4 sacrI GuerrIerI. la straordInarIa storIa delle crocIate

annuncio pubblicitario
sovraccoperta
Franco Cardini
LA strAordinAriA
storiA deLLe CroCiAte
815647
sACri
guerrieri
sACri
“Vengono scritte e pubblicate di continuo ‘nuove’ storie delle
crociate che, poi, alla lettura, si rivelano vecchie.
Questa, finalmente, non è una ‘nuova storia delle crociate’.
È una storia delle crociate nuova. Ce n’era bisogno.”
Jonathan PhilliPs
Basta dire crociate e tutti pensano subito
a cristiani contro musulmani.
A brutalità, rapacità, onore, cavalleria;
al tintinnio della cotta di maglia,
il tramestio degli zoccoli,
il richiamo del muezzin.
Ma un’altra realtà si nasconde dietro
questi stereotipi.
Jonathan PhilliPs
guerrieri
Jonathan Phillips è professore di Storia
delle crociate al Royal Holloway dell’Università di Londra. Oltre che studioso
di prestigio, è un brillante divulgatore:
il pubblico inglese lo conosce come autore di tante trasmissioni televisive e
radiofoniche. Al tema delle crociate ha
dedicato più volumi, tutti ampiamente recensiti e tradotti in diverse lingue.
Tra questi: Defenders of the Holy Land,
1119-1187 (1996); The Crusades, 10951197 (2002); The Fourth Crusade and
the Sack of Constantinople (2004); The
Second Crusade: Extending the Frontiers
of Christianity (2007). Nel 2004 in Italia
è stato edito Le prime crociate. Co-curatore della rivista “Crusades”, scrive regolarmente per “BBC History” e “History
Today”.
LA strAordinAriA storiA
deLLe CroCiAte
In copertina:
© Istockphoto
CL_saCri guerrieri_815647_es
Questo è un racconto di conflitti e avventure, di protagonisti famosi e di persone comuni. Di Riccardo Cuor di Leone e del Saladino, di Melisenda, l’astuta
regina di Gerusalemme che incuteva timore a tutti, e del fiero predicatore alSulami. Dell’imperatore scomunicato
del Sacro Romano Impero, Federico II,
e di Enrico di Bolingbroke che anni prima di diventare Enrico IV d’Inghilterra,
spietato e paranoico, agì come un pellegrino e come un ‘santo guerriero’.
È una storia meravigliosamente narrata,
un intreccio appassionante di testimonianze diverse, dagli inni e i sermoni ai
diari di viaggio, dalle lettere e i documenti finanziari ai trattati di pace. Leggendola scopriremo per la prima volta
che nel corso del tempo le crociate sono
state lanciate non soltanto contro i musulmani nel Medio Oriente, ma anche
contro gli eretici, i nemici politici del
papato, i mongoli, le tribù pagane del
Nord Europa. Scopriremo inedite amicizie e alleanze, i trionfi della diplomazia
anziché della spada, le jihad proclamate
contro i musulmani e i tanti motivi per
andare in battaglia. Per Dio e per la fede,
per il senso del dovere, per la brama di
terra e di denaro, per il desiderio di tener alto l’onore e lo spirito di famiglia o
anche solo per il brivido dell’avventura.
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Franco Cardini
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guerrieri
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“Vengono scritte e pubblicate di continuo ‘nuove’ storie delle
crociate che, poi, alla lettura, si rivelano vecchie.
Questa, finalmente, non è una ‘nuova storia delle crociate’.
È una storia delle crociate nuova. Ce n’era bisogno.”
Jonathan PhilliPs
Basta dire crociate e tutti pensano subito
a cristiani contro musulmani.
A brutalità, rapacità, onore, cavalleria;
al tintinnio della cotta di maglia,
il tramestio degli zoccoli,
il richiamo del muezzin.
Ma un’altra realtà si nasconde dietro
questi stereotipi.
Jonathan PhilliPs
guerrieri
Jonathan Phillips è professore di Storia
delle crociate al Royal Holloway dell’Università di Londra. Oltre che studioso
di prestigio, è un brillante divulgatore:
il pubblico inglese lo conosce come autore di tante trasmissioni televisive e
radiofoniche. Al tema delle crociate ha
dedicato più volumi, tutti ampiamente recensiti e tradotti in diverse lingue.
