MISSIO DEI COLLANA DI STUDI MISSIOLOGICI E INTERRELIGIOSI Direttori Ambrogio B Pontificia Università Urbaniana Gaetano S Pontificia Università Urbaniana Comitato scientifico Jesús Angel B, OP Pontificia Università Urbaniana Kathleen MG National University of Ireland MISSIO DEI COLLANA DI STUDI MISSIOLOGICI E INTERRELIGIOSI L’attività missionaria è un’azione della carità, nella carità e per la carità; esattamente come essa è un’azione di Dio, in Dio e per Dio. Adam W, Teologia della missione Tutta l’esistenza cristiana deve caratterizzarsi come esistenza missionaria o, per dirla con le parole del concilio Vaticano II, “la chiesa che vive nel tempo è per sua natura missionaria” (AG ). [Di conseguenza,] la chiesa inizia ad essere missionaria non mediante il suo annuncio universale del vangelo, bensì mediante l’universalità del vangelo che annuncia. David B, La trasformazione della missione L’obiettivo della collana è riportare la missione cristiana al centro della riflessione teologica contemporanea di tutti i cristiani, alla sua dimensione cosmica, in quanto “Missio Dei”, al suo profondo valore socio–antropologico. Dio è il primo “missionario”, che per amore e nell’amore si auto-comunica, come ricorda il paradigma relazionale trinitario. Ciò comporta un superamento dell’idea di missione come proselitismo. La missione cristiana non rappresenta un progetto d’espansione delle chiese, quanto il progetto della Chiesa di incarnare e testimoniare nel mondo l’amore di Dio per tutta l’umanità. Nel tempo della globalizzazione cambia il baricentro della missione e con esso anche il concetto di Missio Ad Gentes, fino ad ora concepita come movimento dal centro verso la periferia, dalle zone ricche verso le zone emarginate. La dimensione pluralista — religiosa e culturale — del mondo contemporaneo impone una riflessione più profonda sul rapporto tra missione e dialogo interreligioso e sul ruolo delle altre tradizioni religiose in relazione a Gesù Cristo e al cristianesimo. La spiritualità missionaria, essendo contemplativa e trasformativa, richiede ai cristiani una testimonianza sempre pronta al confronto e al discernimento dei segni dei tempi. Per tutte queste considerazioni, l’approfondimento missiologico non può considerarsi quale mera specializzazione della teologia ma l’humus di ogni riflessione teologica. Coinvolgendo tutte le altre scienze umane, in particolar modo antropologia, sociologica e filosofia, lo studio missiologico ed interreligioso si configura quale servizio integrale al mondo, all’uomo e alla Chiesa. Roberto Catalano William Carey e il Trio di Serampore La missione e i suoi rapporti con l’induismo Prefazione di Alberto Trevisiol Copyright © MMXV Aracne editrice int.le S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Quarto Negroni, Ariccia (RM) () ---- I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. II edizione: settembre Indice Ringraziamenti Prefazione di Alberto Trevisiol Premessa Capitolo I La missione alla luce della Riforma, del Colonialismo e dell’Illuminismo .. Missione fra Riforma e Colonialismo, – ... Il colonialismo e la missione, – ... Riforma e missione, – ... Riforme nella Riforma: pietismo e puritanesimo, – ... Illuminismo e cristianesimo: conseguenze per la missione, – .. Il cristianesimo in India alla fine del XVII secolo, – ... Il Padroado e l’esperienza di De Nobili, – ... La Missione di Halle: Bartolomeus Ziegenbalg e Heinrich Plütschau, . Capitolo II L’impresa della missione di Serampore .. I protagonisti, – ... William Carey, – ... William Ward, – ... I Marshman, – .. Il “Grande Mandato” non è esaurito. An Enquiry: una chiamata e una proposta di teologia della missione, – ... Il contesto e la preparazione, – ... Struttura e contenuti, – ... Il “Grande Mandato” è ancora vincolante?, – ... Quali sono state le esperienze di missione nella Chiesa?, – ... Lo stato attuale del cristianesimo nel mondo, – ... Impegno concreto per la conversione dei pagani, – .. La Baptist Missionary Society, – ... Fondazione e finalità, – ... Rapporti