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29/03/2011 |
Piante industriali
Il termine piante industriali indica una serie di specie vegetali diverse, coltivate principalmente per scopi
commerciali e vendute dalle aziende agricole direttamente quali materie prime o sotto forma di prodotti
lavorati. Dal profilo ecologico esse rientrano nella categoria delle materie prime vegetali o rinnovabili. La
coltivazione di piante industriali, spesso legata a un lavoro manuale intensivo, si è sviluppata soprattutto nei
dintorni dei centri urbani nel contesto della crisi agraria del tardo ME ed è rimasta strettamente condizionata
dalla congiuntura delle attività artigianali correlate (Campicoltura, Orticoltura). Il lino e la canapa dipendevano
dall'industria della tela (Tela di lino, Industria tessile), le diverse piante coloranti dall'insieme dell'industria di
trasformazione delle fibre tessili, il luppolo dalla produzione della birra. La coltivazione e la vendita di piante
industriali fruttava ai contadini entrate in contanti che, nonostante la pratica estesa dell'economia di
sussistenza, anche in epoca preindustriale si rivelavano indispensabili. I prodotti commerciali veri e propri, ad
esempio l'olio, le fibre, le sostanze coloranti e concianti ecc., venivano estratti dalla pianta intera o da parti di
essa - radici, steli, foglie, fiori, semi - per mezzo di procedure laboriose. Canapa e lino potevano essere
sfruttati doppiamente, poiché fornivano fibre e semi oleosi.
Nel territorio dell'attuale Svizzera la coltivazione e l'importanza economica delle piante industriali sono state
indagate solo in maniera puntuale, ad esempio in riferimento al luppolo e allo zafferano, due specie che però
non furono mai coltivate su ampia scala. Finora non è stato chiarito se le piante coloranti venissero coltivate
principalmente nel proprio orto o se vi fossero stati tentativi di una coltivazione più estensiva, poi
abbandonati. Noci (frutto e olio) e frutta secca, dal XVIII sec. sempre più anche distillati (kirsch, acquavite di
frutta o di vino, acqua di rose), nonché piantine e semi di ogni sorta non si producevano solo per uso proprio,
ma per la vendita attraverso il commercio ambulante o i mercati cittadini. Già nel tardo ME occasionalmente
si sviluppò qualche coltivazione specializzata, diretta a uno specifico artigianato locale, ad esempio semi e
tuberi per il commercio di sementi o, più tardi, erbe aromatiche per il formaggio glaronese Schabziger
(Trigonella caerulea, una specie di trifoglio) e nel XIX sec. radici di cicoria quale surrogato del caffè. Qui di
seguito ci si concentrerà sulle piante industriali del tardo ME e della prima età moderna, trascurando quelle
diffusesi prima e durante il periodo dell'industrializzazione, come il Tabacco e la barbabietola da zucchero
(Zucchero).
Autrice/Autore: Margrit Irniger / ato
1 - Piante oleaginose e da fibra
Il lino (Linum usitatissimum) è una delle piante coltivate più antiche, come attestano studi archeobotanici
intrapresi nell'Europa centrale, che hanno portato alla luce resti vegetali e tessili risalenti al Neolitico recente.
Dai semi grassi e ricchi di proteine si estrae un olio ad uso artigianale, alimentare e medicinale (Erbe
medicinali). Per mezzo della macerazione dei sottili steli si isolano le fibre, la materia prima per produrre filati
e tela di lino. Anche la canapa veniva doppiamente sfruttata (semi e fibre) e il suo impiego era molteplice;
questa coltivazione sembra tuttavia essersi diffusa più tardi rispetto a quella del lino. Una delle più antiche
attestazioni certe nel territorio sviz. è del VII sec. e riguarda il Giura (Develier-Courtételle). Le qualità più
scadenti dell'olio di canapa venivano utilizzate come combustibile o erano impiegate da pittori e muratori.
Dall'alto ME per la fabbricazione di tralicci, vele, reti da pesca, cordami, così come spago e materiale da
guarnizione, si prediligevano le fibre di canapa, molto resistenti all'umidità. La coltivazione e la lavorazione
della canapa e del lino erano attività faticose pressoché in egual misura. Nel ME e nell'età moderna
l'estrazione dei semi, il laborioso trattamento delle fibre grezze tramite macerazione, maciullazione e
cardatura, la fabbricazione di filato, corda e tela erano occupazioni consuete della fam. contadina, destinate
innanzitutto al fabbisogno proprio e in secondo luogo alla vendita, che consentiva alla fam. di ricavare un
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introito in contanti. Numerosi villaggi riservavano alla coltivazione della canapa particolari appezzamenti nei
beni comuni. Nella Svizzera nordorientale, con San Gallo come centro dell'industria della tela di lino, la
coltivazione e la filatura consentivano soprattutto alle donne e ai bambini (Protoindustrializzazione) di
ottenere un guadagno. Commercianti e imprenditori tessili acquistavano il filato o la tela direttamente dai
contadini-produttori allo stato grezzo. I successivi processi di raffinamento e il controllo della qualità
competevano esclusivamente a cittadini dei centri urbani. Spec. il candeggio e la tintura richiedevano un
elevato apporto di risorse.