Tra questi: Defenders of the Holy Land,
1119-1187 (1996); The Crusades, 10951197 (2002); The Fourth Crusade and
the Sack of Constantinople (2004); The
Second Crusade: Extending the Frontiers
of Christianity (2007). Nel 2004 in Italia
è stato edito Le prime crociate. Co-curatore della rivista “Crusades”, scrive regolarmente per “BBC History” e “History
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Questo è un racconto di conflitti e avventure, di protagonisti famosi e di persone comuni. Di Riccardo Cuor di Leone e del Saladino, di Melisenda, l’astuta
regina di Gerusalemme che incuteva timore a tutti, e del fiero predicatore alSulami. Dell’imperatore scomunicato
del Sacro Romano Impero, Federico II,
e di Enrico di Bolingbroke che anni prima di diventare Enrico IV d’Inghilterra,
spietato e paranoico, agì come un pellegrino e come un ‘santo guerriero’.
È una storia meravigliosamente narrata,
un intreccio appassionante di testimonianze diverse, dagli inni e i sermoni ai
diari di viaggio, dalle lettere e i documenti finanziari ai trattati di pace. Leggendola scopriremo per la prima volta
che nel corso del tempo le crociate sono
state lanciate non soltanto contro i musulmani nel Medio Oriente, ma anche
contro gli eretici, i nemici politici del
papato, i mongoli, le tribù pagane del
Nord Europa. Scopriremo inedite amicizie e alleanze, i trionfi della diplomazia
anziché della spada, le jihad proclamate
contro i musulmani e i tanti motivi per
andare in battaglia. Per Dio e per la fede,
per il senso del dovere, per la brama di
terra e di denaro, per il desiderio di tener alto l’onore e lo spirito di famiglia o
anche solo per il brivido dell’avventura.
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“Vengono scritte e pubblicate di continuo ‘nuove’ storie delle
crociate che, poi, alla lettura, si rivelano vecchie.
Questa, finalmente, non è una ‘nuova storia delle crociate’.
È una storia delle crociate nuova. Ce n’era bisogno.”
Jonathan PhilliPs
Basta dire crociate e tutti pensano subito
a cristiani contro musulmani.
A brutalità, rapacità, onore, cavalleria;
al tintinnio della cotta di maglia,
il tramestio degli zoccoli,
il richiamo del muezzin.
Ma un’altra realtà si nasconde dietro
questi stereotipi.
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Jonathan Phillips è professore di Storia
delle crociate al Royal Holloway dell’Università di Londra. Oltre che studioso
di prestigio, è un brillante divulgatore:
il pubblico inglese lo conosce come autore di tante trasmissioni televisive e
radiofoniche. Al tema delle crociate ha
dedicato più volumi, tutti ampiamente recensiti e tradotti in diverse lingue.
Tra questi: Defenders of the Holy Land,
1119-1187 (1996); The Crusades, 10951197 (2002); The Fourth Crusade and
the Sack of Constantinople (2004); The
Second Crusade: Extending the Frontiers
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è stato edito Le prime crociate. Co-curatore della rivista “Crusades”, scrive regolarmente per “BBC History” e “History
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Questo è un racconto di conflitti e avventure, di protagonisti famosi e di persone comuni. Di Riccardo Cuor di Leone e del Saladino, di Melisenda, l’astuta
regina di Gerusalemme che incuteva timore a tutti, e del fiero predicatore alSulami. Dell’imperatore scomunicato
del Sacro Romano Impero, Federico II,
e di Enrico di Bolingbroke che anni prima di diventare Enrico IV d’Inghilterra,
spietato e paranoico, agì come un pellegrino e come un ‘santo guerriero’.
È una storia meravigliosamente narrata,
un intreccio appassionante di testimonianze diverse, dagli inni e i sermoni ai
diari di viaggio, dalle lettere e i documenti finanziari ai trattati di pace. Leggendola scopriremo per la prima volta
che nel corso del tempo le crociate sono
state lanciate non soltanto contro i musulmani nel Medio Oriente, ma anche
contro gli eretici, i nemici politici del
papato, i mongoli, le tribù pagane del
Nord Europa. Scopriremo inedite amicizie e alleanze, i trionfi della diplomazia
anziché della spada, le jihad proclamate
contro i musulmani e i tanti motivi per
andare in battaglia. Per Dio e per la fede,
per il senso del dovere, per la brama di
terra e di denaro, per il desiderio di tener alto l’onore e lo spirito di famiglia o
anche solo per il brivido dell’avventura.
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“Vengono scritte e pubblicate di continuo ‘nuove’ storie delle
crociate che, poi, alla lettura, si rivelano vecchie.
Questa, finalmente, non è una ‘nuova storia delle crociate’.