con altre denominazioni e con il potere politico–amministrativo, – ... Problemi interni, – ... Tensioni fra la BMS e il Trio di Serampore, – ... Alcune valutazioni sull’Enquiry e sulla BMS, – .. Serampore e la sua proposta di missione, – ... Il centro della Missione e i piani del suo sviluppo: il Form of Agreement, – ... La Parola di Dio nelle lingue locali, – ... Promozione dell’istruzione e scolarità, – ... Formazione di una Chiesa e di missionari locali, – ... Riforme Indice e promozione sociale, – ... Il modello comunitario, – ... Il “pleasing dream”: albori dell’ecumenismo, . Capitolo III Il Trio di Serampore e le religioni e la cultura dell’India .. Diversi livelli di rapporti con le religioni dell’India, – ... La vita quotidiana, – ... La predicazione, – ... Rapporti con pundits locali e con le scritture, – ... Un rapporto complesso: Raja Rammohan Roy, – .. Le religioni dell’India nei canali di comunicazione di Serampore, – ... Lettere e pubblicazioni, – ... L’Account of the Writings, Religion, and Manners of the Hindoos, – .. Considerazioni sul rapporto del Trio con la religione dell’India, – ... Aspetti generali, – ... Aspetti teologici ed ermeneutici, – ... Le caratteristiche della missione evangelicale, – ... Rapporto fra società e religione, – .. Al crocevia fra orientalismo, anglicismo e rinascita del Bengala, – ... Il Bengala dalla decadenza alla rinascita, – ... La rinascita del Bengala: la prima fase alla fine XVIII secolo, – ... Periodo iniziale del rinascimento del Bengala, – ... La rinascita del Bengala: seconda fase, – ... La terza fase della rinascita del Bengala, – ... Il ruolo dei missionari nella rinascita del Bengala, . Conclusione Una valutazione della missione di Serampore, – La collocazione storica, – I modelli di ispirazione, – Una missione fra eroismo e collaborazione con potere coloniale, – Serampore e la sua rilevanza oggi, – La novità di maggior rilievo di Carey: la comunità come fraternità, – La profezia ecumenica, – Il rapporto con la cultura e le religioni locali, – Limiti ed errori, . Bibliografia Ringraziamenti Mi pare doveroso ringraziare quanti mi hanno incoraggiato e sostenuto nel lavoro e nella successiva pubblicazione di questa ricerca. Vorrei, qui, ricordare il prof. Giuseppe Maria Zanghì, vero maestro di vita e di pensiero, ma anche il prof. Gaspare Mura, che ha suggerito questo percorso e mi ha aiutato a muovere i primi passi necessari per realizzarlo. Un cenno di riconoscenza particolare al prof. Alberto Trevisiol, rettore della Pontificia Università Urbaniana. Non posso non ricordare con immensa gratitudine anche amici e colleghi indiani che mi hanno ispirato alla decisione di intraprendere questa ricerca e mi hanno assisito e illuminato con consigli e supporto spirituale e fraterno: il prof. Sureshchandra Uppadhyaya, direttore della Sezione di Ricerca presso il Bharatya Vidhya Bhavan di Mumbai; la prof.ssa Kala Acharya, direttrice del K.J. Somaiya Sanskriti Peetham; la prof.ssa Shubada Joshi, decano del Dipartimento di Filosofia presso la Mumbai University; la sig.ra Minoti Aram, presidente dello Shanti Ashram di Coimbatore, e sua figlia, la dott.ssa Kezevino Aram, direttrice della stessa istituzione. Un ricordo particolare per il prof. Benedict Kanakapally, attuale decano della Facoltà di Missiologia della Pontificia Università Urbaniana, e il Prof. Kodithuwakku Indunil Janakaratne con i quali, in modi diversi, ho potuto condividere esperienze, affetto e interesse per quel mondo del subcontinente indiano che mi è stato casa per tre decenni. In loro e con loro il mio grazie e riconoscenza a tutti gli insegnati della Facoltà di Missiologia, che mi hanno motivato nel processo di sistematizzazione e di avvio alla metodologia missiologica e di ricerca. Tuttavia, l’aspetto più prezioso non si limita all’ambito accademico, ma alla sfera dei rapporti umani davvero ricchi e profondi che ho potuto stringere con ciascuno di loro. In questo senso questi cinque anni sono stati un laboratorio di ricerca e approfondimento