Storia romana I (2014-2015) 1 Varrone, De lingua Latina, V 55 Ager

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Storia romana I
(2014-2015)
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Varrone, De lingua Latina, V 55
Ager Romanus primum divisus in partis tris, a quo tribus appellata Titiensium, Ramnium, Lucerum.
Nominatae, ut ait Ennius, Titienses ab Tatio, Ramnenses ab Romulo, Luceres, ut Iunius, ab
Lucumone; sed omnia haec vocabula Tusca, ut Volnius, qui tragoedias Tuscas scripsit, dicebat.
L’agro romano fu inizialmente diviso in tre parti, che perciò furono chiamate tribù, dei Titienses,
dei Ramnes, dei Luceres. Come dice Ennio, la tribù dei Titienses prese il nome da Tazio, quella dei
Ramnenses da Romolo, mentre Giunio dice che il nome dei Luceres deriva da Lucumone; questi
sono tutti nomi etruschi, come diceva Volnio, che scrisse tragedie in lingua etrusca.
(Storia romana. Antologia delle fonti, I.2 T16)
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Aulo Gellio, Noctes Atticae, XV 27, 4-5
4. In eodem Laeli Felicis libro haec scripta sunt: "Is qui non universum populum, sed partem
aliquam adesse iubet, non "comitia", sed "concilium" edicere debet. Tribuni autem neque advocant
patricios neque ad eos referre ulla de re possunt. Ita ne "leges" quidem proprie, sed "plebisscita"
appellantur, quae tribunis plebis ferentibus accepta sunt, quibus rogationibus ante patricii non
tenebantur, donec Q. Hortensius dictator eam legem tulit, ut eo iure, quod plebs statuisset, omnes
Quirites tenerentur".
5. Item in eodem libro hoc scriptum est: "Cum ex generibus hominum suffragium feratur, "curiata"
comitia esse; cum ex censu et aetate, "centuriata"; cum ex regionibus et locis, "tributa"; centuriata
autem comitia intra pomerium fieri nefas esse, quia exercitum extra urbem imperari oporteat, intra
urbem imperari ius non sit. Propterea centuriata in campo Martio haberi exercitumque. imperari
praesidii causa solitum, quoniam populus esset in suffragiis ferendis occupatus".
Nello stesso libro di Lelio Felice è scritto: “Il magistrato che ordina la convocazione non di tutto il
popolo, ma solo di una sua parte, deve convocare un ‘concilium’ e non ‘comitia’. I tribuni dunque
non convocano i patrizi, né possono interpellarli su alcuna questione. Parimenti non si devono
propriamente definire “leges” ma “plebisscita” le deliberazioni approvate su proposta dei tribuni,
alle quali deliberazioni (rogationes) inizialmente i patrizi non erano soggetti, sin quando il dittatore
Q. Ortensio non fece approvare quella legge in base alla quale tutti i Quiriti dovevano osservare ciò
che la plebe aveva statuito”. Nello stesso libro è pure scritto: “quando le unità di voto sono formate
in base a rapporti di parentela (ex generibus hominum), i comizi si dicono ‘curiati’; quando sono
formate in base al censo e all’età (ex censu et aetate), ‘centuriati’, quando sono formate in base alle
divisioni del territorio (ex regionibus et locis), ‘tributi’; i comizi centuriati non possono tenersi
all’interno del pomerio, perché l’esercito deve essere radunato fuori città, ed è proibito radunarlo in
città. Perciò i comizi centuriati si tengono nel Campo Marzio.
(Cfr. Storia romana. Antologia delle fonti, I.2 T66)
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Polibio, Historiae III 22; 26.1
Il primo patto tra Romani e Cartaginesi fu stretto al tempo di Lucio Giunio Bruto e Marco Orazio, i
primi a essere eletti consoli dopo la cacciata dei re; da questi fu consacrato il Tempio di Zeus
Capitolino. Questi fatti avvennero ventotto anni prima del passaggio di Serse in Grecia. Il patto
l’abbiamo trascritto successivamente, cercando di interpretarlo nel modo più preciso possibile; tale,
infatti, è la differenza tra la lingua attuale dei Romani e quella antica che anche i più esperti ne
hanno potuto capire a mala pena, con tutta la loro competenza, solo alcuni pezzi. I patti recitano più
o meno così: «A queste condizioni c’è pace tra i Romani con i loro alleati e i Cartaginesi con i loro:
né i Romani né i loro alleati navighino al di là del Capo Bello [Capo Farina, presso Cartagine], a
meno che non siano costretti da una tempesta o da un attacco nemico. [Seguono clausole,
soprattutto commerciali, valide in caso di presenza di Romani in Libia, Sardegna, Sicilia]… da
parte loro i Cartaginesi non compiano ingiustizie contro il popolo di Ardea, di Anzio, di Laurento,
di Circeo, di Terracina, né contro nessun’altra città dei Latini, che sia sottomessa ai Romani. Si
astengano da quelle città che non siano sottomesse ai Romani, qualora le conquistino, le
restituiscano integre ai Romani. Non costruiscano alcuna fortificazione in territorio latino. Se
giungono nella regione da nemici, non potranno trascorrervi la notte»…
Questo è il testo dei trattati, che ancora si conserva su tavole di bronzo nell’erario degli edili presso
il tempio di Giove Capitolino.
