Versione 3.0/2015 Questo volume è stato redatto nell’ambito di un progetto dell’editore Garamond, che tuttavia non ha più inteso portarlo avanti ed ora ha cessato l’attività editoriale (marzo 2015) Terza edizione (riveduta, corretta e aggiornata) © Angelo Conforti, 2015 www.angeloconforti.it Cod. ISBN Volume 1 978-88-86180-82-5 Percorsi della filosofia Indice INDICE GENERALE INTRODUZIONE ...................................................................................................................................................... 6 SEZIONE 1 – LA FILOSOFIA ANTICA ................................................................................................................. 8 UNITÀ DIDATTICA 1. LE ORIGINI DELLA FILOSOFIA ......................................................................................... 9 CAPITOLO 1. UNA NUOVA FORMA DI SAPERE ............................................................................................. 9 PARAGRAFO 1. AMORE PER LA SAPIENZA ...................................................................................................................9 PARAGRAFO 2. LA GRECIA ANTICA ...............................................................................................................................11 PARAGRAFO 3. LE CAUSE DELLA NASCITA DELLA FILOSOFIA .............................................................................11 PARAGRAFO 4. LA CULTURA DELLA GRECIA ANTICA .............................................................................................12 PARAGRAFO 5. LE FONTI DELLA FILOSOFIA ANTICA...............................................................................................13 CAPITOLO 2. LA NASCITA DELLA FILOSOFIA .............................................................................................. 15 PARAGRAFO 1. LA RICERCA DELLA SOSTANZA ORIGINARIA ...............................................................................15 PARAGRAFO 2. TALETE DI MILETO................................................................................................................................16 PARAGRAFO 3. ANASSIMANDRO DI MILETO ..............................................................................................................17 PARAGRAFO 4. ANASSIMENE DI MILETO.....................................................................................................................18 CAPITOLO 3. DALLA SOSTANZA ALLA STRUTTURA: LA LOGICA E LA MATEMATICA ...................... 21 PARAGRAFO 1. ERACLITO DI EFESO ............................................................................................................................21 PARAGRAFO 2. PITAGORA DI SAMO E LA SUA SCUOLA .........................................................................................24 CAPITOLO 4. L’ESSERE, IL PENSIERO E IL LINGUAGGIO ........................................................................ 28 PARAGRAFO1. LA SCUOLA DI ELEA ..............................................................................................................................28 PARAGRAFO 2. SENOFANE DI COLOFONE .................................................................................................................28 PARAGRAFO 3. PARMENIDE DI ELEA............................................................................................................................29 PARAGRAFO 4. ZENONE DI ELEA...................................................................................................................................32 PARAGRAFO 5. MELISSO DI SAMO ................................................................................................................................34 CAPITOLO 5. LA RICERCA DI UNA SINTESI: I PLURALISTI ...................................................................... 36 PARAGRAFO 1. RAGIONE ED ESPERIENZA: UNA CONTRADDIZIONE RISOLVIBILE ........................................36 PARAGRAFO 2. EMPEDOCLE DI AGRIGENTO .............................................................................................................37 PARAGRAFO 2. ANASSAGORA DI CLAZOMENE .........................................................................................................39 PARAGRAFO 3. LEUCIPPO DI MILETO E DEMOCRITO DI ABDERA .......................................................................41 Percorsi della filosofia Introduzione Introduzione «[...] la filosofia va studiata non per amore delle precise risposte alle domande che essa pone, poiché nessuna risposta precisa si può, di regola, conoscere per vera, ma piuttosto per amore delle domande stesse; perché queste domande allargano la nostra concezione di ciò che è possibile, arricchiscono la nostra immaginazione e intaccano l’arroganza dogmatica che preclude la mente alla riflessione; ma soprattutto perché, grazie alla grandezza dell’universo che la filosofia contempla, anche la mente diviene grande, ed è resa capace di quella unione con l’universo che costituisce il suo massimo bene». Bertrand Russell, The problems of Philosophy, Oxford, 1957 La filosofia è soprattutto ricerca. Studiare filosofia non ha lo scopo di imparare dei contenuti già pronti da memorizzare e ripetere. Ha soprattutto lo