REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI ROMA Sezione Lavoro Il Giudice designato, dr. Giovanni Armone all’udienza del 18 luglio 2013, all’esito della camera di consiglio, alle ore 17, ha pronunciato la seguente SENTENZA mediante lettura del dispositivo, nella causa iscritta al n. 44938/2011 R. G. Aff. Cont. Lavoro TRA MARANZANO GENNARO ANTONIO elettivamente domiciliato in Roma, via Monte Zebio, 32, presso lo studio degli avv. Luciano Tamburro, Cristina Tamburro e Anna Rita Curci, che lo rappresentano e difendono, in virtù di procura a margine del ricorso introduttivo; ricorrente E ATAC spa in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Roma, via degli Scipioni, 281-283, presso lo studio degli avv. Giampiero Proia e Mauro Petrassi, che la rappresentano e difendono, unitamente all’avv. Gian Francesco Regard, in virtù di procure in atti; resistente MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Con ricorso depositato il 9 dicembre 2011, il ricorrente ha esposto: a. di essere stato assunto alle dipendenze dell’ACOTRAL (Azienda Consortile Trasporti Lazio) l’11 giugno 1979 con la qualifica di operaio specializzato e di avere fatto carriera all’interno dell’Azienda, nelle diverse denominazioni e forme giuridiche dalla stessa assunte nel corso del tempo, fino a diventare direttore di esercizio di Met.Ro. spa a decorrere dal 6 novembre 2001; b. di aver espletato tale ruolo fino a tutto il 2009; che a decorrere dal 1° gennaio 2010 si è realizzata una fusione per incorporazione di Met.Ro. spa e Trambus spa in una nuova società denominata Atac spa; che con ordine di servizio del 19 gennaio 2010 è stato delineato il nuovo assetto della macrostruttura Atac; c. che nell’ambito del nuovo organigramma egli, pur mantenendo l’incarico di direttore di esercizio, non è stato inquadrato in alcuna posizione organizzativa; che a decorrere da quel momento egli è stato progressivamente esautorato dalla funzione pur formalmente rivestita ed è stato privato dei suoi poteri e delle sue prerogative; d. che con ordine di servizio del 31 maggio 2010 si è realizzato un ulteriore riassetto dell’organizzazione societaria, che ha comportato la costituzione di una nuova Direzione Centrale Industriale, assegnata al sig. M. C., e il trasferimento all’interno di tale direzione delle attività prima sottoposte alla precedente posizione da lui ricoperta; e. che in data 6 agosto 2010 egli è stato sostituito nell’incarico di direttore di esercizio dall’ing. N. e in data 10 agosto 2010 è stato “collocato a disposizione dell’amministratore delegato per incarichi speciali che saranno dettagliati con comunicazioni dirette all’interessato”; f. di non avere tuttavia mai ricevuto alcun incarico e di avere più volte segnalato tale situazione al nuovo direttore di esercizio e all’amministratore delegato, che era nel frattempo mutato; g. di non aver ricevuto alcun incarico neanche nell’ambito della nuova disposizione organizzativa del 3 febbraio 2011; h. che in data 2 marzo 2011 gli è stata consegnata a mano una lettera di licenziamento per motivi oggettivi, datata 24 febbraio 2011; i. che già dal 3 marzo 2011 gli è stato impedito l’accesso ai locali aziendali e il recupero anche dei propri effetti personali. 2. Il ricorrente ha pertanto chiesto al Tribunale adito di voler: a. accertare e dichiarare che il licenziamento intimato nei propri confronti è illegittimo e/o illecito o comunque ingiustificato, con conseguente condanna della società resistente alla sua reintegrazione nel posto di lavoro, assegnazione delle mansioni dirigenziali anteatte e pagamento di un’indennità equivalente alle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento all’effettiva reintegra; b. condannare la resistente agli accantonamenti del TFR, al pagamento delle differenze retributive e al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale. 3. La società resistente si è costituita in giudizio, contestando la fondatezza della domanda e chiedendone il rigetto. 4. La domanda è fondata e deve essere pertanto accolta nei limiti di seguito precisati. 5. Gli atti persecutori. 6. L’istruttoria svolta ha dimostrato che il licenziamento impugnato è stato l’atto conclusivo di un percorso persecutorio, intrapreso dall’azienda nei confronti del ricorrente all’indomani della fusione per incorporazione e scandito da diversi passaggi. 7. Anzitutto, nell’ordine di servizio del gennaio 2010, con cui si è proceduto alla riorganizzazione della società all’indomani della fusione, il ricorrente, pur mantenendo la qualifica formale di “direttore di esercizio”, è stato privato di qualsiasi incarico dirigenziale (v. doc. 55). 8. Nei mesi successivi, poi, il ricorrente non è stato coinvolto nelle attività che investivano le competenze e le responsabilità proprie del direttore di esercizio. Egli non veniva più invitato alle riunioni operative, non era destinatario di comunicazioni aventi per oggetto argomenti pur rientranti nel suo ambito di competenza, le decisioni passavano sopra la sua testa e, in occasione di un incidente ferroviario avvenuto il 20 aprile 2010 egli non è stato avvertito direttamente e immediatamente del fatto, ma ne è venuto a conoscenza in via indiretta. 9. A proposito del mancato coinvolgimento del Maranzano nelle riunioni e nei processi decisionali, si vedano le numerose note di servizio inerenti il servizio della metropolitana, non indirizzate al ricorrente, nonché le dichiarazioni testimoniali rese dai testi F. (“fino al marzo 2010 l'attività è più o meno continuata allo stesso modo. Poi nel marzo 2010 si è insediato l'ingegner N. e quindi buona parte della segreteria amministrativa del ricorrente è passata all'ingegner N., mentre il ricorrente ha mantenuto la responsabilità di legge come direttore di esercizio, con particolare riferimento alla legge 753, ma non faceva più nulla, la corrispondenza di sua competenza è notevolmente diminuita e lui non veniva invitato alle riunioni nelle quali doveva essere coinvolto il direttore di esercizio. Lui lo veniva a sapere successivamente”), M. (“Ricordo che nei mesi di maggio e giugno 2010 ingegner N. indiceva delle riunioni e ricordo di aver partecipato. A me pare di ricordare che a marzo 2000 e 10 il ricorrente sia stato sostituito, ma ricordo anche che c'è stato un periodo in cui direttore di esercizio erano due. Il