Un paese dai costumi moderati? - Società Italiana di Scienza Politica

26º Convegno SISP
Università Roma Tre - Facoltà di Scienze Politiche, Dipartimento di Studi Internazionali e
Dipartimento di Istituzioni pubbliche, Economia e Società
13 - 15 settembre 2012
Panel Populismo e partecipazione politica
Org. Fabio de Nardis e Fabrizio Gentile
Guya Accornero
CIES-Istituto Universitario di Lisbona e IEPI-Università di Losanna
“Un paese dai costumi moderati?”
Protesta popolare e crisi nel Portogallo democrático
Abstract
Lo scopo di questo articolo sarà quello di seguire i cicli di protesta popolare nel primo
periodo della democrazia portoghese (1980-1995) con speciale attenzione ai momenti di
crisi.
Se il processo di transizione rivoluzionaria portoghese (1974-1975) è stato al centro di
molte analisi che ne hanno messo in evidenza soprattutto gli elementi di “eccezionalità” e
“discontinuità” a livello di mobilitazione sociale, rispetto ai tradizionalmente bassi livelli
di partecipazione della società portoghese, successivi momenti di “effervescenza” sono
stati generalmente trascurati dagli studiosi.
Il Portogallo è stato generalmente considerato dagli scienziati sociali come un paese “dai
costumi moderati”, soprattutto in termini di mobilitazione sociale e rivendicazioni. Questa
interpretazione può anche dipendere dal fatto che la protesta popolare, in Portogallo,
raramente ha assunto forme distruttive di azione.
1
Questo articolo, da parte sua, vorrebbe verificare questo assioma ed analizzare come e in
che misura la società portoghese si è effettivamente impegnata in differenti forme di
protesta dal consolidamento della democrazia ai giorni nostri e soprattutto in coincidenza
con periodi di crisi economica e di adozione di dure politiche di “contenimento della spesa
pubblica”(come nei momenti di intervento dell’FMI nel 1978, nel 1983 e nel 2011).
Tentando di analizzare tali questioni, soprattutto utilizzando come fonte l’European Protest
and Coercion Data, l’obbiettivo sarà quello di contribuire al dibattito sui temi proposti dal
presente panel, come populismo, antipolitica, protesta popolare e sui diversi fattori che
legano queste varie dimensioni.
Introduzione
Il processo di transizione democratica portoghese ha inaugurato quella che è stata definita
– con una definizione che sempre più suscita molte riserve – come la “terza ondata” di
democratizzazione. Tuttavia, fin dall’inizio, il cambiamento di regime in Portogallo è stato
caratterizzato da elementi di rottura molto più accentuati che quelli che si sono osservati
nelle successive transizioni spagnola e greca.1
La crisi dello stato e la mobilizzazione sociale che hanno accompagnato la transizione
portoghese hanno motivato l’adozione, per il primo periodo della transizione, fra l’aprile
1974 e il novembre 1975, della definizione Processo Revolucionário em Curso (PREC, Processo
Rivoluzionario in Corso). Scienziati sociali di differenti aree, come, tra gli altri, Boaventura
de Sousa Santos, Fernando Rosas o Pedro Ramos Pinto, hanno definito il PREC come uno
dei periodi di più intensa mobilitazione sociale del dopoguerra europeo.2
Nelle parole di Manuel Braga da Cruz, si è trattato di una mobilitazione “senza passato né
futuro” nella storia della attitudini politiche portoghesi, spiegabile solo considerandola
come una conseguenza della “decompressione” sociale e politica provocata dalla caduta
del regime, che ha avuto l’effetto di liberare le tensioni accumulate. Tuttavia, nella sua
opinione, il processo di smobilitazione che si è manifestato dopo il PREC, ha dimostrato
che la cultura politica sottostante non era cambiata.3
2
Questa interpretazione è condivisa da Howard Wiarda, il quale considera la cultura
politica portoghese come tradizionalmente non partecipativa, eccetto durante la
transizione, quando “l’altro Portogallo è esploso nella rivoluzione”.4 Di fatto, alcuni fra i
più importanti studi realizzati sul cambiamento di regime e sulla transizione democratica
in Portogallo,5 hanno posto l’accento sulle discontinuità fra la partecipazione politica e
mobilitazione sociale caratterizzanti il PREC e i livelli di attivismo invece manifestati
prima e dopo questo momento.
