensiero, ma anche il prof. Gaspare Mura, che ha suggerito questo
percorso e mi ha aiutato a muovere i primi passi necessari per realizzarlo.
Un cenno di riconoscenza particolare al prof. Alberto Trevisiol, rettore della
Pontificia Università Urbaniana.
Non posso non ricordare con immensa gratitudine anche amici e colleghi
indiani che mi hanno ispirato alla decisione di intraprendere questa ricerca
e mi hanno assisito e illuminato con consigli e supporto spirituale e fraterno:
il prof. Sureshchandra Uppadhyaya, direttore della Sezione di Ricerca presso
il Bharatya Vidhya Bhavan di Mumbai; la prof.ssa Kala Acharya, direttrice
del K.J. Somaiya Sanskriti Peetham; la prof.ssa Shubada Joshi, decano del
Dipartimento di Filosofia presso la Mumbai University; la sig.ra Minoti
Aram, presidente dello Shanti Ashram di Coimbatore, e sua figlia, la dott.ssa
Kezevino Aram, direttrice della stessa istituzione.
Un ricordo particolare per il prof. Benedict Kanakapally, attuale decano
della Facoltà di Missiologia della Pontificia Università Urbaniana, e il Prof.
Kodithuwakku Indunil Janakaratne con i quali, in modi diversi, ho potuto
condividere esperienze, affetto e interesse per quel mondo del subcontinente indiano che mi è stato casa per tre decenni. In loro e con loro il mio grazie
e riconoscenza a tutti gli insegnati della Facoltà di Missiologia, che mi hanno
motivato nel processo di sistematizzazione e di avvio alla metodologia missiologica e di ricerca. Tuttavia, l’aspetto più prezioso non si limita all’ambito
accademico, ma alla sfera dei rapporti umani davvero ricchi e profondi che
ho potuto stringere con ciascuno di loro. In questo senso questi cinque
anni sono stati un laboratorio di ricerca e approfondimento accademico, ma
anche un ricco patrimonio umano e spirituale.

Prefazione
di A T
L’ultimo decennio ha visto l’India acquisire sempre più un ruolo di primo
piano sulla scena mondiale e questo non solo a livello economico o finanziario, ma anche come modello di pluralismo religioso e culturale, pur con
varie problematiche, che riemergono a più riprese, legate a varie tipologie
di fondamentalismo.
Il cristianesimo, presente nel subcontinente indiano, fin da epoca apostolica ha vissuto fasi diverse, legate, a partire dal XV secolo, al colonialismo.
Dopo secoli di fedele plantatio Ecclesiae, il cristianesimo in India si presenta
oggi, sia pure con una presenza fortemente minoritaria (il % della popolazione), come una realtà complessa e variegata, impegnata in un processo
che cerca di trovare vie nuove all’evangelizzazione, coniugando missione e
dialogo e, soprattutto, cercando di favorire processi di inculturazione, che
permettano una maggiore comprensibilità dell’annuncio cristiano a persone
che seguono le religioni del sanatana dharma. In tale ambito, è noto che
si sono venuti sviluppando diversi filoni di riflessione teologico–filosofica,
che hanno avuto e continuano ad avere come loro centro di interesse una
varietà di aspetti: il rapporto fra cristianesimo e le tradizioni locali, la comprensione di Cristo secondo categorie più vicine alla sensibilità dell’ethos
del subcontinente, il ruolo della Chiesa come mediatrice e la sua vocazione
all’annuncio della Buona Novella, oggi caratterizzato, senza mai esserne
sostituito, anche dalla centralità del dialogo interreligioso.
