MISSIO DEI
COLLANA DI STUDI MISSIOLOGICI E INTERRELIGIOSI

Direttori
Ambrogio B
Pontificia Università Urbaniana
Gaetano S
Pontificia Università Urbaniana
Comitato scientifico
Jesús Angel B, OP
Pontificia Università Urbaniana
Kathleen MG
National University of Ireland
MISSIO DEI
COLLANA DI STUDI MISSIOLOGICI E INTERRELIGIOSI
L’attività missionaria è un’azione della carità, nella carità e per la carità; esattamente
come essa è un’azione di Dio, in Dio e per Dio.
Adam W, Teologia della missione
Tutta l’esistenza cristiana deve caratterizzarsi come esistenza missionaria o, per dirla
con le parole del concilio Vaticano II, “la chiesa che vive nel tempo è per sua natura
missionaria” (AG ). [Di conseguenza,] la chiesa inizia ad essere missionaria non
mediante il suo annuncio universale del vangelo, bensì mediante l’universalità del
vangelo che annuncia.
David B, La trasformazione della missione
L’obiettivo della collana è riportare la missione cristiana al centro
della riflessione teologica contemporanea di tutti i cristiani, alla sua
dimensione cosmica, in quanto “Missio Dei”, al suo profondo valore
socio–antropologico. Dio è il primo “missionario”, che per amore e
nell’amore si auto-comunica, come ricorda il paradigma relazionale
trinitario. Ciò comporta un superamento dell’idea di missione come
proselitismo.
La missione cristiana non rappresenta un progetto d’espansione delle
chiese, quanto il progetto della Chiesa di incarnare e testimoniare
nel mondo l’amore di Dio per tutta l’umanità. Nel tempo della globalizzazione cambia il baricentro della missione e con esso anche
il concetto di Missio Ad Gentes, fino ad ora concepita come movimento dal centro verso la periferia, dalle zone ricche verso le zone
emarginate.
La dimensione pluralista — religiosa e culturale — del mondo contemporaneo impone una riflessione più profonda sul rapporto tra
missione e dialogo interreligioso e sul ruolo delle altre tradizioni
religiose in relazione a Gesù Cristo e al cristianesimo.
La spiritualità missionaria, essendo contemplativa e trasformativa,
richiede ai cristiani una testimonianza sempre pronta al confronto e
al discernimento dei segni dei tempi. Per tutte queste considerazioni,
l’approfondimento missiologico non può considerarsi quale mera
specializzazione della teologia ma l’humus di ogni riflessione teologica. Coinvolgendo tutte le altre scienze umane, in particolar modo
antropologia, sociologica e filosofia, lo studio missiologico ed interreligioso si configura quale servizio integrale al mondo, all’uomo e
alla Chiesa.
Roberto Catalano
William Carey
e il Trio di Serampore
La missione e i suoi rapporti
con l’induismo
Prefazione di
Alberto Trevisiol
Copyright © MMXV
Aracne editrice int.le S.r.l.
www.aracneeditrice.it
[email protected]
via Quarto Negroni, 
 Ariccia (RM)
() 
 ----
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
II edizione: settembre 
Indice

Ringraziamenti

Prefazione
di Alberto Trevisiol

Premessa

Capitolo I
La missione alla luce della Riforma, del Colonialismo e dell’Illuminismo
.. Missione fra Riforma e Colonialismo,  – ... Il colonialismo e la
missione,  – ... Riforma e missione,  – ... Riforme nella Riforma:
pietismo e puritanesimo,  – ... Illuminismo e cristianesimo: conseguenze
per la missione,  – .. Il cristianesimo in India alla fine del XVII
secolo,  – ... Il Padroado e l’esperienza di De Nobili,  – ... La
Missione di Halle: Bartolomeus Ziegenbalg e Heinrich Plütschau, .