ricorrente non partecipava alle riunioni indette dall'ingegner N. nel maggio giugno 2000 e 10, non so dire per quale motivo. Le riunioni che l'ingegner N. organizzava erano di carattere operativo e devo dire che, siccome lui era appena arrivato, eravamo più nuovi (leggi: noi) responsabili delle linee che lo aiutavamo nella sua attività di quanto lui non lo fosse noi. Immagino che il ricorrente non fosse presente a queste riunioni perché non veniva invitato, ma non so essere preciso su questo, noi immaginavamo che c'era qualche bega intorno a questo fatto. Ricordo che in quel periodo io incontravo a volte il ricorrente nel suo ufficio e lui appariva avvilito, diceva che era ancora direttore di esercizio, dava delle direttive alla regione al ministero dei trasporti, ma non riceveva risposte. Era un periodo molto confuso, credo di ricordare qualcosa del genere. Ricordo che in quel periodo il ricorrente chiedeva informazioni e delucidazioni ai suoi superiori, credo anche all'amministratore delegato, ma non so essere più preciso”), G. (A seguito della ristrutturazione il ricorrente rimase formalmente direttore di esercizio, ma secondo me non faceva niente. Prima noi ci vedevamo spessissimo, quotidianamente, dopo la riorganizzazione del gennaio 2010 ci vedevamo molto meno. Io continuavo a svolgere il mio incarico, ma il ricorrente era molto meno presente, non veniva convocato alle riunioni di lavoro che venivano indette. Le riunioni venivano indette dall’ing. N., che però arrivò un po’ dopo e prese il posto del ricorrente. Tra il gennaio 2010 e l’arrivo del N. non c’erano riunioni, tranne una, convocata dal Coletti proprio per presentare il N. Nonostante questo, qualche riunione fu convocata proprio dal ricorrente, il quale ci illustrava le difficoltà dovute alla nuova organizzazione e le sue difficoltà specifiche con il Ministero dei trasporti e le altre autorità competenti. Ci fu qualche altra comunicazione da parte del ricorrente e poi a voce si lamentava continuamente. In quel periodo lui mi aveva dato l’incarico di rivedere il regolamento di esercizio”.ADR: “Quando N. è arrivato, ci ha fatto almeno tre o quattro convocazioni a cui il ricorrente non fu chiamato e il N. ci diceva di far capo a lui, non al ricorrente. Nelle e-mail di convocazione c’ero io e gli altri dirigenti di movimento, ma mi pare di ricordare che in copia tra i destinatari non ci fosse il ricorrente”. Gli stessi testi F. e M. hanno poi riferito dell’incidente ferroviario e del mancato coinvolgimento del Maranzano. 10. La situazione non è mutata nei mesi successivi, neanche dopo la ulteriore riorganizzazione decisa con D.O. del 31 maggio 2010, che, pur creando nuove direzioni e nominando nuovi dirigenti, ha confermato l’esclusione del ricorrente da qualsiasi incarico dirigenziale effettivo. Egli rimaneva direttore di esercizio, con il compito di coadiuvare il nuovo direttore della Direzione metro-ferrovie, ing. N., ma allo svolgimento effettivo di tale compito egli non risulta essere stato mai chiamato. I testi hanno riferito che il N. e il Maranzano non si vedevano praticamente mai (v. i testi G. e F.), sicché deve ritenersi che anche il compito di coadiuvare il direttore rimaneva sulla carta, nonostante peraltro che il N. fosse nuovo del settore e avesse bisogno di confrontarsi con i responsabili delle singole tratte (secondo quanto riferito dal teste M.). 11. Tale inattività ha poi ricevuto una consacrazione formale nell’agosto 2010, allorché il ricorrente è stato privato anche del ruolo di direttore di esercizio, affidato ufficialmente all’ing. N., ed è stato collocato a disposizione dell’amministratore delegato per non meglio precisati incarichi speciali. 12. Neanche in tale nuova posizione, peraltro, il ricorrente è stato chiamato a svolgere alcuna attività, neanche quando, da settembre 2010, è stato nominato un nuovo amministratore delegato. Non solo ne hanno riferito i testi F. e G., ma anche il teste D.L., indicato da parte resistente, ha riferito che probabilmente il vecchio amministratore delegato non ha avuto il tempo di conferire incarichi al Maranzano perché sostituito di lì a poco, mentre il nuovo amministratore è stato impegnato nei primi mesi in una disamina della situazione organizzativa. Del resto, agli atti del fascicolo di parte ricorrente (doc. 271) vi è una lettera del Maranzano in cui questi chiede conto al nuovo amministratore delegato delle ragioni della sua forzata inattività e tale lettera reca a margine un’annotazione a penna, verosimilmente proveniente dallo stesso a.d. o dal suo assistente, in cui si chiede a un certo Riccardo (che è verosimilmente il teste D.L., che era all’epoca il responsabile delle risorse umane) a proposito del Maranzano “come mai è, di fatto, senza alcun incarico?”. 13. L’inattività è durata fino al marzo 2011, quando, dopo che si era proceduto a un ulteriore riassetto, il ricorrente è stato licenziato per ragioni organizzative, in particolare per la soppressione della posizione lavorativa da lui ricoperta. 14. La concatenazione cronologica delle diverse decisioni aziendali che hanno coinvolto il ricorrente, l’inattività forzata cui è stato costretto, le modalità con cui è stato trattato, la vaghezza dell’ordine di servizio successivo alla sua cessazione dalla carica di direttore di esercizio, sono fattori che, considerati complessivamente, inducono a concludere che le decisioni organizzative adottate erano strumentali alla sua emarginazione lavorativa e alla sua successiva estromissione dall’azienda. Il licenziamento non costituisce pertanto espressione della discrezionalità datoriale alle prese con una riorganizzazione lavorativa imposta da esigenze esterne, né un semplice licenziamento ingiustificato e/o sproporzionato, ma si è inserito, costituendone il momento culminante, in un disegno persecutorio. Esso si configura dunque come illecito. 15. Al riguardo, il Tribunale è ben consapevole della discrezionalità organizzativa di cui gode l’imprenditore, specie nel delineare l’assetto dirigenziale; ed è altrettanto consapevole del fatto che alcuni degli atti elencati, in sé considerati, si profilano formalmente legittimi, in quanto espressione della citata discrezionalità. 