ASSESSORATO ALLA CULTURA
E ALLO SPETTACOLO
STAGIONE DI PROSA 2014-2015
Dal 2 al 7 dicembre 2014
Teatro Donizetti
RIII - RICCARDO TERZO
di William Shakespeare
traduzione e adattamento Vitaliano Trevisan
ideazione scenica e regia Alessandro Gassman
scene Gianluca Amodio
costumi Mariano Tufano
musiche originali Pivio&Aldo De Scalzi
light design Marco Palmieri
videografia Marco Schiavoni
con Alessandro Gassman
e con Manrico Gammarota, Mauro Marino, Marta Richeldi, Giacomo Rosselli, Marco Cavicchioli,
Sabrina Knaflitz, Sergio Meogrossi, Emanuele Maria Basso
e con la partecipazione di Paila Pavese
produzione Teatro Stabile del Veneto “Carlo Goldoni”, Fondazione del Teatro Stabile di Torino e
Società per Attori
Grande testo shakespeariano, Riccardo III, che ha per protagonista un re crudele, ambizioso,
manipolatore, ma anche insicuro, tormentato, spaventato dalla solitudine. Alessandro Gassman sceglie
un adattamento e una messa in scena contemporanea, piena di rabbia e di passione. «Il nostro Riccardo,
col suo violento furore, la sua feroce brama di potere, la sua follia omicida, la sua ‘diversità’ - dice
Gassman - dovrà colpire al cuore, emozionare e coinvolgere il pubblico di oggi (mi auguro in gran
parte formato da giovani), trasportandolo in un viaggio affascinante e tragico, attraverso le pieghe
oscure dell'inconscio e nelle deformità congenite dell’animo umano.
«La decisione di affrontare, per la prima volta anche da regista, un capolavoro di William
Shakespeare non è disgiunta dal felice incontro artistico con Vitaliano Trevisan. Ho sempre avuto nei
riguardi del Bardo, forse per l’incombenza di gigantesche ombre familiari, un certo distacco, un
approccio timoroso; le messe in scena dei suoi capolavori, lo confesso, non sono mai riuscite a
coinvolgermi del tutto, forse per la difficile sintonia con un linguaggio così complesso e articolato ma
anche, in molte traduzioni, oscuro e arcaico. Un “ostacolo” che mi ha sempre impedito di immaginare
una messa in scena in grado di restituire l’immensa componente poetica ed emozionale e allo stesso
tempo di innervare di asprezza contemporanea il cuore pulsante ed immortale dell’opera
shakespeariana attraverso il registro comunicativo a me più congeniale, ovvero quello della modernità e
dell'immediatezza.
La lettura di un adattamento di un testo “minore” di Goldoni curato da Trevisan, sorprendentemente
moderno e originale, ma al tempo stesso accurato e rispettoso dell’autore, ha fatto scattare in me l’idea
che quel tipo di approccio potesse essere non solo possibile, ma altrettanto efficace nei riguardi
dell’opera di Shakespeare che da anni sognavo di rappresentare: Riccardo III.
I primi incontri con Trevisan e i successivi scambi di opinione non hanno fatto altro che confermare
questa prima impressione; ci siamo trovati concordi nell’idea di trasmettere i molteplici significati di
questo capolavoro attraverso una struttura lessicale diretta e priva di filtri, che liberasse l’opera da
ragnatele linguistiche e ne restituisse tutta la complessità, la forza, la bellezza e la sua straordinaria
attualità».
Dal 13 al 18 gennaio 2015
Teatro Donizetti
L’IMPORTANZA DI CHIAMARSI ERNESTO
di Oscar Wilde
traduzione Masolino D'Amico
regia Geppy Gleijeses
con Geppy Gleijeses, Marianella Bargilli e Lucia Poli
produzione Teatro Quirino “Vittorio Gassman” e Teatro Stabile di Calabria
«Mettere in scena L’importanza di chiamarsi Ernesto nel centenario della morte di Oscar
Wilde è qualcosa di più significativo della semplice celebrazione di un grande scrittore: perché questa
commedia è la fondazione ottocentesca del fenomeno drammaturgico centrale del Novecento, quel
Teatro dell’Assurdo che s’impersona in Jonesco cinquant’anni dopo e che, insieme all’epica
pedagogica di Brecht e alla stralunata clowneria di Beckett, costituisce il secolo finale del secondo
millennio in teatro.
