APPUNTI SU AURELIO AGOSTINO Promemoria: ARISTOTELE Tommaso Domenicani PLATONE Plotino Agostino Francescani (Anselmo) Nacque a Tagaste, in Numidia1, nel 354. Il padre era pagano, la madre – Monica – cristiana. Compì gli studi inizialmente a Tagaste, poi a Cartagine. Affascinato dagli studi letterari ambiva diventare insegnante di retorica. Insieme a ciò era attratto - come dice nelle Confessiones - dai piaceri del mondo. In giovanissima età ebbe un figlio naturale – Adeodato – da una donna che gli fu fedele convivente fino alla conversione. Il primo impulso a volgersi alle cose dello spirito gli fu dato dalla lettura dell’Hortensius di Cicerone. Si accostò anche alle Sacre Scritture trovandole inizialmente troppo semplici e umili nella forma. Le sue aspirazioni religiose in un primo tempo trovarono appagamento nell’adesione al Manicheismo2. Ben presto lo abbandonò, ma rimasero in lui, e dunque nelle sue opere, tracce della concezione manichea del mondo (vedi il De civitate Dei e la concezione del male e della Grazia). Nel 375 fu maestro di retorica a Cartagine e nel 383 a Roma. Poco dopo ottenne la cattedra ufficiale di retorica a Milano. Già dal 383/384 iniziò a staccarsi interiormente dal Manicheismo e fu tentato di abbracciare la filosofia dell’Accademia Scettica, secondo la quale l’uomo deve dubitare di ogni cosa, perché di nulla può avere conoscenze certe. Frattanto maturava in lui la crisi spirituale che lo portò alla conversione. Lo studio della filosofia gli aveva mostrato la superficialità della concezione manichea. Ascoltando i sermoni di Ambrogio, desiderò nuovamente avvicinarsi alla Bibbia. Tramite della sua conversione al cristianesimo fu il neoplatonismo. La sua volontà di conversione era contrastata dall’ambizione della gloria terrena e dai piaceri. (Agostino ci riferisce nelle Confessiones che così pregava Dio “Da mihi castitatem et continentiam, sed noli modo” Conf VIII, 7). Infine dal 386 dopo lunghe meditazioni con amici (Simpliciano, Alipio), letture delle lettere di San Paolo (che influenzarono molto le sue idee sul primato della Grazia) diede le dimissioni dalla cattedra di retorica e si ritirò nella villa di un amico, vicino a Milano. Fu battezzato da Ambrogio nel 387. Nel 391, tornato a Tagaste, fu consacrato prete per volontà del popolo e ben presto divenne vescovo di Ippona. Conservò la carica fino alla morte, avvenuta il 28 agosto 430, mentre i Vandali stavano assediando Ippona. Per due volte nel corso della sua vita Agostino tentò di riordinare e catalogare le opere da lui stesso scritte, ma non vi riuscì. Si può dire che per lui pensare, paralre, scrivere fosse quasi la stessa cosa. La sua comunicativa lo rese amato dal popolo e affascinate ancora oggi per chi lo legge. 1 La maggior parte delle informazioni sono desunte da I. Mariotti Mani nacque a Babilonia (216 – 277). Fondò una dottrina che mescolava giudaismo, cristianesimo e gnosi. L’insegnamento, razionalista e materialista, affermava l’esistenza di due principi: uno del Bene e uno del Male che lottano tra loro per il dominio del mondo. Il male si identifica quasi sempre con la materia. I due principi sono mescolati fra loro sia nel cosmo, sia nel cuore dell’uomo. Per raggiungere la salvezza l’uomo deve impegnarsi nella lotta. 2 Le implicazioni e le conseguenze che il suo pensiero ebbe in altri autori, nella letteratura, nell’esegesi, nella filosofia, nella teologia e perfino nella storia (si pensi alla Riforma) sono difficilmente calcolabili. Infatti molto spesso le sue idee sono entrate in modo anonimo. ALCUNE FRASI O CONTENUTI NOTEVOLI Si potes, cape; si non potes, crede. Se puoi, capisci; se non puoi, credi. (In Io. Ev. tr. 35, 5) Fecisti nos ad te et inquietum est cor nostrum donec requiescat in te. Ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te. (Confess. 1, 1, 1) Ama et fac quod vis Sero te amavi pulchritudo tam antiqua et tam nova, sero te amavi Noli foras ire, in interiore homine habitat veritas Felix culpa La frase “O felice (= portatrice di fortuna) colpa che ci hai procurato un così grande salvatore” ha delle conseguenze notevoli: prima fra tutte sottomettere l’Incarnazione e la ricerca di una vita di Dio fra gli uomini alla colpa dell’uomo. Cioè: senza peccato non ci sarebbe stata l’Alleanza fra Dio e l’uomo. Alcuni teologi pensano che invece, indipendentemente dal peccato dell’uomo, Dio avrebbe comunque svolto il suo progetto di venire ad abitare fra gli uomini. Testimonianze a favore: nella Bibbia (libro della Genesi) “Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza” dunque Dio quando crea l’uomo ha un modello da copiare: se stesso o meglio ancora il proprio Figlio Gesù che poi si sarebbe mostrato agli uomini. Dio avrebbe insomma un volto umano; Dante quando descrive la visione di Dio aggiunge “…dentro di sé, del suo colore stesso,/ mi parve pinta de la nostra effige…” (Par. XXXIII, 130-131) cioè vede in Dio l’immagine di un uomo Si può fare un confronto fra Agostino e Apuleio? Sì, sulla base del platonismo. La colpa nella quale è immerso l’uomo lo rende meno uomo (Asino d’oro, malato). L’uomo può riscattarsi? Può rendersi più uomo? Può diventare pienamente se stesso? Sì: attraverso la sofferenza che con la sua colpa si è provocato (ricordare le tristi avventure di Lucio divenuto un asino. Questo ricorda la metempsicosi. Ricordare che Platone è anche un pitagorico), attraverso un atto libero di Dio che ci salva (attraverso la sofferenza di suo Figlio). Che cos’è dunque che riscatta l’uomo, che lo redime dalla sua condizione animalesca, che lo salva per renderlo pienamente se stesso? Che cos’è che rende l’uomo più uomo? La sofferenza consapevole per Apuleio, per Agostino la sofferenza è un mezzo di cui la Grazia di Dio si serve (Dio potrebe ridare l’uomo a sé stesso in un qualsiasi altro modo: l’atto libero di Dio ha scelto questo). NB che cos’è che salva l’uomo per altri autori: Seneca la filosofia (non solo come conoscenza ma come stile di vita). Orazio (e altri autori seguaci dell’epicureismo) l’ aurea mediocritas. Cicerone l’humanitas (filantropia, amore anche disinteressato agli altri uomini). PERCORSI POSSIBILI I PERCORSO: LA RICERCA DELLA VERITA’ Noli foras ire: in interiore homine habitat veritas Confessioni per cercare la verità su se stesso La lettura dell’Hortensius II PERCORSO: LA LIBERTA’ Ama et fac quod vis Il male e la grazia. Il De libero arbitrio La conversione come ricerca di libertà (dalle passioni, da se stesso). Libero da, libero di, libero per. Felicità, pace e libertà. III PERCORSO: L’AGOSTINISMO La Riforma Il battesimo dei bambini La conoscenza (agostiniani e tomisti) Felix culpa. LO SPIRITO DI AGOSTINO (testo ricopiato da F. Bertoldi in cultura nuova, filosofia, Agostino) lo spirito agostiniano Lo spirito di Agostino è così riassumibile: 1. Un vivo senso della drammaticità dell'esistenza umana, della possibilità cioè che l'uomo non giunga al suo compimento, che d'altra parte non può non desiderare con tutto il suo cuore (inquietum est cor nostrum): il male insidia l'uomo,corrodendone la vita. 2. Perciò la filosofia non è oziosa riflessione accademica, ma vivente impegno con questo dramma: deve servire a rispondere alle domande dell'uomo concreto, non a astratte curiosità. 