XXVI Convegno SISP – Roma – 12-15 settembre 2012 Attuale o inattuale? Auguste Comte e i dilemmi della riorganizzazione sociale (Cristina Cassina, Università di Pisa) L’opera di Auguste Comte (1798-1857), l’inventore della sociocrazia, è stata accompagnata da una ricezione molto severa fin dal principio. Lo testimonia il fatto che l’epiteto di «filosofo inattuale»1 comincia a circolare contemporaneamente all’uscita dei suoi lavori. Il caso di Émile Littré, l’ex collaboratore prediletto, simboleggia un’altra modalità, lontana nel tempo, di accoglienza critica: tendente però, in questo caso, a conservare parti del comtismo nel pensiero repubblicano d’Oltralpe. Più recentemente, e non senza acrimonia, un testo chiave quale il Cours de philosophie positive è stato definito da parte di un autore contemporaneo addirittura «un cimitero di fossili»2. Non meno tenero, sebbene con approccio avalutativo, è lo sguardo di Gianfranco Miglio. Nelle sue Lezioni di politica.2 – edite nel 2011, ma che riferiscono del corso tenuto nell’A.A. 1981/82 – il politologo italiano individua tre ragioni per spiegare «l’insuccesso» del padre del positivismo: una «preoccupazione moralistica, deontologica», dunque in contrasto con i criteri e i metodi delle scienze sociali, l’impossibilità di avvalersi di «affinate conoscenze a livello storico», l’inadeguatezza delle conoscenze nel campo biologico, ossia in quel «ramo delle scienze naturalistiche che più si avvicina allo studio del comportamento umano»3. Se in realtà soltanto la prima ragione potrebbe essere imputata direttamente a Comte, certo è che Miglio giudica con durezza la sua «affrettata applicazione» del metodo scientifico, peraltro modellato sul solo campo delle scienze naturali, ai fenomeni politici. A temperare questo quadro si può ricordare la posizione di Raymond Aron, il quale ha dedicato a Comte uno dei sette capitoli in cui si articolano Le tappe del pensiero 1 R. Pozzi, Tra destra e sinistra. Tra ordine e progresso: alcune riflessioni sul pensiero politico di Comte, «Società e storia», n. 92, 2001, p. 353. 2 M. Serres, Auguste Comte et le positivisme. Les sciences exactes, in Y. Belaval (éd.), Histoire de la philosophie, vo. 3, Paris, Gallimard 1974, p. 57. 3 G. Miglio, Lezioni di politica 2. Scienza della politica, Bologna, il Mulino 2011, pp. 35 ss. –1– XXVI Convegno SISP – Roma – 12-15 settembre 2012 sociologico. La scelta non è di poco conto anche perché, trovandosi tra coloro che si sono formati nella prima metà del XIX secolo, gli fanno (buona) compagnia Karl Marx e Alexis de Tocqueville. Discutibile o, per meglio dire, non espresso in modo felice, è ciò che Aron individua come il problema centrale dell’opera comtiana: «celui du consensus». In realtà, come Aron spiega subito dopo, si tratta piuttosto di una ricerca di unità, religiosa e morale, in assenza della quale «aucune société ne peut vivre dans la stabilité»4. Gli esempi potrebbero continuare, ma quelli evocati sembrano sufficienti per dire che l’assillo a soppesarne la portata, se non la sfortuna, ha finito per giocare a favore di questo autore: al punto che, come è stato notato, Auguste Comte sopravvive «brillantemente alla sua inattualità»5. E ne è prova il fiorire di pubblicazioni che sono state a lui consacrate negli ultimi trent’anni. Il punto, però, è come, in virtù cioè di quali aspetti del complesso sistema da lui immaginato. Perché la questione, a ben vedere, può essere affrontata dal punto di vista filosofico, da quello sociologico, ma anche storico e politico. Entrando senz’altro in materia, ovvero restringendo l’esame ai fenomeni politici, si può dire che (anche) in questo campo il pensiero di Comte è all’origine di una grande rivoluzione6. Debitore per questo (ma non solo per questo) di Saint-Simon, Comte si è rifiutato di ragionare nei termini “vincenti” del suo secolo – Stato nazionale, Stato di diritto, legittimazione della sovranità popolare, allargamento della cittadinanza politica, istituti rappresentativi – tutte idee da stigmatizzare perché métaphysiques, anarchiques e retrogrades7. Il problema, ai suoi occhi, era da