scopo di scoprire quell’interesse per la ricerca che ha appassionato tanti esseri umani prima di noi. Ogni ricerca nasce da una mancanza. Si cerca ciò di cui si ha bisogno. Si cerca ciò che può soddisfare il nostro bisogno. Si cerca qualcosa che ci faccia sentire almeno in parte appagati; ma non del tutto, perché ogni scoperta fa nascere nuovi bisogni, nuove curiosità, nuovi interessi. Ciò che appaga i nostri bisogni e ci spinge a cercare altri appagamenti più intensi è l’amore. La filosofia è ricerca della conoscenza. La filosofia è stata fin dall’inizio amore della conoscenza. La filosofia è quindi una forma di amore (amore per la sapienza, significa il termine greco). Imparare la ricerca filosofica è un po’ come imparare ad amare. Amare e conoscere sono collegati molto strettamente: si ama più intensamente ciò che si conosce e si vuole conoscere più a fondo ciò che si ama. La filosofia come l’amore è bisogno, ricerca, appagamento, è amore anch’essa. La filosofia, come l’amore, nasce dalla meraviglia ed è fonte continua di meraviglia. Questo libro vorrebbe insegnare quella forma di amore che è la filosofia, che appaga e che fa nascere nuovi bisogni, curiosità, interessi, e nuovi desideri di appagamento, nuova meraviglia per scoperte sempre più meravigliose. Come l’amore, la filosofia colma le nostre mancanze, cura le nostre insicurezze, allevia le nostre fragilità. Come l’amore, la filosofia si prende cura di noi, della nostra anima, della nostra psiche, è innanzitutto cura dell’anima. Un manuale di filosofia come questo vuol essere un manuale d’amore per l’anima e per la psiche. Filosofia è una materia di scuola, ma vuol esserlo nel senso più profondo del termine: scuola nel greco antico è il tempo libero, il tempo della libertà, il tempo in cui ci si dedica alle proprie passioni. La filosofia vuole coltivare questa libertà, queste passioni, per riscoprire il più profondo significato della scuola: non un imparare forzato e meccanico, ma coltivare se stessi, la propria anima, la propria identità, per diventare ciò che si è. Per riscoprire il senso profondo di una possibile autentica scuola di filosofia pensiamo che occorrano alcuni requisiti su cui abbiamo cercato di costruire questo manuale: Un metodo adatto a comprendere i concetti e le strutture logiche fondamentali; Un linguaggio comprensibile in cui il lessico tecnico sia adeguatamente spiegato; Un’identificazione chiara dei problemi che la filosofia affronta; Una ricostruzione storica dello sviluppo della ricerca filosofica; Un continuo riferimento alla realtà e all’esperienza vissuta; Una struttura a moduli che permetta di costruire percorsi diversificati nell’ambito della ricerca filosofica e della sua storia, sulla base dei diversi interessi che possono nascere e svilupparsi; Un costante riferimento ai testi dei filosofi, con la possibilità di intraprendere percorsi di approfondimento dei problemi su cui la ricerca si è incentrata nel corso del tempo; al modulo-base del manuale si affiancano, pertanto: o schede di approfondimento, o materiali multimediali integrativi ed interattivi, 6 Percorsi della filosofia o Introduzione schede per la verifica e la valutazione. In questo modo riusciremo forse a risvegliare l’interesse e la curiosità degli studenti, quella meraviglia che è all’origine della ricerca filosofica, dell’amore per la conoscenza, dell’amore per la vita. Certo, nessun manuale, di per sé, può fare miracoli. Quel che conta soprattutto è la mediazione del docente, perché la filosofia è soprattutto dialogo e maieutica, come ci hanno insegnato proprio i filosofi. Al fine di conseguire questi risultati, molti sono i mezzi, tutti utili e forse anche indispensabili, purché utilizzati in modo complementare e diversificato, puntando soprattutto a fare dello studente il reale protagonista della ricerca/apprendimento, coinvolgendolo nelle attività, avviandolo su percorsi di approfondimento personali, incentivando la sua autonomia, sollecitando le capacità logiche e il pensiero critico. Soltanto se la voglia di farsi domande e di cercare le risposte liberamente, senza accontentarsi delle soluzioni troppo facili e scontate, diventerà un’avventura personale per gli studenti, avremo raggiunto l’obiettivo. Angelo Conforti, 23 Dicembre 2009 7 Percorsi della filosofia Sezione 1 Sezione 1 – La filosofia antica La filosofia è nata come una nuova forma di sapere, nei territori popolati dai Greci, tra il VII e il VI secolo a.C., dove si è progressivamente sostituita all’antica sapienza miticoreligiosa. Si è sviluppata rapidamente in tutta l’area mediterranea, affrontando tutti gli aspetti della conoscenza della realtà e della vita pratica nel le sue complesse sfumature, individuali e sociali. Con il tramonto del dominio greco e della cultura ellenistica, la filosofia ha permeato di sé la cultura romana fino al suo crepuscolo nel III/IV secolo d.C. In questa sezione percorreremo tutto questo prodigioso sviluppo attraverso i problemi che il pensiero filosofico ha affrontato e cercato di risolvere nel corso del tempo, generando ulteriori problemi da esaminare e producendo un costante ampliamento delle capacità analitiche e sintetiche della mente umana. Le origini della filosofia Dall’ontologia all’antropologia