È una storia delle crociate nuova. Ce n’era bisogno.”
Jonathan PhilliPs
Basta dire crociate e tutti pensano subito
a cristiani contro musulmani.
A brutalità, rapacità, onore, cavalleria;
al tintinnio della cotta di maglia,
il tramestio degli zoccoli,
il richiamo del muezzin.
Ma un’altra realtà si nasconde dietro
questi stereotipi.
Jonathan PhilliPs
guerrieri
Jonathan Phillips è professore di Storia
delle crociate al Royal Holloway dell’Università di Londra. Oltre che studioso
di prestigio, è un brillante divulgatore:
il pubblico inglese lo conosce come autore di tante trasmissioni televisive e
radiofoniche. Al tema delle crociate ha
dedicato più volumi, tutti ampiamente recensiti e tradotti in diverse lingue.
Tra questi: Defenders of the Holy Land,
1119-1187 (1996); The Crusades, 10951197 (2002); The Fourth Crusade and
the Sack of Constantinople (2004); The
Second Crusade: Extending the Frontiers
of Christianity (2007). Nel 2004 in Italia
è stato edito Le prime crociate. Co-curatore della rivista “Crusades”, scrive regolarmente per “BBC History” e “History
Today”.
LA strAordinAriA storiA
deLLe CroCiAte
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Questo è un racconto di conflitti e avventure, di protagonisti famosi e di persone comuni. Di Riccardo Cuor di Leone e del Saladino, di Melisenda, l’astuta
regina di Gerusalemme che incuteva timore a tutti, e del fiero predicatore alSulami. Dell’imperatore scomunicato
del Sacro Romano Impero, Federico II,
e di Enrico di Bolingbroke che anni prima di diventare Enrico IV d’Inghilterra,
spietato e paranoico, agì come un pellegrino e come un ‘santo guerriero’.
È una storia meravigliosamente narrata,
un intreccio appassionante di testimonianze diverse, dagli inni e i sermoni ai
diari di viaggio, dalle lettere e i documenti finanziari ai trattati di pace. Leggendola scopriremo per la prima volta
che nel corso del tempo le crociate sono
state lanciate non soltanto contro i musulmani nel Medio Oriente, ma anche
contro gli eretici, i nemici politici del
papato, i mongoli, le tribù pagane del
Nord Europa. Scopriremo inedite amicizie e alleanze, i trionfi della diplomazia
anziché della spada, le jihad proclamate
contro i musulmani e i tanti motivi per
andare in battaglia. Per Dio e per la fede,
per il senso del dovere, per la brama di
terra e di denaro, per il desiderio di tener alto l’onore e lo spirito di famiglia o
anche solo per il brivido dell’avventura.
capitolo primo
«Deus vult!».
La prima crociata e la conquista
di Gerusalemme, 1095-1099
«‘Dai territori intorno a Gerusalemme ci è giunta una dolorosa notizia [...] una razza del tutto estranea a Dio [...] ha invaso la terra
dei cristiani [...]. Hanno distrutto le chiese di Dio dalle fondamenta
oppure le hanno adibite al culto della propria religione [...]. A coloro che scelgono di torturare perforano l’ombelico [...] li trascinano
e fustigano fin quando non cadono prostrati a terra con le viscere
strappate e poi li uccidono [...]. Che dire della nefanda violenza recata alle donne? Su chi dunque incombe l’onere di vendicare tutto
questo se non su di voi? [...] Prendete la via del Santo Sepolcro,
salvate quella terra e sottomettetela al vostro dominio, perché in
quella terra, come dicono le scritture, scorrono latte e miele [...].
Intraprendete questo cammino in remissione dei vostri peccati, certi
della gloria imperitura del regno dei cieli’. Dopo che papa Urbano II
ebbe pronunciato queste parole, tutti gridarono all’unisono: ‘Deus
vult! Deus vult!’, ‘Dio lo vuole! Dio lo vuole!’»1.
Così Roberto, monaco di Reims, riporta le parole immaginifiche
– e alquanto enfatiche – con cui Urbano II lanciò la prima crociata
a Clermont, nel centro della Francia, nel novembre del 1095. In
capo a quattro anni, stremati dalle immani tribolazioni del viaggio,
gli autoproclamatisi «cavalieri di Cristo» giunsero a Gerusalemme.