16. E’ noto tuttavia che “la condotta di mobbing postula la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti, o anche leciti se singolarmente considerati, che siano stati compiuti in maniera miratamente sistematica e prolungata contro il dipendente con intento vessatorio” (Cass. civ., sez. lav., 31-052011, n. 12048, Cass. civ., sez. lav., 17-02-2009, n. 3785, Cass. civ., sez. lav., 09-092008, n. 22893). 17. Nella specie, è evidente che la riorganizzazione del gennaio 2010, dovuta alla fusione per incorporazione di due grandi società, ben poteva comportare una rivoluzione dell’organigramma e una redistribuzione degli incarichi dirigenziali. Il depennamento del ricorrente dalla posizione organizzativa apicale era dunque in sé legittimo, tanto più che a lui venivano conservate le competenze di direttore di esercizio. Lo stesso si può dire per la sostituzione del ricorrente in quest’ultimo ruolo e per la sua assegnazione ad incarichi speciali, ad agosto 2010. 18. Poiché tuttavia è stato dimostrato: che nell’intervallo tra gennaio e agosto 2010, il ricorrente è stato lasciato inattivo ed emarginato dalle decisioni aziendali inerenti il ruolo, previsto dalla legge, di direttore di esercizio; che nell’agosto 2010 gli è stata assegnata una posizione creata dal nulla e dagli incerti contorni, apparentemente prestigiosa ma in realtà vuota di contenuti; che nei mesi successivi al ricorrente, in tale ultima posizione, non è stato conferito alcun incarico, tantomeno speciale; che il licenziamento, avvenuto sette mesi dopo, è stato giustificato per soppressione del posto ricoperto; non può che inferirsi che tutte le decisioni organizzative che si sono susseguite erano finalizzate a precostituire le ragioni del successivo licenziamento. Ne è chiara dimostrazione il fatto che il licenziamento sia stato motivato con il fatto che la posizione ricoperta dal ricorrente era stata soppressa. In realtà, al momento del licenziamento il ricorrente non ricopriva una posizione organizzativa ben definita, poiché egli era stato collocato a disposizione dell’amministratore delegato per incarichi speciali mai precisati, mentre la sua precedente posizione organizzativa di direttore d’esercizio, insopprimibile perché prevista a livello normativo, era tuttora esistente ed era stata affidata ad altri. Ciò rende palese l’intento dell’azienda di svilire ed emarginare progressivamente il ricorrente, anche creando una posizione organizzativa prima inesistente, onde poter meglio giustificare la sua eliminazione. 19. Il motivo illecito. 20. Il motivo illecito della marginalizzazione e del successivo licenziamento del ricorrente è infine dimostrato da vari elementi indiziari. 21. Al riguardo, va ricordato come la giurisprudenza più recente, che il tribunale condivide, pur ribadendo che l’onere della prova del motivo illecito a carico del lavoratore, ha affermato: “Trattasi di prova non agevole, sostanzialmente fondata sulla utilizzazione di presunzioni, tra le quali presenta un ruolo non secondario anche la dimostrazione della inesistenza del diverso motivo addotto a giustificazione del licenziamento o di alcun motivo ragionevole” (Cass. civ., sez. lav., 08-08-2011, n. 17087). In altri termini, colui che agisca per sentir dichiarare la natura discriminatoria o comunque illecita del licenziamento non solo può avvalersi di presunzioni (purché naturalmente gravi, precise e concordanti), senza che la presenza di altri motivi di licenziamento escluda di per sé la natura discriminatoria dell’atto; ma in aggiunta, se tali motivi non sussistono o se, pur dimostrati in giudizio, si rivelano sproporzionati o inadeguati rispetto alla misura adottata, ciò costituisce indice dell’intento discriminatorio. 22. E’ per questa ragione che la strumentalità della condotta tenuta dall’azienda nei confronti del Maranzano e dunque la pretestuosità della giustificazione del licenziamento formalmente addotta costituiscono il primo serio elemento dell’esistenza del motivo illecito di licenziamento. 23. A questi ne vanno aggiunti altri. 24. Il Maranzano afferma di aver avuto, all’indomani della fusione, vari colloqui con i nuovi vertici aziendali, nei quali gli sarebbe stato consigliato di cercarsi una protezione politica. Il rifiuto da lui opposto sarebbe all’origine della marginalizzazione e del licenziamento. 25. Ora, nessuno dei testi escussi ha dichiarato di aver assistito personalmente a tali colloqui. Alcuni di loro hanno tuttavia riferito circostanze significative. 26. Così la teste F. ha riferito: “quando nel gennaio 2010 è arrivato l'ordine di servizio che ha riordinato le varie aree dell'azienda, il ricorrente era in riunione e ricordo che ho ricevuto io l'ordine di servizio e l'ho letto. L'ordine di servizio era arrivato in via telematica. Quando il ricorrente è rientrato dalla riunione io gli ho fatto leggere e lui è rimasto incredulo, in quanto l'ordine di servizio prevedeva che lui rimanesse direttore di esercizio, ma tutte le aree operative erano assegnate ad altre persone, in particolare le aree e le divisioni che in precedenza erano di sua competenza erano state assegnate al dottor C. Confermo che nei giorni successivi, il ricorrente si è attivato e ha avuto un colloquio con il dottor C. alla presenza della dottoressa M. Non ricordo se tale incontro è avvenuto presso il nostro ufficio o presso quello del dottor C. Non mi pare di aver assistito al colloquio, ma ricordo che il ricorrente mi riferì il contenuto per sommi capi, dicendomi che gli era stato fatto riferimento alla necessità di una protezione, ma lui mi disse che non aveva intenzione di farsi proteggere da nessuno”. 27. Il teste M., poi, oltre ad aver parlato di voci generiche che circolavano in azienda sulla volontà di rimuovere il Maranzano perché privo di protezione politica, ha riferito di due episodi più specifici. A proposito dell’incidente ferroviario dell’aprile 2010, il teste ha dichiarato: “Ricordo che quel giorno verso le 9, 9,30 arrivò anche il ricorrente e in quell'occasione io conobbi una nuova dirigente la Dott.ssa F., che mi pare fosse responsabile della comunicazione. Nelle ore successive, verso l'ora di pranzo, parlai con il ricorrente e lui si lamentava del fatto di non essere stato avvertito direttamente data dell'incidente, ma di aver ricevuto notizia da la direzione regionale trasporti, da una signora di cui non ricordo il nome che era la dirigente. Il ricorrente mi disse anche che si era lamentato di questo con la Dott.ssa F., la quale gli aveva suggerito di cercarsi una raccomandazione a questo fine. Lui era rimasto sbalordito da questo consiglio e io in quel momento pensai che non c'era bisogno di una raccomandazione, visto che era una figura tecnica prevista dalla legge”. Inoltre, il teste ha dichiarato: “Su questo argomento io ho sentito solo nel 2008, in occasione del cambio sindaco del comune di Roma, l'ingegner A. D., che era il responsabile del settimo dipartimento e con il quale avevo rapporti di amicizia, fare riferimento all'intenzione della nuova giunta di fare una sorta di spoil system, facendo il nome del ricorrente e anche di altre persone come da sostituire. Non aggiunse altro né io lo chiesi, ma mi sembrò strano anche allora proprio perché il direttore di esercizio è una figura tecnica”. 