Autrice/Autore: Margrit Irniger / ato
2 - Piante oleaginose
La colza (Brassica napus L. ssp. oleifera) fu coltivata in Svizzera probabilmente solo dalla fine del XVIII sec.,
oltre un sec. dopo il grande successo ottenuto nei Paesi Bassi dai mulini (lavorazione) e dai saponifici, che ne
usavano l'olio. Non è chiaro se la pianta nota nella Svizzera ted. con il nome di Lewat o Klewat fosse la colza
oppure il ravizzone, una specie affine (Brassica rapa L. ssp. oleifera). Ancora nel'XIX sec. le due piante
oleaginose non venivano sempre chiaramente distinte nemmeno dai botanici stessi. La colza veniva
soprattutto utilizzata come semina invernale e soppiantò in parte specie oleifere più antiche, come il
papavero, il ravizzone e la dorella. Il ravizzone, diffuso nel ME anche come erba infestante, era meno esigente
e più resistente della colza. Ancora nel XIX sec. si consigliava ai poveri di raccogliere i semi di senape, rafano
oleifero o dorella, tipici infestanti selvatici nei campi di lino, da usare assieme all'olio di canapa e lino. Grazie
all'elevata, in origine, concentrazione di acido erucico, l'olio di colza e quello di ravizzone si prestavano molto
meglio all'impiego in procedimenti tecnici e non erano abitualmente usati come oli commestibili. La selezione
di nuove coltivazioni (ad esempio la colza 00) ne ha consentito l'utilizzo come olio da cucina o per la
produzione di margarina. In tempi recenti l'olio di colza viene usato anche come combustibile; addizionato con
metanolo, l'etere metilico vegetale (biodiesel) può essere infatti impiegato per la propulsione dei motori
diesel.
Il papavero figura tra le più antiche piante coltivate note e la sua coltivazione (olio e semi ricchi di proteine)
ebbe un ruolo importante nell'alimentazione fino al XIX sec. inoltrato. I manuali botanici del XVI sec., che ne
descrivevano generalmente parecchie forme, sottolineavano il valore del relativo olio. I molteplici usi e le
proprietà del latice (dell'oppio) erano già conosciuti dagli antichi Greci (Droghe). Nel ME e nell'età moderna la
maggioranza delle specie da olio veniva coltivata negli orti, nei terreni recintati e sempre più anche come
coltura intercalare nel campo a maggese o nei campi destinati all'avvicendamento estivo.
Il girasole, originario del Nuovo Mondo, era noto in Svizzera almeno quale pianta ornamentale in alcuni
giardini già nel XVI sec. All'inizio del XIX sec. se ne tentò la coltivazione in campi aperti nei dintorni di Zurigo,
ma a quanto pare i semi non potevano essere protetti in maniera sufficiente dagli uccelli e quindi la
coltivazione veniva considerata poco redditizia. L'invenzione della margarina (1869) e del sistema per indurire
gli oli (1902) permisero di produrre grasso da cucina spalmabile a partire dal girasole e da altre piante
oleaginose.
Autrice/Autore: Margrit Irniger / ato
3 - Piante tintorie
Dal ME al XIX sec. inoltrato, artigianato e industria tessile furono i maggiori acquirenti di coloranti vegetali
(Tintoria). Numerose specie coltivate e spontanee contengono sostanze atte a tingere i tessuti, e parecchie di
esse - ad esempio il mirtillo, il sambuco e altri tipi di bacche, che si trovavano sul mercato in forma secca potevano spesso essere usate due o più volte. Guado, robbia e reseda fornivano i tre colori primari blu, rosso
e giallo, da cui a seconda del materiale (lana, lino, seta ecc.), del trattamento preliminare, del miscelamento e
della ricolorazione, si poteva ottenere una vasta gamma di colori e tonalità. Queste essenze vegetali
provenivano in gran parte da centri di produzione esteri.