riformulare su tutt’altro piano. Il termine sociocrazia, che sta al centro del mio intervento, allude proprio a questo: esso poggia sulla convinzione che la sfera del governo richieda, innanzitutto, la rigorosa applicazione di leggi generali (scientifiche, secondo Comte). Prima fra tutte, la legge dei tre stadi. Ossia l’idea che la storia delle società umane abbia attraversato due fasi, prima la fase teologica e poi la fase metafisica, e che si appresti ad entrare nella fase positiva: quella in cui la ragione indagherà solo i fatti e le loro relazioni, non più le cause, per mettere a punto leggi invariabili di previsione. Connesso a quanto ora detto, è la posizione della sociologia a capo della gerarchia delle scienze. Una volta costituitasi su basi scientifiche, la sociologia concepirà i fenomeni sociali come soggetti a leggi naturali e si dividerà in due branche: la statica 4 R. Aron, Les étapes de la pensée sociologique, Paris, Gallimard, 1967, p. 307. M. Larizza, Bandiera verde contro bandiera rossa. Auguste Comte e gli inizi della Société positiviste (18481852), Bologna, il Mulino, 1999, p. 11. 6 La stessa che Pierre Macherey attribuisce, più in generale, al suo pensiero (Id., Comte. La philosophie et les sciences, Paris, Puf, 1989). 7 Cfr. M. Donzelli, Critica della democrazia e “sociocrazia” in Auguste Comte, in Patologie della politica. Crisi e critica della democrazia tra Otto e Novecento, a cura di M. Donzelli, R. Pozzi, Roma, Donzelli, 2003, pp. 235251. 5 –2– XXVI Convegno SISP – Roma – 12-15 settembre 2012 sociale, fondata sul concetto di ordine8, e la dinamica sociale, a sua volta fondata sul concetto di progresso9. A ciò va aggiunto il dogma dei due poteri e della loro necessaria separazione: il binomio statica-dinamica sociali è infatti alla base della distinzione tra un potere spirituale, con imperio sulla sfera educativa e morale, e un potere temporale, a cui spettano tutte le funzioni esecutive. Da qui, del resto, trae origine la rivalutazione del medioevo, «l’epoca ammirevole» a giudizio di Comte, perché si è trattato del primo tentativo di organizzazione sociale in cui le due sfere hanno agito separatamente. Sociocrazia, insomma, rimanda a un kratos che si costituisce nella società, non più nel théos né in quelle “astrattezze metafisiche” le quali, sempre secondo Comte, regolano la convivenza sociale e politica del suo tempo: il dogma della libera coscienza nella sfera spirituale, quello della sovranità popolare nella sfera temporale. Egli, invece, pensa alla fondazione di un potere capace di cogliere le dinamiche di fondo della società – cioè il progresso – ma anche di sistematizzarle e di dirigerle, al fine di offrire il meglio – vale a dire l’ordine. Un ordine e un progresso che non figurano, sempre secondo Comte, nell’agenda della Rivoluzione francese: evento positivo, senza dubbio, perché ha spazzato via un ordine ormai antiquato, ma anche evento sterile, perché incapace di andare al di là di soluzioni “metafisiche”. La messa a punto del concetto sociocratico è però un processo lungo e tutt’altro che lineare, su cui il padre del positivismo tornerà a più riprese. Per coglierne le tappe, conviene seguire l’articolazione dei due poteri che Comte, attingendo alla filosofia della storia di Saint-Simon, pone al centro del suo progetto: il potere spirituale, a garanzia del progresso, e il potere temporale a garanzia dell’ordine10. Le formulazioni – questo è il punto – variano nel tempo e, soprattutto, variano in relazione al momento storico-politico e al clima culturale in cui sono state pensate. E ancora: nel variare, non solo combinano diversamente il ruolo di ciascun potere, ma implicano il concorso di figure sociali differenti, dando luogo ad articolazioni piuttosto differenti. Ma procedo per ordine, storico e analitico, per individuare le quattro formulazioni significative: 1) la prima, descritta negli scritti giovanili, pone il potere spirituale in posizione preminente rispetto a quello temporale. Gli assegna cioè un ruolo di direzione, oltre che educativo. Ad esercitarlo, sono chiamati i savants, senza particolari specificazioni. Il potere temporale, con funzioni meramente esecutive, è invece affidato agli industriali; o meglio, alle sue élite, dato che con il termine industriel Comte, al pari di SaintSimon, comprende tutti coloro che si applicano ad attività produttive, senza distinzione 8 Essa ha come oggetto di studio le condizioni di esistenza comuni alle società di tutti i tempi. Tali condizioni sono: la socievolezza dell’uomo, la famiglia, la divisione nel lavoro che si concilia con la cooperazione. 