28. Il teste G. a sua volta ha dichiarato: “Ho sentito parlare del colloquio che alla fine del 2009 il ricorrente ha avuto con l’avv. D.L.. Fu lui a riferirmelo, perché io ero andato nel suo ufficio dopo aver ricevuto una telefonata proprio dal D.L., in cui questi mi minacciò dicendomi che dovevo considerarmi responsabile, con il mio capo, della rivolta, della protesta che in quel momento c’era presso il deposito da parte dei macchinisti metro, per il servizio durante il periodo natalizio. Quando glielo riferii, il ricorrente mi parlò dell’incontro che aveva avuto con il D.L. e mi disse che questi gli aveva detto che lui era stato messo lì dalla politica e rispondeva alla politica.” 29. Tutte queste deposizioni, benché in buona parte de relato e de relato actoris, se lette alla luce dell’oggettivo svolgimento dei fatti, dimostrano che effettivamente vi era, già all’indomani delle elezioni amministrative del 2008 e del cambio di giunta, e ancor più dopo la fusione della fine del 2009, l’intenzione di far spazio a nuovi dirigenti ed estromettere una parte dei vecchi e che il criterio per compiere tale scelta non era oggettivo o tecnico, ma era di carattere politico. Quest’ultima espressione non significa che i dirigenti da licenziare siano stati necessariamente scelti tra quelli di centro-sinistra, cioè di colorazione politica opposta a quella della giunta comunale insediatasi nel 2008, ma che almeno nel caso del Maranzano si è inteso colpire un dirigente che non aveva una specifica appartenenza o protezione. Significative al riguardo sono le deposizioni dei testi citati da parte resistente. Così il P., che aveva l’incarico di gestione del personale, ha dichiarato: “C'erano delle persone che simpatizzano notoriamente per altri partiti. Confermo con riferimento al capitolo 47 che a seguito del processo di fusione sono stati mantenuti in servizio dirigenti anche apicali che notoriamente non erano simpatizzanti della corrente politica corrispondente alla nuova amministrazione del comune di Roma. Si tratta di persone che svolgevano anche attività sindacale o politica in senso lato”. Il D.L., responsabile del personale, ha riferito: “Nella riorganizzazione culminata nell'ordine di servizio del 2010, escludo che si sia tenuto conto delle caratteristiche simpatie politiche dei vari dirigenti ed escludo che glielo abbia influito il fatto che, circa due anni prima, ci fosse stato il cambio di sindaco di giunta del Comune di Roma. Non ho mai sentito parlare della colorazione politica di uno o dell'altro dirigente come fattore decisivo per il mantenimento della sua posizione”. Il teste C., già direttore industriale della resistente dopo la fusione, ha infine riferito: “per quanto riguarda la collocazione politica all’interno dell’azienda del ricorrente, posso dire che circolavano voci più o meno su tutti i dirigenti a proposito della loro collocazione politica, ma si trattava di discorsi vaghi. Comunque il ricorrente, secondo queste voci era collocabile più sul centro sinistra. Per quanto ho potuto constatare durante la mia permanenza in azienda, questi discorsi non trovavano riscontro nella realtà, nel senso che le posizioni dirigenziali non venivano distribuite secondo l’appartenenza politica. Per il periodo in cui io ho lavorato lì, il 70 % delle posizioni dirigenziali erano ereditate dal passato. Preciso inoltre che mai il ricorrente mi ha parlato di una sua appartenenza, collocazione o preferenza politica, neanche in riferimento alle precedenti gestioni”. 30. Il ricambio ha evidentemente riguardato solo una parte dei dirigenti e tra quelli sostituiti non vi sono stati coloro che, per il loro impegno sindacale e politico anche sul fronte opposto a quello dell’amministrazione in carica, avrebbero potuto dare maggiori problemi. Proprio il fatto che il Maranzano rivestisse un ruolo tecnico e non avesse particolari protezioni o colorazioni politiche ha indebolito la sua posizione (il teste G. ha dichiarato: “non mi risulta che in azienda il ricorrente abbia mai fatto professione delle sue idee politiche”) e ha indotto l’azienda a sceglierlo tra coloro che dovevano essere estromessi, attraverso il percorso progressivo che si è descritto in precedenza. 31. La reintegra e il risarcimento del danno. 32. L’illiceità del licenziamento lo rende nullo e giustifica l’accoglimento della domanda di reintegra avanzata dal ricorrente. Già prima della modifica dell’art. 18, l. 300/70 ad opera della l. 92/2012, infatti, l’art. 3, l. 108/90 estendeva la tutela reale ai licenziamenti nulli nei confronti dei dirigenti. 33. Ne consegue che la resistente deve essere condannata a reintegrare il ricorrente nel posto di lavoro precedentemente occupato o in altro equivalente e a corrispondere in suo favore un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione di fatto, pari a € 15.357,14 mensili, dalla data del licenziamento all’effettiva reintegrazione, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali sulla somma via via rivalutata dalle singole scadenze al soddisfo, nonché al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali per lo stesso periodo (l’ammontare dell’ultima retribuzione di fatto si ricava dalla busta paga di marzo 2011, allegata in atti). Le mensilità spettanti dalla data del licenziamento alla data della presente pronuncia sono state tra loro sommate e poi rivalutate al 30 giugno 2013, ultima data per la quale sono disponibili i coefficienti Istat di rivalutazione. Tale calcolo ha dato il risultato di € 451.589,61 s.e.o. (€ 15.357,14 x 26 mensilità, oltre interessi e rivalutazione ex art. 429 c.p.c.). 