Capitolo II
L’impresa della missione di Serampore
.. I protagonisti,  – ... William Carey,  – ... William Ward, 
– ... I Marshman,  – .. Il “Grande Mandato” non è esaurito. An
Enquiry: una chiamata e una proposta di teologia della missione,  –
... Il contesto e la preparazione,  – ... Struttura e contenuti, 
– ... Il “Grande Mandato” è ancora vincolante?,  – ... Quali
sono state le esperienze di missione nella Chiesa?,  – ... Lo stato
attuale del cristianesimo nel mondo,  – ... Impegno concreto per la
conversione dei pagani,  – .. La Baptist Missionary Society,  –
... Fondazione e finalità,  – ... Rapporti con altre denominazioni
e con il potere politico–amministrativo,  – ... Problemi interni, 
– ... Tensioni fra la BMS e il Trio di Serampore,  – ... Alcune
valutazioni sull’Enquiry e sulla BMS,  – .. Serampore e la sua
proposta di missione,  – ... Il centro della Missione e i piani del
suo sviluppo: il Form of Agreement,  – ... La Parola di Dio nelle
lingue locali,  – ... Promozione dell’istruzione e scolarità,  –
... Formazione di una Chiesa e di missionari locali,  – ... Riforme

Indice

e promozione sociale,  – ... Il modello comunitario,  – ... Il
“pleasing dream”: albori dell’ecumenismo, .

Capitolo III
Il Trio di Serampore e le religioni e la cultura dell’India
.. Diversi livelli di rapporti con le religioni dell’India,  – ... La vita
quotidiana,  – ... La predicazione,  – ... Rapporti con pundits
locali e con le scritture,  – ... Un rapporto complesso: Raja Rammohan
Roy,  – .. Le religioni dell’India nei canali di comunicazione di
Serampore,  – ... Lettere e pubblicazioni,  – ... L’Account of the
Writings, Religion, and Manners of the Hindoos,  – .. Considerazioni
sul rapporto del Trio con la religione dell’India,  – ... Aspetti
generali,  – ... Aspetti teologici ed ermeneutici,  – ... Le
caratteristiche della missione evangelicale,  – ... Rapporto fra società e
religione,  – .. Al crocevia fra orientalismo, anglicismo e rinascita
del Bengala,  – ... Il Bengala dalla decadenza alla rinascita,  –
... La rinascita del Bengala: la prima fase alla fine XVIII secolo,  –
... Periodo iniziale del rinascimento del Bengala,  – ... La rinascita
del Bengala: seconda fase,  – ... La terza fase della rinascita del
Bengala,  – ... Il ruolo dei missionari nella rinascita del Bengala, .

Conclusione
Una valutazione della missione di Serampore,  – La collocazione
storica,  – I modelli di ispirazione,  – Una missione fra eroismo e
collaborazione con potere coloniale,  – Serampore e la sua rilevanza
oggi,  – La novità di maggior rilievo di Carey: la comunità come fraternità,  – La profezia ecumenica,  – Il rapporto con la cultura e le
religioni locali,  – Limiti ed errori, .

Bibliografia
Ringraziamenti
Mi pare doveroso ringraziare quanti mi hanno incoraggiato e sostenuto nel lavoro e nella successiva pubblicazione di questa ricerca.
Vorrei, qui, ricordare il prof. Giuseppe Maria Zanghì, vero maestro di vita e di pensiero, ma anche il prof. Gaspare Mura, che ha
suggerito questo percorso e mi ha aiutato a muovere i primi passi
necessari per realizzarlo. Un cenno di riconoscenza particolare al prof.
Alberto Trevisiol, rettore della Pontificia Università Urbaniana.
Non posso non ricordare con immensa gratitudine anche amici e
colleghi indiani che mi hanno ispirato alla decisione di intraprendere
questa ricerca e mi hanno assisito e illuminato con consigli e supporto spirituale e fraterno: il prof. Sureshchandra Uppadhyaya, direttore
della Sezione di Ricerca presso il Bharatya Vidhya Bhavan di Mumbai;
la prof.ssa Kala Acharya, direttrice del K.J. Somaiya Sanskriti Peetham; la prof.ssa Shubada Joshi, decano del Dipartimento di Filosofia
presso la Mumbai University; la sig.ra Minoti Aram, presidente dello
Shanti Ashram di Coimbatore, e sua figlia, la dott.ssa Kezevino Aram,
direttrice della stessa istituzione.
Un ricordo particolare per il prof. Benedict Kanakapally, attuale
decano della Facoltà di Missiologia della Pontificia Università Urbaniana, e il Prof. Kodithuwakku Indunil Janakaratne con i quali, in
modi diversi, ho potuto condividere esperienze, affetto e interesse
per quel mondo del subcontinente indiano che mi è stato casa per
tre decenni. In loro e con loro il mio grazie e riconoscenza a tutti gli
insegnati della Facoltà di Missiologia, che mi hanno motivato nel processo di sistematizzazione e di avvio alla metodologia missiologica e
di ricerca. Tuttavia, l’aspetto più prezioso non si limita all’ambito accademico, ma alla sfera dei rapporti umani davvero ricchi e profondi
che ho potuto stringere con ciascuno di loro. In questo senso questi
cinque anni sono stati un laboratorio di ricerca e approfondimento
accademico, ma anche un ricco patrimonio umano e spirituale.