Il 15 luglio 1099 i crociati presero d’assalto le mura costringendo
i difensori alla battaglia per contendere all’islam la città di Cristo.
capitolo primo Phillips.indd 3
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Papa Urbano II e l’appello alla crociata
Oggi che, a distanza di 900 anni, il lontano retaggio dell’opera di
Urbano II continua a gettare la sua ombra sinistra sui rapporti
cristiano-musulmani nel mondo intero, appare paradossale che le
crociate si proponessero innanzitutto di risolvere i problemi all’interno dell’Europa. Come capo della Chiesa cattolica, Urbano era
responsabile del benessere spirituale di chiunque appartenesse alla
cristianità latina. Questo avveniva in un’Europa gravata da numerosi
problemi: violenza e illegalità erano diffuse e l’imperatore Enrico
IV di Germania, il più potente tra i sovrani temporali, era stato, più
volte, scomunicato, espulso dalla Chiesa per avere sfidato l’autorità
papale2. Secondo il papa, caos e confusione erano il frutto di un indebolimento del fervore religioso e il suo ruolo era quello di restaurare
pace e stabilità. Per raggiungere lo scopo, alle cure d’ordine spirituale era necessario aggiungere uno scaltro calcolo politico; se al
pubblico moderno il secondo sembra inadatto a un uomo nella sua
posizione, per Urbano i due elementi erano indivisibili; come papa,
fece tutto il possibile per consolidare sulla terra l’opera di Dio.
Fu di Urbano II l’ingegnoso progetto gravido di benefici per il
papato e per tutto il suo gregge. Nel successo dell’impresa, il suo
ambiente familiare ebbe forse un ruolo di una certa importanza: nato
nella contea della Champagne, nel Nord della Francia, il papa era un
uomo di nobili natali. Il suo retaggio aristocratico, unito alla folgorante carriera all’interno della Chiesa, gli consentiva di comprendere
fino in fondo le speranze e i timori delle classi cavalleresche e questo
spiega, in parte, perché la crociata rispose alle aspettative di molti.
Il papa unì numerosi aspetti tipici della società medievale, come il
pellegrinaggio e l’idea di una guerra santa contro i nemici di Dio, a
un’offerta di salvezza senza precedenti: una combinazione capace di
infiammare gli animi dei guerrieri dell’Europa occidentale.
Per spingere la gente – in qualsiasi epoca – a lasciare la propria
casa e la propria famiglia, e ad avventurarsi verso l’ignoto, bisogna
convincerla della bontà della causa. Come dimostrano molti conflitti
moderni, la propaganda può avere un ruolo decisivo nel preparare
una guerra. Il discorso di papa Urbano II a Clermont assunse toni
accesi e assai evocativi per suscitare nel pubblico indignazione morale. I musulmani furono descritti con un linguaggio che ne sottolineava la «diversità» e il comportamento disumano dimostrato verso
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sacri guerrieri. la straordinaria storia delle crociate
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cristiani innocenti. In realtà, nonostante fosse innegabile qualche
sporadico abuso contro i pellegrini, altrettanto vero era che da decenni in Terra Santa non si verificava una persecuzione sistematica
a danno di cristiani da parte dei musulmani. Ma la retorica appassionata di Urbano II mirava alla reazione dei cavalieri di Francia. Il
papa invitava alla vendetta, concetto ben noto ai cavalieri, abituati
a raddrizzare le ingiustizie con la violenza facendosi scudo del diritto morale. Citando autorevoli fonti come sant’Agostino, il papa
e la cerchia dei suoi consiglieri elaborarono una tesi secondo cui
la violenza, in talune circostanze, poteva essere considerata un atto
moralmente positivo3. Era necessaria una giusta causa: di solito, la
reazione all’aggressione da parte di qualcuno – in questo caso le
presunte atrocità commesse dai musulmani. C’era bisogno di un’autorità abilitata a dichiarare guerra, e anche della giusta motivazione – cioè motivi puri, in un conflitto che mettesse in campo forze
militari proporzionate, ma non eccessive. Ai principi della «guerra
giusta», le crociate associarono le nozioni di voto e di pellegrinaggio.
Poiché era considerata moralmente positiva, la crociata diventò un
atto di penitenza che meritava una ricompensa spirituale. Tra i primi tentativi per limitare la violenza che affliggeva l’Europa dell’XI
secolo, si annovera il movimento della Pace di Dio, con cui la Chiesa
proibiva le ostilità per un certo periodo di tempo, sotto pena di sanzioni ecclesiastiche. A Clermont, invece, il papa spinse i cavalieri di
Francia a porre fine ai propri conflitti privati per dare inizio a una
guerra degna della loro nobile condizione; lottare per Dio significava
essere a servizio del Signore e guadagnarsi il perdono per la propria
vita dissipata era un premio infinitamente più grande di qualsiasi
ricchezza terrena4.