34. Il danno non patrimoniale. 35. Il ricorrente ha chiesto il risarcimento dei danni non patrimoniali derivati dalla condotta vessatoria tenuta dall’azienda. 36. Ora, il danno da mobbing richiede, secondo la più recente elaborazione giurisprudenziale, che il Tribunale condivide, il ricorrere dei seguenti elementi: “a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio — illeciti o anche leciti se considerati singolarmente — che, con intento vessatorio, siano stati posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi; b) l’evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente; c) il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subìto dalla vittima nella propria integrità psicofisica e/o nella propria dignità; d) il suindicato elemento soggettivo, cioè l’intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi” (v. Cass. civ., sez. lav., 05-112012, n. 18927, Cass. 31 maggio 2011, n. 12048, Cass. 26 marzo 2010, n. 738). 37. Sui requisiti a) e d) ci si è soffermati nei paragrafi precedenti. 38. In ordine all’evento lesivo della salute e al nesso eziologico, il CTU medico-legale nominato nel presente giudizio, che si è avvalso anche di un consulente psichiatrico, ha riferito nella sua relazione – approfondita, logica e coerente con la documentazione medica prodotta dal ricorrente – che il ricorrente “risulta affetto da Disturbo depressivo maggiore, episodio singolo, di livello moderato, cronico che configura un’invalidità permanente valutabile nella misura del 20 % (venti per cento) della totale” e che tali menomazioni “sono riconducibili allo stress-lavoro correlato subito dal ricorrente in particolare nel periodo compreso tra i primi mesi del 2010 ed il termine del rapporto lavorativo”. Il CTU ha aggiunto che, pur non potendosi ritenere che il licenziamento sia stato in sé causa diretta della psicopatologia, “esso è da considerarsi solo l’ultimo degli antecedenti causali, verificatosi al culmine di un lungo periodo di stress, che ha verosimilmente causato l’aggravamento della psicopatologia che già era in fieri” (v. pag. 14 della relazione). 39. Il CTU ha replicato inoltre adeguatamente alle osservazioni critiche rivolte alla sua relazione dai CTP. 40. Quanto alle deduzioni del CTP di parte resistente, secondo cui il CTU non avrebbe tenuto conto della fusione per incorporazione all’origine dei mutamenti organizzativi aziendali e non avrebbe menzionato le costrittività organizzative cui il Maranzano è stato sottoposto, va detto quanto segue. La prima osservazione non è vera, perché il CTU ha dato conto della fusione a pag. 2 dell’elaborato, sia pure in modo sintetico. La seconda osservazione non è appropriata, essendo corretta la replica del CTU secondo cui la sua valutazione sul nesso causale tra menomazione e costrittività organizzativa deve essere compiuta dal consulente in astratto, restando demandato al giudice valutare la sussistenza, l’entità e l’illiceità delle costrittività stesse. 41. Quanto alle deduzioni del CTP di parte ricorrente, secondo cui il disturbo depressivo avrebbe dato luogo a un’invalidità più grave di quella riscontrata nella relazione, anche in considerazione dell’episodio ischemico occorso al ricorrente nel marzo 2010, anche qui le repliche del CTU sono risultate appropriate. La relazione psichiatrica del coadiutore del CTU parla di disturbo moderato, cosicché appare coerente con una storia di stress-lavoro correlato della durata di circa un anno e con l’assenza di sintomi psicotici, ascrivere tale menomazione alla tabella delle invalidità rubricata “Disturbo depressivo maggiore cronico – forme da lieve a moderata o lieve complicata – 10-30” e collocare la percentuale di invalidità del ricorrente in posizione intermedia, al 20%. Quanto all’episodio ischemico che ha colpito il ricorrente nel marzo 2010, il CTU ne ha tenuto conto nell’anamnesi e lo ha anche indicato come episodio nel quale per la prima volta si è manifestato lo stress, ma ha spiegato coerentemente che esso, pur sintomatico, non ha avuto esiti invalidanti, cosicché esso di per sé non ha aggravato l’invalidità riscontrata. 42. L’accertamento della menomazione della salute comporta la risarcibilità del danno biologico. 43. Oltre a tale voce, va poi riconosciuto il danno esistenziale. 44. Al riguardo, va anzitutto osservato che alcuni dei testi ascoltati, i quali si trovavano maggiormente a contatto con il Maranzano, hanno riferito che il ricorrente era in quel periodo avvilito e si lamentava continuamente della situazione di inattività (v. G. e M.). Anche il fatto che egli abbia scritto numerose lettere ai responsabili per conoscere il proprio destino, lamentandosi della condizione in cui si trovava (v. i documenti in atti), denota il disagio che egli viveva per la forzata inattività. 45. Inoltre, il CTU ha dichiarato, sulla base dell’anamnesi e dell’esame compiuto dal consulente psichiatrico, che la menomazione “ha certamente prodotto riflessi negativi sulla sfera esistenziale e relazionale” (pag. 14 della relazione). 46. Infine, va ricordato che, nell’ipotesi di demansionamento o dequalificazione, a maggior ragione quando tali fatti vessatori sfocino poi in un atto espulsivo, la lesione investe quella specifica componente della persona, che è la personalità morale del lavoratore (art. 2087 c.c.). Ebbene, in tali ipotesi, la giurisprudenza di legittimità, anche nel suo orientamento più rigoroso e pur comunque richiedendo l’allegazione puntuale delle conseguenze negative prodotte dall’inadempimento datoriale, ha affermato che il danno esistenziale trova nell’ambito del rapporto di lavoro il suo terreno di elezione (secondo alcuni, esclusivo), poiché in tale ambito si danno “specifici pregiudizi di tipo esistenziale da violazioni di obblighi contrattuali nell’ambito del rapporto di lavoro. In particolare, dalla violazione dell’obbligo dell’imprenditore di tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore (art. 2087 c.c.). Vengono in considerazione diritti della persona del lavoratore che, già tutelati dal codice del 1942, sono assurti in virtù della Costituzione, grazie all’art. 32 Cost., quanto alla tutela dell’integrità fisica, ed agli art. 1, 2, 4 e 35 Cost., quanto alla tutela della dignità personale del lavoratore, a diritti inviolabili, la cui lesione dà luogo a risarcimento dei pregiudizi non patrimoniali, di tipo esistenziale, da inadempimento contrattuale. Si verte, in sostanza, in una ipotesi di risarcimento di danni non patrimoniali in ambito contrattuale legislativamente prevista.”