Auguste Comte ei dilemmi della riorganizzazione sociale

XXVI Convegno SISP – Roma – 12-15 settembre 2012
Attuale o inattuale?
Auguste Comte e i dilemmi della riorganizzazione sociale
(Cristina Cassina, Università di Pisa)
L’opera di Auguste Comte (1798-1857), l’inventore della sociocrazia, è stata
accompagnata da una ricezione molto severa fin dal principio. Lo testimonia il fatto che
l’epiteto di «filosofo inattuale»1 comincia a circolare contemporaneamente all’uscita
dei suoi lavori. Il caso di Émile Littré, l’ex collaboratore prediletto, simboleggia
un’altra modalità, lontana nel tempo, di accoglienza critica: tendente però, in questo
caso, a conservare parti del comtismo nel pensiero repubblicano d’Oltralpe. Più
recentemente, e non senza acrimonia, un testo chiave quale il Cours de philosophie
positive è stato definito da parte di un autore contemporaneo addirittura «un cimitero di
fossili»2.
Non meno tenero, sebbene con approccio avalutativo, è lo sguardo di Gianfranco
Miglio. Nelle sue Lezioni di politica.2 – edite nel 2011, ma che riferiscono del corso
tenuto nell’A.A. 1981/82 – il politologo italiano individua tre ragioni per spiegare
«l’insuccesso» del padre del positivismo: una «preoccupazione moralistica,
deontologica», dunque in contrasto con i criteri e i metodi delle scienze sociali,
l’impossibilità di avvalersi di «affinate conoscenze a livello storico», l’inadeguatezza
delle conoscenze nel campo biologico, ossia in quel «ramo delle scienze naturalistiche
che più si avvicina allo studio del comportamento umano»3. Se in realtà soltanto la
prima ragione potrebbe essere imputata direttamente a Comte, certo è che Miglio
giudica con durezza la sua «affrettata applicazione» del metodo scientifico, peraltro
modellato sul solo campo delle scienze naturali, ai fenomeni politici.
A temperare questo quadro si può ricordare la posizione di Raymond Aron, il quale
ha dedicato a Comte uno dei sette capitoli in cui si articolano Le tappe del pensiero
1
R. Pozzi, Tra destra e sinistra. Tra ordine e progresso: alcune riflessioni sul pensiero politico di Comte,
«Società e storia», n. 92, 2001, p. 353.
2
M. Serres, Auguste Comte et le positivisme. Les sciences exactes, in Y. Belaval (éd.), Histoire de la
philosophie, vo. 3, Paris, Gallimard 1974, p. 57.
3
G. Miglio, Lezioni di politica 2. Scienza della politica, Bologna, il Mulino 2011, pp. 35 ss.
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sociologico. La scelta non è di poco conto anche perché, trovandosi tra coloro che si
sono formati nella prima metà del XIX secolo, gli fanno (buona) compagnia Karl Marx
e Alexis de Tocqueville. Discutibile o, per meglio dire, non espresso in modo felice, è
ciò che Aron individua come il problema centrale dell’opera comtiana: «celui du
consensus». In realtà, come Aron spiega subito dopo, si tratta piuttosto di una ricerca di
unità, religiosa e morale, in assenza della quale «aucune société ne peut vivre dans la
stabilité»4.
Gli esempi potrebbero continuare, ma quelli evocati sembrano sufficienti per dire
che l’assillo a soppesarne la portata, se non la sfortuna, ha finito per giocare a favore di
questo autore: al punto che, come è stato notato, Auguste Comte sopravvive
«brillantemente alla sua inattualità»5. E ne è prova il fiorire di pubblicazioni che sono
state a lui consacrate negli ultimi trent’anni.
Il punto, però, è come, in virtù cioè di quali aspetti del complesso sistema da lui
immaginato. Perché la questione, a ben vedere, può essere affrontata dal punto di vista
filosofico, da quello sociologico, ma anche storico e politico. Entrando senz’altro in
materia, ovvero restringendo l’esame ai fenomeni politici, si può dire che (anche) in
questo campo il pensiero di Comte è all’origine di una grande rivoluzione6. Debitore
per questo (ma non solo per questo) di Saint-Simon, Comte si è rifiutato di ragionare
nei termini “vincenti” del suo secolo – Stato nazionale, Stato di diritto, legittimazione
della sovranità popolare, allargamento della cittadinanza politica, istituti rappresentativi
– tutte idee da stigmatizzare perché métaphysiques, anarchiques e retrogrades7. Il
problema, ai suoi occhi, era da riformulare su tutt’altro piano.