accademico, ma anche un ricco patrimonio umano e spirituale. Prefazione di A T L’ultimo decennio ha visto l’India acquisire sempre più un ruolo di primo piano sulla scena mondiale e questo non solo a livello economico o finanziario, ma anche come modello di pluralismo religioso e culturale, pur con varie problematiche, che riemergono a più riprese, legate a varie tipologie di fondamentalismo. Il cristianesimo, presente nel subcontinente indiano, fin da epoca apostolica ha vissuto fasi diverse, legate, a partire dal XV secolo, al colonialismo. Dopo secoli di fedele plantatio Ecclesiae, il cristianesimo in India si presenta oggi, sia pure con una presenza fortemente minoritaria (il % della popolazione), come una realtà complessa e variegata, impegnata in un processo che cerca di trovare vie nuove all’evangelizzazione, coniugando missione e dialogo e, soprattutto, cercando di favorire processi di inculturazione, che permettano una maggiore comprensibilità dell’annuncio cristiano a persone che seguono le religioni del sanatana dharma. In tale ambito, è noto che si sono venuti sviluppando diversi filoni di riflessione teologico–filosofica, che hanno avuto e continuano ad avere come loro centro di interesse una varietà di aspetti: il rapporto fra cristianesimo e le tradizioni locali, la comprensione di Cristo secondo categorie più vicine alla sensibilità dell’ethos del subcontinente, il ruolo della Chiesa come mediatrice e la sua vocazione all’annuncio della Buona Novella, oggi caratterizzato, senza mai esserne sostituito, anche dalla centralità del dialogo interreligioso. In tale contesto, si è sviluppato un interesse crescente per l’interlocutore che il cristianesimo si trova di fronte, l’induismo, per usare un termine ormai accettato sia in India che in Occidente, ma che poco esprime della varietà e caratteristiche di diverse tradizioni religiose che, pur nate nello stesso bacino storico–socio–culturale, accanto a comunanze fondamentali, portano anche differenze e varietà. L’induismo è stato caratterizzato, nel corso dei millenni, a partire dal Prefazione l’apparizione fondante dei Veda, da ripetuti processi di rinnovamento e rinascita, culminati in quello che ha accompagnato diverse espressioni del sanatana dharma a partire nei primi decenni del XIX secolo per arrivare fino alla metà del secolo scorso. Protagonisti del cosiddetto “rinascimento” o “revival indù” sono stati spesso personaggi che hanno costruito l’India moderna, sia dal punto di vista culturale (Rabindranath Tagore, Servepalli Radhakrishnan per esempio) che da quello politico e sociale (Mahatma Gandhi è la figura di maggior rilievo in tale ambito). All’interno di tale processo, si è distinto lo sforzo di un progressivo aprirsi verso l’Occidente per presentare la tradizione indù in tutta la ricchezza tipica delle sue radici, alla cui riscoperta ha contribuito in modo tutt’altro che marginale il processo dell’“orientalismo”, che nel mondo anglosassone, sia di lingua e cultura tedesca che inglese, ha favorito il ritorno ai fondamenti del sanatana dharma. In questi processi, un ruolo importante anche se non esclusivo, è stato quello del rapporto fra il cristianesimo delle missioni del XIX secolo e l’India e l’induismo a cui i missionari europei si sono trovati a predicare la novità cristiana. Le missioni di questo periodo, fino alla metà del XIX secolo, sono state soprattutto protestanti, provenienti da quel mondo anglicano veicolato dal colonialismo britannico. In tal senso, un ruolo primario sia in ordine di tempo che per la tipologia dell’impegno missionario è quello avuto dall’esperienza di Serampore, una missione battista inaugurata alla fine del XVIII secolo da William Carey e realizzata nel corso dei primi tre decenni di quello successivo dallo stesso Carey e dai suoi compagni: William Ward, John e Hannah Marshman. Tale esperienza, degna di un’attenzione particolare, conosciuta e approfondita in ambito inglese e americano e delle missioni delle varie Chiese della Riforma, non ha ancora incontrato