(Cfr. Storia romana. Antologia delle fonti, I.1 T11; I.2 T25; I.3 T6)
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Lapis Satricanus (base di dono votivo dal tempio della Mater Matuta di Satrico)
I compagni (suodales) di Publio Valerio donarono a Marte
(Cfr. Storia romana. Antologia delle fonti, I.2 T28)
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ILS 212= I², nr. 43
Quondam reges hanc tenuere urbem, nec tamen domesticis succes|soribus eam tradere contigit...
Huic quoque et filio nepotive eius (nam et | hoc inter auctores discrepat) insertus Servius Tullius, si
nostros | sequimur, captiva natus Ocresia; Si Tuscos, Caeli quondam Vi | vennae sodalis
fidelissimus omnisque eius casus comes, post | quam varia fortuna exactus cum omnibus reliquis
Caeliani |exercitus Etruria excessit, montem Caelium occupavit et a duce suo | Caelio ita
appellitatus, mutatoque nomine (nam Tusce Mastarna | ei nomen erat) ita appellatus est, ut dixi, et
regnum summa cum rei | p. utilitate optinuit.
«Una volta tennero questa città i re, né tuttavia toccò loro di trasmetterla a successori
domestici…Tra questo [e cioè a Tarquinio Prisco] e il figlio o nipote suo (infatti anche su questo ci
sono opinioni diverse fra gli autori) si collocò Servio Tullio, se seguiamo la nostra tradizione, nato
da una prigioniera Ocresia; se seguiamo gli Etruschi, una volta sodale fedelissimo di Celio Vibenna
e compagno di ogni sua peripezia, dopo che per mutevole fortuna cacciato con tutti i resti
dell’esercito di Celio se ne andò via dall’Etruria, occupò il Monte Celio e lo denominò dal suo duce
Celio, e cambiato il suo nome (infatti in etrusco il suo nome era Mastarna) fu chiamato nel modo
che ho detto e ottenne il regno con somma utilità per la res publica»
(Cfr. Storia romana. Antologia delle fonti, I.2 T27)
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Livio, Ab Urbe condita, I 42.4-43. 9
Adgrediturque inde ad pacis longe maximum opus, ut quemadmodum Numa divini auctor iuris
fuisset, ita Seruium conditorem omnis in civitate discriminis ordinumque quibus inter gradus
dignitatis fortunaeque aliquid interlucet posteri fama ferrent. Censum enim instituit, rem
saluberrimam tanto futuro imperio, ex quo belli pacisque munia non viritim, ut ante, sed pro habitu
pecuniarum fierent; tum classes centuriasque et hunc ordinem ex censu discripsit, vel paci decorum
vel bello. [43] Ex iis qui centum milium aeris aut maiorem censum haberent octoginta confecit
centurias, quadragenas seniorum ac iuniorum; prima classis omnes appellati; seniores ad urbis
custodiam ut praesto essent, iuvenes ut foris bella gererent; arma his imperata galea, clipeum,
ocreae, lorica, omnia ex aere; haec ut tegumenta corporis essent: tela in hostem hastaque et gladius.