In tale contesto, si è sviluppato un interesse crescente per l’interlocutore
che il cristianesimo si trova di fronte, l’induismo, per usare un termine
ormai accettato sia in India che in Occidente, ma che poco esprime della
varietà e caratteristiche di diverse tradizioni religiose che, pur nate nello
stesso bacino storico–socio–culturale, accanto a comunanze fondamentali,
portano anche differenze e varietà. L’induismo è stato caratterizzato, nel
corso dei millenni, a partire dall’apparizione fondante dei Veda, da ripetuti
processi di rinnovamento e rinascita, culminati in quello che ha accompagnato diverse espressioni del sanatana dharma a partire nei primi decenni
del XIX secolo per arrivare fino alla metà del secolo scorso. Protagonisti del
cosiddetto “rinascimento” o “revival indù” sono stati spesso personaggi che
hanno costruito l’India moderna, sia dal punto di vista culturale (Rabindra

Prefazione
nath Tagore, Servepalli Radhakrishnan per esempio) che da quello politico
e sociale (Mahatma Gandhi è la figura di maggior rilievo in tale ambito).
All’interno di tale processo, si è distinto lo sforzo di un progressivo aprirsi
verso l’Occidente per presentare la tradizione indù in tutta la ricchezza tipica
delle sue radici, alla cui riscoperta ha contribuito in modo tutt’altro che
marginale il processo dell’“orientalismo”, che nel mondo anglosassone, sia
di lingua e cultura tedesca che inglese, ha favorito il ritorno ai fondamenti
del sanatana dharma.
In questi processi, un ruolo importante anche se non esclusivo, è stato
quello del rapporto fra il cristianesimo delle missioni del XIX secolo e
l’India e l’induismo a cui i missionari europei si sono trovati a predicare la
novità cristiana. Le missioni di questo periodo, fino alla metà del XIX secolo,
sono state soprattutto protestanti, provenienti da quel mondo anglicano
veicolato dal colonialismo britannico. In tal senso, un ruolo primario sia
in ordine di tempo che per la tipologia dell’impegno missionario è quello
avuto dall’esperienza di Serampore, una missione battista inaugurata alla
fine del XVIII secolo da William Carey e realizzata nel corso dei primi tre
decenni di quello successivo dallo stesso Carey e dai suoi compagni: William
Ward, John e Hannah Marshman.
Tale esperienza, degna di un’attenzione particolare, conosciuta e approfondita in ambito inglese e americano e delle missioni delle varie Chiese
della Riforma, non ha ancora incontrato l’interesse della Chiesa cattolica ed
è pressoché sconosciuta in Italia dove esiste un solo testo al riguardo, ormai
piuttosto datato essendo stato pubblicato alla fine degli anni Settanta.
Ecco, quindi, il valore del contributo di questa ricerca che propone, per
la prima volta in Italia, uno studio organico della missione battista nella
specificità della sua metodologia di annuncio, ma anche nella complessità
dei rapporti che caratterizzarono l’esperienza missionaria in quanto tale.
William Carey con il suo testo An Enquiry into the Obligations of Christians, to
Use Means for the Conversion of the Heathens, con la fondazione della Baptist
Missionary Society e con l’esperienza pastorale realizzata in Bengala ha
aperto un nuovo modo di essere missionario sul modello dell’impresa
commerciale che caratterizzava il colonialismo inglese, ma anche fondato
su una scelta di volontari disposti a partire per territori lontani come laici,
non di rado con le loro famiglie, come nel caso dei Trio di Serampore.
L’impresa missionaria battista portava, inoltre, delle caratteristiche tipiche di quella che sarebbe stata la missione della Riforma nel corso dei
decenni successivi: la centralità della Scrittura e, di conseguenza, un impegno prioritario alla sua traduzione nelle lingue locali per una efficace
diffusione, l’istruzione scolastica che permettesse non solo promozione
sociale, ma anche capacità di comprensione del messaggio evangelico, sforzo di formazione del clero locale per la costituzione di chiese radicate sul
Prefazione

territorio. La finalità dell’impegno missionario, pur essendo quello della
predicazione della salvezza attraverso Cristo, non contemplava conversioni
e battesimi di massa o, comunque, affrettati, ma cercava di assicurare le
premesse per arrivare a un’evangelizzazione progressiva.