I feroci soldati dell’Occidente avevano indubbiamente commesso innumerevoli azioni sgradite a Dio: Urbano II offriva loro l’opportunità di sfuggire a un orribile destino. Anche la più sperduta
chiesa di campagna aveva una scultura o un affresco che rappresentavano l’inferno: diavoli assatanati strappavano gli occhi di peccatori urlanti, altri venivano scorticati o torturati con lance e forconi e
uomini impalati bruciavano per l’eternità5. Il messaggio della Chiesa
era orrendamente semplice: non c’era alcun modo di sfuggire alle
conseguenze del peccato. Il cavaliere doveva quindi trovare una via
di scampo alle fiamme di Satana. Gli stessi affreschi raffiguravano
anche il paradiso – un luogo di pace, tranquillità e salvezza eterna.
Andare in pellegrinaggio e offrire donazioni ai monasteri poteva
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contribuire a evitare l’inferno, ma il papa presentò abilmente quel
che un autore coevo definì «un nuovo modo per ottenere la salvezza»6. Il papa riteneva – a ragion veduta – che la crociata sarebbe
stata un’esperienza sufficientemente ardua da meritare la remissione
di ogni peccato; le colpe passate sarebbero state spazzate vie e le
azioni riprovevoli e violente del guerriero medievale – o di chiunque altro avesse partecipato alle crociate – sarebbero state annullate.
Per quanto riguarda le classi cavalleresche, l’aspetto più attraente
consisteva nella possibilità di continuare a combattere – con la differenza che ora le loro energie sarebbero state dirette contro i nemici
di Dio, anziché contro i propri correligionari. La causa per cui ora
combattevano faceva sì che le loro imprese meritassero, non già la
condanna, ma la benedizione da parte della Chiesa.
Coloro che desideravano prendere parte alla crociata dovevano
fare una dichiarazione pubblica del proprio impegno sotto forma di
voto ed essere marchiati dal segno della croce. In un susseguirsi di
scene ad alto tenore emotivo, sfilavano reclute entusiaste, che chiedevano che fosse loro appuntata sulle spalle una croce di stoffa, impazienti di esibire il simbolo che rappresentava il sacrificio di Cristo
e la loro promessa di emularne le sofferenze. I predicatori riprendevano le parole di Cristo: «Se qualcuno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua». Il crociato che non
teneva fede al proprio voto meritava eterno obbrobrio; Urbano II
«decretò [...] che, se non ritrovava la ragione e non portava a termine
i doveri trascurati, sarebbe stato considerato per sempre un fuorilegge»7. La crociata ebbe anche l’effetto di attrarre nell’orbita della
Chiesa un’enorme quantità di persone, almeno temporaneamente.
Il papa aveva così trovato il modo per consolidare la posizione del
papato, offrendo nel contempo ad altri un’allettante opportunità.
L’appello per liberare il Santo Sepolcro e i cristiani d’Oriente assunse la forma familiare del pellegrinaggio. Si trattava di un aspetto
fondamentale della vita medievale: l’idea di rivolgersi a un santo per
avere un aiuto faceva parte dell’esperienza quotidiana; si cercava
il sostegno dei santi per la salute, il raccolto, il concepimento di
figli, la protezione e il perdono dei peccati. La presenza del santo
si concretizzava nelle reliquie, frammenti delle sue spoglie mortali,
oppure in oggetti associati alla sua vita, che si credeva mantenessero
i poteri a lui attribuiti e offrissero intercessione per l’aiuto divino. La
venerazione delle reliquie spesso richiedeva un viaggio e alcuni santi
venivano collegati a cause particolari: san Leonardo di Noblat, per
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sacri guerrieri. la straordinaria storia delle crociate
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esempio, era il santo patrono dei prigionieri. Lo pregavano coloro
che erano in carcere: scontata la pena, andavano in pellegrinaggio a
Noblat (nella Francia centrale) e, in segno di gratitudine, deponevano le catene sull’altare. Anche se molti pellegrinaggi si limitavano
a processioni o visite alle chiese locali, nell’XI secolo si diffuse la
consuetudine di viaggi più lunghi verso santuari importanti, come
quello di san Giacomo a Santiago de Compostela, nella Spagna
nordoccidentale. La destinazione suprema del pellegrinaggio era la
Terra Santa – il luogo dove aveva vissuto ed era morto Gesù. Poiché era asceso in cielo, non c’era un corpo da venerare e quindi ci
si concentrava sui luoghi della sua presenza e della sua morte, in
particolare la sua tomba, il Santo Sepolcro a Gerusalemme. La Terra Santa, e soprattutto questo sito, diventò la meta principale della
prima crociata. Per i crociati, un viaggio in quei luoghi meritava la
massima delle ricompense – la remissione di tutti i peccati. Era un
obiettivo che rimaneva nel cuore e nella mente dell’uomo medievale
e al centro dell’appello di Urbano II c’era proprio l’idea di riconquistare la terra di Cristo.