Prefazione
di A T
L’ultimo decennio ha visto l’India acquisire sempre più un ruolo
di primo piano sulla scena mondiale e questo non solo a livello
economico o finanziario, ma anche come modello di pluralismo
religioso e culturale, pur con varie problematiche, che riemergono a
più riprese, legate a varie tipologie di fondamentalismo.
Il cristianesimo, presente nel subcontinente indiano, fin da epoca
apostolica ha vissuto fasi diverse, legate, a partire dal XV secolo, al colonialismo. Dopo secoli di fedele plantatio Ecclesiae, il cristianesimo in
India si presenta oggi, sia pure con una presenza fortemente minoritaria (il % della popolazione), come una realtà complessa e variegata,
impegnata in un processo che cerca di trovare vie nuove all’evangelizzazione, coniugando missione e dialogo e, soprattutto, cercando
di favorire processi di inculturazione, che permettano una maggiore
comprensibilità dell’annuncio cristiano a persone che seguono le
religioni del sanatana dharma. In tale ambito, è noto che si sono
venuti sviluppando diversi filoni di riflessione teologico–filosofica,
che hanno avuto e continuano ad avere come loro centro di interesse
una varietà di aspetti: il rapporto fra cristianesimo e le tradizioni
locali, la comprensione di Cristo secondo categorie più vicine alla
sensibilità dell’ethos del subcontinente, il ruolo della Chiesa come
mediatrice e la sua vocazione all’annuncio della Buona Novella, oggi
caratterizzato, senza mai esserne sostituito, anche dalla centralità del
dialogo interreligioso.
In tale contesto, si è sviluppato un interesse crescente per l’interlocutore che il cristianesimo si trova di fronte, l’induismo, per
usare un termine ormai accettato sia in India che in Occidente, ma
che poco esprime della varietà e caratteristiche di diverse tradizioni
religiose che, pur nate nello stesso bacino storico–socio–culturale, accanto a comunanze fondamentali, portano anche differenze e varietà.
L’induismo è stato caratterizzato, nel corso dei millenni, a partire dal

Prefazione
l’apparizione fondante dei Veda, da ripetuti processi di rinnovamento
e rinascita, culminati in quello che ha accompagnato diverse espressioni del sanatana dharma a partire nei primi decenni del XIX secolo
per arrivare fino alla metà del secolo scorso. Protagonisti del cosiddetto “rinascimento” o “revival indù” sono stati spesso personaggi
che hanno costruito l’India moderna, sia dal punto di vista culturale
(Rabindranath Tagore, Servepalli Radhakrishnan per esempio) che
da quello politico e sociale (Mahatma Gandhi è la figura di maggior
rilievo in tale ambito). All’interno di tale processo, si è distinto lo
sforzo di un progressivo aprirsi verso l’Occidente per presentare la
tradizione indù in tutta la ricchezza tipica delle sue radici, alla cui
riscoperta ha contribuito in modo tutt’altro che marginale il processo dell’“orientalismo”, che nel mondo anglosassone, sia di lingua e
cultura tedesca che inglese, ha favorito il ritorno ai fondamenti del
sanatana dharma.
In questi processi, un ruolo importante anche se non esclusivo, è
stato quello del rapporto fra il cristianesimo delle missioni del XIX
secolo e l’India e l’induismo a cui i missionari europei si sono trovati
a predicare la novità cristiana. Le missioni di questo periodo, fino alla
metà del XIX secolo, sono state soprattutto protestanti, provenienti
da quel mondo anglicano veicolato dal colonialismo britannico. In tal
senso, un ruolo primario sia in ordine di tempo che per la tipologia
dell’impegno missionario è quello avuto dall’esperienza di Serampore, una missione battista inaugurata alla fine del XVIII secolo da
William Carey e realizzata nel corso dei primi tre decenni di quello
successivo dallo stesso Carey e dai suoi compagni: William Ward,
John e Hannah Marshman.
Tale esperienza, degna di un’attenzione particolare, conosciuta
e approfondita in ambito inglese e americano e delle missioni delle
varie Chiese della Riforma, non ha ancora incontrato l’interesse della
Chiesa cattolica ed è pressoché sconosciuta in Italia dove esiste un
solo testo al riguardo, ormai piuttosto datato essendo stato pubblicato
alla fine degli anni Settanta.
Ecco, quindi, il valore del contributo di questa ricerca che propone, per la prima volta in Italia, uno studio organico della missione
battista nella specificità della sua metodologia di annuncio, ma anche nella complessità dei rapporti che caratterizzarono l’esperienza
missionaria in quanto tale. William Carey con il suo testo An Enquiry
into the Obligations of Christians, to Use Means for the Conversion of the
Heathens, con la fondazione della Baptist Missionary Society e con
Prefazione