Poi, forse, il teatro, insieme a tante altre cose, non ci sarà più: ma, certo, è finito bene, con questi
drammaturghi come capofila estremi del suo ultimo rigoglio con Cechov, Ibsen, Strindberg e
Pirandello. E quant’altri.
Ecco, un secolo fa e poco più, un dandy dotato - diceva lui - di genio per la vita e di solo talento per la
scrittura, ha parodiato il requiem della pièce bien faite con un virtuosismo aforistico perfino strabiliante
e con un deserto nel cuore perfino straziante: è la poetica di una disperazione epocale.
In questa messa in scena abbiamo provato a proporre la commedia sotto la gelida luce del secolo che ha
inaugurato, senza vezzi pseudo britannici e senza il tradizionale birignao della maniera “brillante”.
Intorno ai salotti più salottieri e al giardino inglese più stereotipato abbiamo costruito la più ferrea e
implacabile struttura industriale del Novecento nascente: questa volta la Victoria Station (visto che la
commedia è “ferroviaria”), ma potrebbe anche essere la galera della “Ballata”. E sullo sfondo del
melenso giardino fioriscono le ciminiere, senza fare dell’arcigno moralismo. Perché tutto si tiene».
Mario Missiroli
Dal 27 gennaio al 1 febbraio 2015
Teatro Donizetti
LA SCUOLA
di Domenico Starnone
regia Daniele Luchetti
con Silvio Orlando
e con Marina Massironi, Vittorio Ciorcalo, Roberto Citran, Roberto Nobile, Antonio Petrocelli e
Maria Laura Rondanini
produzione Cardellino srl
Era il 1992, anno in cui debuttò Sottobanco, spettacolo teatrale interpretato da un gruppo di
attori eccezionali capitanati da Silvio Orlando e diretti da Daniele Luchetti. Lo spettacolo divenne
presto un cult, antesignano di tutto il filone di ambientazione scolastica tra cui anche la trasposizione
cinematografica del 1995 della stessa pièce che prese il titolo La scuola. Fu uno dei rari casi in cui il
cinema accolse un successo teatrale e non viceversa.
Lo spettacolo era un dipinto della scuola italiana di quei tempi e al tempo stesso un esempio quasi
profetico del cammino che stava intraprendendo il sistema scolastico.
«Ho deciso di riportare in scena lo spettacolo più importante della mia carriera; fu un evento
straordinario, entusiasmante, con una forte presa sul pubblico» dice Silvio Orlando. A vent’anni di
distanza è davvero interessante fare un bilancio sulla scuola e vedere cos’è successo poi.
Il testo è tratto dalla produzione letteraria di Domenico Starnone. Siamo in tempo di scrutini in IV D.
Un gruppo di insegnanti deve decidere il futuro dei propri studenti. Di tanto in tanto, in questo
ambiente circoscritto, filtra la realtà esterna. Dal confronto tra speranze, ambizioni, conflitti sociali e
personali, amori, amicizie e scontri generazionali, prendono vita personaggi esilaranti, giudici
impassibili e compassionevoli al tempo stesso. Il dialogo brillante e le situazioni paradossali lo rendono
uno spettacolo irresistibilmente comico.
Dal 10 al 15 febbraio 2015
Teatro Donizetti
LE SORELLE MACALUSO
testo e regia Emma Dante
luci Cristian Zucaro
armature Gaetano Lo Monaco Celano
con Serena Barone, Elena Borgogni, Sandro Maria Campagna, Italia Carroccio, Davide Celona,
Marcella Colaianni, Alessandra Fazzino, Daniela Macaluso, Leonarda Saffi, Stephanie Taillandier
produzione Teatro Stabile di Napoli, Théâtre National - Bruxelles, Festival d’Avignon,
Folkteatern – Göteborg
in collaborazione con Atto Unico / Compagnia Sud Costa Occidentale
Emma Dante è un’artista la cui fama ha da tempo travalicato i confini nazionali. Regista di prosa,
artefice di un teatro sanguigno che racconta in palermitano stretto di famiglie terribili, di omicidi,
incesti, di donne forti e violente, nel 2012 ha firmato la regia della Carmen diretta da Daniel
Barenboim, inaugurando la stagione de La Scala. Dopo Medea, Cani di bancata e Le pulle presenta il
suo nuovo lavoro: Le sorelle Macaluso, storia matriarcale di una famiglia di sette donne, che celebra i
mondi archetipici e ancestrali che emergono come spuma di mare dalla scrittura vivida e immaginifica
di Dante. Scrive la regista: «Un controluce impedisce ai nostri occhi di vedere in fondo. In fondo c’è
l’oscurità. La scena è vuota. Soltanto ombre abitano questo vuoto finché un corpo, dal cono di buio,
viene lanciato verso di noi. L’oscurità espelle una donna. Adulta. Segnata. A lutto. Che danza. Viene
danzando verso di noi. Dal fondo, a poco a poco, appaiono delle facce, tre, cinque, sette, undici facce.