Il papato rivendicava motivazioni spirituali a fondamento della crociata, ma appare evidente che vi intervenivano anche fattori
mondani. Lo sottolinea la cronaca di Roberto di Reims (scritta verso
il 1106-7), che riporta il discorso di Urbano II: il papa parla di una
terra di latte e di miele – una prospettiva allettante per persone angustiate da raccolti miseri e in cerca di un’alternativa alle asprezze della
vita in campagna. Anche se doveva prevalere il desiderio di liberare
la città di Cristo – altrimenti Dio non avrebbe protetto la spedizione
– alcuni crociati sarebbero necessariamente rimasti in Oriente per
tenere il territorio; sarebbe stato inutile conquistare Gerusalemme
se poi tutti fossero ritornati a casa. Quindi la prima crociata fu in
parte una guerra di colonizzazione cristiana, oltre che di liberazione cristiana. Offriva la prospettiva di una nuova vita a coloro che
erano pronti a coglierne l’opportunità. Eppure i fatti dimostrarono
in seguito che, se in moltissimi si erano fatti crociati, furono relativamente pochi coloro che scelsero di rimanere in Oriente dopo la
conquista. La speranza di bottino e di ricchezza aveva contribuito
a orientare gli animi verso la grande avventura, ma nel corso degli
eventi l’acquisizione di beni si rivelò molto più difficile di quanto
fosse sembrato sulle prime.
Malgrado il papa desiderasse restaurare il benessere spirituale
dell’Europa occidentale, fu una ben precisa motivazione esterna a
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spingerlo a dare avvio alla crociata. Nel marzo del 1095, erano giunti da Costantinopoli messi inviati dall’imperatore Alessio, recando
la richiesta di aiuto contro i musulmani dell’Asia Minore. Alessio
governava l’impero bizantino, erede dell’impero romano, che fino a
poco tempo prima controllava le regioni che si estendevano nell’Asia
Minore sino ad Antiochia nel Nord della Siria, e, in Europa, alle
attuali Grecia, Bulgaria e Albania. Nel 1095, gran parte dell’Asia
Minore era ormai andata perduta, anche se dissidi interni al mondo musulmano avevano offerto all’imperatore l’opportunità di contrattaccare8. Da anni l’imperatore richiedeva contingenti armati per
sostenere la sua causa ed esisteva ormai una tradizione consolidata
di mercenari occidentali che prestavano servizio nell’esercito imperiale. È evidente, tuttavia, che nel 1095 Alessio non era in grado di
prevedere che Urbano II si sarebbe servito di questa occasione per
lanciare un appello generalizzato ai popoli della cristianità latina e
dare il via alla crociata9. Il papa d’altronde aveva un progetto che
riguardava lo stesso Alessio. Nel 1054 dissidi di natura dottrinale
e, in particolare, riguardo l’autorità limitata del papa sul patriarca
di Costantinopoli avevano provocato lo scisma ancora in atto tra i
cattolici e la Chiesa ortodossa. A dispetto della rottura, i due campi
mantenevano rapporti e il papa pensò che le crociate avrebbero potuto offrire lo spunto per creare relazioni migliori – anche se, dal suo
punto di vista, era Roma l’alleato più forte, perché erano i cattolici
a venire in aiuto dei fratelli ortodossi. Urbano II si era ritagliato la
parte di padre nei confronti del «figlio», l’imperatore bizantino; e
considerava Roma la madre di Costantinopoli.