Per i ricercatori che si sono occupati del processo rivoluzionario portoghese dal punto di
vista della “discontinuità”, è stato dunque necessario trovare una spiegazione per un tale
improvviso e imprevisto picco di mobilitazioni. Philippe Schmitter sostiene che sia
necessario guardare a questo fenomeno come a un “risveglio” della società civile,
stimolato dal vuoto istituzionale apertosi dopo la caduta dell’Estado Novo.6 Durán Muñoz
è stato il primo autore ad adottare, per l’analisi della transizione portoghese, il concetto di
Struttura delle Opportunità Politiche, la cui apertura dopo la caduta del regime avrebbe
stimolato l’intensificarsi della mobilitazione sociale.7
Seguendo questa pista, Palacios Cerezales ha analizzato il PREC come una conseguenza
della crisi dello stato, dovuta a sua volta allo “scollarsi” della legittimazione intraistituzionale e alla polverizzazione della capacità coercitiva dello stato.8 Simile
interpretazione adottata anche da Costa Pinto, il quale vede nell’apertura di una “finestra
di opportunità” la causa della mobilitazione del processo rivoluzionario.9
Altri autori, in disaccordo con l’idea di una rivoluzione “senza passato”, 10 hanno
interpretato l’ondata di mobilitazioni che accompagnò la transizione portoghese come il
picco di un ciclo di proteste che, cominciato nel 1968 quando Marcelo Caetano aveva
sostituito Salazar alla guida del governo, era stato sostenuto soprattutto dall’intensa e
trasversale opposizione alla guerra coloniale.11 (Accornero, 2012). Tuttavia, se questi studi
individuano il passato della rivoluzione, essi concordano con i primi rispetto al suo futuro,
individuando un processo di chiara smobilitazione alla fine del PREC, nell’autunno 1975.
3
“Un paese dai costumi moderati”: storia di una definizione
Come abbiamo visto, molte analisi sulla transizione portoghese hanno evidenziato la
natura eccezionale dell’ondata di politica conflittuale durante tale periodo (1974-75),
sottolineandone il carattere di discontinuità rispetto ai tradizionalmente bassi livelli di
partecipazione politica e mobilitazione sociale prima e dopo la rivoluzione. Nonostante
ciò, la società portoghese è stata generalmente considerata come “moderata” in termini di
partecipazione politica, mobilitazione sociale e rivendicazioni.
Secondo Pedro Ramos Pinto, il Portogallo vive infatti sotto la reputazione di avere una
“società civile debole”12 Come questo autore ricorda, è stato il dittatore Salazar, al potere
in Portogallo fra il 1928 e il 1968, ad attribuire ai portoghesi l’etichetta dei “costumi
moderati”, considerandoli come “avversi alla radicalizzazione politica, alla violenza e alla
mobilitazione”. 13 Come riferisce Ramos Pinto, tuttavia, non solo questo era un elemento
centrale nella propaganda del regime, e parte della sua strategia di smobilitazione,14 ma
tale ritornello si inseriva nel solco della tradizionale relazione stato-società civile
in
Portogallo, dove “l’infantilizzazione di un intero popolo è sempre servita da fondamento
per progetti di ‘civilizzazione’ imposti dall’alto”. 15
Tuttavia, anche se Ramos Pinto tenta di decostruire l’origine di quest’etichetta, vista come
una generalizzazione culturale fondata su ragioni politiche e ideologiche, egli concorda sul
fatto che “la società civile portoghese è meno disposta a reagire attraverso la mobilitazione
politica rispetto ad altri paesi comparabili”.
16
L’autore individua tre cause possibili per
questo fenomeno. Innanzitutto, la chiusura del sistema politico alla richieste provenienti
dalla società, condizione che renderebbe il rapporto fra costi e benefici della
partecipazione sbilanciato a favore dei costi.
In secondo luogo, la natura stessa della relazione stato-società, che egli vede come
rigidamente strutturata e acquisita in modo deterministico, al contrario del periodo
rivoluzionario, quando la crisi dello stato, con la perdita di legittimità delle istituzioni,
come si è visto, è stata considerata come la principale causa dell’intensificarsi delle
mobilitazioni. Infine, la scarsità di organizzazioni formali e informali in grado di sostenere
ampi movimenti di protesta, particolarmente fra i gruppi sociali più direttamente toccati
dalle pressioni.