Nell’articolato dibattito che si presenta in queste pagine in merito all’esperienza dei tre missionari battisti, l’elemento, che mi pare costituisca la
vera novità dell’impresa è l’intuizione della dimensione ecumenica come
necessità per una vera efficacia dell’annuncio. Un secolo più tardi la Conferenza di Edimburgo confermerà come l’ecumenismo trovi il suo humus
proprio nell’esperienza missionaria, sia a livello di fondamento che di finalità. Sarà questo un aspetto che verrà confermato in ambito cattolico dal
Concilio Vaticano II (cfr. Unitatis Redintegratio, ).
Un secondo aspetto affrontato dalla ricerca, riguarda la complessità e
difficoltà del rapporto con le religioni del sanatana dharma, che si inserisce
nel contesto dei processi dell’“orientalismo britannico” e che ha un suo
ruolo nella nascita dei processi articolati che avrebbero portato al “neoindusimo”. Proprio la difficoltà di comprensione reciproca fra i missionari
battisti e l’induismo ortodosso, da un lato, contribuirà a mettere in moto
un profondo processo introspettivo nel cuore della religiosità e socialità
indù. Al contempo, dall’altro, interrogherà il cristianesimo sull’urgenza di
individuare altre modalità di rapporto, prima fra tutte quella del dialogo,
che emergerà, comunque solo nel XX secolo. Inoltre, proprio l’aver limitato
il contatto con la religiosità indù, a rapporti con l’ortodossia brahminica, ha
privato la missione, sia protestante che cattolica, della possibilità di cogliere
altri aspetti nel cuore dell’induismo.
Molti dei nodi, che vengono esposti nella ricerca che si presenta in
questo testo, richiedono ancora una lettura attenta e sono attualmente, come
emerge da questo lavoro, oggetto di studio. Il lavoro, comunque, può offrire
un contributo importante non solo per una ricerca storica sulla missione, ma
anche per una adeguata comprensione di alcuni aspetti dell’evoluzione della
religiosità indù a contatto con l’annuncio cristiano e la cultura occidentale.
Alberto Trevisiol
Rettor Magnifico Pontificia Università Urbaniana Roma
Premessa
Questa ricerca è parte di un percorso avviato anni fa, nel quadro della mia
permanenza quasi trentennale in India, dove si è venuto sviluppando uno
stimolante confronto con seguaci del sanatana dharma. Questo, da un lato,
ha permesso un’arricchente esperienza di dialogo interreligioso a diversi
livelli, e, dall’altro, ha prodotto un confronto sul piano accademico. Da
qui l’interesse ad approfondire i legami fra le correnti dell’induismo (uso
questo termine anche se improprio e, in certo modo, riduttivo) con cui ero
a contatto, la loro evoluzione nel corso del XIX e XX secolo e l’incontro
con il mondo occidentale, in particolare con quello britannico, in quanto a
provenienza geografica, orientalista, per prospettiva culturale, e cristiano
nella sua essenza religiosa. Esso ha portato a un complesso processo di
rinnovamento, definito: rinascita indù, revival indù, neoinduismo, rinascimento
indù, o, da una prospettiva ad intra, induismo riformato, induismo riconsiderato
ecc.
Da tempo studiosi locali e occidentali tentano di riflettere sul tipo di
legame o di legami fra quest’evoluzione in seno alle religioni del sanatana
dharma con il mondo occidentale. La scelta del tema — William Carey e il Trio
di Serampore. La missione e i suoi rapporti con l’induismo — è legata proprio
al ruolo strumentale importante, anche se non esclusivo, che i missionari
battisti hanno avuto nel processo di rinascita dell’induismo, in particolare dei
suoi meccanismi iniziali. Tale esperienza si è sviluppata in concomitanza con
altri fenomeni altrettanto importanti per la genesi e lo sviluppo del processo:
la nascita dell’orientalismo britannico, che ha dato vita a nuovi ambiti di
ricerca quali l’orientalistica, la linguistica e alcuni aspetti dell’antropologia
e dell’etnologia. È stato, quindi, essenziale esaminare i collegamenti fra i
missionari battisti con questi ambiti di carattere più storico–antropologico e
glottologico che teologico e pastorale.