3. In questo senso una formula che esprime lo spirito di Agostino è la celebre frase: Deum et animam meam scire cupio. (..) Nihil aliud, cioè non desidero conoscere altro che Dio e la mia anima. La mia anima, cioè il desiderio di piena felicità, la domanda di pienezza, e Dio, il Mistero infinito che è la Risposta alla domanda che io sono. Deum: solo in Lui infatti, e in nessun bene finito e creato, trova appagamento il desiderio di felicità che muove l'uomo. Animam meam: sarebbe alienazione cercare fuori di sé il criterio; è ciò che è più prossimo ad essere più certo, ed è del resto ciò che più conta: che giova all'uomo guadagnare il mondo intero se poi perde o rovina sé stesso? Partire da sé tra l'altro pone una differenza rispetto a chi vuole anzitutto cambiare il mondo, le strutture esteriori: mentre cristianamente Agostino avverte che prima devo cambiare me stesso, per poter cambiare i mondo. il dramma dell'uomo Il dramma dell'io umano è riassumibile nello schema seguente. il paradosso dell'uomo desiderare la perfetta felicità ... ...trovando solo temporanei e limitati appagamenti desiderare la piena verità, stabilmente e definitivamente posseduta ... desiderare di compiere fino in fondo il bene ... desiderare la pace ... ...trovando solo incertezza, opinioni che si è costretti a cambiare così spesso ...trovandosi proclive al male così spesso ...trovando solo inquietudine il superamento positivo del dramma L'uomo non supera con le sue forze questo circolo vizioso di non poter non desiderare quello che poi non può ottenere: in polemica contro Pelagio, egli sostiene che solo la grazia di Cristo ci salva. E ciò perché l'uomo non è in uno stato di natura integra (=sana), ma di natura decaduta: la natura umana è come ferita (per cui l'intelligenza non pensa come dovrebbe, cogliendo [sempre e solo] il vero, e si producono errori e incertezze che "naturalmente" non ci dovrebbero essere; e la volontà non è stabile nel volere il bene, ma si piega al male), ed è ferita da quel fatto che sta all'inizio della storia umana e si chiama peccato originale. Conseguenze: viene così battuta in breccia ogni pretesa razionalistica e di autosufficienza: l'uomo non riesce ad essere buono, basandosi sulle sue forze. Così, risulta impraticabile una visione della realtà umana che divida in buoni e cattivi, con i primi che riuscirebbero ad essere coerenti in virtù di una loro energia, e i secondi che sarebbero da puntare a dito come malfattori e farabutti, perché infrangono delle leggi. Il vero punto di discrimine etico non è tra chi osserva le regole e chi non le osserva, ma tra chi mendica la grazia, riconoscendosi non-autosufficiente e chi si ritiene autosufficiente. la conoscenza L'uomo non è, in generale, autosufficiente: segnato dal peccato originale, è chiamato alla comunione con Dio, in Cristo. Questa non-autosufficienza la si vede anche in campo conoscitivo. È solo Cristo che consente alla conoscenza umana di raggiungere uno stato di certezza e di stabile verità (come Maestro interiore, mediante l'illuminazione) il superamento del dubbio scettico Che l'uomo non fluttui nell'incertezza, nell'assenza di riferimenti veritativi assoluti lo si può capire anche "dal basso", con una riflessione filosofica che fa appello ad evidenza naturali (anteriori alla fede); infatti, dice Agostino nel Contra Academicos, se anche dovessimo dubitare di tutte le verità che si riferiscono al mondo esterno, se anche dubitassimo di tutto, almeno dell'atto del dubitare, almeno dell'esistenza di me, soggetto che dubito, non potrei dubitare. So almeno questo, che io esisto. Ma sapere che esisto aggiunge una seconda certezza, quella appunto che, oltre che esistente, io sono conoscente. E infine