9 Essa è volta allo studio delle leggi di sviluppo della società. Il progresso, secondo Comte, realizza un perfezionamento incessante del genere umano. 10 Nella ricostruzione seguo il lavoro di A. Petit, La sociocratie positiviste, in Sociologia, politica e religione: la filosofia di Comte per il diciannovesimo secolo, a cura di C. Cassina, Pisa, Plus, 2001, pp. 41-63. –3– XXVI Convegno SISP – Roma – 12-15 settembre 2012 tra i ruoli svolti. Probabilmente, nel collocare lo spirituale all’apice della gerarchia dei poteri, Comte intendeva prendere le distanze dalla coeva “infatuazione industrialista” di Saint-Simon. 2) così come – siamo alla seconda formulazione, ovvero ai 6 volumi del Cours de philosophie positive, pubblicati tra gli anni Trenta e Quaranta – la tesi della «separazione complementare» simboleggia in primo luogo la condanna della svolta religiosa implicita nell’ultimo Saint-Simon, ma realizzata dalla scuola sansimoniana: a pochi anni dalla scomparsa del maestro, come è noto, essa si costituì in Chiesa. Da sottolineare, qui è la “sgranatura” del potere spirituale tra attività filosofiche, scientifiche, estetiche e poetiche: un chiaro segnale di disaffezione crescente verso l’intellettualità “pura”. Quanto agli industriali, Comte rompe ogni indugio e assegna loro, indendo per “loro” gli imprenditori privati, l’esecuzione di tutte le più importanti operazioni pubbliche. La «separazione complementare», in realtà, è molto più di una separazione: Comte toglie al potere spirituale la funzione direttiva per investirlo di un blando ruolo “moderatore”. Un tale cambiamento è stato spiegato con la sua crescente avversione verso la prospettiva di un governo dei filosofi o dei soli sapienti (con il rischio di dare forma a una «pedantocrazia»). È nella terza e quarta fase che Comte presenta, senza più indugi, il suo programma politico: quello della fondazione della società positivista. Pur con alcune differenze, le ultime due formulazioni hanno molto in comune. I due poteri sono ora chiamati a lavorare di concerto per l’edificazione dell’Ordine nel Progresso: è l’auspicata «collaborazione». Comte s’immagina una riorganizzazione sociale completa, anche se circoscritta, per il momento, alla Repubblica Occidentale (comprendente i territori di Francia, Italia, Germania, Gran Bretagna e Spagna). Qui un solo potere spirituale veglierà su 60 piccole repubbliche fondate sulle spoglie degli Stati nazionali. Allo stesso tempo, nuove figure sociali si affacciano sulla scena: le donne, i proletari (e gli artisti). E si aggiunga ancora un elemento: queste formulazioni della fase “matura” si dispiegano sotto il segno della dimensione religiosa perché Comte, giunto anche lui a rivalutare il sentimento, ora prevede la costituzione di una religione a capo di tutta la direzione spirituale. 3) per la terza fase faccio riferimento al Discours sur l’ensemble du positivisme, pubblicato nel luglio del 1848. È in questo testo che, per la prima volta, compaiono le nuove figure sociali chiamate a raccolta per diffondere la religione «del cuore». Le donne, in particolare, sono le titolari dell’affettività: esse lavorano accanto ai preti per tessere i legami sociali e, nella scala gerarchica, occupano un gradino più elevato di quello dei philosophes. Più incerto il ruolo dei proletari: anch’essi sono ausiliari dello spirituale (in nome della loro innocenza: odiano la guerra), ma al tempo stesso costituiscono la base e il riferimento numerico del potere temporale, quantomeno in situazioni ordinarie e normali. I proletari, tuttavia, potrebbero conoscere il loro “momento di