l’esperienza pastorale realizzata in Bengala ha aperto un nuovo modo di essere missionario sul modello dell’impresa commerciale che
caratterizzava il colonialismo inglese, ma anche fondato su una scelta
di volontari disposti a partire per territori lontani come laici, non di
rado con le loro famiglie, come nel caso dei Trio di Serampore.
L’impresa missionaria battista portava, inoltre, delle caratteristiche
tipiche di quella che sarebbe stata la missione della Riforma nel corso
dei decenni successivi: la centralità della Scrittura e, di conseguenza,
un impegno prioritario alla sua traduzione nelle lingue locali per
una efficace diffusione, l’istruzione scolastica che permettesse non
solo promozione sociale, ma anche capacità di comprensione del
messaggio evangelico, sforzo di formazione del clero locale per la
costituzione di chiese radicate sul territorio. La finalità dell’impegno
missionario, pur essendo quello della predicazione della salvezza
attraverso Cristo, non contemplava conversioni e battesimi di massa
o, comunque, affrettati, ma cercava di assicurare le premesse per
arrivare a un’evangelizzazione progressiva.
Nell’articolato dibattito che si presenta in queste pagine in merito
all’esperienza dei tre missionari battisti, l’elemento, che mi pare costituisca la vera novità dell’impresa è l’intuizione della dimensione
ecumenica come necessità per una vera efficacia dell’annuncio. Un
secolo più tardi la Conferenza di Edimburgo confermerà come l’ecumenismo trovi il suo humus proprio nell’esperienza missionaria, sia a
livello di fondamento che di finalità. Sarà questo un aspetto che verrà
confermato in ambito cattolico dal Concilio Vaticano II (cfr. Unitatis
Redintegratio, ).
Un secondo aspetto affrontato dalla ricerca, riguarda la complessità e difficoltà del rapporto con le religioni del sanatana dharma, che
si inserisce nel contesto dei processi dell’“orientalismo britannico” e
che ha un suo ruolo nella nascita dei processi articolati che avrebbero portato al “neoindusimo”. Proprio la difficoltà di comprensione
reciproca fra i missionari battisti e l’induismo ortodosso, da un lato,
contribuirà a mettere in moto un profondo processo introspettivo
nel cuore della religiosità e socialità indù. Al contempo, dall’altro, interrogherà il cristianesimo sull’urgenza di individuare altre modalità
di rapporto, prima fra tutte quella del dialogo, che emergerà, comunque solo nel XX secolo. Inoltre, proprio l’aver limitato il contatto con
la religiosità indù, a rapporti con l’ortodossia brahminica, ha privato
la missione, sia protestante che cattolica, della possibilità di cogliere
altri aspetti nel cuore dell’induismo.