Il termine sociocrazia, che sta al centro del mio intervento, allude proprio a questo:
esso poggia sulla convinzione che la sfera del governo richieda, innanzitutto, la
rigorosa applicazione di leggi generali (scientifiche, secondo Comte).
Prima fra tutte, la legge dei tre stadi. Ossia l’idea che la storia delle società umane
abbia attraversato due fasi, prima la fase teologica e poi la fase metafisica, e che si
appresti ad entrare nella fase positiva: quella in cui la ragione indagherà solo i fatti e le
loro relazioni, non più le cause, per mettere a punto leggi invariabili di previsione.
Connesso a quanto ora detto, è la posizione della sociologia a capo della gerarchia
delle scienze. Una volta costituitasi su basi scientifiche, la sociologia concepirà i
fenomeni sociali come soggetti a leggi naturali e si dividerà in due branche: la statica
4
R. Aron, Les étapes de la pensée sociologique, Paris, Gallimard, 1967, p. 307.
M. Larizza, Bandiera verde contro bandiera rossa. Auguste Comte e gli inizi della Société positiviste (18481852), Bologna, il Mulino, 1999, p. 11.
6
La stessa che Pierre Macherey attribuisce, più in generale, al suo pensiero (Id., Comte. La philosophie et les
sciences, Paris, Puf, 1989).
7
Cfr. M. Donzelli, Critica della democrazia e “sociocrazia” in Auguste Comte, in Patologie della politica. Crisi
e critica della democrazia tra Otto e Novecento, a cura di M. Donzelli, R. Pozzi, Roma, Donzelli, 2003, pp. 235251.
5
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sociale, fondata sul concetto di ordine8, e la dinamica sociale, a sua volta fondata sul
concetto di progresso9.
A ciò va aggiunto il dogma dei due poteri e della loro necessaria separazione: il
binomio statica-dinamica sociali è infatti alla base della distinzione tra un potere
spirituale, con imperio sulla sfera educativa e morale, e un potere temporale, a cui
spettano tutte le funzioni esecutive. Da qui, del resto, trae origine la rivalutazione del
medioevo, «l’epoca ammirevole» a giudizio di Comte, perché si è trattato del primo
tentativo di organizzazione sociale in cui le due sfere hanno agito separatamente.
Sociocrazia, insomma, rimanda a un kratos che si costituisce nella società, non più
nel théos né in quelle “astrattezze metafisiche” le quali, sempre secondo Comte,
regolano la convivenza sociale e politica del suo tempo: il dogma della libera coscienza
nella sfera spirituale, quello della sovranità popolare nella sfera temporale. Egli, invece,
pensa alla fondazione di un potere capace di cogliere le dinamiche di fondo della
società – cioè il progresso – ma anche di sistematizzarle e di dirigerle, al fine di offrire
il meglio – vale a dire l’ordine. Un ordine e un progresso che non figurano, sempre
secondo Comte, nell’agenda della Rivoluzione francese: evento positivo, senza dubbio,
perché ha spazzato via un ordine ormai antiquato, ma anche evento sterile, perché
incapace di andare al di là di soluzioni “metafisiche”.
La messa a punto del concetto sociocratico è però un processo lungo e tutt’altro che
lineare, su cui il padre del positivismo tornerà a più riprese. Per coglierne le tappe,
conviene seguire l’articolazione dei due poteri che Comte, attingendo alla filosofia
della storia di Saint-Simon, pone al centro del suo progetto: il potere spirituale, a
garanzia del progresso, e il potere temporale a garanzia dell’ordine10.
Le formulazioni – questo è il punto – variano nel tempo e, soprattutto, variano in
relazione al momento storico-politico e al clima culturale in cui sono state pensate. E
ancora: nel variare, non solo combinano diversamente il ruolo di ciascun potere, ma
implicano il concorso di figure sociali differenti, dando luogo ad articolazioni piuttosto
differenti.