Reclutamento, pogrom
e preparativi della crociata
Urbano II e la sua cerchia si preoccuparono di diffondere il più
possibile l’appello alla crociata. In un’epoca in cui non esistevano
i mezzi di comunicazione di massa, era fondamentale aumentare al
massimo la visibilità, il che significava organizzare cerimonie pubbliche: il Concilio di Clermont fu accuratamente pubblicizzato,
mandando inviti ai membri del clero in tutta la Francia, la Spagna
e in parte della Germania. Il papa aveva scelto Clermont per la sua
posizione centrale: la manifestazione permise di riunire tredici arci­­­­­8 Phillips.indd 8
sacri guerrieri. la straordinaria storia delle crociate
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vescovi, ottanta vescovi e cardinali e più di novanta abati. Per una
quindicina di giorni, il papa abbozzò un programma legislativo per
il rinnovamento spirituale della cristianità. Il penultimo giorno rivelò
quel che era il pezzo forte del suo progetto: la crociata. Il papa sapeva
che la sua presenza era fondamentale e, a tal fine, intraprese un lungo viaggio che lo portò per centinaia di chilometri da Le Mans e da
Angers, a nord, fino a Bordeaux, Tolosa e Montpellier a sud10. Non
fu una spedizione organizzata a caso; da cinquant’anni nessun papa
si era spinto a nord delle Alpi. Perfino oggi, ai tempi di Internet, la
presenza di una personalità – all’inaugurazione di un supermercato
come a un importante raduno politico – attira folle di persone desiderose di vedere o ascoltare direttamente un personaggio famoso.
L’arrivo di una figura tanto prestigiosa era destinato a solleticare la
curiosità e Urbano II fece il possibile per sfruttare al meglio la situazione. In più occasioni, per esempio a Saint-Gilles, Le Puy, ChaiseDieu, Limoges, Tours e Poitiers, il papa fece la sua comparsa nel
giorno dedicato al santo locale, oppure consacrò un nuovo edificio
o presenziò a un’importante cerimonia. In altre parole, egli scelse
con cura le opportunità che gli permettevano di arringare la folla più
vasta possibile. L’arrivo dell’entourage papale costituiva uno spettacolo davvero splendido; la ricchezza e lo splendore di papa Urbano
II e della sua corte erano dominati dallo spettacolo del successore
di Pietro che indossava un copricapo bianco a cono con alla base un
prezioso cerchio d’oro tempestato di gemme.
Non fu soltanto grazie all’aspetto e al carisma che il papa riuscì a
reclutare i crociati. Chi ebbe modo di ascoltarlo a Clermont ritornò
a casa e diffuse la sua parola e, anche se la reazione immediata al
discorso era stata entusiastica, il papa forse non si rese conto dello
straordinario fervore che le sue parole avrebbero provocato. La notizia della spedizione si propagò in Europa e nell’Occidente latino
l’entusiasmo per la crociata toccò il culmine. L’appello del papa ai
cavalieri di Francia raggiunse presto la Spagna e la Germania.
Una conseguenza immediata, per quanto non fosse frutto di un
disegno deliberato, fu una serie di attacchi contro gli ebrei11. I sermoni infiammati di un predicatore di nome Folkmar istigarono i
presenti a rivolgersi contro i propri vicini non cristiani. Comunità ebraiche vivevano indisturbate nell’Europa occidentale da molti
secoli. Folkmar si servì del tema sollevato da Urbano II riguardo i
popoli estranei e, invece di indirizzare la violenza cristiana contro i
musulmani, decise di sottolineare la storia degli ebrei come uccisori
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di Cristo, suggerendo che meritavano quindi una punizione. In una
fonte ebraica coeva si legge: «I principi, i nobili e il popolo comune
in Francia si consultarono e, come aquile che si innalzano in volo, decisero di combattere e di aprirsi la strada per Gerusalemme,
la Città Santa, per raggiungere il sepolcro del crocifisso, un corpo
martoriato che non può essere di alcun beneficio né salvare, perché
è privo di valore. Si dicevano l’un l’altro: ‘Ecco, siamo in cammino
verso una terra lontana per muover battaglia ai re di quel paese.