. Tale indirizzo è stato successivamente confermato ad es. da Cass. civ., sez. lav., 31-052010, n. 13281: “In tema di demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo; mentre il risarcimento del danno biologico è subordinato all’esistenza di una lesione dell’integrità psicofisica medicalmente accertabile, il danno esistenziale da intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva e interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare areddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini egli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno - va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni, per cui dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti (caratteristiche, durata, gravità ecc.) - il cui artificioso isolamento si risolverebbe in una lacuna del procedimento logico - si possa coerentemente risalire dal fatto noto al fatto ignoto, ossia all’esistenza del danno, facendo ricorso a quelle nozioni generali derivanti dall’esperienza, delle quali ci si serve nel ragionamento presuntivo e nella valutazione delle prove”. Unica condizione è quella di evitare duplicazioni, attraverso l’attribuzione di distinti risarcimenti per pregiudizi identici. 47. Ora, nella specie, il ricorrente ha ampiamente allegato le conseguenze negative che l’emarginazione e il licenziamento hanno provocato sulla sua personalità (v. pag. 138, 166 ss. del ricorso), mettendo in evidenza lo svilimento dell’immagine e della dignità della sua persona, anche agli occhi degli altri dipendenti Atac e in considerazione del ruolo strategico sino ad allora rivestito. 48. Quanto alla prova del danno, sono almeno due gli elementi che, unitariamente considerati, fanno presumere una mortificazione della personalità morale del Maranzano. 49. Anzitutto, va rilevato che il ricorrente è entrato in azienda come operaio specializzato e, dopo essersi laureato da studente lavoratore, vi ha fatto una brillante carriera, arrivando ad occupare un posto dirigenziale, a rivestire la delicata carica di direttore di esercizio per molti anni e a ricevere encomi per il lavoro svolto (v. doc. da 1 a 47 del fascicolo di parte ricorrente). Ciò è significativo della dedizione al lavoro e della fedeltà all’azienda, e dunque sintomatico dell’importanza da lui attribuita alla sfera lavorativa nella sua vita. 50. In secondo luogo, il pregiudizio biologico ha investito la sfera psichica, e in misura non irrisoria, sicché è verosimile ritenere – come del resto attestato dal CTU – che ciò abbia avuto riflessi sulla sfera esistenziale. 51. La quantificazione del danno. 52. Nella quantificazione del danno, per il danno biologico sono state applicate le tabelle adottate dal Tribunale di Roma relative all'anno 2013, facendosi riferimento al valore del punto di invalidità al 20 % per una persona di 54 anni (il ricorrente è nato nel luglio 1957 e il danno si è cronicizzato nel 2011), ottenendo l'importo di € 42.786,46. 53. Il danno esistenziale è stato poi calcolato in percentuale sul danno biologico e tale percentuale è stata equitativamente fissata al 20 %, in considerazione del fatto che il disturbo depressivo è di grado moderato e che il periodo di demansionamento/vessazione non è stato particolarmente lungo (circa un anno). A titolo di danno esistenziale, spetta pertanto al ricorrente la somma di € 8.557,29. 54. L’aliunde percipiendum. 55. In ordine al danno biologico, tuttavia, è fondato il rilievo dell’Atac secondo cui tale voce sarebbe potuta essere coperta dall’Inail attraverso il sistema indennitario previsto dalla disciplina sulle assicurazioni sul lavoro, con conseguente esonero del datore di lavoro. Il danno si è infatti indubbiamente verificato nell’ambito dell’attività lavorativa ed è noto che, a seguito del d. lgs. 38/2000, la copertura assicurativa dell’Inail si estende anche al danno biologico. Il ricorrente avrebbe dunque ben potuto pretendere dall’Inail l’indennizzo, che si configura in capo al lavoratore come aliunde percipiendum, sicuramente deducibile dalla somma sopra liquidata. Ora, se si tiene conto che il sistema delineato dal d. lgs. 38/2000 prevede l’erogazione dell’indennizzo in capitale fino al 16 % di invalidità e in rendita oltre tale percentuale, facendo applicazione dei parametri contenuti nelle tabelle allegate allo stesso d. lgs. 38/2000 si ha che il ricorrente avrebbe potuto percepire la somma di € 15.106,36 in capitale e una rendita annuale di € 1.446,07 dal 2011 a oggi, per complessivi € 17.998,51. Dal pagamento di tale somma deve essere pertanto esonerato il datore di lavoro. 56. L’esonero non è tuttavia integrale, come preteso dalla resistente. 57. Il tribunale ritiene infatti che, anche nel nuovo sistema, il danno differenziale continui a essere concepibile. La giurisprudenza formatasi in materia di danno differenziale, prima dell'entrata in vigore del 13 d.leg. n. 38 del 2000, partiva dal presupposto che la limitazione fosse strettamente collegata alle componenti di danno coperte dall'assicurazione obbligatoria, non in assoluto, ma secondo l'evoluzione propria di quella normativa, secondo cioè l'individuazione dei danni indennizzabili che nel corso degli anni la disciplina dell'assicurazione obbligatoria ha compiuto. Ancora di recente, la Cassazione ne ha tratto la conclusione (Cass. civ., sez. lav., 05-05-2010, n. 10834) che “per le fattispecie sottratte, ratione temporis, all’applicazione dell’art. 13 d.leg. n. 38 del 2000 la suddetta limitazione riguarda solo il danno patrimoniale collegato alla riduzione della capacità lavorativa generica, e non si applica al danno non patrimoniale (ivi compreso quello alla salute o biologico) e morale per i quali continua a trovare applicazione la disciplina antecedente al d.leg. n. 38 del 2000 che escludeva la copertura assicurativa obbligatoria”. Da ciò pertanto consegue che il danno differenziale non è altro che il danno, in concreto accertato, non coperto da assicurazione obbligatoria. Per i fatti verificatisi dopo l'entrata in vigore del d. leg. 38/2000 ciò comporterà certo la irrisarcibilità del danno biologico effettivamente indennizzato o indennizzabile, ma la piena risarcibilità del danno biologico eccedente l'indennizzo (cosiddetto danno differenziale quantitativo) e di tutti gli altri diversi danni che il giudice avrà accertato secondo le regole della responsabilità civile e i criteri di liquidazione che gli sono propri (cosiddetto danno differenziale qualitativo o complementare). Il principio della integrale riparazione del danno subito può infatti formare oggetto solo di deroghe esplicite e ragionevoli, che nella specie non sono ravvisabili né nella normativa sull'indennizzo né altrove. 