Ma procedo per ordine, storico e analitico, per individuare le quattro formulazioni
significative:
1) la prima, descritta negli scritti giovanili, pone il potere spirituale in posizione
preminente rispetto a quello temporale. Gli assegna cioè un ruolo di direzione, oltre che
educativo. Ad esercitarlo, sono chiamati i savants, senza particolari specificazioni. Il
potere temporale, con funzioni meramente esecutive, è invece affidato agli industriali;
o meglio, alle sue élite, dato che con il termine industriel Comte, al pari di SaintSimon, comprende tutti coloro che si applicano ad attività produttive, senza distinzione
8
Essa ha come oggetto di studio le condizioni di esistenza comuni alle società di tutti i tempi. Tali condizioni
sono: la socievolezza dell’uomo, la famiglia, la divisione nel lavoro che si concilia con la cooperazione.
9
Essa è volta allo studio delle leggi di sviluppo della società. Il progresso, secondo Comte, realizza un
perfezionamento incessante del genere umano.
10
Nella ricostruzione seguo il lavoro di A. Petit, La sociocratie positiviste, in Sociologia, politica e religione: la
filosofia di Comte per il diciannovesimo secolo, a cura di C. Cassina, Pisa, Plus, 2001, pp. 41-63.
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tra i ruoli svolti. Probabilmente, nel collocare lo spirituale all’apice della gerarchia dei
poteri, Comte intendeva prendere le distanze dalla coeva “infatuazione industrialista”
di Saint-Simon.
2) così come – siamo alla seconda formulazione, ovvero ai 6 volumi del Cours de
philosophie positive, pubblicati tra gli anni Trenta e Quaranta – la tesi della
«separazione complementare» simboleggia in primo luogo la condanna della svolta
religiosa implicita nell’ultimo Saint-Simon, ma realizzata dalla scuola sansimoniana: a
pochi anni dalla scomparsa del maestro, come è noto, essa si costituì in Chiesa. Da
sottolineare, qui è la “sgranatura” del potere spirituale tra attività filosofiche,
scientifiche, estetiche e poetiche: un chiaro segnale di disaffezione crescente verso
l’intellettualità “pura”. Quanto agli industriali, Comte rompe ogni indugio e assegna
loro, indendo per “loro” gli imprenditori privati, l’esecuzione di tutte le più importanti
operazioni pubbliche.
La «separazione complementare», in realtà, è molto più di una separazione: Comte
toglie al potere spirituale la funzione direttiva per investirlo di un blando ruolo
“moderatore”. Un tale cambiamento è stato spiegato con la sua crescente avversione
verso la prospettiva di un governo dei filosofi o dei soli sapienti (con il rischio di dare
forma a una «pedantocrazia»).
È nella terza e quarta fase che Comte presenta, senza più indugi, il suo programma
politico: quello della fondazione della società positivista. Pur con alcune differenze, le
ultime due formulazioni hanno molto in comune. I due poteri sono ora chiamati a
lavorare di concerto per l’edificazione dell’Ordine nel Progresso: è l’auspicata
«collaborazione». Comte s’immagina una riorganizzazione sociale completa, anche se
circoscritta, per il momento, alla Repubblica Occidentale (comprendente i territori di
Francia, Italia, Germania, Gran Bretagna e Spagna). Qui un solo potere spirituale
veglierà su 60 piccole repubbliche fondate sulle spoglie degli Stati nazionali. Allo
stesso tempo, nuove figure sociali si affacciano sulla scena: le donne, i proletari (e gli
artisti). E si aggiunga ancora un elemento: queste formulazioni della fase “matura” si
dispiegano sotto il segno della dimensione religiosa perché Comte, giunto anche lui a
rivalutare il sentimento, ora prevede la costituzione di una religione a capo di tutta la
direzione spirituale.