4
Queste ipotesi sono di evidente interesse. Tuttavia, prima di valutarle, occorrerebbe, a mio
avviso, dimostrare se e in che misura la società portoghese è effettivamente caratterizzata
da “costumi moderati” e quindi meno predisposta, rispetto alle società di paesi
comparabili, alla mobilitazione sociale. Infatti, se questa tesi è stata adottata da vari studi
di carattere storico o politologico, essa in realtà non è stata ancora dimostrata
empiricamente.
Alcune importanti analisi hanno dimostrato i bassi livelli di partecipazione politica dei
cittadini portoghesi attraverso canali “convenzionali”, come le elezioni, l’adesione a
partiti, sindacati o associazioni.17 D’altra parte, pur essendo generalmente adottata anche
quando si considera la tendenza dei portoghesi a mobilitarsi o a partecipare a un
movimento di protesta – quindi quando si considera la partecipazione in forme politiche
più conflittuali –la tesi della “moderazione” non è stata finora empiricamente verificata.
In questo articolo, quindi, intendo adottare come ipotesi l’assunzione che il Portogallo è un
paese caratterizzato da “costumi moderati”, in termini di mobilitazione sociale e testarla
attraverso
un’analisi
comparativa.
L’obbiettivo
non
sarà
quello
di
trovare
un’interpretazione al fatto che la società civile portoghese è meno propensa, rispetto a
quella di altri paesi comparabili, a impegnarsi in qualche forma di mobilitazione sociale,
ma di verificare se e in che misura questa osservazione è attendibile.
Eventi di protesta e scioperi nel Portogallo democratico.
Il Portogallo è caratterizzato da bassi livelli di mobilitazione sociale e politica rispetto a
paesi comparabili?
Per rispondere a questa domanda, farò ricorso, oltre che ad altre fonti, all’European Protest
and Coercion Data (EPCD),18 con l’obbiettivo di analizzare se e in che misura i portoghesi si
sono impegnati in episodi di protesta dal momento del consolidamento democratico fino
alla metà degli anni ‘90. Particolare attenzione sarà prestata ai periodi di crisi economica
(come i momenti che hanno determinato l’intervento del Fondo Monetario Europeo, FMI,
nel 1983 e nel 2011) e a una specifica forma di protesta: lo sciopero. Al fine di testare
l’ipotesi, i dati relativi alla partecipazione dei cittadini portoghesi in eventi di protesta
5
saranno comparati con dati equivalenti sulla partecipazione dei cittadini greci nello stesso
periodo, cioè fra il 1980 e il 1995.
È stato scelto di comparare il caso portoghese con quello greco per le similarità che i due
paesi presentano. Essi sono infatti comparabili in termini geografici, demografici ed
economici: sono entrambi inseriti nell’area del Sud Europa, hanno dimensioni e numero di
abitanti simili (circa 11 milioni in Grecia e 10 milioni il Portogallo) e sono fra i paesi più
poveri della zona euro. I due Stati presentano anche importanti similitudini a livello di
processo storico-politico, avendo vissuto sotto regimi dittatoriali nella seconda metà del
20º secolo e avendo entrambi conosciuto processi di democratizzazione a partire dal 1974.
I limiti cronologici dell’analisi sono invece imposti dalla base di dati, che copre solo il
periodo 1980-1995. Si tratta d’altra parte di anni estremamente significativi nella storia
recente dei due paesi, dal momento che, in entrambi, questi anni abbracciano il primo
periodo della democrazia consolidata19 e sono costellati da drammatici episodi di
aggiustamento economico e adozione di misure di austerità. Il Portogallo è stato oggetto di
interventi dell’FMI nel 1978, nel 1983 e nel 2011. La Grecia ha ricevuto aiuto esterno nel
2011 e il suo governo ha dovuto implementare, durante gli anni ’90, una serie di misure di
austerità altamente impopolari, con l’obbiettivo di aderire all’Unione economica e monetaria
(UEM) nel 2001.
Il caso portoghese
Fra il 1980 e il 1995, ci sono stati in Portogallo 1.415 eventi di protesta di diverso tipo, tra
cui: scioperi (generali o settoriali), manifestazioni, occupazioni, scioperi della fame,
tumulti. Fra questi, si contano 807 scioperi, cioè il 57% di tutti gli eventi di protesta, mentre
le altre forme di protesta nel loro insieme rappresentano il 43%, cioè 608 episodi. A questi
eventi hanno partecipato 17.838.966 cittadini, tra cui 15.004.488 soltanto in scioperi. Gli
scioperi hanno dunque chiaramente rappresentato l’azione di protesta più diffusa in
Portogallo fra il 1980 e il 1995 e anche quella che ha attratto il maggior numero di
partecipanti, come illustrato dai grafici 1 e 2.