Additae huic classi duae fabrum centuriae quae sine armis stipendia facerent; datum munus ut
machinas in bello ferrent. Secunda classis intra centum usque ad quinque et septuaginta milium
censum instituta, et ex iis, senioribus iunioribusque, viginti conscriptae centuriae; arma imperata
scutum pro clipeo et praeter loricam omnia eadem. Tertiae classis in quinquaginta milium censum
esse voluit; totidem centuriae et hae eodemque discrimine aetatium factae; nec de armis quicquam
mutatum, ocreae tantum ademptae. In quarta classe census quinque et viginti milium, totidem
centuriae factae, arma mutata: nihil praeter hastam et verutum datum. Quinta classis aucta;
centuriae triginta factae; fundas lapidesque missiles hi secum gerebant; in his accensi cornicines
tubicinesque in duas centurias distributi; undecim milibus haec classis censebatur. Hoc minor
census reliquam multitudinem habuit; inde una centuria facta est, immunis militia. Ita pedestri
exercitu ornato distributoque, equitum ex primoribus civitatis duodecim scripsit centurias; sex item
alias centurias, tribus ab Romulo institutis, sub iisdem quibus inauguratae erant nominibus fecit.
Servio si accinse quindi ad un opera di pace di ineguagliabile portata, al punto che, come Numa era
stato autore del diritto divino, allo stesso modo Servio è ricordato dai posteri come il fondatore di
ogni distinzione in ordini all’interno del corpo civico, grazie alle quali si percepisce una gradazione
di dignità e di condizione.
Infatti istituì il censo, innovazione quanto mai salutare per un così grande futuro impero, in base al
quale censo i doveri civili e militari non furono più uguali per tutti, ma dipesero dalla condizione
patrimoniale; allora stabilì in base al censo classi e centurie e quest’ordinamento, conveniente sia
alla pace che alla guerra.
Con gli individui con un censo dai centomila assi in su formò ottanta centurie, quaranta di giovani e
quaranta di anziani. Tutti furono chiamati prima classe. Gli anziani dovevano essere pronti alla
difesa della città, i giovani dovevano sostenere le guerre esterne. Dovevano armarsi di elmo, scudo
rotondo, schinieri, corazza, tutte armi in bronzo a difesa del corpo. Come armi da offesa:
giavellotto, lancia lunga, spada corta. A questa classe furono aggiunte due centurie di fabbri che
prestavano servizio militare disarmati: il loro compito consisteva nel trasportare le macchine
belliche durante le operazioni di guerra.
La seconda classe comprendeva gli individui con un censo tra i centomila e i settantacinquemila
assi, e con questi furono arruolate venti centurie tra giovani e anziani; dovevano equipaggiarsi con
lo scudo rettangolare al posto di quello rotondo. Per il resto l’armamento era lo stesso, tranne la
corazza.
La terza classe aveva un censo minimo di cinquantamila assi, era composta dello stesso numero di
centurie, e con gli stessi criteri d’età, della seconda classe. Quanto all’armamento, furono solo
sottratti gli schinieri.
Nella quarta classe il censo minimo era di venticinquemila assi. Fu creato lo stesso numero di
centurie della seconda e terza classe, ma cambiava l’armamento: solo lancia lunga e giavellotto.
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La quinta classe fu aumentata: furono create trenta centurie equipaggiate con fionde e pietre da
lancio. In questa classe erano iscritti gli accensi e i suonatori di corno e di tuba, distribuiti in tre
centurie; il censo minimo di questa classe era di undicimila assi.
Il censo minore di questo comprendeva tutta la restante moltitudine, con la quale fu creata una sola
centuria, esente dal servizio militare.
Equipaggiata e distribuita così la fanteria, formò dodici centurie di cavalieri arruolate tra i
maggiorenti della città. Allo stesso modo creò sei altre centurie (di cavalleria), tre delle quali erano
state istituite da Romolo, e ad esse attribuì gli stessi nomi con i quali erano state consacrate dagli
àuguri.
(Cfr. Storia romana. Antologia delle fonti, I.2 T17)
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Livio, Ab Urbe condita, I 44, 1-2
Censu perfecto quem maturauerat metu legis de incensis latae cum uinculorum minis mortisque,
edixit ut omnes ciues Romani, equites peditesque, in suis quisque centuriis, in campo Martio prima
luce adessent. Ibi instructum exercitum omnem suouetaurilibus lustravit, idque conditum lustrum
appellatum, quia is censendo finis factus est. Milia octoginta eo lustro civium censa dicuntur; adicit
scriptorum antiquissimus Fabius Pictor, eorum qui arma ferre possent eum numerum fuisse.
Completato il censimento, che aveva portato a termine per il timore della legge sui non censiti
(incensi) che minacciava loro imprigionamento e morte, ordinò che tutti i cittadini romani, cavalieri
e fanti, ciascuno nella propria centuria, si presentassero alle prime luci dell’alba nel Campo Marzio.