58. Nella specie, ne consegue che il datore di lavoro non è esonerato dal risarcimento né del danno esistenziale (che è certamente fuori dalla copertura Inail) né della differenza tra il danno biologico accertato e liquidato nel presente giudizio e quello indennizzabile dall’Inail. Dalla somma di € 42.786,46 (calcolata secondo i criteri di cui al § 52) va pertanto dedotta la somma indennizzabile dall’Inail, calcolata in € 17.998,51. A titolo di danno biologico, il ricorrente ha pertanto diritto a vedersi corrispondere dall’Atac spa la somma di € 24.787,95, che, sommata a € 8.557,29 dovuta per il danno esistenziale, dà la somma totale di € 33.345,24 a titolo di danno non patrimoniale. 59. Le differenze retributive. 60. Per le differenze retributive rivendicate, non è stata invece raggiunta la prova integrale della loro spettanza in capo al ricorrente. La prova sussiste limitatamente alla somma di € 14.175,81, che la resistente nella memoria difensiva ha riconosciuto dovuta al ricorrente a titolo di ferie maturate e non godute. Anche tale somma deve essere rivalutata al 30 giugno 2013, con il risultato di una spettanza a tale titolo di € 17.046,10. 61. Il credito complessivo del ricorrente. 62. Il credito del ricorrente verso Atac spa, rivalutato al 30 giugno 2013, ammonta dunque a € 501.980,95 ed è costituito dalle seguenti voci: € 17.046,10, a titolo di differenze retributive; € 33.345,24, a titolo di danno non patrimoniale; € 451.589,61, a titolo di indennità risarcitoria da licenziamento. 63. La domanda riconvenzionale e la compensazione. 64. Nella memoria di costituzione, la resistente ha tempestivamente chiesto, nella denegata ipotesi di accoglimento della domanda di reintegra e in via riconvenzionale, la restituzione delle somme versate al ricorrente al momento della cessazione del rapporto a titolo di TFR e indennità di preavviso, con eventuale compensazione di tale controcredito con i crediti riconosciuti al ricorrente. Il ricorrente non ha contestato di aver ricevuto tali somme. 65. La domanda è fondata, poiché il TFR e l’indennità di preavviso trovano giustificazione solo nell’ipotesi di cessazione del rapporto lavorativo, cosicché, in caso di ripristino del rapporto di lavoro con decorrenza dalla data del licenziamento, tali pagamenti diventano automaticamente indebiti. Il ricorrente è pertanto tenuto alla restituzione delle somme in suo favore versate, che, rivalutate alla stessa data del 30 giugno 2013, ammontano a complessivi € 326.303,97. Al tempo stesso, peraltro, le somme dovute a titolo di TFR, e che il lavoratore è tenuto oggi a restituire, devono essere accantonate dal datore di lavoro. 66. Così accertata l’esistenza del controcredito, si tratta di stabilire se esso sia opponibile in compensazione per intero ovvero entro i limiti di cui all’art. 1246 c.c.. Viene al riguardo in evidenza la discussa questione se i crediti nascenti da un unico rapporto di lavoro siano soggetti a compensazione, e a quali condizioni. Il Tribunale aderisce all’orientamento di legittimità che, nell’ammettere la compensazione tra i crediti delle parti del rapporto di lavoro che in esso trovino origine, parla di compensazione in senso atecnico solo quando tra i due crediti vi sia un nesso di corrispettività. 67. Si veda al riguardo Cass. 11 marzo 2005, n. 5349 (seguita da Cass. 11 gennaio 2006, n. 260, Cass. 9 maggio 2006, n. 10629): “L'art. 1246 c.c. prevede che la compensazione si verifica qualunque sia il titolo dell'uno o dell'altro debito; tale disposizione nel suo testuale tenore, sancisce che, ai fini della compensazione, non è necessaria l'identità o l'affinità dei titoli dei reciproci rapporti obbligatori, affermando così la regola della compensabilità delle obbligazioni, ancorché derivanti da fonti distinte, senza che, però, si sia perciò solo, autorizzati a desumere l'esclusione della compensazione di obbligazioni scaturenti da un unico contratto o da una unica fonte negoziale o da un unico evento. Una tale esclusione non si ricava neppure dalle altre norme codicistiche che disciplinano l'istituto, e non a caso l'art. 1241 c.c. si limita a stabilire che "quando due persone sono obbligate l'una verso l'altra, i due debiti si estinguono per le quantità corrispondenti", facendo riferimento ai "due debiti", cioè alle due obbligazioni, senza alcun cenno all'unicità o pluralità dei rapporti nei quali le obbligazioni hanno causa (v. in tal senso S.U. n. 775 del 1999 e, da ultimo, Cass. sez l. n. 8924 del 2004). Peraltro, la tesi secondo cui in caso di rapporto unico, anche se complesso, la valutazione delle rispettive pretese si ridurrebbe ad un accertamento contabile delle poste di dare e avere è condivisibile solo quando le obbligazioni derivanti da un unico negozio siano tra loro legate da un vincolo di corrispettività che ne escluda l'autonomia, perché in tali ipotesi la non compensabilità deriva dal fatto che l'elisione delle reciproche obbligazioni verrebbe ad incidere sull'efficacia del negozio, ponendosi così la compensazione in contrasto con la funzione del contratto. Quando, invece, le obbligazioni, ancorché nascenti dal medesimo negozio, non siano in rapporto di sinallagmaticità, avendo carattere autonomo, non v'è ragione alcuna per escludere la fattispecie dall'area della compensazione in senso tecnico e dall'applicazione della relativa disciplina (v. ancora S.U. n. 775 cit.). Deve pertanto concludersi che, ai fini della configurabilità della compensazione in senso tecnico, sia irrilevante la pluralità o meno dei rapporti posti a base delle reciproche obbligazioni essendo invece necessario solo che le suddette obbligazioni quale che sia il rapporto (o i rapporti) da cui esse prendono origine, siano "autonome" (nel senso di non legate da nesso di