6
Grafici 1 e 2: Eventi di protesta e partecipanti a eventi di protesta in Portogallo, 19801995.
Il 1982 è stato l’anno con il più alto numero di eventi di protesta in Portogallo (170) e il
secondo più alto numero di scioperi (101), ma anche l’anno, tra il 1985 e il 1990, con il
massimo numero di cittadini mobilizzati in eventi di protesta (3.091.355), per la maggior
parte in scioperi (2.911.845). Il 1982 è stato di fatto un anno particolarmente duro per il
Portogallo, che ha preceduto il secondo intervento dell’FMI – nell’ottobre 1983 – nel raggio
di appena cinque anni (il primo intervento era stato nel 1978).
E interessante osservare che, dopo l’intervento dell’FMI e per la maggior parte del
decennio
successivo,
tanto
gli
scioperi
quanto
gli
scioperanti
decrescono
progressivamente, raggiungendo il punto più basso nel 1987, quando ci furono appena 8
scioperi e 27.405 scioperanti, meno dell’1% rispetto al 1982. Questa tendenza non è stata
direttamente accompagnata da un uguale calo del numero di altre forme di protesta, che
invece iniziano a diminuire appena fra il 1985 e il 1986. Tutti gli eventi di protesta, inclusi
gli scioperi, ricominciano ad aumentare nel biennio 1988-1989, in coincidenza con il
secondo governo di Anibal Cavaco Silva, nominato ministro dopo le elezioni del 1987,
vinte con maggioranza assoluta - la prima della storia del paese – dal partito di centrodestra Partido Social Democrático (PSD, Partito Social Democratico).
Il governo di Cavaco Silva è stato caratterizzato dall’implementazione di dure riforme
strutturali, volte a liberalizzare l’economia portoghese. Tra di esse, ricordiamo soprattutto
la riforma fiscale, con l’unificazione di diverse fonti di imposte e l’introduzione dell’IVA;
7
la privatizzazione di molte imprese pubbliche; la liberalizzazione dei mass-media e la
riforma del diritto del lavoro e della legislazione agraria. Cavaco Silva è stato al capo del
governo portoghese fino al 1995, dopo la sua rielezione nel 1991.
Tuttavia questo terzo mandato non è stato caratterizzato da un conflitto sociale pari a
quello che ha attraversato il paese durante il secondo governo Cavaco Silva e che ha
raggiunto il suo picco nel 1989, l’anno con il maggior numero di scioperi durante l’intero
periodo considerato. Ancora una volta, quindi, come nel 1982, cioè un anno prima
dell’intervento dell’FMI, la protesta sociale in Portogallo si impenna nel momento del
dibattito pubblico sull’adozione di misure impopolari, ma si arresta in modo drastico nel
momento in cui tali misure sono adottate. I grafici 3 e 4 intendono mostrare queste
dinamiche.
Grafico 3: La protesta in Portogallo, 1980-1995 (eventi)
8
Grafico 4: La protesta in Portogallo, 1980-1995 (partecipanti)
Infine, tra il 1980 e il 1995 ci sono stati in Portogallo quattro scioperi generali, che hanno
coinvolto circa 3.750.000 cittadini. Due di questi, per un totale di 1.750.000 scioperanti,
hanno avuto luogo nel 1982, quindi nell’anno che abbiamo visto essere caratterizzato dal
più alto numero di scioperanti e dal secondo più alto numero di scioperi, dopo il 1989. Lo
sciopero generale del 12 maggio 1982 è stato il primo del periodo democratico e anche il
primo del dopoguerra, visto che l’ultimo sciopero generale si era visto nel 1934. Dal 1995, i
lavoratori portoghesi si sono impegnati in scioperi generali in altre 5 occasioni, nel 2002,
nel 2007, nel 2010, nel 2011 e nel 2012. L’aumentato ricorso a questa forma di protesta
appare evidente negli ultimi anni, in coincidenza in parte con l’intervento dell’FMI nel
maggio 2011.
La Grecia: per una comparazione della politica conflittuale portoghese
In questa parte, comparerò i dati sugli eventi di protesta e la partecipazione dei cittadini
portoghesi con dati equivalenti sulla Grecia, al fine di verificare l’ipotesi che il Portogallo è
un paese caratterizzato da bassi livelli di mobilitazione sociale rispetto a paesi
comparabili.