gloria” nella fase di transizione, durante cioè la dittatura: Comte prevede infatti di affidare a tre proletari, estratti dall’aristocrazia operaia, la guida del governo centrale provvisorio. La normalità, la fase in cui il consolidamento della società –4– XXVI Convegno SISP – Roma – 12-15 settembre 2012 positivista sarà ultimato, riposa invece sulla direzione esercitata da «capi temporali» che nulla hanno a che vedere con i proletari: il padre del positivismo pensa concretamente a persone abituate alle «ricchezze materiali», di cui caldeggia fortemente la trasmissione ereditaria11. Esse sole, ai suoi occhi, in virtù di un “naturale ascendente” per l’accumulazione dei capitali, offrirebbero le garanzie necessarie a garantire il buon funzionamento dell’amministrazione pubblica. 4) la quarta formulazione – anticipata nel Système de politique positive (1851-54), esposta nel Catechisme du positivisme (1852) e riformulata nuovamente nel celebre Appel aux conservateurs (1855) – è anche la sola che, a rigore filologico, potrebbe iscriversi sotto il segno della «sociocrazia»12, termine coniato nel 1851. Ma molte delle sue premesse, si è visto, si trovano nei passaggi precedenti. L’ultima fase è anche quella di una piega inequivocabilmente autoritaria e di una pedanteria indigesta ai più: questo perché Comte arriva a quantificare con precisione ossessiva, se non maniacale, i rapporti tra i diversi gruppi delle figure sociali interessate. Le cifre, in realtà, non sarebbero da tralasciare perché gettano luce sulla sostanza, così come l’impianto generale della riorganizzazione. Ma partiamo dal rapporto tra i due poteri. L’auspicata collaborazione in realtà subito vacilla perché il potere spirituale, a prima vista, sembrerebbe tornare a precedere quello temporale: è un potere unico che domina su tutta la Repubblica Occidentale e, soprattutto, si organizza in modi ed ambiti diversi. Esso coinvolge, ai suoi vertici, un numero assai limitato di persone (1 su 6.000) che vanno a formare una piramide sacerdotale: aspiranti, vicari e preti alla cui sommità svetta la figura del Grande Prete (Comte in persona). Al sacerdozio accedono infatti solo i migliori, dopo attenta selezione, mentre le donne subiscono lo stesso trattamento riservato ai proletari nel Discours del ‘48: sebbene ancora ascritte alla sfera spirituale, sono però scalzate dalle posizioni eminenti. Il potere temporale conosce due ripartizioni. L’una è di tipo funzionale – la subordinazione dei proletari agli imprenditori (in ragione di 1 a 33) e delle campagne alle città – l’altra a vocazione direttiva: questa attività è assegnata a una élite di banchieri, di commercianti, di fabbricanti e di produttori. Ma Comte prevede anche un supremo potere temporale a capo di ciascuna repubblica, detenuto da tre grandi banchieri. Che cosa apporta di nuovo l’Appel aux conservateurs, l’ultimo testo consacrato alla sociocrazia? Se il Discours del 1848 si indirizza alle popolazioni dei paesi interessati, dunque ai governati, l’Appel è rivolto, lo si intuisce dal titolo stesso, alla classe dirigente. Esso conferma i tratti gerarchici della sociocrazia, impliciti nella mia esposizione: la distinzione tra i sessi, con le donne escluse dal potere perché non dispongono della forza; la distinzione tra gli ambiti speculativi, con una preminenza della ragione pratica su quella teorica, come si deduce dal rapporto che ora sussiste tra le due direzioni: il potere spirituale, elevato a religione, in realtà finisce per dipendere dai successi che saprà cogliere il potere temporale, detentore esclusivo della forza materiale. 