Sono vivi e morti mescolati insieme. Ma non si capisce chi è vivo e non si capisce chi è morto. Tutti
sono a lutto. A lutto eterno. Il piccolo popolo avanza verso di noi con passo sicuro. La donna danzante
si unisce al corteo. Le sorelle Macaluso sono uno stormo di corvi neri che partecipano al proprio
funerale e a quello degli altri. Sospesi tra la terra e il cielo. In confusione tra vita e morte. Tutto si ispira
al piccolo racconto che mi fece una volta un amico. Sua nonna, nel delirio della malattia, una notte
chiamò la figlia urlando. La figlia corse al suo letto e la madre le chiese: “In definitiva io sugnu viva o
morta?” La figlia rispose: “Viva! Sei viva mamma!” E la madre beffarda rispose: “See viva! Avi ca
sugnu morta e ‘un mi dicìti niente p’un fàrimi scantàri”. (Sì, viva! Io sono morta da un pezzo e voi non
me lo dite per non spaventarmi)».
Dal 24 febbraio al 1 marzo 2015
Teatro Donizetti
DON GIOVANNI
da Molière, Puskin e Da Ponte
traduzione e adattamento Tommaso Mattei
regia Alessandro Preziosi
scene Marta Crisolini Malatesta
luci Valerio Tiberi
produzione KHORA.Teatro e TSA Teatro Stabile d’Abruzzo
«Don Giovanni è un mito senza tempo, estremamente moderno, rielaborato innumerevoli volte in
diverse epoche e da differenti personalità artistiche, ma nonostante di Don Giovanni si sia tanto scritto
e discusso, il personaggio non si lascia definire, resta sfuggente.
Il desiderio di riproporre una visione originale di questo classico nasce dalla consapevolezza che il
personaggio è ancora oggi di grande attualità e non basta prendere una versione di un singolo autore e
riadattarlo.
La storia nel nostro allestimento ci viene raccontata come per la prima volta si suppone l’abbia udita
Da Ponte, con l’intento di farci toccare da vicino e sotto i nostri occhi, da inizio a fine, il processo
creativo con la prospettiva visionaria di dar luogo comunque a qualcosa di inesplorato e di ripercorrere
con occhi contemporanei il viaggio di chi ci ha preceduto. L’obiettivo di una regia pensata come nel
cinema, che oggi si fa con il tridimensionale, è di accendere nella fantasia degli spettatori il piacere dei
sensi, facendo materializzare sotto i loro occhi uno dei più affascinanti archetipi letterari della cultura
occidentale. La messa in scena riunisce quindi sotto la sua egida il piano realistico della commedia di
“cappa e spada” e quello fantastico/simbolico del soprannaturale, che racchiude la morale finale tipica
del canovaccio di Tirso, tendendo ad esaltarne l’estremo vitalismo anche quando l’invito al godimento
dei sensi sembra solo prendere origine dal tedium vitae e dal vuoto interiore.
Don Giovanni, con la sua frenesia, il suo essere oltre, il suo slancio vitale e il suo destino di morte,
attira tutti gli altri personaggi, sia uomini che donne; anche quando lo odiano o lo negano, non fanno
che pensare a lui, parlare di lui, agire per lui. Il protagonista è un personaggio seducente, figura ricca di
controluce, sempre in scena, autentico funambolo del trasformismo, come se ad ogni conquista
cambiasse pelle. Il vero peccato di Don Giovanni però non sta nel suo comportamento irrispettoso,
bensì nel pensare impunemente che come con la giustizia terrena, dove forte dei suoi privilegi riesce
sempre ad avere la meglio, anche con quella divina potrà al momento opportuno trovare un modo per
salvarsi».