Platone e l’eredità di Socrate Aristotele L’ellenismo e l’età romana Il neoplatonismo e il tramonto della filosofia antica Raffaello Sanzio, La Filosofia, Stanza della Segnatura, Palazzo del Vaticano, 1509-1511 8 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 1 UNITÀ DIDATTICA 1. LE ORIGINI DELLA FILOSOFIA PREREQUISITI [ Avere acquisito capacità di comprensione di concetti semplici – Avere acquisito un metodo di studio rigoroso e sistematico – Avere acquisito conoscenze storiche di base - Avere acquisito la conoscenza di alcuni lessici specifici delle discipline, in particolare quelle storiche ] OBIETTIVI [ Conoscenza dei problemi della filosofia delle origini – Conoscenza degli argomenti fondamentali della ricerca filosofica delle origini – Conoscenza del lessico specifico della disciplina ] CAPITOLO 1. UNA NUOVA FORMA DI SAPERE I Greci o Elleni divennero tra il XIII e l’VIII secolo a.C. la più grande potenza navale, commerciale e politica del Mediterraneo. Dalla penisola greca in cui si erano insediate le prime popolazioni elleniche vi era stata nel 1200 a.C. una migrazione verso le coste dell’Asia Minore (l’attuale Turchia) di una tribù ellenica (quella degli Ioni) che fonderà numerose colonie costiere, in luoghi pressoché disabitati ma strategici per le future e intense vie commerciali tra Oriente e Mediterraneo. Nella Ionia greca si costruiranno porti sull’Egeo e fioriranno la navigazione e il commercio. Un nuovo ceto di scienziati ed intellettuali cresce in parallelo con le nuove esigenze di sviluppo delle città, delle scienze di supporto alle tecniche marittime (l’astronomia, la meteorologia, la geografia) e commerciali (la matematica). A Mileto, il più grande porto commerciale della Ionia, la «capitale» finanziaria e «morale» della federazione, nacque tra il VII e il VI secolo a.C. una nuova forma di sapere che presto assumerà il nome di «filosofia» (amore per la sapienza) e si diffonderà in tutto il Mediterraneo, dove i Greci fonderanno altre colonie, sulla costa settentrionale africana e, soprattutto, sulle coste meridionali della penisola italica. PARAGRAFO 1. AMORE PER LA SAPIENZA La parola «filosofia» significa «amore per la sapienza». Essa è, dunque, una forma di sapere particolare, che presenta alcune caratteristiche che si ritrovano nel corso del suo secolare sviluppo sempre collegate tra loro, anche se con importanza variabile. La meraviglia e la ricerca. Innanzitutto la filosofia non è possesso del sapere, ma è soltanto amore di esso: ciò significa che la filosofia è soprattutto ricerca. Ogni ricerca nasce dalla consapevolezza di un mistero da svelare, di un problema da risolvere, di una domanda a cui dare risposta. Aristotele, un filosofo che studieremo più avanti ( Unità 4), è stato anche il primo storico della filosofia e per spiegarne l’origine ha scritto: «Gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come in origine, a causa della meraviglia: mentre da principio restavano meravigliati di fronte alle difficoltà più semplici, in seguito, progredendo a poco a poco, giunsero a porre problemi sempre maggiori, come i problemi riguardanti i fenomeni della luna e quelli del sole e degli astri e i problemi riguardanti l’origine dell’intero universo» (Aristotele, Metafisica, I, 2, 982b). La meraviglia di fronte a noi stessi, agli altri, al mondo, alla natura, all’universo è l’origine della filosofia. Dalla meraviglia nasce la curiosità e questa spinge a porsi domande. E da ogni domanda che trova una possibile risposta nascono altre domande. La ricerca non ha mai fine. L’osservazione. La filosofia nasce dall’osservazione della realtà che percepiamo. La ricerca non ha limiti prefissati, perciò tutti gli aspetti della realtà possono suscitare stupore e meraviglia, spingere ad estendere e approfondire la propria curiosità e ad osservare sempre più attentamente. Il ragionamento. La filosofia si avvale del ragionamento. Lo sviluppo del ragionamento concreto, il possesso e l’utilizzo di conoscenze di pronto utilizzo pratico, la capacità di affrontare e risolvere problemi della vita quotidiana, hanno affinato nel tempo le capacità logiche e razionali della mente umana, che è così divenuta capace di astrarre e di 9 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 1 elaborare una conoscenza teorica generale, adatta alla soluzione di tutti i problemi possibili. L’astrazione è un fondamentale strumento per ordinare, catalogare e valutare casi concreti, inserendoli in categorie generali. La filosofia possiede tale caratteristica in misura massima e la trasmette a tutte le altre scienze teoriche, o teoretiche come si dirà, che da essa deriveranno. La teoria (o la teoresi) serve per organizzare meglio il mondo, per gestire i problemi pratici in modo più efficace. Il Tutto. La filosofia, essendo ricerca che non si pone limiti, ha subito chiaro il concetto di Totalità, di tutto ciò che esiste e che può esistere. La filosofia è, fin dall’inizio, ricerca dell’origine, del significato, della struttura, delle leggi di funzionamento del Tutto. La metafisica. La filosofia, ricerca razionale e teorica senza limiti, fondata sull’osservazione della realtà che percepiamo, è in grado di portarsi oltre ciò che semplicemente percepiamo. È in grado di