sinallagmaticità), posto che, in ogni altro caso, non vi sarebbe motivo alcuno per escludere l'applicabilità della disciplina prevista dall'art. 1246 c.c, che tiene conto anche delle caratteristiche dei crediti (ad esempio, in relazione alla totale o parziale impignorabilità dei medesimi) proprio per evitare, tra l'altro, che l'operatività della compensazione si risolva in una perdita di tutela per alcuni creditori. Peraltro, escludere che, in alcuni casi, possa operare l'istituto della compensazione disciplinato dal codice, non può essere un modo indiretto per poi ammettere una sorta di "compensazione di fatto", oltre i limiti previsti dalla disciplina codicistica e in ipotesi in cui tale disciplina non ammetterebbe la compensazione. Le cd. "compensazioni atecniche", pertanto, in mancanza di espressa previsione testuale, non possono essere estese oltre le ipotesi in cui una compensazione non sia logicamente configurabile (obbligazioni in sinallagma), dovendo, in ogni altro caso, ritenersi applicabile l'istituto della compensazione previsto dal codice, con i limiti e le garanzie della relativa disciplina”. 68. Ne consegue che, quando il controcredito del datore di lavoro, nasce sì nell’ambito del medesimo rapporto lavorativo, ma trova la sua fonte immediata non nel contratto di lavoro, ma in un fatto autonomo addebitabile al lavoratore, esso è suscettibile di compensazione in senso tecnico, ma nei limiti fissati dall’art. 1246 c.c.. 69. Nella specie, la compensazione può integralmente operare per il credito risarcitorio – pari a € 33.345,24 – che non ha funzione di sostentamento e non è dunque riconducibile alla nozione di cui all’art. 545 c.p.c. Può invece operare solo nella misura di 1/5 per i due crediti del Maranzano aventi natura retributiva e per questo solo parzialmente compensabili (in quanto ex art. 1246 c.c. e 545 c.p.c. solo parzialmente pignorabili), vale a dire per le somme dovute da Atac spa a titolo di differenze retributive e di indennità risarcitoria da licenziamento, pari complessivamente a € 468.635,70 (€ 17.046,10 + 451.589,60); per tali crediti la compensazione può dunque operare per € 93.727,14. 70. Nel complesso, la compensazione può dunque operare per complessivi € 127.072,38. 71. In conclusione, Atac spa va condannata al pagamento in favore del ricorrente della somma di € 363.567,92, così calcolata previa deduzione dal credito complessivamente accertato della somma da portare in compensazione e della somma già versata in corso di causa di € 11.340,65, a seguito dell’ordinanza ex art. 423 c.p.c. emessa all’esito dell’udienza del 19 dicembre 2012, oltre interessi e rivalutazione monetaria dal 1° luglio 2013 al soddisfo. 72. La parziale reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese processuali nella misura del 20 %. Va tuttavia considerato che la resistente, dopo aver tergiversato a lungo, ha rifiutato le proposte transattive formulate dal tribunale alle udienze del 12 luglio 2012 e del 14 novembre 2012, proposte entrambe di importo complessivamente inferiore alla somma poi riconosciuta al ricorrente all’esito del presente giudizio. Tale contegno processuale giustifica, ex art. 420 c.p.c., la maggiorazione delle spese non compensate nella misura del 50 %. Applicando lo scaglione da € 100.001 a € 500.000 di cui al DM 140/2012, si stima pertanto equo liquidare le spese in € 11.250, per poi ridurle del 20 % e maggiorarle del 50 %, giungendo alla somma finale di € 13.500,00, oltre contributo unificato, spese di CTU, IVA e CPA come per legge. 73. La complessità della motivazione ha indotto a indicare in sessanta giorni il termine per il deposito. P.Q.M. così definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da Gennaro Antonio Maranzano nei confronti di Atac spa, in persona del legale rappresentante p.t., con ricorso depositato il 9 dicembre 2011, nella causa iscritta al n. 44938/2011 R.G.A.C.: a) accoglie la domanda principale e, per l’effetto, dichiara la nullità del licenziamento intimato da Atac spa nei confronti di Gennaro Antonio Maranzano in data 2 marzo 2011; b) ordina a Atac spa di reintegrare Gennaro Antonio Maranzano nel posto di lavoro, con mansioni di dirigente; c) dichiara Atac spa tenuta al risarcimento del danno in favore di Gennaro Antonio Maranzano, nella misura pari all’ultima retribuzione di fatto, pari a € 15.357,14 mensili, dalla data del licenziamento all’effettiva reintegrazione, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali sulla somma via via rivalutata dalle singole scadenze al soddisfo, nonché al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali per lo stesso periodo; d) dichiara Atac spa tenuta al pagamento in favore di Gennaro Antonio Maranzano della somma di € 17.046,10, rivalutata fino alla data del 30 giugno 2013, a titolo di differenze retributive per ferie; e) dichiara Atac spa tenuta al pagamento in favore di Gennaro Antonio Maranzano della somma di € 33.345,24, rivalutata fino alla data del 30 giugno 2013, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale; f) accoglie la domanda riconvenzionale e dichiara Gennaro Antonio Maranzano tenuto al pagamento in favore di Atac spa della somma di € 326.303,97, rivalutata fino alla data del 30 giugno 2013, a titolo di restituzione di somme non dovute; g) dichiara parzialmente compensati nella misura indicata in motivazione i rispettivi crediti e per l’effetto: a. condanna Atac spa al pagamento in favore di Gennaro Antonio Maranzano della somma non compensata di € 363.567,92, così calcolata previa deduzione della somma già versata di € 11.340,65, oltre interessi e rivalutazione monetaria sulla somma di cui al capo c), dal 1° luglio 2013 all’effettiva reintegrazione; b. condanna Gennaro Antonio Maranzano al pagamento in favore di Atac spa della somma di € 199.231,59, oltre interessi legali dal 1° luglio 2013 al soddisfo; h) condanna Atac spa all’accantonamento delle quote di TFR dovute a Gennaro Antonio Maranzano dalla data del licenziamento; i) rigetta ogni altra domanda; j) compensa le spese nella misura del 20 % e condanna Atac spa al pagamento in favore di Gennaro Antonio Maranzano delle spese non compensate, liquidandole in complessivi euro 13.500,00, oltre contributo unificato, spese di CTU, IVA e CPA come per legge. Motivi in sessanta giorni. Roma, 18 luglio 2013 Il Giudice Giovanni Armone