9
Se più in alto ho evidenziato alcune similitudini – in termini geografici, economici e storici
– fra i due paesi, occorre ora riferire che, anche da una prima osservazione, appare
evidente che Portogallo e Grecia presentano tendenze opposte quando si guarda alla
mobilitazione sociale. Se il Portogallo è frequentemente etichettato come un paese dai
costumi moderati, la Grecia al contrario ha la fama di essere un paese particolarmente
“incandescente”, una fama peraltro confermata, come vedremo, dai dati empirici.
I due paesi appaiono quindi caratterizzati da attitudini quasi opposte in termini di politica
conflittuale e la comparazione fra di essi fa emergere alcuni aspetti interessanti. La Grecia
è il paesi in Europa che più ha fatto ricorso allo sciopero generale (38) fra il 1980 e il 2008.
32 di questi scioperi generali hanno avuto luogo fra il 1980 e il 1995, il periodo coperto
dall’EPCD e da questo articolo. In questi 15 anni, circa 22.590.000 cittadini greci hanno
partecipato a scioperi generali e molti altri a scioperi settoriali, soprattutto nel settore dei
trasporti e del pubblico impiego. Questo significa che i lavoratori greci si sono impegnati
in scioperi generali sei volte di più rispetto ai lavoratori portoghesi, come mostrato dai
grafici 5 e 6.
Grafico 5: Scioperi Generali, partecipanti, 1980-1995.
10
Graph 6: General Strikes, 1980-1995.
La Grecia ha vissuto livelli molto più alti di mobilitazione sociale, rispetto al Portogallo,
anche quando si guarda ad altre forme di politica conflittuale, come scioperi settoriali,
manifestazioni, sommosse e occupazioni. Fra il 1980 e il 1995, i cittadini greci hanno infatti
fatto ricorso a qualche azione di protesta in 2.742 casi, che significa più di un evento di
protesta al giorno e circa il doppio dei cittadini portoghesi, come evidenziato dal grafico 6.
Grafico 6: Tutti gli eventi di protesta, 1980-1995
Circa 67.806.154 cittadini greci hanno partecipato a tali eventi di protesta, un numero 4
volte più alto che in Portogallo (vedere grafico 7).
11
Grafico 7: Tutti gli eventi di protesta, partecipanti (1980-1995)
La proporzione fra scioperi e altri eventi di protesta in Grecia è esattamente la stessa che in
Portogallo: il 57% di tutti gli eventi di protesta sono stati scioperi e il 43% altri tipi di
azione. Simile fra i due paesi è anche la proporzione fra scioperanti e partecipanti ad altre
forme di protesta: in Grecia abbiamo 88% di scioperanti e 12% di partecipanti ad altre
proteste, mentre in Portogallo queste percentuali sono, rispettivamente, di 84% e 16%.
Grafici 8 e 9
12
Rispetto all’insieme degli scioperi – generali e settoriali – la Grecia presenta un numero
doppio (1.651) del Portogallo, una proporzione praticamente identica a quella riscontrata
rispetto agli scioperi generali. Ma, come nel caso degli scioperi generali, se consideriamo il
numero di scioperanti, questa proporzione cambia significativamente: in Grecia, fra il 1980
e il 1995, 59.526.330 cittadini hanno partecipato a uno sciopero, cioè quattro volte rispetto
al Portogallo.
Grafico 10: Scioperi, 1980-1995
Grafico 11: Scioperanti (1980-1995)
13
Conclusioni provvisorie e questioni aperte
In questo studio preliminare, ho cercato di testare l’ipotesi che considera il Portogallo
come un paese dai “costume moderati” in termini di mobilitazione sociale e
partecipazione in eventi di protesta. Importanti studi, che ho citato più sopra, hanno
dimostrato che il Portogallo può effettivamente essere considerato un paese caratterizzato
da bassi livelli di partecipazione, ma dal punto di vista dell’impegno in “canali
convenzionali” – adesione a partiti, associazioni, voto, sindacalizzazione.
La stessa assunzione che considera il Portogallo come un paese dalla società civile debole è
adottata generalmente anche rispetto alla partecipazione dei portoghesi in eventi di
protesta e mobilitazione sociale, anche se questo non è stato verificato da studi empirici.
Alcuni autori hanno cercato di rintracciare le cause di tale fenomeno, considerandolo come
un dato acquisito, senza tuttavia prima cercare di verificarne la portata. Quest’ultimo
punto è stato invece l’obbiettivo di questo articolo, il quale, per il momento, non ha invece
avuto l’ambizione di interpretare i dati analizzati rintracciando le cause del fenomeno o i
suoi effetti.