indagare la Totalità, di interrogarsi su ciò che non è percepibile, per cercare di comprenderlo, con ipotesi o tentativi di dimostrazione. Se ciò che percepiamo sono sempre delle parti di realtà, il Tutto non è mai percepito. Ma con la ragione si può ipotizzarne il senso, l’origine, la struttura, le leggi e i meccanismi che lo fanno funzionare. La filosofia è, fin dall’inizio, metafisica, poiché non si interroga solo sulla dimensione fisica e percepibile, ma indaga su Tutto ciò che esiste e può esistere, ciò che sta oltre la percezione fisica. «Metafisica» è una parola nata quasi per caso 1, ma ormai significa: «ciò che sta oltre la dimensione fisica» ( Glossario). Tutto ciò che è. La filosofia si occupa del Tutto, ma si occupa anche di tutto, di tutte le cose che sono. Nel senso che la filosofia tende a suddividersi ed articolarsi in tanti settori, quanti sono quelli della realtà che studia e indaga: l’essere, il vivere, il conoscere, il pensare, il parlare, l’agire, l’arricchirsi, l’associarsi, l’organizzare uno stato, il governare, lo stabilire leggi, l’educare, il giudicare, il punire, ecc. sono tutti problemi, insieme a molti altri, che la filosofia cerca di affrontare. La ricerca della verità. La filosofia non è però ricerca della conoscenza fine a se stessa. È lo stesso Aristotele a dirci che il possesso della filosofia conduce nello «stato contrario» a quello costituito dalla meraviglia, conduce cioè alla conoscenza e alla soluzione dei problemi da cui la meraviglia è sorta. Lo scopo della filosofia è, infatti, la ricerca della verità. È un tema, questo, che si chiarirà con lo sviluppo degli argomenti del corso. Ma già possiamo dire che per i Greci antichi, che hanno inventato la filosofia, la parola verità non ha esattamente lo stesso significato che ha avuto, e forse possiede ancora, per noi occidentali. Essi la indicavano con la parola alètheia, che alla lettera significa «non nascondimento». Possiamo approssimare un significato del tipo «svelamento». La verità è oggetto di ricerca, è un progressivo svelamento della realtà. Non è oggetto di rivelazione dall’alto. Non è oggetto di fede. Non è un possesso certo e definitivo. Può essere continuamente rimessa in discussione. Il dialogo. La filosofia, infatti, è discussione, dibattito, dialogo. È libero pensiero. Non c’è in filosofia qualcosa che si tramanda per tradizione, sulla base di un’autorità. La filosofia è sviluppo di concetti, che si collegano e si relazionano tra loro, cambiano significato o sfumatura di significato, si approfondiscono o si adattano a nuove realtà. Il filosofo non elabora teorie in solitudine. Affronta problemi reali del suo tempo, si confronta con le ipotesi di soluzione di quegli stessi problemi elaborate da altri, le discute, le rielabora, magari le confuta o le conferma e le sviluppa in modo personale, alla luce di nuove osservazioni o considerazioni. Le «scuole» filosofiche. La filosofia è fatta di scuole. Essendo dibattito, la filosofia tende a svilupparsi tra gruppi umani interessati ad approfondire e discutere certi problemi, ipotizzando soluzioni diverse. Sono esistite vere e proprie scuole filosofiche, istituzioni che avevano una sede fisica, in cui vi erano maestri e allievi, lezioni aperte al pubblico e lezioni riservate agli allievi interni, gruppi di ricerca che approfondivano e sviluppavano le teorie di base. Ma vi sono state sempre scuole nel senso informale della parola, «scuole di pensiero»: filosofi legati tra loro da affinità o interessi 1 Fu Andronico, l’editore delle opere di Aristotele, a pubblicare nel I sec. d.C. i volumi che trattavano di argomenti «metafisici» (Aristotele chiamava quei volumi la «filosofia prima») dopo quelli che trattavano di fisica. Così li chiamò «tà metà tà physiká», che significa «dopo la fisica». Ma metà significa anche «oltre»: così si è generata questa nuova parola che ha dato per sempre il titolo all’opera di Aristotele e al termine che noi oggi usiamo per definire ciò che sta oltre la realtà materiale. 10 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 1 simili che si sono confrontati tra loro e si sono inseriti in un movimento culturale, o vi hanno dato vita. Le primissime scuole filosofiche sono di questo secondo tipo. La scienza. La filosofia è scienza. I Greci antichi la chiamavano epistème, che significa «ciò che sta su un fondamento stabile». Essa si oppone alla dimensione delle conoscenze incerte, discutibili, l’opinione, in greco la doxa ( Glossario). La ricerca, la discussione, le scuole producono risultati certi, indiscutibili o quasi. Tutti quei problemi che la filosofia risolve e tutti quei campi della realtà che sono conosciuti in modo quasi definitivo, tendono a diventare poi oggetto di una scienza particolare. È quel che è successo con l’astronomia e con la fisica, dopo che il filosofo Galilei nel XVII secolo ha risolto alcuni problemi generali, che hanno aperto la via a quelle scienze particolari. E la filosofia continua la sua strada, instancabile esploratrice di mondi ignoti, alla ricerca di altri misteri da svelare, di altri limiti da superare, di altri problemi da risolvere. La vita pratica. La filosofia si applica alla vita pratica. Affrontando i problemi posti dall’esistenza di tutte le