3) per la terza fase faccio riferimento al Discours sur l’ensemble du positivisme,
pubblicato nel luglio del 1848. È in questo testo che, per la prima volta, compaiono le
nuove figure sociali chiamate a raccolta per diffondere la religione «del cuore». Le
donne, in particolare, sono le titolari dell’affettività: esse lavorano accanto ai preti per
tessere i legami sociali e, nella scala gerarchica, occupano un gradino più elevato di
quello dei philosophes. Più incerto il ruolo dei proletari: anch’essi sono ausiliari dello
spirituale (in nome della loro innocenza: odiano la guerra), ma al tempo stesso
costituiscono la base e il riferimento numerico del potere temporale, quantomeno in
situazioni ordinarie e normali. I proletari, tuttavia, potrebbero conoscere il loro
“momento di gloria” nella fase di transizione, durante cioè la dittatura: Comte prevede
infatti di affidare a tre proletari, estratti dall’aristocrazia operaia, la guida del governo
centrale provvisorio. La normalità, la fase in cui il consolidamento della società
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positivista sarà ultimato, riposa invece sulla direzione esercitata da «capi temporali»
che nulla hanno a che vedere con i proletari: il padre del positivismo pensa
concretamente a persone abituate alle «ricchezze materiali», di cui caldeggia
fortemente la trasmissione ereditaria11. Esse sole, ai suoi occhi, in virtù di un “naturale
ascendente” per l’accumulazione dei capitali, offrirebbero le garanzie necessarie a
garantire il buon funzionamento dell’amministrazione pubblica.
4) la quarta formulazione – anticipata nel Système de politique positive (1851-54),
esposta nel Catechisme du positivisme (1852) e riformulata nuovamente nel celebre
Appel aux conservateurs (1855) – è anche la sola che, a rigore filologico, potrebbe
iscriversi sotto il segno della «sociocrazia»12, termine coniato nel 1851. Ma molte delle
sue premesse, si è visto, si trovano nei passaggi precedenti.
L’ultima fase è anche quella di una piega inequivocabilmente autoritaria e di una
pedanteria indigesta ai più: questo perché Comte arriva a quantificare con precisione
ossessiva, se non maniacale, i rapporti tra i diversi gruppi delle figure sociali
interessate.
Le cifre, in realtà, non sarebbero da tralasciare perché gettano luce sulla sostanza,
così come l’impianto generale della riorganizzazione. Ma partiamo dal rapporto tra i
due poteri. L’auspicata collaborazione in realtà subito vacilla perché il potere spirituale,
a prima vista, sembrerebbe tornare a precedere quello temporale: è un potere unico che
domina su tutta la Repubblica Occidentale e, soprattutto, si organizza in modi ed ambiti
diversi. Esso coinvolge, ai suoi vertici, un numero assai limitato di persone (1 su 6.000)
che vanno a formare una piramide sacerdotale: aspiranti, vicari e preti alla cui sommità
svetta la figura del Grande Prete (Comte in persona). Al sacerdozio accedono infatti
solo i migliori, dopo attenta selezione, mentre le donne subiscono lo stesso trattamento
riservato ai proletari nel Discours del ‘48: sebbene ancora ascritte alla sfera spirituale,
sono però scalzate dalle posizioni eminenti.
Il potere temporale conosce due ripartizioni. L’una è di tipo funzionale – la
subordinazione dei proletari agli imprenditori (in ragione di 1 a 33) e delle campagne
alle città – l’altra a vocazione direttiva: questa attività è assegnata a una élite di
banchieri, di commercianti, di fabbricanti e di produttori. Ma Comte prevede anche un
supremo potere temporale a capo di ciascuna repubblica, detenuto da tre grandi
banchieri.
Che cosa apporta di nuovo l’Appel aux conservateurs, l’ultimo testo consacrato alla
sociocrazia? Se il Discours del 1848 si indirizza alle popolazioni dei paesi interessati,
dunque ai governati, l’Appel è rivolto, lo si intuisce dal titolo stesso, alla classe
dirigente. Esso conferma i tratti gerarchici della sociocrazia, impliciti nella mia
esposizione: la distinzione tra i sessi, con le donne escluse dal potere perché non
dispongono della forza; la distinzione tra gli ambiti speculativi, con una preminenza
della ragione pratica su quella teorica, come si deduce dal rapporto che ora sussiste tra
le due direzioni: il potere spirituale, elevato a religione, in realtà finisce per dipendere
dai successi che saprà cogliere il potere temporale, detentore esclusivo della forza
materiale.
11
12
Cfr. A. Comte, Discours sur l’ensemble du positivisme, a cura di A. Petit, Paris, Flammarion, 1998, p. 394 ss.
Esso appare nel primo tomo del Système de politique positive (Paris 1851, p. 403).