Dopo aver analizzato i dati sull’attività di protesta in Portogallo fra il 1980 e il 1995 e dopo
averli comparati con i dati equivalenti sulla Grecia, ho cercato di mostrare che il Portogallo
ha effettivamente mostrato livelli di partecipazione in attività conflittuali drasticamente
inferiori rispetto alla Grecia, rispetto al numero degli eventi di protesta in generale, al
numero degli scioperi e, infine, al numero di partecipanti in tali eventi e soprattutto al
numero di scioperanti.
Tuttavia, questa comparazione potrebbe far apparire il Portogallo più “moderato” di
quanto in realtà è. Infatti, come abbiamo visto, la Grecia è un paese particolarmente
esplosivo, essendo il paese europeo che presenta il più alto numero di scioperi generali fra
il 1980 e il 1995 (32). Per questa ragione, sarebbe opportuno estendere l’analisi ad altri
paesi, al fine di offrire una visione più equilibrata delle “attitudini protestatarie” dei
cittadini portoghesi. In ogni caso, ritengo si possa avanzare, sulla base di questa analisi,
che il Portogallo appare effettivamente come un paese con bassi livelli di mobilitazione
sociale e partecipazione politica, non solo in canali convenzionali, ma anche in forme
conflittuali di azione.
14
Note
1
Fra gli altri, Linz e Stepan. Problems of Democratic Transition; e Pinto, ‘Authoritarian Legacies’,
2
Boaventura de Sousa Santos ha definito la mobilitazione di questo periodo come ‘il più ampio e profondo
movimento sociale nella storia dell’Europa durante del dopoguerra’ (Santos, O Estado e a Sociedade, 27);
Fernando Rosas come ‘l’ultima rivoluzione di sinistra nell’Europa del 20º secolo’ (Rosas, Pensamento e
acção politica, 15) e Pedro Ramos Pinto ‘una delle più ampie mobilitazioni popolari del dopoguerra
europeo’ (Pinto, Urban Protest, iii).
3
Per un’analisi critica di questa insterpretazione, vedere Palacios Cerezales, O poder caiu na rua, 106-107 e
Varela, ‘O 25 de Abril, a Espanha e a história’, 1231-1240.
4
Wiarda, Development on the Periphery, 123.
5
Fra gli altri, Schmitter, Portugal: do autoritarismo à democracia, Palácios Cerezales, O poder caiu na rua,
e Durán Muñoz. Contención y transgresión.
6
Schmitter, Portugal: do autoritarismo à democracia.
7
Durán Muñoz, Contención y transgresión.
8
Palácios Cerezales, O poder caiu na rua.
9
Pinto, ‘Authoritarian Legacies’, 173–204.
10
Accornero, ‘Contentious Politics’.
11
Ibid.
12
Pinto, ‘Protest and civil society in austerity Portugal’, 3.
13
Ibid., 3.
14
Ibid., 3.
15
Ibid., 3.
16
Ibid., 5.
17
Fra gli altri, Freire. ‘Participação e abstenção’ 115-145; Cabral, ‘Efeito metropolitano e cultura política’,
319-346.
18
L’EPCD è basato su una raccolta giornaliera di dati riguardanti eventi di protesta e controllo dela protesta
in Europa e copre il period 1980-1995. La base di dati è il risultato di un progetto realizzato dal’equipe di
Ron Francisco all’università del Kansas, usando, come fonte primaria, Reuters Textline library – attualmente
Lexis-Nexis – che fornisce informazioni globali e regionali su una serie svariata di eventi, nonché un
vastissimo numero di giornali e riviste online, con la possibilità di realizzare ricerche attraverso parolechiave.
19
Linz e Stepan lcollocano il punto finale del processo di consolidamento della democrazia portoghese nel
1982, quando fu rivista la costituzione del 1976, estinto il Consiglio della Rivoluzione estinto e promulgate
la Legge sulla Difesa Nazionale, che obbligò il potere militare ad accettare la subordinazione al potere civile.
Questi autori indicano invece la fine del consolidamento democratico in Grecia nel 1981, quando il partito
15
socialista PASOK (Movimento Socialista Panellenico), fino ad allora all’opposizione, salì al potere. Si veda
anche Gunther, Diamandouros e Puhle, The Politics of Democratic Consolidation.
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17