11 12 Cfr. A. Comte, Discours sur l’ensemble du positivisme, a cura di A. Petit, Paris, Flammarion, 1998, p. 394 ss. Esso appare nel primo tomo del Système de politique positive (Paris 1851, p. 403). –5– XXVI Convegno SISP – Roma – 12-15 settembre 2012 Nuova, invece, è la previsione circa la fase di transizione attraverso la quale l’Occidente, o quantomeno una sua parte, transiterà nell’era positiva. Si tratta di una dittatura scandita in tre fasi (non entro nei dettagli, basti dire che non sarà più interamente affidata all’aristocrazia operaia13). Il fatto importante è che essa rovescia, una volta di più, il rapporto tra spirituale e temporale e consegna senza più indugi a quest’ultimo le leve della direzione sociocratica. Riassumo questo percorso nell’opera di Comte concentrando ulteriormente l’angolo di osservazione sul rapporto tra i due poteri: a) nella fase giovanile, Comte afferma che un potere spirituale savant dovrà guidare la riorganizzazione sociale. È il primo grande attacco sferrato alla politica liberale, all’idea di un concorso (anche se minimo) dei cittadini al governo della cosa pubblica. b) nella fase matura, il potere spirituale si diversifica e cerca alleati, quali le donne, gli artisti e i proletari; poi si cristallizza in un sacerdozio, ma perde il ruolo direttivo perché decade a mero potere “moderatore”. c) nell’ultima fase «uno scrupolo di realismo»14, nelle parole di un’acuta interprete, induce Comte a rivedere il rapporto tra i due poteri, sicché lo spirituale resta come sospeso, in attesa che si compi la riorganizzazione fondamentale (l’avvento della sociocrazia). Questa delicatissima transizione è ora affidata solo ad esperti, a “tecnici” dell’organizzazione. Di qui la domanda. Non tanto sulla discussa «attualità», ma casomai sulla consistenza o, meglio, su quali linee di fondo e su quali concetti poggia questo singolare pensiero: domanda che affronterò in modo obliquo, isolando quattro aspetti e proponendo alcune implicazioni. 1) innanzitutto, l’individuazione di figure collettive emergenti. Comte eleva – in sequenza – tutti gli industriels (senza differenze al loro interno), poi le donne e i proletari, ma subito dopo questi due gruppi sono abbassati. I grandi capitani d’industria e i grandi banchieri, invece, mantengono intatte posizioni di rilievo, fino a occupare il ruolo eminente della piena direzione sociocratica. Nell’ultimissima formulazione Comte annuncia anche l’estinzione della borghesia, attraverso l’epurazione dei letterati, dei legisti e dei piccoli imprenditori. La sua previsione gioca infatti su una società composta da grandi masse, per lo più donne e proletari: queste confinate nella sfera domestica, quelli sottoposti a una élite di industriali. Una siffatta costruzione gerarchica, a ben vedere, opera allo stesso tempo una drastica semplificazione degli 13 Nell’ordine: nella prima fase dittatoriale Comte accetta «le chef actuel», ovvero Napoleone III, nella seconda, ancora monocratica, si immagina una profonda ristrutturazione della società (soppressione dell’esercito, decolonizzazione, riorganizzazione amministrativa, ecc.); nella terza, consegna il potere temporale a un triumvirato di positivisti: un banchiere alle relazioni esterne, un «chef agricole» al dipartimento degli Interni, e alle Finanze un proletario, una scelta presentata come «un’anomalie» e volta alla rigenerazione del patriziato: «au lieu de séparer le prolétariat du patriciat, l’avénenent transitoire des meilleurs types populaires réunira les pauvres aux riches pour éteindre une bourgeoisie où réside essentiellement l’anarchie occidentale» (da A. Comte, Système de politique positive, tomo IV, Paris 1854, p. 452 e p. 453). 14 Petit, La sociocratie positiviste, cit., p. 63. –6– XXVI Convegno SISP – Roma – 12-15 settembre 2012 attori sociali: essa pone i poteri dominanti e la società gli uni di fronte all’altra, senza mediazione alcuna. 2) quanto alle categorie politiche del suo tempo, Comte, da sempre nemico del suffragio («cet usage subversif»15) e del nascente socialismo, giudica negativamente anche la guerra, perché ritiene che essa appartenga al passato, all’epoca della società teologico-feudale. Ed è ugualmente contrario all’estensione delle funzioni dello Stato; non a caso, sono le competenze private ciò a cui, in misura crescente, egli fa appello. Non per questo deve passare per un precursore degli anarco-capitalisti, giacché nulla è più lontano da lui della libertà dei libertari: tra i compiti del potere spirituale, ad esempio, rientra la direzione delle singole coscienze e delle concezioni generali della società, tutte quante da controllare e da omogeneizzare. Grande proprietà privata e rigidissimo controllo sociale: la sociocrazia è un sistema di governo che si articola su questi due perni, con una chiara e crescente predilezione per le funzioni d’ordine rispetto a quelle relative al progresso. 