cose, dalla vita umana e sociale in tutti i suoi aspetti, dalle piccole difficoltà quotidiane, le teorie psicologiche, morali, economiche, educative, politiche, e tante altre ancora, servono a fornirci indicazioni generali per districarci nella realtà di tutti i giorni, come individui, come società, come umanità. La filosofia e la storia. La filosofia, come ogni altra attività umana, si sviluppa nella storia. Come riconoscerà un importante filosofo dell’Ottocento, il tedesco Georg Wilhelm Friedrich Hegel ( Volume 2, Sezione 3, Unità 2), tutto è storico, tutto ciò che è naturale e spirituale esiste nel tempo ed è l’espressione della propria epoca, ogni individuo ed ogni realtà sono figli del proprio tempo e la stessa filosofia non è altro che il proprio tempo compreso con il pensiero. Perciò questa è una storia della filosofia, disciplina che si può, e forse in parte si deve, studiare anche per problemi (come faremo utilizzando apposite schede di approfondimento), ma senza mai perdere di vista il contesto complessivo in cui tali problemi sono nati e sono stati, volta a volta, affrontati dalla riflessione teoretica e dai suoi sviluppi nel tempo. PARAGRAFO 2. LA GRECIA ANTICA Questa nuova forma di sapere è nata sulle coste dell’attuale Turchia, nelle colonie fondate da una tribù di stirpe ellenica che proveniva dalla penisola greca, in particolare dall’Attica, dove sorge l’odierna capitale Atene ( Mappa 1). Nella madre patria prevaleva un’organizzazione aristocratica della società, fondata sui principî della forza, del valore militare, dell’onore, dell’eroismo. L’assetto economico era incentrato sulla proprietà terriera, l’agricoltura e , soprattutto, la pastorizia. Tutta la vita sociale, culturale e religiosa si svolgeva nella città, la polis, governata dai migliori (gli áristoi), che avevano sviluppato una concezione della virtù competitiva e guerriera, sulla cui base esercitavano un potere collegiale o, talvolta, tirannico. Ma nelle colonie di quella che i Greci chiamarono Ionia le cose andavano diversamente. Intanto esse nascevano nelle zone costiere e presto diventavano centri portuali attraverso i quali si svolgeva l’intenso commercio tra Mediterraneo e Oriente, avviato in precedenza dai Fenici. I Greci delle colonie, che erano stati pastori e contadini, si trasformarono ben presto in commercianti e navigatori. Coniarono monete metalliche e ciò facilitò enormemente gli scambi commerciali, modificando le gerarchie sociali. Le aristocrazie terriere e i ceti agrari venivano soppiantati e il potere economico cominciò a passare nelle mani dei nuovi ceti artigiani e mercantili, una sorta di «borghesia» dell’antichità. Dai Fenici i Greci appresero anche l’alfabeto e lo modificarono opportunamente con l’introduzione delle vocali. Tale conquista, che già metteva in luce la genialità greca, fu di enorme valore in seguito. I mercanti la diffusero rapidamente in tutto il Mediterraneo ellenico. Essa aveva , infatti, un’importante finalità pratica per l’attività commerciale, ma presto il suo influsso sulla possibilità di sviluppare la cultura e l’educazione si rivelò fondamentale. La società greca si era fondata per secoli sulla trasmissione orale della cultura e, come vedremo, l’oralità continuerà ad avere grande valore. Ma la scrittura alfabetica permetteva un salto di qualità dagli effetti incalcolabili. PARAGRAFO 3. LE CAUSE DELLA NASCITA DELLA FILOSOFIA C’è chi sostiene che sulle vie commerciali tra Est e Ovest, al cui centro si trovavano i porti ionici e attraverso le quali transitano uomini e idee, siano arrivate dal lontano Oriente anche alcune teorie filosofiche, che gli Ioni avrebbero fatto proprie. Ma la sapienza orientale ( Approfondimenti) ha una base etico - religiosa, cioè contiene dei precetti di vita: è 11 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 1 soprattutto una saggezza, secondo la definizione che ne darà Aristotele in seguito ( Unità 4, Capitolo 3, Paragrafo 1). Inoltre, anche gli aspetti metafisici della sapienza orientale hanno un carattere di verità rivelata da una casta sacerdotale e tendono ad assestarsi in una tradizione, a cui si appartiene per fede2. La filosofia, invece, è ricerca e pensiero libero. Se alcuni temi presentano analogie, l’approccio e il metodo sono profondamente diversi. Del resto, anche in campo religioso, in Grecia, vigeva una sorta di libertà di culto, che predisponeva al pensiero autonomo. La mancanza di una casta sacerdotale, la funzione più che altro civile della religione, lo stesso politeismo, favorivano una notevole varietà di approcci al culto religioso: ogni città aveva i propri dèi prediletti e protettori, nonché i propri templi «specializzati». Nuovi ceti. Perché, dunque, la filosofia è nata nella Grecia ionica? Innanzitutto, il potere dell’aristocrazia andava scemando e si stavano facendo esperienze di qualcosa di simile alla democrazia. Nell’acropoli della polis greca si concentra ancora il potere politico, religioso e militare, espressione dell’antica aristocrazia guerriera e dei suoi valori tradizionali, fondati sulla virtù (aretè) dei migliori (áristoi), ma nella città bassa, nelle zone del porto e del mercato, brulica il nuovo potere economico, quello del demos urbano, il popolo, che frequenta l’agorà, la piazza dove si svolgono i nuovi traffici e dove discuteranno i filosofi dei secoli successivi. 