La metodologia è stata di carattere storico, ma non solo.
Al lavoro di ricerca si è aggiunto un esame critico di vari testi di recente
pubblicazione, che tendono a smitizzare quello che per circa due secoli è
stato considerato il “padre della missione protestante”, William Carey. È
stato necessario contestualizzare l’esperienza battista in Bengala, innanzi
tutto, nell’ambito della missione protestante, dove era stata preceduta da
altre esperienze significative, una di queste in India con missionari luterani
arrivati un secolo prima di Carey. Inoltre, è emerso il ruolo avuto dai tre


Premessa
missionari nella controversia, per certi versi decisiva nello sviluppo della
rinascita dell’induismo, fra orientalisti e anglicisti. Infine, non è sfuggito
come il Trio non potesse non essere vittima di luoghi comuni e approcci
tipici del tempo, che hanno fornito una cartina tornasole alla luce della quale
l’induismo e le sue manifestazioni apparivano tutt’altro che valorizzabili.
Pur coscienti della necessità di svincolarsi da certi stereotipi nei confronti
del subcontinente, che loro stessi avevano contribuito a creare, i missionari battisti hanno mantenuto un atteggiamento critico nei confronti delle
religioni dell’India, coniugando apologia e impegno sociale. Dall’analisi
di epistolari e testimonianze emerge un progressivo sforzo a cercare un
approccio di maggiore comprensione, per altro mai accompagnato da un’analisi che permettesse di capire se le culture locali portavano con sé elementi
definibili come semi del Verbo o come una preparatio evangelica. I tempi non
erano maturi. Lo aveva sottolineato C. Anderson già in occasione del Memorial Service in onore di William Carey, affermando che «l’impegno di Carey
sebbene notevole, fu tuttavia preparatorio e prospettico».
Inoltre, la prima parte della seconda sezione, che analizza il manuale An
Enquiry, elemento fondante della Baptist Missionary Society, da cui è nata
l’esperienza di Serampore, ha richiesto un esame di carattere più teologico. L’opera di Carey, caratterizzata da aspetti scritturistici, missiologici e
missiografici, emerge dalla prospettiva calvinista della predestinazione come
elemento discriminante del senso o meno della missione. Ma non la si può
comprendere senza tenere conto del contributo del collega e amico battista
Fuller, che aveva sottolineato i concetti di obbligo morale e di responsabilità
umana, elementi nuovi della teologia della salvezza sia del calvinismo che
della Riforma. La sovranità divina non elimina la responsabilità a credere in
Cristo, una volta che se ne riceve l’annuncio. A questo Carey aggiunge un
aspetto decisivo: il mandato ad annunciare la Buona Novella non si è esaurito, come si pensava all’interno della Riforma, con gli apostoli, ma, come
per altri aspetti evangelici, resta valido per la Chiesa per tutti i tempi. Non
poteva, poi, mancare un esame più ermeneutico, al fine di analizzare alcuni
ambiti quali l’influenza che l’illuminismo ha giocato sulla posizione dei
battisti. Oggi, infatti, si concorda a individuare nell’Illuminismo la fonte del
movimento evangelicale. Non è, dunque, possibile bollare, come spesso è
stato fatto, il fenomeno evangelicale come irrazionale, aspetto rintracciabile
più nel Pietismo che nel periodo oggetto di questo studio.