Alessandro Preziosi
Dal 10 al 15 marzo 2015
Matinée riservata alle scuole: Giovedì12 marzo 2015, ore 10.00
Teatro Donizetti
ENRICO IV
di Luigi Pirandello
regia Franco Branciaroli
scene e costumi Margherita Palli
luci Gigi Saccomandi
con Franco Branciaroli, Melania Giglio, Giorgio Lanza, Antonio Zanoletti, Valentina Violo, Tommaso
Cardarelli, Daniele Griggio
e con Sebastiano Bottari, Andrea Carabelli, Pier Paolo D’Alessandro, Mattia Sartoni
produzione CTB Teatro Stabile di Brescia e Teatro de Gli Incamminati
Franco Branciaroli, dopo i recenti successi ottenuti con Servo di scena, Il teatrante e Don Chisciotte,
continua la sua indagine sui grandi personaggi del teatro portando sulla scena l’Enrico IV, dramma in
tre atti di Luigi Pirandello, scritto nel 1921 e rappresentato per la prima volta il 24 febbraio 1922 al
Teatro Manzoni di Milano. Considerato il capolavoro teatrale di Pirandello insieme a Sei personaggi in
cerca di autore, Enrico IV è uno studio sul significato della pazzia e sul tema caro all’autore del
rapporto, complesso e alla fine inestricabile, tra personaggio e uomo, finzione e verità.
In una lettera che Pirandello scrive a Ruggero Ruggeri - uno degli attori più noti dell’epoca - il
drammaturgo agrigentino, dopo avergli raccontato la trama, conclude dicendogli che vede in lui il solo
attore in grado d’interpretare e dare corpo e anima al ruolo del titolo. Scrive infatti: «Circa vent’anni
addietro, alcuni giovani signori e signore dell’aristocrazia pensarono di fare per loro diletto, in tempo di
carnevale, una “cavalcata in costume” in una villa patrizia: ciascuno di quei signori s’era scelto un
personaggio storico, re o principe, da figurare con la sua dama accanto, regina o principessa, sul cavallo
bardato secondo i costumi dell’epoca. Uno di questi signori s’era scelto il personaggio di Enrico IV; e
per rappresentarlo il meglio possibile, s'era dato la pena e il tormento d’uno studio intensissimo,
minuzioso e preciso, che lo aveva per circa un mese ossessionato. (...) Senza falsa modestia,
l’argomento mi pare degno di Lei e della potenza della Sua arte».
Il personaggio di Enrico IV, del quale magistralmente non ci viene mai svelato il vero nome, quasi a
fissarlo nella sua identità fittizia, è descritto minuziosamente da Pirandello. Enrico è vittima non solo
della follia, prima vera poi cosciente, ma dell’impossibilità di adeguarsi ad una realtà che non gli si
confà più, stritolato nel modo di intendere la vita di chi gli sta intorno. Sceglie quindi di “interpretare”
il ruolo fisso del pazzo.
Dal 24 al 29 marzo 2015
Teatro Donizetti
SARTO PER SIGNORA
di Georges Feydeau
regia Valerio Binasco
con Emilio Solfrizzi
produzione ErreTiTeatro30
Scambi d’identità, sotterfugi, equivoci, amori segreti sono gli elementi base per questo divertente
vaudeville. La commedia è ambientata a Parigi e narra del dottor Molineaux, fresco di matrimonio, ma
dai dubbi comportamenti coniugali. Il protagonista in questione, infatti, avendo un animo libertino,
tradisce la moglie con un’avvenente signora e, per poter incontrare la sua amante senza destare alcun
sospetto, si finge sarto, creando così una serie di simpatiche ed esilaranti gag che coinvolgono tutti i
protagonisti della pièce. Una comicità amplificata dal virtuosismo tecnico dell’autore, capace di
assommare colpi di scena comici ed equivoci con la precisione di un chirurgo.
I personaggi dell’opera sono quelli tipici della commedia degli equivoci. E in effetti, in Sarto per
signora le incomprensioni, casuali e volute, non mancano di certo. Feydeau preparava i suoi testi
secondo schemi geometrici in cui le uscite e le entrate, gli incontri impossibili, le false scoperte, i
rimandi e le coincidenze, disegnavano figure impeccabili. Il suo gioco di agnizioni, però, i congegni
comici, si rivelavano strutture costruite appositamente per riempire il vuoto di valori di una società
borghese fondata solo sull’apparenza. La follia catastrofica senza senso rivelava alla fine sulla scena un
crollo totale dei valori. L’attualità di questo commediografo francese sta nel fatto che il pubblico di
oggi, rivedendo i suoi vaudevilles, non li considera affatto come figli di un’epoca determinata, passata e
superata, ma coglie in essi una relazione con il presente e con la società attuale. Nelle sue opere, dove
la parabola degli equivoci porta quasi ad un’assurda comicità tragica, vi è la chiave per capire molto
teatro contemporaneo, le logiche conseguenze, i contraltari, le appendici deliranti, i commenti, i
corollari, in autori fra i più disparati come Cechov, Wedekind, Beckett, Ionesco, e Brecht stesso.