l’interesse della Chiesa cattolica ed è pressoché sconosciuta in Italia dove esiste un solo testo al riguardo, ormai piuttosto datato essendo stato pubblicato alla fine degli anni Settanta. Ecco, quindi, il valore del contributo di questa ricerca che propone, per la prima volta in Italia, uno studio organico della missione battista nella specificità della sua metodologia di annuncio, ma anche nella complessità dei rapporti che caratterizzarono l’esperienza missionaria in quanto tale. William Carey con il suo testo An Enquiry into the Obligations of Christians, to Use Means for the Conversion of the Heathens, con la fondazione della Baptist Missionary Society e con Prefazione l’esperienza pastorale realizzata in Bengala ha aperto un nuovo modo di essere missionario sul modello dell’impresa commerciale che caratterizzava il colonialismo inglese, ma anche fondato su una scelta di volontari disposti a partire per territori lontani come laici, non di rado con le loro famiglie, come nel caso dei Trio di Serampore. L’impresa missionaria battista portava, inoltre, delle caratteristiche tipiche di quella che sarebbe stata la missione della Riforma nel corso dei decenni successivi: la centralità della Scrittura e, di conseguenza, un impegno prioritario alla sua traduzione nelle lingue locali per una efficace diffusione, l’istruzione scolastica che permettesse non solo promozione sociale, ma anche capacità di comprensione del messaggio evangelico, sforzo di formazione del clero locale per la costituzione di chiese radicate sul territorio. La finalità dell’impegno missionario, pur essendo quello della predicazione della salvezza attraverso Cristo, non contemplava conversioni e battesimi di massa o, comunque, affrettati, ma cercava di assicurare le premesse per arrivare a un’evangelizzazione progressiva. Nell’articolato dibattito che si presenta in queste pagine in merito all’esperienza dei tre missionari battisti, l’elemento, che mi pare costituisca la vera novità dell’impresa è l’intuizione della dimensione ecumenica come necessità per una vera efficacia dell’annuncio. Un secolo più tardi la Conferenza di Edimburgo confermerà come l’ecumenismo trovi il suo humus proprio nell’esperienza missionaria, sia a livello di fondamento che di finalità. Sarà questo un aspetto che verrà confermato in ambito cattolico dal Concilio Vaticano II (cfr. Unitatis Redintegratio, ). Un secondo aspetto affrontato dalla ricerca, riguarda la complessità e difficoltà del rapporto con le religioni del sanatana dharma, che si inserisce nel contesto dei processi dell’“orientalismo britannico” e che ha un suo ruolo nella nascita dei processi articolati che avrebbero portato al “neoindusimo”. Proprio la difficoltà di comprensione reciproca fra i missionari battisti e l’induismo ortodosso, da un lato, contribuirà a mettere in moto un profondo processo introspettivo nel cuore della religiosità e socialità indù. Al contempo, dall’altro, interrogherà il cristianesimo sull’urgenza di individuare altre modalità di rapporto, prima fra tutte quella del dialogo, che emergerà, comunque solo nel XX secolo. Inoltre, proprio l’aver limitato il contatto con la religiosità indù, a rapporti con l’ortodossia brahminica, ha privato la missione, sia protestante che cattolica, della possibilità di cogliere altri aspetti nel cuore dell’induismo. Prefazione Molti dei nodi, che vengono esposti nella ricerca che si presenta in questo testo, richiedono ancora una lettura attenta e sono attualmente, come emerge da questo lavoro, oggetto di studio. Il lavoro, comunque, può offrire un contributo importante non solo per una ricerca storica sulla missione, ma anche per una adeguata comprensione di alcuni aspetti dell’evoluzione della religiosità indù a contatto con l’annuncio cristiano e la cultura occidentale. Alberto Trevisiol Rettor Magnifico Pontificia Università Urbaniana Roma Premessa Questa ricerca è parte di un percorso avviato anni fa, nel quadro della mia permanenza quasi trentennale in India, dove si è venuto sviluppando