Prefazione
Molti dei nodi, che vengono esposti nella ricerca che si presenta
in questo testo, richiedono ancora una lettura attenta e sono attualmente, come emerge da questo lavoro, oggetto di studio. Il lavoro,
comunque, può offrire un contributo importante non solo per una
ricerca storica sulla missione, ma anche per una adeguata comprensione di alcuni aspetti dell’evoluzione della religiosità indù a contatto
con l’annuncio cristiano e la cultura occidentale.
Alberto Trevisiol
Rettor Magnifico Pontificia Università Urbaniana Roma
Premessa
Questa ricerca è parte di un percorso avviato anni fa, nel quadro della
mia permanenza quasi trentennale in India, dove si è venuto sviluppando uno stimolante confronto con seguaci del sanatana dharma.
Questo, da un lato, ha permesso un’arricchente esperienza di dialogo
interreligioso a diversi livelli, e, dall’altro, ha prodotto un confronto
sul piano accademico. Da qui l’interesse ad approfondire i legami fra
le correnti dell’induismo (uso questo termine anche se improprio e,
in certo modo, riduttivo) con cui ero a contatto, la loro evoluzione nel
corso del XIX e XX secolo e l’incontro con il mondo occidentale, in
particolare con quello britannico, in quanto a provenienza geografica,
orientalista, per prospettiva culturale, e cristiano nella sua essenza
religiosa. Esso ha portato a un complesso processo di rinnovamento,
definito: rinascita indù, revival indù, neoinduismo, rinascimento indù, o,
da una prospettiva ad intra, induismo riformato, induismo riconsiderato
ecc.
Da tempo studiosi locali e occidentali tentano di riflettere sul
tipo di legame o di legami fra quest’evoluzione in seno alle religioni
del sanatana dharma con il mondo occidentale. La scelta del tema —
William Carey e il Trio di Serampore. La missione e i suoi rapporti con
l’induismo — è legata proprio al ruolo strumentale importante, anche
se non esclusivo, che i missionari battisti hanno avuto nel processo
di rinascita dell’induismo, in particolare dei suoi meccanismi iniziali.
Tale esperienza si è sviluppata in concomitanza con altri fenomeni
altrettanto importanti per la genesi e lo sviluppo del processo: la
nascita dell’orientalismo britannico, che ha dato vita a nuovi ambiti
di ricerca quali l’orientalistica, la linguistica e alcuni aspetti dell’antropologia e dell’etnologia. È stato, quindi, essenziale esaminare i
collegamenti fra i missionari battisti con questi ambiti di carattere
più storico–antropologico e glottologico che teologico e pastorale.
La metodologia è stata di carattere storico, ma non solo.
Al lavoro di ricerca si è aggiunto un esame critico di vari testi di
recente pubblicazione, che tendono a smitizzare quello che per circa
due secoli è stato considerato il “padre della missione protestante”,


Premessa
William Carey. È stato necessario contestualizzare l’esperienza battista
in Bengala, innanzi tutto, nell’ambito della missione protestante, dove
era stata preceduta da altre esperienze significative, una di queste
in India con missionari luterani arrivati un secolo prima di Carey.
Inoltre, è emerso il ruolo avuto dai tre missionari nella controversia,
per certi versi decisiva nello sviluppo della rinascita dell’induismo, fra
orientalisti e anglicisti. Infine, non è sfuggito come il Trio non potesse
non essere vittima di luoghi comuni e approcci tipici del tempo, che
hanno fornito una cartina tornasole alla luce della quale l’induismo e
le sue manifestazioni apparivano tutt’altro che valorizzabili.
Pur coscienti della necessità di svincolarsi da certi stereotipi nei
confronti del subcontinente, che loro stessi avevano contribuito a
creare, i missionari battisti hanno mantenuto un atteggiamento critico nei confronti delle religioni dell’India, coniugando apologia e
impegno sociale. Dall’analisi di epistolari e testimonianze emerge
un progressivo sforzo a cercare un approccio di maggiore comprensione, per altro mai accompagnato da un’analisi che permettesse di
capire se le culture locali portavano con sé elementi definibili come
semi del Verbo o come una preparatio evangelica. I tempi non erano
maturi. Lo aveva sottolineato C. Anderson già in occasione del Memorial Service in onore di William Carey, affermando che «l’impegno
di Carey sebbene notevole, fu tuttavia preparatorio e prospettico».
Inoltre, la prima parte della seconda sezione, che analizza il manuale An Enquiry, elemento fondante della Baptist Missionary Society,
da cui è nata l’esperienza di Serampore, ha richiesto un esame di
carattere più teologico. L’opera di Carey, caratterizzata da aspetti
scritturistici, missiologici e missiografici, emerge dalla prospettiva
calvinista della predestinazione come elemento discriminante del senso o meno della missione. Ma non la si può comprendere senza
tenere conto del contributo del collega e amico battista Fuller, che
aveva sottolineato i concetti di obbligo morale e di responsabilità umana,
elementi nuovi della teologia della salvezza sia del calvinismo che
della Riforma. La sovranità divina non elimina la responsabilità a
credere in Cristo, una volta che se ne riceve l’annuncio. A questo
Carey aggiunge un aspetto decisivo: il mandato ad annunciare la
Buona Novella non si è esaurito, come si pensava all’interno della
Riforma, con gli apostoli, ma, come per altri aspetti evangelici, resta valido per la Chiesa per tutti i tempi. Non poteva, poi, mancare
un esame più ermeneutico, al fine di analizzare alcuni ambiti quali
l’influenza che l’illuminismo ha giocato sulla posizione dei battisti.
Premessa