Un altro ambito, in cui l’approccio ermeneutico è stato necessario, è
quello che si approfondisce nella terza sezione della ricerca a proposito del
fenomeno di rinascita del Bengala e della controversia fra orientalisti e anglicisti. Il processo del rinascimento del Bengala, argomento per altro ancora
dibattuto, appare come un fenomeno cross–culturale: un movimento che,
iniziato in un regime semi–coloniale, piuttosto che essere stato originato
Premessa

dalla riscoperta di una cultura antica e vitale, per le sue prime manifestazioni
e più o meno coscientemente, ha trovato appoggio in un mondo alieno e
conquistatore. I battisti si sono trovati parte di questo processo per motivi di
evangelizzazione. Sono stati coinvolti nella grande controversia fra orientalisti e anglicisti, che, risolta a favore di questi ultimi in nome di una superiorità
della cultura occidentale e del cristianesimo, ha messo davvero in moto un
processo endogeno di revival.
L’esperienza missionaria di Serampore si muove su alcune linee portanti
a livello teologico–pastorale. Partendo dalla ferma convinzione che le vite
dovevano cambiare per essere salvate, si tratta di un’esperienza missionaria
che desidera fondarsi su una dimensione di coinvolgimento personale, di
volontariato e d’impegno comunitario e che s’ispira a Paolo e Barnaba per
quanto riguarda i tempi apostolici e ai Fratelli Moravi come riferimento
prossimo, specialmente per la dimensione comunitaria della missione e il
suo aspetto laico e imprenditoriale. È questo che fa dire a Christopher Smith che Serampore offre un modello ibrido di missione. Inoltre, deve essere
sottolineata la dimensione che potremmo definire pre–ecumenica. Essa si
manifesta in alcuni passi a conclusione dell’Enquiry, ma, particolarmente,
nell’intuizione della proposta di organizzare un incontro missionario mondiale nel , un secolo prima di Edimburgo. Il fine era quello, non tanto
di un dialogo teologico, ma piuttosto di una condivisione di esperienze, di
problematiche e di prospettive. Carey aveva intuito che la missione può
contribuire a un rinnovato rapporto fra le Chiese e che questo non può che
nascere dalla comunione missionaria. Un terzo elemento, senza dubbio in
linea con le caratteristiche delle Chiese della Riforma, è l’impegno di laici
e famiglie nel realizzare il mandato ad gentes. La formazione della Baptist
Missionary Society, prima, e l’esperienza delle tre famiglie di Serampore, poi,
è in questo senso, emblematica.
Il limite dell’esperienza di Serampore, oltre a quello già accennato riguardo al rapporto con cultura e religioni locali, è da identificarsi nel fatto che
la missione battista non è mai riuscita a dar vita a un movimento cristiano
indigeno. Resta, poi, il nodo del rapporto complesso con l’autorità coloniale,
che, inizialmente, emargina i battisti, per terminare in un tacito accordo
di collaborazione, nel quale i missionari assumono un ruolo importante di
mediazione culturale.
Capitolo I
La missione alla luce della Riforma
del Colonialismo e dell’Illuminismo
: .. Missione fra Riforma e Colonialismo,  – .. Il cristianesimo in
India alla fine del XVII secolo, .
In queste pagine si tenterà di presentare in chiave storica, ma anche con
una lettura ermeneutica diversificata, quella che è stata definita l’Impresa di
Serampore. I suoi protagonisti, un gruppo di pastori battisti che operarono
a Serampore, una cittadina sul fiume Hooghly nei dintorni di Calcutta , a
cavallo fra il XVIII e il XIX secolo, dettero vita a un’esperienza di missione
che è stata al centro dell’interesse da parte di molti nel mondo anglosassone,
come dimostra la ricca bibliografia. William Carey, in particolare, l’ispiratore
e il fulcro dell’esperienza missionaria di Serampore, ha rappresentato e, per
certi versi, continua a rappresentare il principale centro d’interesse nel
Trio (o meglio ancora nel quartetto) — William Ward, John Marshman
con la moglie Hannah — che ha costituito l’impresa. È, infatti, soprattutto
attorno a lui che si è sviluppato l’interesse di missionari, studiosi di missione
e di storia della Chiesa , che hanno contribuito a creare anche un’aurea
agiografica, che ne ha fatto “il padre della missione moderna”, quasi un mito.