io, esistente e conoscente, posso scegliere che cosa pensare o fare, dunque sono anche volente. (ricordiamo Cartesio che infatti riprende tutto questo nel suo “ego cogito ergo sum”) Esse, nosse, velle (esistere, conoscere, volere) sono dunque le prime tre certezze, che segnano il superamento del dubbio. E' dunque il soggetto, l'io, nella sua realtà ontologica, il dato di certezza primo, e nelle prime tre certezze di cui è fatto l'io si rispecchia lo stesso Mistero trinitario (il Padre, Origine dell'essere, il Figlio, Verbo del Padre, e lo Spirito, Amore infinito). l'illuminazione Mutevole e instabile è tale realtà del mondo sensibile, come mutevole e instabile è la stessa anima umana, lo stesso io e la sua mente, che deve continuamente ricredersi sulle cose, cambiando opinione con facilità, e restando preda di un turbine di ipotesi piuttosto che camminando con pacificata sicurezza sulla via maestra di una verità assoluta. Tale è la condizione dell'uomo, e Agostino ha il merito di riconoscerne con chiarezza la non-auspicabilità: non si può certo dire che sia un vantaggio fluttuare nell'incertezza. L’illuminazione viene da Dio. C’è dunque come nel Platonismo un primato di Dio (del resto l’uomo non potrebbe ragionare su Dio se Dio stesso non lo avesse chiamato per primo: l’intelligenza è stata creata da Dio). Il tempo Quella del tempo è un dimensione molto sentita da S.Agostino: tutto è instabile, provvisorio; questa vita non dà tregua, non si può mai in essa riposarsi definitivamente. Da un lato il tempo è contrassegno della finitudine dello uomo, disperso e come disgregato nelle molteplicità degli instanti, che si susseguono inesorabilmente. Per cui esso è indizio della drammaticità della vita, di un suo non-autopossesso: per la inconsistenza del tempo (il passato non è più, il futuro non è ancora, il presente stesso non è che un attimo inafferrabile, senza spessore, sfuggente). D'altro lato la coscienza del tempo indica una elevazione dell'uomo sopra la molteplicità dispersa degli istanti; sintetizzando il molteplice egli si avvicina all'eterno presente di Dio: il tempo è distensio animi, l'animo si dilata ad abbracciare l'estensione altrimenti desolatamente disgregata della successione temporale (in te, anime meus, tempora metior). per un giudizio per un giudizio Il nostro giudizio su Agostino è prevalentemente positivo. Non crediamo sia un caso se per un millennio il pensiero cristiano occidentale si è ispirato esplicitamente a lui, e anche quando, dal XIII secolo Tommaso d'Aquino lo ha in qualche modo "surclassato" come pensatore più apprezzato dalla autorità ecclesiastica cattolica, egli è rimasto uno delle pietre miliari del Cristianesimo, a cui lo stesso Tommaso è debitore, e non poco (come dimostrano le abbondantissime citazioni agostiniane nelle pagine tomiste). Ciò che di lui è più importante è la chiara percezione della fondamentalità del soprannaturale, della grazia divina, che sola risponde al desiderio che anima l'uomo, che sola perciò consente all'uomo di essere uomo; Ciò che è meno accettabile in lui è una certa recezione di Platone, che lo porta a opporre materia a spirito, realtà temporali e realtà eterne in una flessione non del tutto criticamente vagliata in prospettiva cristiana. Per il Cristianesimo infatti la materia, la carne, il corpo non solo non sono male, come anche Agostino vede, già da quando passa dal manicheismo al neoplatonismo, ma non sono nemmeno qualcosa da trascurare in vista dell'Eterno. L'Eterno non è alternativo al tempo: e questo Agostino lo vede e lo capisce, ma non riesce, usando spesso categorie platoniche, a esprimerlo in modo soddisfacentemente chiaro.