Qui purificò (lustravit) col rito dei suovetaurilia l’esercito schierato; e ciò venne detto lustrum
conditum, poiché questo rappresentava la conclusione del censimento. Si dice che siano stati censiti
in occasione di quel ‘lustrum’ ottantamila cittadini; aggiunge il più antico degli scrittori Fabio
Pittore che questo era il numero di coloro che potevano portare le armi (eorum qui arma ferre
possent).
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Aulo Gellio, Noctes Atticae, VI, 13
Quem "classicum" dicat M. Cato, quem "infra classem". 1 "Classici" dicebantur non omnes, qui in
quinque classibus erant, sed primae tantum classis homines qui centum et viginti quinque milia
aeris ampliusve censi erant. 2 "Infra classem" autem appellabantur secundae classis ceterarumque
omnium classium, qui minore summa aeris, quod supra dixi, censebantur. 3 Hoc eo strictim notavi,
quoniam in M. Catonis oratione, qua Voconiam legem suasit, quaeri solet, quid sit "classicus", quid
"infra classem".
Qual è, secondo Catone, il significato di classici e infra classem: classici erano detti non tutti coloro
che erano divisi nelle cinque classi, ma soltanto quelli della prima classe, censiti per un patrimonio
del valore di centoventicinquemila assi o più. Erano detti infra classem quelli che appartenevano
alla seconda o alle altre classi, e che erano censiti per una somma inferiore a quella sopra detta. Ho
ricordato brevemente questo, perché nell’orazione di Marco Catone in favore della legge Voconia
[169 a.C.] si suole ricercare che cosa significhi “classicus”, che cosa “infra classem.”
(Cfr. Storia romana. Antologia delle fonti, I.2 T18)
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Dodici Tavole
Tav. I 4
(Aulo Gellio, Noctes Atticae, XVI 10, 5)
Adsiduo uindex adsiduus esto. Proletario ciui quis uolet uindex esto
L’adsiduus sia ‘garante’ per l’adsiduus; per il proletarius, chi vorrà sia garante
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Dodici Tavole
Tav. III 6
(Aulo Gellio, Noctes Atticae, XX 1, 49-50)
Tertiis nundinis partis secanto. Si plus minusue secuerunt, se fraude esto
Al terzo giorno di mercato (lo) facciano a pezzi. Se uno ha avuto più o meno, la cosa sia considerata
senza colpa (non fraudolenta).
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Varrone, de lingua Latina VII 105
Liber qui suas operas in servitutem pro pecunia quam debebat nectebat, dum solveret, nexus
vocatur, ut ab aere obaeratus.
Il libero che dà le sue giornate di lavoro in schiavitù per la somma di cui è debitore finché non ha
finito di pagare, è definito nexus, come pure obaeratus, dall’aes di cui è debitore
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Livio, Ab Urbe condita, IV 59.10-11
Additum deinde omnium maxime tempestiuo principum in multitudinem munere, ut ante
mentionem ullam plebis tribunorumue decerneret senatus, ut stipendium miles de publico acciperet,
cum ante id tempus de suo quisque functus eo munere esset.
Si aggiunse quindi la concessione più opportuna tra quelle fatte dai maggiorenti della città alla
plebe, e cioè che prima ancora che lo chiedessero i tribuni della plebe, il senato abbia deciso che i
soldati percepissero una paga dallo stato, mentre prima di allora ciascuno aveva svolto il suo
servizio a proprie spese.
(Cfr. Storia romana. Antologia delle fonti, I.4 T15)
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Livio, Ab Urbe condita, IV 60.5-6
His vocibus moverunt partem plebis; postremo, indicto iam tributo, edixerunt etiam tribuni auxilio
se futuros si quis in militare stipendium tributum non contulisset. Patres bene coeptam rem
perseueranter tueri; conferre ipsi primi; et quia nondum argentum signatum erat, aes graue plaustris
quidam ad aerarium conuehentes speciosam etiam conlationem faciebant.
Con queste parole i tribuni scossero una parte della plebe; dopo, quando ormai il tributo era stato
imposto, i tribuni dichiararono anche che avrebbero dato il loro sostegno a chi non avesse versato il
tributo per le truppe. I senatori difesero con forza l’opera ben intrapresa; essi stessi pagarono per
primi; e poiché allora non era ancora in uso la moneta d’argento, trasportando con i carri gli assi da
una libbra all’erario, rendevano la contribuzione ancora più appariscente.