. Da qualche anno il governo dello stato indiano dell’West Bengal ha deciso di ribattezzare la
città con il suo nome originario in lingua bengalese, Kolkata. In questo studio, tuttavia, si userà il
termine inglese Calcutta.
. Lo dimostrano le innumerevoli biografie. Citiamo qui le principali. E.A. A, William
Carey: Pioneer Missionary to India, Sunday School Union, London , Providence Publishers, Belfast
and Greenville, South Carolina ; M.T. A, The Career of a Cobbler: The Life Story of
William Carey, Fleming H. Revell Co., New York ; G. B, The Answered Call: William Carey and
the Dawn of Modern Mission, Marshall Pickering, London ; E. C, Memoir of William Carey,
Robins and Smith, Hartford ; S.P. C, William Carey, D.D., Fellow of Linnaean Society, Hodder
and Stoughton, London  (th Edition by the Carey Press, ); S.K. C, William Carey and
Serampore, Kartik Dutta Banik, Serampore , ; S.K. C, William Carey and Serampore,
nd ed. Serampore, ; W.B. D, William Carey, Father of Modern Missions. Moody Press, Chicago
; M. D, William Carey: Shoemaker and Missionary, Zondervan Publishing House, Grand
Rapids ; E. H, William Carey: The Cobbler Who Turned Discoverer, Scripture Press, Virginia
; L. MB, “William Carey” (Men Who Made Missions), Broadman Press, Nashville ; R.
M, V. M, William Carey and the Regeneration of India, Nivedit Good Books,
Mussoorie, Uttar Pradesh, India ; J. M, The life and Times of Carey, Marshman and Ward,
embracing the History of Serampore Mission, London ; B. M, William Carey: The Father of Modern


William Carey e il Trio di Serampore
Oggi Carey è al centro di uno studio attento e critico come dimostra,
in particolare, il lavoro di A. Christopher Smith — The Serampore Mission
Enterprise — che tenta una rilettura sia di Carey stesso che dell’intera esperienza del gruppo di Serampore. Già David Bosch nella sua Transforming
Mission: Paradigm Shift in Theology of Mission aveva, tuttavia, messo in guardia dal pericolo di mitizzare Carey, suggerendone una lettura più equilibrata
e contestualizzata.
È diventata un’abitudine salutare in Carey [. . . ] l’architetto delle missioni moderne.
Se questa scelta ha una qualche validità, va però ricordato che Carey fu soltanto una
delle molte figure analoghe del periodo, e che fu un prodotto, almeno tanto quanto
un creatore, dello spirito del tempo. Il rinnovamento della chiesa e la missione
erano semplicemente nell’aria .
In Italia la figura di Carey e l’esperienza di Serampore sono pressoché
sconosciute. Della vasta letteratura in inglese prodotta sull’argomento, è
disponibile un solo testo tradotto . Lo ha curato nell’ormai lontano  la
Casa Editrice Battista, editrice dei Battisti italiani, e poco se ne sa sia nelle
librerie che nei circoli che si occupano di ecumenismo e missione. Questo
studio vorrebbe coprire questa lacuna per una presentazione iniziale del
personaggio Carey e dell’impresa missionaria di Serampore, cercando di
approfondire le condizioni storiche in cui si sono formati e hanno vissuto
e agito, il contributo che hanno fornito alla missione con i loro scritti, ma
soprattutto, con la loro esperienza. Un’attenzione particolare sarà data al
rapporto con le religioni dell’India, che proprio in concomitanza dell’esperienza di Serampore cominciarono a essere oggetto di studi sistematici da
parte di accademici occidentali.