uno stimolante confronto con seguaci del sanatana dharma. Questo, da un lato, ha permesso un’arricchente esperienza di dialogo interreligioso a diversi livelli, e, dall’altro, ha prodotto un confronto sul piano accademico. Da qui l’interesse ad approfondire i legami fra le correnti dell’induismo (uso questo termine anche se improprio e, in certo modo, riduttivo) con cui ero a contatto, la loro evoluzione nel corso del XIX e XX secolo e l’incontro con il mondo occidentale, in particolare con quello britannico, in quanto a provenienza geografica, orientalista, per prospettiva culturale, e cristiano nella sua essenza religiosa. Esso ha portato a un complesso processo di rinnovamento, definito: rinascita indù, revival indù, neoinduismo, rinascimento indù, o, da una prospettiva ad intra, induismo riformato, induismo riconsiderato ecc. Da tempo studiosi locali e occidentali tentano di riflettere sul tipo di legame o di legami fra quest’evoluzione in seno alle religioni del sanatana dharma con il mondo occidentale. La scelta del tema — William Carey e il Trio di Serampore. La missione e i suoi rapporti con l’induismo — è legata proprio al ruolo strumentale importante, anche se non esclusivo, che i missionari battisti hanno avuto nel processo di rinascita dell’induismo, in particolare dei suoi meccanismi iniziali. Tale esperienza si è sviluppata in concomitanza con altri fenomeni altrettanto importanti per la genesi e lo sviluppo del processo: la nascita dell’orientalismo britannico, che ha dato vita a nuovi ambiti di ricerca quali l’orientalistica, la linguistica e alcuni aspetti dell’antropologia e dell’etnologia. È stato, quindi, essenziale esaminare i collegamenti fra i missionari battisti con questi ambiti di carattere più storico–antropologico e glottologico che teologico e pastorale. La metodologia è stata di carattere storico, ma non solo. Al lavoro di ricerca si è aggiunto un esame critico di vari testi di recente pubblicazione, che tendono a smitizzare quello che per circa due secoli è stato considerato il “padre della missione protestante”, Premessa William Carey. È stato necessario contestualizzare l’esperienza battista in Bengala, innanzi tutto, nell’ambito della missione protestante, dove era stata preceduta da altre esperienze significative, una di queste in India con missionari luterani arrivati un secolo prima di Carey. Inoltre, è emerso il ruolo avuto dai tre missionari nella controversia, per certi versi decisiva nello sviluppo della rinascita dell’induismo, fra orientalisti e anglicisti. Infine, non è sfuggito come il Trio non potesse non essere vittima di luoghi comuni e approcci tipici del tempo, che hanno fornito una cartina tornasole alla luce della quale l’induismo e le sue manifestazioni apparivano tutt’altro che valorizzabili. Pur coscienti della necessità di svincolarsi da certi stereotipi nei confronti del subcontinente, che loro stessi avevano contribuito a creare, i missionari battisti hanno mantenuto un atteggiamento critico nei confronti delle religioni dell’India, coniugando apologia e impegno sociale. Dall’analisi di epistolari e testimonianze emerge un progressivo sforzo a cercare un approccio di maggiore comprensione, per altro mai accompagnato da un’analisi che permettesse di capire se le culture locali portavano con sé elementi definibili come semi del Verbo o come una preparatio evangelica. I tempi non erano maturi. Lo aveva sottolineato C. Anderson già in occasione del Memorial Service in onore di William Carey, affermando che «l’impegno di Carey sebbene notevole, fu tuttavia preparatorio e prospettico». Inoltre, la prima parte della seconda sezione, che analizza il manuale An Enquiry, elemento fondante della Baptist Missionary Society, da cui è nata l’esperienza di Serampore, ha richiesto un esame di carattere più teologico. L’opera di Carey, caratterizzata da aspetti scritturistici, missiologici e missiografici, emerge dalla prospettiva calvinista della predestinazione come elemento discriminante del senso o meno della missione. Ma