Oggi, infatti, si concorda a individuare nell’Illuminismo la fonte del
movimento evangelicale. Non è, dunque, possibile bollare, come
spesso è stato fatto, il fenomeno evangelicale come irrazionale, aspetto rintracciabile più nel Pietismo che nel periodo oggetto di questo
studio.
Un altro ambito, in cui l’approccio ermeneutico è stato necessario,
è quello che si approfondisce nella terza sezione della ricerca a proposito del fenomeno di rinascita del Bengala e della controversia fra orientalisti e anglicisti. Il processo del rinascimento del Bengala, argomento
per altro ancora dibattuto, appare come un fenomeno cross–culturale:
un movimento che, iniziato in un regime semi–coloniale, piuttosto
che essere stato originato dalla riscoperta di una cultura antica e vitale,
per le sue prime manifestazioni e più o meno coscientemente, ha
trovato appoggio in un mondo alieno e conquistatore. I battisti si
sono trovati parte di questo processo per motivi di evangelizzazione.
Sono stati coinvolti nella grande controversia fra orientalisti e anglicisti,
che, risolta a favore di questi ultimi in nome di una superiorità della
cultura occidentale e del cristianesimo, ha messo davvero in moto
un processo endogeno di revival.
L’esperienza missionaria di Serampore si muove su alcune linee
portanti a livello teologico–pastorale. Partendo dalla ferma convinzione che le vite dovevano cambiare per essere salvate, si tratta di
un’esperienza missionaria che desidera fondarsi su una dimensione
di coinvolgimento personale, di volontariato e d’impegno comunitario e che s’ispira a Paolo e Barnaba per quanto riguarda i tempi
apostolici e ai Fratelli Moravi come riferimento prossimo, specialmente per la dimensione comunitaria della missione e il suo aspetto
laico e imprenditoriale. È questo che fa dire a Christopher Smith che
Serampore offre un modello ibrido di missione. Inoltre, deve essere
sottolineata la dimensione che potremmo definire pre–ecumenica.
Essa si manifesta in alcuni passi a conclusione dell’Enquiry, ma, particolarmente, nell’intuizione della proposta di organizzare un incontro
missionario mondiale nel , un secolo prima di Edimburgo. Il
fine era quello, non tanto di un dialogo teologico, ma piuttosto di
una condivisione di esperienze, di problematiche e di prospettive.
Carey aveva intuito che la missione può contribuire a un rinnovato rapporto fra le Chiese e che questo non può che nascere dalla
comunione missionaria. Un terzo elemento, senza dubbio in linea
con le caratteristiche delle Chiese della Riforma, è l’impegno di laici
e famiglie nel realizzare il mandato ad gentes. La formazione della

Premessa
Baptist Missionary Society, prima, e l’esperienza delle tre famiglie di
Serampore, poi, è in questo senso, emblematica.
Il limite dell’esperienza di Serampore, oltre a quello già accennato
riguardo al rapporto con cultura e religioni locali, è da identificarsi nel fatto che la missione battista non è mai riuscita a dar vita a
un movimento cristiano indigeno. Resta, poi, il nodo del rapporto
complesso con l’autorità coloniale, che, inizialmente, emargina i battisti, per terminare in un tacito accordo di collaborazione, nel quale i
missionari assumono un ruolo importante di mediazione culturale.