Se il re Marduk insegna la strada del destino

LA GIORNATA
11
22 agosto
A sinistra,
don Ignacio
Carbajosa Perez e
Giorgio Buccellati
salutano
il pubblico
alla fine
dell’incontro.
A destra,
“La torre
di Babele”
di Pieter Bruegel
il Vecchio (1563)
Se il re Marduk insegna
la strada del destino
Il popolo di Babele e quello della Bibbia a confronto. Per scoprire le radici
antiche del positivismo. E per capire da dove nasce la positività della realtà
«Capisco che, a sentirmi parlare
di Marduk, il re dell’olimpo babilonese, e di civiltà mesopotamiche,
possiate pensare che l’archeologia
sia un bastione di irrilevanza. Nel
’68 lo scrissero anche sul muro dell’Oriental Institute di Chicago dove
mia moglie ed io eravamo studenti.
Vi chiedo solo di aspettare un momento prima di andarvene. Ci terrei
a mostrarvi come questo mondo sia
solo apparentemente lontano. È in
questo humus, prima che nell’illuminismo, che affonda le sue radici
un modo di pensare a-biblico».
Giorgio Buccellati, professore emerito dell’università della California,
sembra mettere le mani avanti, all’inizio del suo dialogo con don Ignacio Carbajosa Perez, docente di antico testamento all’Università San
Damaso di Madrid. Scorrendo il
curriculum si capisce perché. Ha
pubblicato una grammatica strutturale del babilonese ed edizioni di testi cuneiformi, studi sulla storia e la
religione mesopotamica. Apparentemente argomenti più adatti a un piccolo pubblico accademico che ad una platea del Meeting. Eppure, grazie ai suoi studi, può aiutare a rispondere alla domanda capitale che
dà il titolo all’incontro: «È veramente positiva la realtà? Dai popoli
della Mesopotamia al popolo della
Bibbia».
«È una domanda provocatoria».
Chiarisce da subito Davide Perillo,
direttore di Tracce e moderatore dell’incontro: «Come si può stare davanti alle circostanze più dure, se la
realtà non è positiva? È un problema che l’uomo si è sempre posto.
Andiamo a vedere come è stato affrontata la questione in due delle più
antiche tradizioni conosciute».
Quando a metà ottocento si è iniziato a studiare la Bibbia in rapporto
alle culture del vicino oriente, sembrava che le differenze fossero minime, come ha spiegato don Ignacio
Carbajosa: «È sorta una perplessità
tra chi guardava la Bibbia come la
parola originale di Dio. Ma Dio non
ha scelto un popolo venuto dal nulla
per rivelare una sua volontà disincarnata. Ha scelto un popolo semita,
con tradizioni simili a quelle delle
popolazioni che lo circondavano. È
la legge dell’incarnazione che da una parte ci commuove fino alle lacrime e dall’altra ci scandalizza. Ma
guardando più da vicino si è svelata
l’originalità del giudizio biblico».
Si parte allora dall’inizio: dall’origine della realtà. Buccellati legge
alcuni stralci dell’Enuma Elis, il
poema della creazione secondo i babilonesi. Carbajosa vi interpola alcuni brani della Genesi. «C’è un
contrasto strutturale — fa notare
Buccellati —. Per i babilonesi non
si tratta di creazione, ma di morfizzazione. Dal caos, senza un atto
creativo, si arriva alla vita. Non esiste un assoluto che con un atto ci
renda partecipi della sua natura, c’è
solo una matrice inerte di cui noi
siamo componenti. E in fondo la
matrice siamo noi stessi. Siamo
creatori di noi stessi, non esiste
quindi un agente esterno con una
propria volontà cui essere debitori».
Proprio l’opposto dell’idea di
creazione del popolo ebraico, come
fa notare Carbajosa: «La parola e
l’azione di Dio creano tutta la realtà
dove prima non c’era niente. Questa
è la grande novità della Bibbia: Dio
è un principio assoluto e la sua è una
creazione continua, frutto di un disegno buono e non di una volontà
capricciosa o di un gioco crudele.
Infatti l’Esodo, il libro che racconta
la bontà di Dio, viene scritto prima
«Siamo tutti babilonesi. Quando
vogliamo incasellare l’assoluto»
Parla l’archeologo Buccellati: «Anche oggi si frammenta e seleziona.