non la si può comprendere senza tenere conto del contributo del collega e amico battista Fuller, che aveva sottolineato i concetti di obbligo morale e di responsabilità umana, elementi nuovi della teologia della salvezza sia del calvinismo che della Riforma. La sovranità divina non elimina la responsabilità a credere in Cristo, una volta che se ne riceve l’annuncio. A questo Carey aggiunge un aspetto decisivo: il mandato ad annunciare la Buona Novella non si è esaurito, come si pensava all’interno della Riforma, con gli apostoli, ma, come per altri aspetti evangelici, resta valido per la Chiesa per tutti i tempi. Non poteva, poi, mancare un esame più ermeneutico, al fine di analizzare alcuni ambiti quali l’influenza che l’illuminismo ha giocato sulla posizione dei battisti. Premessa Oggi, infatti, si concorda a individuare nell’Illuminismo la fonte del movimento evangelicale. Non è, dunque, possibile bollare, come spesso è stato fatto, il fenomeno evangelicale come irrazionale, aspetto rintracciabile più nel Pietismo che nel periodo oggetto di questo studio. Un altro ambito, in cui l’approccio ermeneutico è stato necessario, è quello che si approfondisce nella terza sezione della ricerca a proposito del fenomeno di rinascita del Bengala e della controversia fra orientalisti e anglicisti. Il processo del rinascimento del Bengala, argomento per altro ancora dibattuto, appare come un fenomeno cross–culturale: un movimento che, iniziato in un regime semi–coloniale, piuttosto che essere stato originato dalla riscoperta di una cultura antica e vitale, per le sue prime manifestazioni e più o meno coscientemente, ha trovato appoggio in un mondo alieno e conquistatore. I battisti si sono trovati parte di questo processo per motivi di evangelizzazione. Sono stati coinvolti nella grande controversia fra orientalisti e anglicisti, che, risolta a favore di questi ultimi in nome di una superiorità della cultura occidentale e del cristianesimo, ha messo davvero in moto un processo endogeno di revival. L’esperienza missionaria di Serampore si muove su alcune linee portanti a livello teologico–pastorale. Partendo dalla ferma convinzione che le vite dovevano cambiare per essere salvate, si tratta di un’esperienza missionaria che desidera fondarsi su una dimensione di coinvolgimento personale, di volontariato e d’impegno comunitario e che s’ispira a Paolo e Barnaba per quanto riguarda i tempi apostolici e ai Fratelli Moravi come riferimento prossimo, specialmente per la dimensione comunitaria della missione e il suo aspetto laico e imprenditoriale. È questo che fa dire a Christopher Smith che Serampore offre un modello ibrido di missione. Inoltre, deve essere sottolineata la dimensione che potremmo definire pre–ecumenica. Essa si manifesta in alcuni passi a conclusione dell’Enquiry, ma, particolarmente, nell’intuizione della proposta di organizzare un incontro missionario mondiale nel , un secolo prima di Edimburgo. Il fine era quello, non tanto di un dialogo teologico, ma piuttosto di una condivisione di esperienze, di problematiche e di prospettive. Carey aveva intuito che la missione può contribuire a un rinnovato rapporto fra le Chiese e che questo non può che nascere dalla comunione missionaria. Un terzo elemento, senza dubbio in linea con le caratteristiche delle Chiese della Riforma, è l’impegno di laici e famiglie nel realizzare il mandato ad gentes. La formazione della Premessa Baptist Missionary Society, prima, e l’esperienza delle tre famiglie di Serampore, poi, è in questo senso, emblematica. Il limite dell’esperienza di Serampore, oltre a quello già accennato riguardo al rapporto con cultura e religioni locali, è da identificarsi nel fatto che la missione battista non è mai riuscita a dar vita a un movimento cristiano indigeno. Resta, poi, il nodo del rapporto complesso con l’autorità coloniale, che, inizialmente, emargina i battisti, per terminare in un tacito accordo di collaborazione, nel quale i missionari assumono un ruolo importante di mediazione culturale.