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(Cfr. Storia romana. Antologia delle fonti, I.4 T16)
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Livio, Ab Urbe condita, V 30.8-9
Adeoque ea uictoria laeta patribus fuit, ut postero die referentibus consulibus senatus consultum
fieret ut agri Veientani septena iugera plebi diuiderentur, nec patribus familiae tantum, sed ut
omnium in domo liberorum capitum ratio haberetur, uellentque in eam spem liberos tollere.
Tale successo riuscì così gradito ai senatori che il giorno dopo, su proposta dei consoli, il Senato
approvò un decreto con il quale si assegnavano alla plebe, nell’agro veientano, lotti di sette iugeri e
non soltanto ai padri di famiglia ma in modo che si tenesse conto in ogni casa di tutti gli uomini
liberi e con questa aspettativa si fosse invogliati ad allevare figli.
(Cfr. Storia romana. Antologia delle fonti, I.4 T17)
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Livio, Ab Urbe condita, VIII 14.2-12 passim
Principes senatus relationem consulis de summa rerum laudare sed, cum aliorum causa alia esset, ita
expediri posse consilium dicere, [si] ut pro merito cuiusque statueretur, [si] de singulis nominatim
referrent populis. relatum igitur de singulis decretumque. Lanuuinis ciuitas data sacraque sua
reddita, cum eo ut aedes lucusque Sospitae Iunonis communis Lanuuinis municipibus cum populo
Romano esset. Aricini Nomentanique et Pedani eodem iure quo Lanuuini in ciuitatem accepti.
Tusculanis seruata ciuitas quam habebant crimenque rebellionis a publica fraude in paucos auctores
uersum. in Veliternos, ueteres ciues Romanos, quod totiens rebellassent, grauiter saeuitum... et
Antium noua colonia missa, cum eo ut Antiatibus permitteretur, si et ipsi adscribi coloni uellent;
naues inde longae abactae interdictumque mari Antiati populo est et ciuitas data. Tiburtes
Praenestinique agro multati neque ob recens tantum rebellionis commune cum aliis Latinis crimen
sed quod taedio imperii Romani cum Gallis, gente efferata, arma quondam consociassent. ceteris
Latinis populis conubia commerciaque et concilia inter se ademerunt. Campanis equitum honoris
causa, quia cum Latinis rebellare noluissent, Fundanisque et Formianis, quod per fines eorum tuta
pacataque semper fuisset uia, ciuitas sine suffragio data. Cumanos Suessulanosque eiusdem iuris
condicionisque cuius Capuam esse placuit.
Fu dunque fatta una relazione sui singoli popoli, con relative decisioni: agli abitanti di Lanuvio fu
data la cittadinanza e restituite le proprie cerimonie sacre, con la clausola che il tempio ed il bosco
sacro di Giunone Sospita fossero condivisi dal municipio di Lanuvio e dal popolo Romano. Gli
abitanti di Aricia, Nomento e Pedo ottennero la cittadinanza in base agli stessi diritti degli abitanti
di Lanuvio. Gli abitanti di Tuscolo mantennero la cittadinanza che avevano prima e l'accusa di
ribellione, da delitto collettivo, fu modificato a capo d'accusa per poche persone. Ci si accanì in
maniera particolare contro gli abitanti di Velletri, cittadini romani di vecchia data, che si erano
ribellati tante volte. (…) Ad Anzio fu inviata una nuova colonia, con la condizione che a questo
popolo fosse concesso di farne parte, se lo volevano, come coloni; agli Anziati furono portate via le
navi lunghe: fu vietato loro di navigare e fu concessa la cittadinanza. Agli abitanti di Tibur e di
Preneste fu confiscato il territorio e non soltanto per la recente accusa di ribellione, condivisa
insieme agli altri popoli latini, ma perché, stanchi del potere romano, si erano una volta alleati con i
Galli, popolo barbaro. Agli altri popoli latini furono tolti i reciproci diritti di matrimonio,
commercio e riunione. Ai Campani, a titolo di onore per i loro cavalieri, in quanto non si erano
voluti ribellare coi Latini, ai Fondani e Formiani perché la via che passa nel loro territorio era
rimasta sempre sicura e tranquilla, fu concessa la cittadinanza senza diritto di voto. Fu deciso che
gli abitanti di Cuma e Suessula avessero la stessa condizione giuridica di quelli di Capua.
(Cfr. Storia romana. Antologia delle fonti, I.3 T16).
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