Per reggere il peso del nulla. Ma Dio continua a volerci e a crearci»
Sono passati più di tremila anni da che l’ultimo babilonese
«Per fare bene l’archeologo bisogna raccogliere dati e framha camminato sulla terra. Ma da come ne parla Giorgio Buc- menti, selezionarli, guardarli uno per uno e farlo usando catecellati, sembra che abbia conosciuto di persona quegli uomini, gorie scientifiche. È lo stesso modo di procedere e a quell’equasi fossero suoi amici: «Sarebbe veramente presuntuoso poca lo applicavano su tutto. Cercavano di frammentare analiguardare a una tradizione di migliaia di anni, vissuta da
ticamente l’assoluto, l’inframmentabile, per potere reggeuomini di grande intelligenza che hanno osservato
re il peso di ciò che non si può controllare, come la
e descritto gli astri del cielo come nessun altro
morte».
prima e per molto tempo dopo, come a creA noi forse è andata meglio, siamo in
denze da bambini».
rapporto con l’infinito, come ci ricorda
In effetti è facile pensare che i miti
il titolo del Meeting.
politeisti siano solo storielle: battaglie
«È vero, ma spesso anche noi cerchiatra dei, simboli naturali per indicare la
mo di incasellare con il nostro metodo
giustizia o l’amore. Cose da bambini.
scientifico l’assoluto. È quella che chiamo
«Questa, in fondo, è una forma di colo“modernità omeostatica”, in cui vedo un
nialismo intellettuale. Io invece credo che
parallelismo con la cultura babilonese. Dail metodo più adeguato per capire quelle
vanti all’assoluto invece bisogna fermarsi.
civiltà sia di desiderare di appropriarci uSoprattutto se è amore, occorre accettare
manisticamente di esperienze affini alle
di esserne debitori, essere dipendenti».
L’archeologo Giorgio Buccellati
nostre. Solo così si può capire che il modo
Incasellare l’assoluto, invece, rende la
dei babilonesi di descrivere la realtà era un modo per fare i vita un dramma insopportabile...
conti con l’assoluto. Frammentavano la realtà in moltissime
«Sì, perché noi pensiamo alla provvidenza come a un sudivinità per comprenderla, la incasellavano in certe categorie percomputer o a un capriccio, invece la volontà di Dio è la noper capire. Il sole non è un dio in sé, è l’icona della giustizia, stra esistenza. L’accettazione della volontà di Dio sembra la
ma solo e soltanto della giustizia. In fondo noi facciamo lo nullificazione del nostro essere. Invece è l’accettazione del
stesso usando il pensiero scientifico».
continuo atto creativo di Dio, che continua a crearci».
Cioè?
P. B.
della Genesi, dove questa esperienza è attestata dalla ripetizione «Dio
vide che era cosa buona», che suscita stupore e interesse. Così, dalla
creazione si indaga il creatore e
l’uomo scopre la sua dignità: è rapporto diretto con Dio. Per i babilonesi gli uomini furono creati per servire gli dei, per il loro riposo».
Ma se la realtà è positiva, da dove
ha origine il male? Per i popoli mesopotamici non è di per sé un problema. Spiega Buccellati: «È una
divinità che si alterna alle altre, nel
continuo mutare di forma della
realtà. Per essi la realtà è neutra, è una forma di relativismo, per cui si
prende la posizione di non prendere
posizione. Non siamo forse vicini a
quella parte di modernità che vuole
ignorare il senso e il dovere della responsabilità delle proprie scelte?».
Per la tradizione ebraica, invece,
il male entra nel mondo a causa della libertà dell’uomo: «Non è un
principio in sé, né è stato creato da
Dio. È l’uomo che rifiuta la dipendenza divina, così si apre lo spazio
della sua responsabilità e della misericordia di Dio».
Diversa la concezione della realtà
nelle due culture, diverso il modo di
approcciarla. Per i mesopotamici la
realtà è prevedibile nella sua totalità,
può essere controllata grazie a un
costante progresso conoscitivo: «Se
l’assoluto non è l’origine, non esiste
un dio che vuole, crea e agisce, allora gli dei sono le nostre categorie
mentali» spiega Buccellati. Il popolo ebraico, in questo panorama, riceve un grande compito: «Testimoniare che tutto è buono - sottolinea Carbajosa - perché Dio ha mostrato la
sua misericordia nella storia, attraverso rapporti privilegiati. Il primo
dei quali è stato la vocazione di Abramo, il momento nella storia dove
l’imprevedibile intervento di Dio
genera un soggetto nuovo. Come lo
definisce don Giussani: “Il momento della storia in cui è nato l’Io”».
Pietro Bongiolatti