3 Questo nuovo ceto di mercanti e navigatori attraversa il mare, frequenta varie città, entra in contatto con civiltà diverse, scopre nuove mentalità e tradizioni. E così impara l’arte della distinzione tra gli aspetti diversi della realtà, l’arte del confronto tra le opinioni e quella della discussione, da cui nascerà la filosofia. Insieme alle merci e agli uomini circolavano anche le esperienze tecnico-pratiche che i Greci appresero dagli altri popoli, gli Egizi, i Babilonesi, i Fenici, e che seppero trasformare in scienza: qualcosa di più di un sapere pratico, piuttosto una rigorosa sistemazione teorica delle conoscenze. Ciò avvenne ad opera di un nuovo ceto di intellettuali, che svilupparono quella curiosità scientifica (per l’astronomia, la meteorologia, la geografia, la matematica, l’ingegneria navale e quella idraulica, e altre conoscenze specifiche) il cui sviluppo poteva essere particolarmente utile per le classi medie di artigiani e mercanti, sempre più indaffarati. La lingua. La stessa lingua greca favoriva questo passaggio dalla conoscenza pratica alla sistemazione teorica. Essa infatti possiede gli articoli e ciò permette di sostantivare il verbo, di trasformare il predicato verbale in soggetto (l’essere, il pensare, il parlare, ecc.). Questa particolarità è molto importante, come vedremo, per costruire astrazioni teoriche che permettono di spiegare una molteplicità di casi concreti, o addirittura di spiegare tutto ciò che esiste. PARAGRAFO 4. LA CULTURA DELLA GRECIA ANTICA Inoltre, bisogna affermare che le basi delle filosofia si trovano anche nella stessa cultura greca precedente, in particolare nell’antica sapienza legata ai simboli divini di Apollo e Dioniso.4 Il mito. Aristotele afferma che «anche colui che ama il mito (philomythos) è in certo modo filosofo, giacché anche il mito viene a formarsi dalla meraviglia» (Aristotele, Metafisica, I,2,982b). Nella mitologia greca si trovano, infatti, innumerevoli riflessioni di ordine cosmologico, cioè sull’origine dell’universo, e di ordine morale, riguardo ai modelli di comportamento dell’uomo. Questo aspetto, in particolare, fu sviluppato soprattutto dai poeti, dagli aedi e dai rapsodi, che nella civiltà greca fungevano da educatori almeno fino al VI secolo a.C. Gli aedi, cantori di poemi, e i rapsodi, declamatori di poesie, rielaborarono il materiale mitologico tradizionale, proponendo modelli comportamentali che forgiarono l’antica cultura ellenica. Da questo ceppo di elaborazione culturale si sviluppò anche la fondamentale esperienza della tragedia, la cui funzione nella civiltà e in particolare nell’Atene del V secolo, destinata a diventare il centro della cultura filosofica, era molto rilevante ( Approfondimenti). I Sette Savi. La riflessione morale, la saggezza di vita, fu al centro dell’opera dei leggendari Sette Savi o Saggi. Tra di essi figura Solone (nell’immagine il suo busto, conservato nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli), un fondamentale legislatore di Atene, città greca che diventerà poi la «capitale» della filosofia, e Talete di Mileto, il primo filosofo della storia ( Approfondimenti, Sezione 1, Percorso 2). 2 3 4 Cfr. N. Abbagnano, 1966. Cfr. M. Vegetti, 1975. Cfr. N. Abbagnano, 1966; cfr. soprattutto G. Colli, 1973 Approfondimenti, Sezione 1, Percorso 1. 12 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 1 Così li elenca Platone, un grande filosofo che studieremo più avanti ( Unità 3): «Di questi vi era Talete di Mileto, Pittaco di Mitilene, Biante di Priene, il nostro Solone, Cleobulo di Lindo, Misone di Chene e per settimo si diceva ci fosse anche Chilone spartano» (Platone, Protagora, 343a). A Talete, per esempio, vengono attribuite le seguenti massime di saggezza: «Non abbellire la tua immagine; sia bello invece il tuo agire»; «Non esser ricco tramite l’ingiustizia»; «L’ignoranza è un vizio»; «Mantieni la misura»; «Non fidarti di tutti»; «Conosci te stesso». Quest’ultima massima assumerà un particolare significato nella filosofia successiva ( Unità 2) ma, in generale, sono tutti motti morali che anticipano una vera e propria riflessione sulle norme che regolano il comportamento umano, che non tarderà a svilupparsi nella filosofia greca, come vedremo. PARAGRAFO 5. LE FONTI DELLA FILOSOFIA ANTICA Ricostruire il pensiero degli antichi filosofi non è facile, almeno per i primi due secoli dello sviluppo della filosofia. Molti pensatori prediligevano ancora l’insegnamento orale, anche per una scelta ben precisa e motivata (ne parleremo). Inoltre quasi tutte le opere, in prosa o in versi, dei filosofi dei primi due secoli sono andate pressoché interamente perdute. Di alcune sono rimasti soltanto alcuni preziosi frammenti. Le fonti più attendibili sono costituite dalle opere dei due grandi filosofi del IV secolo a.C., Platone ( Unità 3, Capitolo 2) e Aristotele ( Unità 4). Di entrambi ci sono pervenute integralmente tutte le opere, che si possono tranquillamente acquistare ancor oggi in qualunque libreria o leggere nelle biblioteche. Le loro testimonianze, pur distanti nel tempo dall’epoca della filosofia delle origini, sono le più affidabili, soprattutto perché essi hanno potuto conoscere fonti più dirette o testimonianze più vicine nel tempo. Platone ha certamente conosciuto di persona alcuni fondatori, o maestri, o allievi delle primissime scuole filosofiche, come Parmenide o i Pitagorici, di cui diremo. Ciò vale in parte anche per Aristotele, allievo di Platone. L’altra fonte è costituita dai dossografi, cioè coloro che trascrivevano le opinioni dei filosofi (da dóxa, opinione, e graphia, scrittura). Essi però dipendono quasi tutti da Teofrasto, allievo di Aristotele, e quindi da lui in qualche modo influenzato. 