L`obesità si trasmette di madre in figlio, attraverso i batteri intestinali?

L’obesità si trasmette di madre in figlio, attraverso i batteri intestinali?
Martedì 17 Giugno 2014 05:40
Continuano le ricerche sui marcatori di rischio specifici per la
comparsa di diabete di tipo 2 dopo una gravidanza complicata da
diabete gestazionale e sui meccanismi che influenzano l’obesità
futura nei figli. Il microbioma intestinale e il modo in cui viene
modificato dalla dieta, sembra fornire una serie di risposte a
queste domande.
Il microbioma, che è un po’ anche il nostro secondo genoma, ed è rappresentato
prevalentemente da batteri intestinali, si modifica in maniera importante nel corso della
gravidanza e viene trasmesso dalla madre al bambino, al momento della nascita. “Un certo tipo
di microbioma – spiega Jacob Friedman, professore di pediatria , biochimica e genetica
molecolare presso l’Università del Colorado, Anschutz Medical Center, premiato per le sue
ricerche durante il congresso dell’ADA con il Norbert Freinkel Award - può influenzare in
maniera importante l’aumento di peso del neonato, nell’arco dei primi quattro mesi di vita, come
anche la comparsa di infiammazione a livello del fegato (steatoepatite)”. In altre parole, un
microbioma intestinale ereditato da una madre obesa, potrebbe contribuire allo sviluppo di una
forma di obesità ‘ereditata’ dalla madre nel neonato.
Nel microbioma sono presenti 100 volte più geni che nel nostro intero organismo; tra questi ce
ne sono molti in grado di controllare il metabolismo e la loro composizione si modifica in
maniera importante nel corso della gravidanza. I neonati non hanno un loro microbioma alla
nascita, ma lo ‘ereditano’ dalla madre durante il parto e nel primo anno di vita, con l’allattamento
e il contatto con l’ambiente. “Così – spiega Friedman - se la madre ha un microbioma del tipo
che tende a immagazzinare l’energia, questo esporrà il bambino nei primi mesi di vita ad un
maggior aumento di peso, che può ripercuotersi successivamente in un aumentato rischio
obesità o di malattie infiammatorie, dalla steatoepatite, all’asma, alle allergie alimentari. E’
un’ipotesi alla quale stiamo lavorando e i primi dati, derivati da studi animali e sull’uomo, Il
microbioma non è cristallizzato nel tempo nella sua composizione; può essere modificato dalla
gravidanza, ma anche dalla dieta. Chi consuma una dieta ricca di carboidrati, condiziona il
proprio microbioma, facendolo diventare più ‘uniforme’, con meno specie batteriche
rappresentate e più prono al rilascio di citochine infiammatorie. Al contrario una dieta ricca di
vegetali, seleziona un microbioma più salutare. “Per questo – spiega Friedman
- è molto importante curare l’alimentazione della madre in gravidanza e nel corso
dell’allattamento, poiché questo darà un imprinting
determinante al microbioma del neonato, condizionando la sua predisposizione all’obesità e alla
malattie infiammatorie croniche negli anni a venire”.
Una recente ricerca pubblicata dal gruppo del dottor Friedman, ha confrontato due gruppi di
donne con diabete gestazionale, assegnati a seguire due diete diverse: la dieta tradizionale per
trattare il diabete gestazionale, scarsa di carboidrati, ma ricca di grassi e una nuova dieta,
caratterizzata da un maggior contenuto di carboidrati complessi e povera di grassi (dieta
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CHOICE, Choosing Healthy
Options in Carbohydrate and Energy
). “Lo studio – commenta Friedman
- ha dimostrato che una donna con diabete gestazionale, può mangiare una quantità di
carboidrati maggiore di quanto ritenuto in passato, purché siano in forma complessa; questa
dieta consente di raggiungere un miglior compenso glicemico e di migliorare la distribuzione di
grasso nel bambino”. Un effetto importante perché secondo i ricercatori americani sarebbe
proprio la distribuzione del grasso nel neonato il vero fattore obesogeno per la sua vita futura.
Alcuni studi condotti sui primati e sui neonati dimostrano infatti che i figli di madri obese e con
diabete gravidico, nascono con una maggior quantità di grasso, distribuito in particolare nel
fegato; questa alterazione è persistente e secondo gli ultimi studi aumenterebbe il rischio di
steatoepatite e di obesità negli anni futuri.
Maria Rita Montebelli
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