In Sarto per signora c’è già tutto l’estro e lo stile di Feydeau: la trama è basata sul classico triangolo
adulterino: lui, lei, l’altro o l’altra, ma soprattutto, quello che non manca mai, è la concentrazione di
tutti i personaggi in un solo luogo, dove si incontrano tutti quelli che non si sarebbero mai dovuti
incontrare: mariti, mogli, amanti, amanti dei mariti, amanti delle mogli. La sua produzione di opere,
tutte da ridere, è uno specchio deformato del suo tempo: la Belle Époque, di quel periodo privo di
preoccupazioni, che sfociò, poi, tragicamente, nella Grande Guerra. Al centro di molte opere di
Feydeau c’è la coppia coniugale, in cui si consumano tradimenti, ipocrisie e malintesi. L’irresistibile
comicità di Feydeau nasce dal dialogo serrato e dalle battute brevi e pungenti dei personaggi, ma anche
dalle situazioni irreali che derivano da equivoci e malintesi.
Anche in Sarto per signora il bugiardo Dott. Moulineaux prima si giustifica con delle scuse con la
moglie Yvonne per aver passato la notte fuori casa, poi cerca di tradirla con Susanna, la moglie del
generale Aubin: le dà appuntamento in un dismesso atelier sartoriale che gli è stato affidato da un
amico, Bassinet, per le sue scappatelle e, a causa di una porta che non si chiude, i due amanti vengono
scoperti. A Moulineaux non rimane altro che fingersi sarto con conseguente inizio di una serie di
episodi paradossali che sono portati avanti fino alle estreme conseguenze.
Dal 7 al 12 aprile 2015
Teatro Donizetti
IL BELL’ANTONIO
di Vitaliano Brancati
adattamento teatrale di Antonia Brancati e Simona Celi
regia Giancarlo Sepe
scene Carlo De Marino
luci Franco Ferrari
con Andrea Giordana e Giancarlo Zanetti
e con Luchino Giordana, Elena Callegari, Simona Celi, Michele De Marchi, Natale Russo, Alessandro
Romano e Giorgia Visani
produzione Lux Teatro
Sessant’anni fa, giovanissimo, moriva un grande scrittore italiano, Vitaliano Brancati. Nel mondo, il
secondo romanzo italiano più letto e amato, dopo Il Gattopardo, risulta essere Il bell’Antonio. Un
lucido e meraviglioso affresco dell’Italia fatto attraverso un meccanismo concentrico che, dal sistema
nazione, dalla storia di un Paese in grande difficoltà durante il periodo fascista, fotografa una
microstoria in Sicilia di una famiglia e del suo Bell’Antonio.
Un personaggio reso celebre dall’interpretazione di Mastroianni e dalla regia di Bolognini, pieno di
fascino, quasi enigmatico, chiuso in un destino contrario alla propria natura.
Una storia iperbolica in una Sicilia che viene raccontata con grande amore, lontana dagli stereotipi e
dai facili ammiccamenti.
Antonio, bellissimo e privo di qualunque talento, viene visto come una sorta di divinità. Il padre
decanta la virilità di questo figlio unico, la gente pensa che lui sia vicino a Mussolini ed influente,
Catania non parla altro che delle sue doti. Un fascismo locale macchiettistico ed inadeguato. Una
madre mite ma pronta a mordere per difendere il figlio. Uno zio filosofo. Un matrimonio non
consumato porterà due famiglie di Catania al centro di una tragedia al contrario in cui l’eroe lo è
nonostante se stesso e il motivo della tragedia in sé non esiste se non in una incomprensibile difficoltà
di Antonio ad amare. La sensualità, la carnalità, le cose taciute e quelle che non si possono dire, i
segreti del talamo, l’impotenza o il peso di un ruolo non voluto, sono solo una chiave di lettura che
invece di risolvere il romanzo apre la mente del lettore, e in questo caso dello spettatore, alla ricerca di
variabili in cui la fine potrebbe non essere nota. In questa riduzione curata dalla figlia di Brancati,
Antonia, e da Simona Celi si è voluto fortemente riportare in palcoscenico la scrittura brancatiana senza
fare operazioni di interpretazione. Un progetto importante che riporta in teatro una grande coppia
Andrea Giordana e Giancarlo Zanetti, due meravigliosi attori, che per anni hanno messo in scena
insieme grandissimi allestimenti.