Missions, nd ed.; A.H. O, William Carey: Especially His Missionary Principles, A.W. Sijthoff,
Leiden, ; T.V. P, William Carey: the Man and his Mission, The Christian Literature Society,
Madras ; A. C S, The Serampore Mission Enterprise, Centre for Contemporary
Christianity, Bangalore ; D. W, William Carey and the Missionary Vision, The Banner of Truth
Trust, Edinburgh, U.K. and Carlisle, Penn. ; S. W, William Carey: Father of Modern Missions,
Barbour, Uhrichsville, OH, ; G. S, The Life of William Carey, Shoemaker and Missionary, John
Murray, London ; T. G, Faithfull Witness: The Life and Mission of William Carey, New Hope
Birmingham .
. D.J. B, La trasformazione della missione: mutamenti di paradigma in missiologia, Biblioteca
di Teologia contemporanea, , Queriniana, Brescia , . (ed. originaria in lingua inglese D.J.
B, Transforming Mission: Paradigm Shift in Theology of Mission, Orbis Books, Maryknoll .)
. Cfr. F. W. D, William Carey: missionario pioniere in India, Casa Editrice Battista, Roma
. (ed. originaria in lingua inglese: W.F. D, William Carey, Missionary Pioneer and Statesman,
Moody Press, Chicago ).
. La missione alla luce della Riforma del Colonialismo e dell’Illuminismo

.. Missione fra Riforma e Colonialismo
Il periodo in cui si colloca l’esperienza missionaria di Serampore è caratterizzato da processi complessi, che hanno determinato non solo il contesto
specifico del XVIII e XIX secolo, che interessano questa ricerca, ma anche il
secolo successivo, quello da poco concluso.
Il XVII e il XVIII secolo avevano assistito al progressivo apparire del
colonialismo anglosassone, dapprima apparso a fianco di quello iberico, e,
poi, impostosi definitivamente nel mondo attraverso la Compagnia delle
Indie Orientali, sia britannica che olandese. La Rivoluzione Francese, inoltre,
ha avuto luogo proprio negli anni in cui ha inizio l’esperienza di Serampore
e, più in generale, la missione dei battisti inglesi. Nell’ambito religioso, il
mondo cattolico attraversava una profonda crisi con il papato alla mercé di
Napoleone, ma anche con altri problemi, come la soppressione dell’ordine
dei gesuiti. La Riforma, invece, viveva un’esperienza importante, quella
del Grande Risveglio, il secondo, esploso in concomitanza con la Guerra
d’Indipendenza americana. Altri fenomeni, come Pietismo e Puritanesimo,
avevano avuto un’importante influsso su vaste fette della cristianità e la
loro presenza continuava a farsi sentire. C’era nel mondo della Riforma
un grande fermento, che si esprimeva in una vitalità che sarebbe durata
a lungo. Tuttavia, il fattore più importante del periodo in questione è un
elemento culturale, destinato a influire sul mondo, soprattutto europeo, ma,
a causa del colonialismo, anche a livello planetario: l’Illuminismo. È in questa
triplice chiave — colonialismo, Riforma con le sue rinascite e Illuminismo
— che si deve delineare il contesto dell’esperienza di Serampore.
... Il colonialismo e la missione
Le missioni moderne ebbero origine nel contesto del colonialismo occidentale , che ne è stato, sia pure in modi diversificati, veicolo importante. Per
questo, dal sedicesimo secolo, dire “missione” significa, in un certo senso,
parlare di “colonialismo”.