13 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 1 Mappa 1. Nella foto satellitare, tratta da Google Maps, sono indicati i principali luoghi della filosofia antica, città di nascita di filosofi e sedi di scuole filosofiche: 1. La Ionia greca, dove si trovano le antiche città di Mileto, Efeso, Colofone, Clazomene, l’isola di Samo (sedi di scuole filosofiche o luoghi di nascita di filosofi); 2. L’antica colonia greca di Crotone; 3. L’antica colonia greca di Elea, oggi Velia, patrimonio dell’umanità, nel comune di Ascea (SA); 4. Agrigento, l’antica Akragas; 5. La zona della Calcidica e della Tracia, dove si trovano Abdera e Stagira; 6. Lentini, l’antica Leontinoi; 7. Atene, il centro culturale della filosofia greca: in zona si trovano anche Megara ed Elide; 8. Cirene, l’attuale Shahhat; 9. Alessandria d’Egitto, l’attuale Al Iskandariyah. 14 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 2 CAPITOLO 2. LA NASCITA DELLA FILOSOFIA Mileto, città commerciale e democratica, grande potenza egea nel VII e VI secolo a.C., fu la sede della prima scuola filosofica della storia. Tre grandi scienziati del tempo, personaggi di rilievo della città, ne accompagnarono lo sviluppo con le loro ricerche astronomiche, meteorologiche, geografiche e con le loro abilità tecniche. Essi, allargando gli orizzonti della loro ricerca e dei loro vasti interessi scientifici, furono artefici della nascita di quella nuova forma di sapere che si chiamerà filosofia, ponendosi il problema dell’origine di tutto ciò che esiste. PARAGRAFO 1. LA RICERCA DELLA SOSTANZA ORIGINARIA Aristotele, di cui abbiamo già parlato nel capitolo precedente, riferisce che Talete di Mileto (sulle coste della Ionia, antica colonia greca, attuale Turchia) sarebbe il fondatore di questa nuova forma di pensiero, logico e razionale, che si chiamerà filosofia. Secondo la sua testimonianza, «[…] la maggior parte dei primi filosofi ritennero che i soli principi di tutte le cose fossero di specie materiale, perché ciò da cui tutte le cose hanno l’essere, da cui derivano e in cui si risolvono, questo è da loro chiamato elemento, principio delle cose e perciò ritengono che nulla si produca e nulla si distrugga, perché una siffatta sostanza si conserva sempre» (Metafisica, I, 3, 983 b, 6). L’«arché». Gli antichi greci usavano la parola arché per indicare il «principio delle cose» di cui parla Aristotele. Le «cose» sono tutti gli esseri viventi e non viventi che esistono nello spazio e nel tempo, minerali, vegetali, animali, esseri umani, mari, montagne, pianure, stelle, pianeti, ecc.. Per APPROFONDIMENTO LESSICALE designare tutte le cose i greci antichi usavano la parola physis, che Arché. L’antica parola greca arché, significa natura. Per noi, oggi, la natura è intesa in generale come la ancor oggi, nell’etimologia di certe realtà materiale, fisica, appunto (parola che deriva proprio dal greco parole italiane, costruite proprio sulla physis). Per loro, invece, indicava tutte le «cose», Tutto. radice «arché», conserva almeno due Lo stesso concetto lo esprimevano con il termine kósmos, che di quei significati: ad esempio, la significa ordine. Essi riferivano tale termine a tutto l’universo, che parola «archeologia», indica lo studio consideravano una realtà ordinata: il cosmo (ordinato). Anche il delle civiltà antiche, più originarie; la cosmo, come la natura, indica, dunque, il Tutto. parola «monarchia», indica una forma Secondo l’esposizione aristotelica, l’arché è anche l’«elemento» di di governo, il governo di uno solo (un cui tutte le cose sono costituite, la «sostanza» di cui sono fatte. re, ad esempio). Quindi, è «ciò da cui tutte le cose hanno l’essere, da cui derivano e in cui si risolvono». Riassumendo, la parola arché per i primi filosofi significava: 1. L’origine, ciò da cui tutto ha inizio, il principio del Tutto; 2. L’elemento, la sostanza, la «materia» comune a tutte le cose che esistono; 3. Il principio del divenire, del cambiamento di tutte le cose, il «motore» che fa funzionare tutto il cosmo, tutta la natura: il governo del Tutto. L’eterno. Il testo di Aristotele ci dice ancora qualcos’altro: «ritengono che nulla si produca e nulla si distrugga, perché una siffatta sostanza si conserva sempre». Questa affermazione è la sintesi di un ragionamento: tutte le cose cambiano continuamente, si trasformano, nascono e muoiono, si producono e si distruggono. La natura diviene, cioè si modifica. Nel cosmo tutto è in movimento, nello spazio e nel tempo. L’arché, invece, è la sostanza da cui tutto deriva e a cui tutto ritorna, è l’elemento di cui tutte le cose sono fatte, è il motore di tutto ciò che accade. Perciò, l’arché non è soggetta al tempo, non nasce e non muore, non si produce e non si distrugge: in altre parole, è eterna. Secondo Aristotele, i primi filosofi scoprono la dimensione dell’eterno, di ciò che non cambia mai, che non diviene, ma si conserva sempre uguale a se stesso. Ciò che è derivato, la natura, il cosmo, diviene. Ciò che è originario, l’arché, non diviene, è immutabile. 