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Nuova, invece, è la previsione circa la fase di transizione attraverso la quale
l’Occidente, o quantomeno una sua parte, transiterà nell’era positiva. Si tratta di una
dittatura scandita in tre fasi (non entro nei dettagli, basti dire che non sarà più
interamente affidata all’aristocrazia operaia13). Il fatto importante è che essa rovescia,
una volta di più, il rapporto tra spirituale e temporale e consegna senza più indugi a
quest’ultimo le leve della direzione sociocratica.
Riassumo questo percorso nell’opera di Comte concentrando ulteriormente l’angolo
di osservazione sul rapporto tra i due poteri:
a) nella fase giovanile, Comte afferma che un potere spirituale savant dovrà guidare
la riorganizzazione sociale. È il primo grande attacco sferrato alla politica liberale,
all’idea di un concorso (anche se minimo) dei cittadini al governo della cosa pubblica.
b) nella fase matura, il potere spirituale si diversifica e cerca alleati, quali le donne,
gli artisti e i proletari; poi si cristallizza in un sacerdozio, ma perde il ruolo direttivo
perché decade a mero potere “moderatore”.
c) nell’ultima fase «uno scrupolo di realismo»14, nelle parole di un’acuta interprete,
induce Comte a rivedere il rapporto tra i due poteri, sicché lo spirituale resta come
sospeso, in attesa che si compi la riorganizzazione fondamentale (l’avvento della
sociocrazia). Questa delicatissima transizione è ora affidata solo ad esperti, a “tecnici”
dell’organizzazione.
Di qui la domanda. Non tanto sulla discussa «attualità», ma casomai sulla
consistenza o, meglio, su quali linee di fondo e su quali concetti poggia questo
singolare pensiero: domanda che affronterò in modo obliquo, isolando quattro aspetti e
proponendo alcune implicazioni.
1) innanzitutto, l’individuazione di figure collettive emergenti. Comte eleva – in
sequenza – tutti gli industriels (senza differenze al loro interno), poi le donne e i
proletari, ma subito dopo questi due gruppi sono abbassati. I grandi capitani d’industria
e i grandi banchieri, invece, mantengono intatte posizioni di rilievo, fino a occupare il
ruolo eminente della piena direzione sociocratica. Nell’ultimissima formulazione
Comte annuncia anche l’estinzione della borghesia, attraverso l’epurazione dei letterati,
dei legisti e dei piccoli imprenditori. La sua previsione gioca infatti su una società
composta da grandi masse, per lo più donne e proletari: queste confinate nella sfera
domestica, quelli sottoposti a una élite di industriali. Una siffatta costruzione
gerarchica, a ben vedere, opera allo stesso tempo una drastica semplificazione degli
13
Nell’ordine: nella prima fase dittatoriale Comte accetta «le chef actuel», ovvero Napoleone III, nella seconda,
ancora monocratica, si immagina una profonda ristrutturazione della società (soppressione dell’esercito,
decolonizzazione, riorganizzazione amministrativa, ecc.); nella terza, consegna il potere temporale a un triumvirato
di positivisti: un banchiere alle relazioni esterne, un «chef agricole» al dipartimento degli Interni, e alle Finanze un
proletario, una scelta presentata come «un’anomalie» e volta alla rigenerazione del patriziato: «au lieu de séparer le
prolétariat du patriciat, l’avénenent transitoire des meilleurs types populaires réunira les pauvres aux riches pour
éteindre une bourgeoisie où réside essentiellement l’anarchie occidentale» (da A. Comte, Système de politique
positive, tomo IV, Paris 1854, p. 452 e p. 453).
14
Petit, La sociocratie positiviste, cit., p. 63.
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attori sociali: essa pone i poteri dominanti e la società gli uni di fronte all’altra, senza
mediazione alcuna.
2) quanto alle categorie politiche del suo tempo, Comte, da sempre nemico del
suffragio («cet usage subversif»15) e del nascente socialismo, giudica negativamente
anche la guerra, perché ritiene che essa appartenga al passato, all’epoca della società
teologico-feudale. Ed è ugualmente contrario all’estensione delle funzioni dello Stato;
non a caso, sono le competenze private ciò a cui, in misura crescente, egli fa appello.