In un primo tempo, la missione si è mossa sulle rotte del colonialismo
iberico (sia spagnolo che portoghese), nel contesto del Padroado, che copriva
tutti i possedimenti delle due corone a Est e a Ovest (in America Latina,
Africa e in Asia) determinando anche la politica della Chiesa nell’annuncio
evangelico. L’espansione politico–commerciale s’identificava con quella religiosa: i Paesi conquistati erano sottomessi alla corona di Spagna o Portogallo
. Cfr. L. R, «Mission. Gegenstand der Pratktischen Theologie oder Frage an die Gesamttleologie?» in F. K, R. Z (ed.), Pratktischen Theologie Heute, Chr.Kaiser Verlag, Muchen
, –,  in D.J. B, La trasformazione della missione, .

William Carey e il Trio di Serampore
e ne dovevano accettare anche la fede. I colonizzatori erano, dunque, veicoli, non solo d’interessi economici, ma anche di religione cristiana. Dalla
fine del XVII secolo, il fenomeno si è spostato progressivamente verso il
nord Europa con l’apparire, sulle grandi rotte commerciali del mondo di
Inghilterra, Olanda e Danimarca e, in particolare, della Compagnia delle
Indie Orientali. Si è così venuto a creare un duplice fenomeno: da una parte
le nazioni cattoliche, che continuarono nella loro opera di colonizzazione e
missione, affiancata dal nascere di Propaganda Fide, che, progressivamente,
cercò di regolarizzare la missione cattolica, svincolandola dalla teocrazia
iberica e tentando lentamente di riportarla sotto il controllo della Chiesa.
Dall’altra, le nazioni del Nord Europa, protestanti, imponendosi sui mari
di tutto il mondo, dopo un primo periodo, in cui la missione non pareva
essere aspetto prioritario delle Chiese della Riforma, divennero esse stesse
veicoli del messaggio evangelico. Il processo che ha visto lo svilupparsi della
progressiva costruzione dell’impero britannico è stato accompagnato, infatti,
anche da un’intensa attività missionaria da parte di diverse chiese della Riforma. I due contesti, quello più prettamente amministrativo coloniale e
commerciale e quello missionario, si sono intersecati a vicenda in processi
evolutivi, spesso, complessi . È stata una fase storica che si è prolungata nel
tempo e che, con alterne vicende, ha raggiunto la metà del secolo scorso,
fino alla dissoluzione del sistema coloniale.
Fin dall’inizio, l’espansione coloniale delle nazioni protestanti occidentali
ha assunto un carattere secolare, accantonando l’aspetto teocratico, che aveva
invece caratterizzato il Padroado. A prendere l’iniziativa coloniale anglosassone
furono, almeno inizialmente, compagnie commerciali più che i governi e
le amministrazioni politiche . Queste curarono, per lungo tempo, di tenere
ben distinte e separate le due dimensioni: interessi economici e amministrazione, da una parte, e motivi religiosi, dall’altra. C’era, infatti, il timore che
interferenze a livello religioso e culturale provocassero reazioni da parte delle
popolazioni locali e conseguente perdita di profitti . In tal senso, un esempio
significativo è quello della prima colonia danese di Tranquebar, nella zona
del Tamil Nadu nel sud India, dove gli interessi rimasero ufficialmente solo
commerciali per lungo tempo . Lo stesso avvenne, poi, sia con l’Olanda che
. Cfr. A. P, Religion versus empire? British Protestant missionaries and overseas expansion,
–, Manchester University Press, Manchester , .
. Cfr. D.J. B, La trasformazione della missione, .
. Cfr. F. B, Missionprobleme des Mittelaters und der Neuzei, Zwingli Verlag, Zürich–Stuttgart
,  in D.J. B, La trasformazione della missione, .
. Cfr. A. N, Mission und Obrigkeit. Die Dänische–Hallesche Mission in Tranquebar –,
Gütersloher Verlagshaus, Gütersloh ,  in D.J. B, La trasformazione della missione,  e D.
J, Bartholomäus Ziegenbalg: The Father of Modern Protestant Mission. An Indian Assessment, ISPCK
and The Gurukul Lutheran Theological College and Research Institute, Chennai , –.
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