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Il succo vegetale delle foglie di guado (Isatis tinctoria) si trasforma nel colorante azzurro ("indaco") solo grazie
alla macerazione e al contatto con l'aria. La preparazione per il mercato avveniva in modo diverso a seconda
della divisione del lavoro tra contadini, commercianti e tintori. Il guado fu di gran lunga il principale fornitore
della tinta blu fino al XV sec., quando subì la concorrenza dell'importazione dall'India dell'indaco, ottenuto
dagli arbusti del genere Indigofera. L'alizarina, una sostanza colorante rossa, è contenuta nella radice della
robbia (Rubia tinctoria), mentre il colorante giallo, la luteolina, si estrae dallo stelo e dalla foglia dell'erba
guada o reseda dei tintori (Reseda luteola). Per utilizzare queste due piante nella tintura dei tessuti vi si
dovevano però aggiungere mordenti a base di sali metallici. La Soc. economica di Zurigo fu informata nel
1765 di una coltivazione sperimentale di robbia avviata nel cant. Berna. L'industria di Indiane stimolò la
ricerca di nuove e più economiche fonti di coloranti. Il giallo della reseda fu sostituito con quello della ginestra
minore (Genista tinctoria), della camomilla per tintori (Anthemis tinctoria) e, parzialmente, del cartamo,
denominato anche zafferanone (Carthamus tinctorius). Quest'ultimo era importato dai commercianti di panni
sangallesi come carico di ritorno dalla Spagna. Il suo colorante giallo, solubile in acqua e quindi poco stabile,
si otteneva solo dai primi petali, venduti secchi o spesso in polvere, e veniva impiegato non tanto
nell'industria tessile, ma piuttosto quale colorante alimentare, come pure per diluire e contraffare lo
zafferano, più costoso. I petali della seconda raccolta conferiscono tonalità dal rosa lucente al rosso ciliegia e
si impiegavano spec. per tingere tessuti e nastri di seta. Dalla spremitura dei semi, infine, si ricavava l'olio.
Dalla fine del XIX sec. le piante tintorie furono progressivamente sostituite dai coloranti sintetici, più
economici.
Autrice/Autore: Margrit Irniger / ato
4 - Piante aromatiche
Lo zafferano si usava come Spezia, per tingere e quale medicamento. Nel territorio dell'attuale Svizzera,
questa pianta della fam. delle Iridacee venne coltivata dal tardo XIV sec., per lo più solo durante pochi
decenni e in piccoli quantitativi, a Basilea, ai piedi del versante meridionale del Giura (cant. Soletta), a Faido,
Ginevra, nel Paese di Vaud e nel Vallese (ancora oggi nel com. di Mund). La raccolta dei fiori nel campo
avveniva a ritmo quasi giornaliero dalla metà di ottobre. Gli stigmi, la parte superiore dello stilo formata da
tre filamenti - la sola contenente picrocrocina, una sostanza aromatica giallo-rossa o bruno-rossa scura, e
crocina, un colorante giallo - doveva essere strappata dal fiore il giorno stesso della raccolta. I filamenti di
zafferano venivano venduti secchi o ridotti in polvere. Per ottenere 1 kg di prodotto finale erano necessari
120'000 fiori. Il commercio dello zafferano, detto oro rosso, visse la sua massima fioritura nel XIV e XV sec.
Estremamente costoso, lo zafferano si impiegava per tingere di giallo solo la seta più fine; il mercato ne
offriva diverse qualità a seconda della provenienza.
Si ritiene che la coltivazione del luppolo (Humulus lupulus) nell'Europa centrale risalga all'alto ME e il suo
utilizzo nella produzione di birra e quale conservante alla fine dell'XI sec. Il convento di Muri possedeva già nel
XII sec. una taverna in cui si serviva la Birra, oltre a quella per il vino, e negli Acta Murensia compare il
toponimo Hopfreben (da Hopfen, luppolo) nei pressi di Ingenbohl. È però probabile che, ancora verso l'anno
1800, la birra al luppolo fosse una bevanda poco comune nel territorio dell'odierna Svizzera. Nemmeno i
cosiddetti economisti patrioti erano interessati a intensificare la coltivazione di questa pianta, poiché la
vendita e il consumo di vino fruttavano alle città sostanziose entrate fiscali. Solo nel XIX sec., con il crescente
fabbisogno di luppolo dei sempre più numerosi birrifici, la coltivazione del luppolo iniziò a estendersi,
raggiungendo il suo culmine attorno al 1880. Molte birrerie possedevano propri orti da luppolo. Durante la
crisi della coltivazione viticola nella seconda metà del XIX sec., talune aziende agricole trovarono nel luppolo
un'alternativa alla vite. Agli inizi del XXI sec. il luppolo veniva ad esempio ancora coltivato nel Fricktal
argoviese e nel com. zurighese di Stammheim.
Riferimenti bibliografici
Bibliografia
– A. Hauser, F. Kutter, Der Hopfenanbau in der Schweiz, 1956
URL: http://www.hls-dhs-dss.chI13941.php
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– U. Körber-Grohne, Nutzpflanzen in Deutschland, 1987
– E. Jossen, Mund, 1989
– Voc. dei dialetti della Svizzera it., 3, 1991-1998, 436-444 (voce "canov")
– W. H. Schuster, Ölpflanzen in Europa, 1992
– AA. VV., «Mittelalterliche Kulturpflanzen aus der Schweiz und Liechtenstein», in Environment and
Subsistence in Medieval Europe, a cura di G. De Boe, F. Verhaeghe, 1997, 95-111
– M. Irniger, M. Kühn, «Hanf und Flachs», in Traverse, 1997, n. 4, 100-115
– J. Thirsk, Alternative Agriculture, 1997
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