Dal 14 al 19 aprile 2015
Teatro Donizetti
LA DODICESIMA NOTTE
di William Shakespeare
traduzione Patrizia Cavalli
regia Carlo Cecchi
musiche di scena Nicola Piovani
scene Sergio Tramonti
costumi Nanà Cecchi
disegno luci Paolo Manti per Spazio Scenico snc
con Carlo Cecchi,Tommaso Ragno, Antonia Truppo, Eugenia Costantini, Dario Iubatti, Barbara
Ronchi, Remo Stella, Loris Fabiani, Federico Brugnone, Andrea Bellesso, Rino Marino, Giuliano
Scarpinato
musicisti Luigi Lombardi d’Aquino tastiere e direzione musicale, Ivan Gambini strumenti a
percussione, (un musicista in via di definizione)
produzione Marche Teatro Stabile Pubblico
in collaborazione con Estate Teatrale Veronese
Carlo Cecchi torna a Shakespeare per misurarsi con La dodicesima notte. Una commedia corale,
fondata sugli scambi di identità e di genere e sugli equivoci. Il testo shakespeariano permetterà ancora
una volta a Carlo Cecchi, regista e anche interprete nelle vesti di Malvolio, di orchestrare un gioco
attoriale straordinario, lavorando sulla stilizzazione e sull’essenza dei personaggi, attraverso quella
maestria che ha fatto di lui il più moderno tra i grandi interpreti del teatro italiano.
«Illiria. Il Duca e la Contessa hanno due tenaci fissazioni: il Duca si è fissato sulla Contessa perché lei
non ne vuole sapere; la Contessa si è fissata sul fratello morto, al quale vuole restare fedele per sette
anni. Con questi due begli esemplari di nevrosi narcisistica, tutto resterebbe nell’immobilità e addio
commedia.
Ma il Destino – e Shakespeare – fanno scoppiare una tempesta: una nave fa naufragio, dal quale si
salva una ragazzetta di nome Viola. Nel naufragio ha perduto un fratello. La ragazzetta si trova
sperduta in Illiria; ma è piena di risorse (vecchiotte, a dir la verità: Plauto, gli Italiani, già Shakespeare
in commedie precedenti) e decide di travestirsi da ragazzo e di diventare il paggio del Duca.
Il Duca lo prende in grande simpatia (il paggio-ragazza si innamora “tambur battente” di lui) e decide
di farlo diventare il suo messaggero d’amore con la Contessa. La Contessa si innamora subito del
paggio e le cose si metterebbero male perché il paggio è una femmina e al tempo di Shakespeare i
matrimoni gay, o almeno i pacs, non erano previsti. Ma il Destino e Shakespeare hanno risparmiato il
fratello del paggio-ragazza, il quale, essendo suo gemello, è tale e quale alla sorella-fratello. Così
questo fratello scampato al naufragio e inseguito anche lui da un innamorato, si sistema volentieri con
la Contessa, che lo prende per il paggio-ragazza di cui si era invaghita. Si sposano presto presto. Il
Duca esplode di gelosia, ma poi chiarito l’equivoco si calma e si prende il paggio-ragazza come futura
sposa.
Questo è il plot principale. Ma ce n’è un altro, forse più importante. È un plot comico e si svolge alla
corte della Contessa: lo zio ubriacone e l’astuta dama di compagnia; un maggiordomo e un cretino di
campagna che spasimano ambedue per la Contessa e, non poteva mancare, il full.
Malgrado la sua funzione comica, questo plot ha uno svolgimento più amaro: la follia che percorre la
commedia, come in un carnevale dove tutti sono trascinati in un ballo volteggiante, trova il suo capo
espiatorio nel più folle dei personaggi: il maggiordomo, un attore comico che aspirava a recitare una
parte nobile, quella del Conte Consorte.
L’amore è il tema della commedia; la musica, che come dice il Duca nei primi versi “è il cibo
dell’amore” ha una funzione determinante. Non come commento ma come azione.
La scena reinventerà un espace de jeux che permetta, senza nessuna pretesa realistica o illustrativa, il
susseguirsi rapido e leggero di questa strana malinconica commedia, perfetta fino al punto di
permettersi a volte di rasentare la farsa».
Carlo Cecchi