3) ancora, il tema del sapere. Il sapere, tecnico e soprattutto scientifico, è un valore centrale per Comte. Quale che sia la sua collocazione – nello spirituale o nel temporale – egli vi ricorre costantemente. Molti tratti di questo disegno ricordano La Repubblica di Platone: in una certa misura anche Comte prefigura una città come un insieme di rapporti di produzione sottoposta a un “cervello sociale” che, quei rapporti, armonizza, dirige e tempera. Ma a differenza di Platone, il padre del positivismo non afferma che il sapere speculativo deve accedere al potere (attraverso filosofi-re o un refilosofo). Come si è detto, ciò comporterebbe il rischio della «pedantocrazia». Il fatto è che Comte applica alla sfera del potere quella stessa tendenza alla divisione del lavoro che costituisce uno tra gli indirizzi più caratteristici del mondo occidentale. E la intreccia a un’altra tendenza, questa volta ancora da venire: lo svuotamento – di senso, di significato e di effettività – delle procedure elettive, indette in vista della formazione di consenso o per l’individuazione di funzioni direttive. La critica di Comte non si risolve, però, in un antiparlamentarismo ante litteram. Comporta ben altro. Un “altro” a cui è stato dato il nome di antipolitica16. Il sapere su base scientifica – è questa la previsione di Comte – sostituirà il «dogma» della libertà di coscienza e quello della sovranità popolare. Infatti solo abbandonando gli arcaismi elettivi, la politica – che è al servizio della società perché preposta all’Ordine – potrà innalzarsi al rango scientifico. Quello stesso “ordine”, sia detto in passant, che sempre più sfugge alla politica dei nostri giorni (ma c’è chi afferma che si sia ormai rovesciato nel suo contrario17). 4) infine, correlato ai primi tre punti, c’è il fattore tempo. L’età in cui Comte ha vissuto è stata percepita come un dramma, tanto da chi ha sposato gli ideali della grande rivoluzione, quanto e più da chi li ha combattuti. Anche Auguste Comte parla del suo presente come di un’epoca di crisi, di passaggio e di transizione. Ma più che 15 Comte, Système de politique positive, cit., p. 454. Per una messa a punto del tema nella cultura francese dell’Ottocento, cfr. R. Pozzi, La scienza come antipolitica, in «Giornale di costituzionale», n. 5, 2003, pp. 75-83. 17 M. Revelli, Il fallimento della politica, Torino, Einaudi, 2003. 16 –7– XXVI Convegno SISP – Roma – 12-15 settembre 2012 assegnargli un valore, tratta il tempo come un artigiano tratterebbe la sua materia. Il tempo, con i suoi strappi e le sue accelerazioni, è la tela di fondo su cui l’autore del Cours proietta e aggiusta le sue soluzioni. (Le quali, una volta che se ne siano sciolti alcuni passaggi, mostrano una consapevolezza non banale dei processi di mutamento e dei cambiamenti strutturali). Nel tempo ottuso della restaurazione, è al sapere scientifico che si appella; durante la rivoluzione del 1848, prende in considerazione anche i “marginali” emergenti, donne e proletari; nell’epoca d’oro della prima rivoluzione industriale, è agli imprenditori, prima, e ai banchieri, poi, che confida la direzione temporale. Quando è la volta dell’autoritarismo, è al dittatore, nella persona di Luigi Napoleone, e di seguito all’autocrate, lo zar Nicola II, che si rivolge. E se questi cambiamenti e queste oscillazioni hanno fatto sorgere il dubbio di un disperato bisogno di interlocutori (lettura che in sostanza condivido), resta che Auguste Comte non ci consegna in eredità solo una varietà di risposte, temprate al fuoco del suo tempo, ma soprattutto la ricerca, angosciosa e sofferta, niente affatto inattuale, di un nuovo Leviatano: non più in forma statuale – certamente – ma ugualmente assoluto, pervasivo e incontestabile, ugualmente pensato per fondare e assicurare una certa idea di Ordine. –8–