Infondiamo coraggio alle nostre anime per uccidere e sottomettere
quei reami che non credono nel crocifisso. Con quanta maggiore
determinazione dovremmo allora uccidere e sottomettere gli ebrei,
che lo hanno ucciso e crocifisso’»12. Un ruolo importante ebbe la
ricchezza degli ebrei – molti dovevano loro denaro (si erano infatti
macchiati del peccato di usura, cioè il prestito con interesse) e i
crociati avevano bisogno di ingenti somme di denaro contante per
la spedizione. Pur godendo della protezione teorica dei vescovi locali, alla fine della primavera del 1096, i quartieri ebraici di Colonia,
Spira, Magonza e Worms furono assediati e saccheggiati. Si distinse
in particolare l’esercito del conte Emicho di Leiningen, descritto
come un uomo malvagio: «il nostro principale persecutore. Non
aveva pietà degli anziani, dei giovani, uomini e donne che fossero,
dei bambini e dei lattanti, e neppure degli ammalati. Per lui il popolo
di Dio non era che polvere da calpestare. Passava a fil di spada i giovani e squarciava il ventre delle gravide»13. Il cronachista cristiano
Alberto di Aquisgrana (o Alberto Aquense) parla del tentativo di
convertire gli ebrei – spesso con la forza14. Le fonti ebree ne fanno
cenno descrivendo l’atteggiamento dei crociati. «Vendichiamoci di
loro innanzitutto. Annientiamoli come nazione; di Israele non rimanga neanche il nome. Oppure, facciamo che siano come noi e
riconosciamo il bambino nato dalle mestruazioni»15. A parte i terribili eventi verificatisi in Renania, gli attacchi furono sporadici: non
si trattò di una sistematica persecuzione degli ebrei a livello europeo.
Le autorità ecclesiastiche cercarono di calmare le acque; la Bibbia
proibiva di uccidere gli ebrei. L’esigenza di arginare disordini sociali
di maggiori proporzioni fu un’altra delle ragioni che suggerirono di
porre fine a questi episodi; anche il pagamento di tangenti ai vescovi
locali da parte degli ebrei non fu estraneo, infine, al ristabilimento
dell’ordine.
I crociati provenienti dalla Renania nella spedizione spesso nota
come la crociata dei Poveri partirono per l’Oriente già nella pri­­­­­10 Phillips.indd 10
sacri guerrieri. la straordinaria storia delle crociate
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mavera del 1096, guidati dal carismatico predicatore detto Pietro
l’Eremita. Gli storici hanno poi dimostrato che di questo gruppo
facevano parte anche nobili: contrariamente a quanto si riteneva in
passato, la spedizione non era composta esclusivamente da contadini e oggi è stata quindi ribattezzata «crociata del Popolo». Quando
questi avventurieri raggiunsero Costantinopoli, nell’agosto del 1096,
il loro infimo livello di disciplina inorridì Alessio. L’imperatore prese
drastiche misure per mantenere la sicurezza in città, mentre la paura
e l’animosità provocate dal comportamento delle truppe contribuirono non poco alle successive tensioni tra i crociati e i greci. Alessio
persuase i renani ad attraversare il Bosforo e a raggiungere l’Asia Minore per poi abbandonarli, offrendo loro ben poco sostegno quanto
a guida e approvvigionamenti. In capo a poche settimane, i crociati si trovarono di fronte gli eserciti di Kilij Arslan, il sultano turco
selgiuchide dell’Asia Minore. Nell’ottobre del 1096 i suoi uomini
massacrarono quasi tutti i cristiani, anche se Pietro l’Eremita riuscì
a fuggire. Come fa notare Alberto di Aquisgrana, era la giusta punizione per i maltrattamenti inflitti agli ebrei. Per la prima crociata,
non fu un esordio felice16.
Mentre questo era il panorama in Oriente, gli eserciti principali
iniziarono a definire i rispettivi piani operativi. Il primo buon raccolto dopo anni di carestia fu interpretato come un segno del favore divino e in tutta l’Europa si andava raccogliendo denaro per la
grande avventura. In molti casi rimane traccia dei preparativi nei
contratti stipulati prima della partenza, documenti che elencano
dettagliatamente vendite di terreni o ipoteche, l’acquisizione di denaro o vettovaglie. Nei secoli successivi questo materiale assume via
via una veste uniforme e convenzionale, trasformandosi in una registrazione scrupolosa dei particolari pratici delle transazioni, ma alla
fine dell’XI secolo, per fortuna, questa omogeneità burocratica era
ancora agli albori e i contratti contengono spesso narrazioni lunghe
ed elaborate che ci illuminano sulle motivazioni dei singoli. Queste
fonti ci consentono di capire la mentalità dell’aristocrazia dell’epoca, anche perché i contratti erano stati stilati prima della partenza
della spedizione e non erano influenzati dalla consapevolezza del
suo esito17. Un documento a firma del castellano Nivelo di Fréteval
riporta: «Ogni volta che mi assaliva un impulso di fierezza guerriera,
radunavo intorno a me un manipolo di uomini a cavallo e una folla di
seguaci. Scendevo al villaggio e per dare da mangiare ai miei cavalieri
distribuivo liberamente i beni dei monaci di San Pietro di Chartres.
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