Non per questo deve passare per un precursore degli anarco-capitalisti, giacché nulla è
più lontano da lui della libertà dei libertari: tra i compiti del potere spirituale, ad
esempio, rientra la direzione delle singole coscienze e delle concezioni generali della
società, tutte quante da controllare e da omogeneizzare. Grande proprietà privata e
rigidissimo controllo sociale: la sociocrazia è un sistema di governo che si articola su
questi due perni, con una chiara e crescente predilezione per le funzioni d’ordine
rispetto a quelle relative al progresso.
3) ancora, il tema del sapere. Il sapere, tecnico e soprattutto scientifico, è un
valore centrale per Comte. Quale che sia la sua collocazione – nello spirituale o nel
temporale – egli vi ricorre costantemente. Molti tratti di questo disegno ricordano La
Repubblica di Platone: in una certa misura anche Comte prefigura una città come un
insieme di rapporti di produzione sottoposta a un “cervello sociale” che, quei rapporti,
armonizza, dirige e tempera. Ma a differenza di Platone, il padre del positivismo non
afferma che il sapere speculativo deve accedere al potere (attraverso filosofi-re o un refilosofo). Come si è detto, ciò comporterebbe il rischio della «pedantocrazia». Il fatto è
che Comte applica alla sfera del potere quella stessa tendenza alla divisione del lavoro
che costituisce uno tra gli indirizzi più caratteristici del mondo occidentale. E la
intreccia a un’altra tendenza, questa volta ancora da venire: lo svuotamento – di senso,
di significato e di effettività – delle procedure elettive, indette in vista della formazione
di consenso o per l’individuazione di funzioni direttive.
La critica di Comte non si risolve, però, in un antiparlamentarismo ante litteram.
Comporta ben altro. Un “altro” a cui è stato dato il nome di antipolitica16. Il sapere su
base scientifica – è questa la previsione di Comte – sostituirà il «dogma» della libertà
di coscienza e quello della sovranità popolare. Infatti solo abbandonando gli arcaismi
elettivi, la politica – che è al servizio della società perché preposta all’Ordine – potrà
innalzarsi al rango scientifico. Quello stesso “ordine”, sia detto in passant, che sempre
più sfugge alla politica dei nostri giorni (ma c’è chi afferma che si sia ormai rovesciato
nel suo contrario17).
4) infine, correlato ai primi tre punti, c’è il fattore tempo. L’età in cui Comte ha
vissuto è stata percepita come un dramma, tanto da chi ha sposato gli ideali della
grande rivoluzione, quanto e più da chi li ha combattuti. Anche Auguste Comte parla
del suo presente come di un’epoca di crisi, di passaggio e di transizione. Ma più che
15
Comte, Système de politique positive, cit., p. 454.
Per una messa a punto del tema nella cultura francese dell’Ottocento, cfr. R. Pozzi, La scienza come
antipolitica, in «Giornale di costituzionale», n. 5, 2003, pp. 75-83.
17
M. Revelli, Il fallimento della politica, Torino, Einaudi, 2003.
16
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assegnargli un valore, tratta il tempo come un artigiano tratterebbe la sua materia. Il
tempo, con i suoi strappi e le sue accelerazioni, è la tela di fondo su cui l’autore del
Cours proietta e aggiusta le sue soluzioni. (Le quali, una volta che se ne siano sciolti
alcuni passaggi, mostrano una consapevolezza non banale dei processi di mutamento e
dei cambiamenti strutturali).
Nel tempo ottuso della restaurazione, è al sapere scientifico che si appella; durante la
rivoluzione del 1848, prende in considerazione anche i “marginali” emergenti, donne e
proletari; nell’epoca d’oro della prima rivoluzione industriale, è agli imprenditori,
prima, e ai banchieri, poi, che confida la direzione temporale. Quando è la volta
dell’autoritarismo, è al dittatore, nella persona di Luigi Napoleone, e di seguito
all’autocrate, lo zar Nicola II, che si rivolge.
E se questi cambiamenti e queste oscillazioni hanno fatto sorgere il dubbio di un
disperato bisogno di interlocutori (lettura che in sostanza condivido), resta che Auguste
Comte non ci consegna in eredità solo una varietà di risposte, temprate al fuoco del suo
tempo, ma soprattutto la ricerca, angosciosa e sofferta, niente affatto inattuale, di un
nuovo Leviatano: non più in forma statuale – certamente – ma ugualmente assoluto,
pervasivo e incontestabile, ugualmente pensato per fondare e assicurare una certa idea
di Ordine.
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