15 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 2 PARAGRAFO 2. TALETE DI MILETO «Talete […] dice che è l’acqua - e per questo sosteneva che anche la terra sta sull’acqua: forse prese quest’ipotesi osservando che l’alimento di ogni cosa è umido, lo stesso calore deriva dall’umidità e di essa vive e ciò da cui le cose derivano è appunto il loro principio. È dunque di qui che egli trasse la sua ipotesi e dal fatto che i semi di tutte le cose TALETE. VITA E OPERE hanno una natura umida» (Aristotele, Metafisica, I, 3, 983 b, 6). Fu un influente uomo politico di Mileto Questa è la testimonianza aristotelica, in cui è contenuto anche il tra il VII e il VI secolo a. C. Nacque ragionamento, il processo logico che porta Talete alla conclusione: forse nel 640, oppure secondo altre l’arché è l’«acqua». Inoltre, stando a quel che dice Aristotele, il testimonianze nel 624. Visse fino al ragionamento nasce dall’osservazione dei fatti naturali. 547 circa. È ricordato tra i Sette Saggi Lo «scienziato» Talete, spirito di ingegnere, di astronomo e di (di cui abbiamo già parlato Capitolo matematico ( Approfondimenti, Sezione 1, Percorso 2), ragiona 1). Fu una specie di ingegnere prendendo spunto dai dati che la realtà gli mette a disposizione: idraulico, un astronomo, un grande tutto si nutre e vive dell’elemento umido e i semi di tutte le cose matematico, cui è stato attribuito il hanno natura umida. teorema che porta il suo nome e altri Il procedimento è quello che più ci interessa. Più del risultato, che quattro. Plutarco racconta in che modo verrà discusso dagli altri filosofi. Come abbiamo anticipato, in Talete utilizzò tale teorema ottenendo filosofia più delle risposte, che pure sono importanti, interessano le l’ammirazione del faraone d’Egitto, domande, i problemi, che possono avere soluzioni diverse e misurando l’altezza di una piramide progressive. Ma è un tema che dovremo approfondire. dalla sua ombra. Gli sono state attribuite delle opere di cui non è L’elemento umido originario. Dunque, l’elemento umido è: rimasto nulla. 1. l’origine da cui tutte le cose derivano, 2. la sostanza eterna, permanente e immutabile, identica in tutte le cose diverse e contrarie che costituiscono la natura e il cosmo, 3. il principio che, con le sue trasformazioni, produce e governa tutti i cambiamenti, la vita di tutte le cose. Esso allora forse non è proprio l’acqua che beviamo e in cui ci bagniamo, ma una sostanza appena un po’ più originaria, la sostanza umida non ancora del tutto differenziata. I quattro elementi fondamentali sono, infatti, diversi e contrari tra loro. Quindi uno di essi può originare gli altri solo se già in qualche modo li contiene. Ecco perché l’acqua di Talete forse è un elemento fluido più primitivo, più originario. L’acqua stessa, quella che beviamo e in cui ci bagniamo, deriva allora da questo primo elemento fluido e umido. Da esso derivano anche l’aria, il fuoco e la terra, cioè l’intero cosmo, l’intera natura. Talete, infatti, aveva sicuramente osservato che l’acqua si presenta anche allo stato gassoso e allo stato solido e così dà origine alle nubi, alla pioggia, ai venti. Quindi, forse ipotizzò che, evaporando e congelando, l’elemento umido originario generasse tutti gli altri elementi e, con i suoi cambiamenti, producesse tutte le trasformazioni della natura. Continua Aristotele nel passo già citato della sua Metafisica: «Alcuni poi pensano che anche i teologi più antichi, molto anteriori alla nostra generazione, ebbero le stesse opinioni sulla natura: essi cantarono che Oceano e Teti sono gli autori della generazione delle cose e dicono che gli dei giurano sull’acqua, chiamata Stige dai poeti; ora, ciò che è più antico merita maggior stima e ciò che merita più stima è il giuramento. Anche se si può dubitare che questa concezione della natura sia la più antica, non c’è dubbio che sia stato Talete a descrivere la causa prima delle cose in questo modo» (Aristotele, Metafisica). La ragione e il Tutto. Ecco perché Talete è il primo filosofo: non per quel che dice, ma per come lo dice. È il primo a porre il problema dell’origine di tutte le cose e poi ad affrontarlo con il tipico metodo filosofico (ne abbiamo già parlato Capitolo 1 Paragrafo 1) : osservazione e ragionamento. Ma, soprattutto, Talete è il primo filosofo perché cerca di spiegare il Tutto, non mettendo insieme alcune osservazioni particolari, ma utilizzandole per una spiegazione generale, globale, di tutte le cose: è una spiegazione fisica, materiale, come dice Aristotele; ma è anche una spiegazione metafisica (ne abbiamo già parlato Capitolo 1 Paragrafo 1), perché individua la dimensione dell’immutabile e la sua sostanza identica e permanente, al di là della realtà delle cose e degli eventi, la quale invece muta continuamente, assumendo forme sempre diverse. 16 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 2 PARAGRAFO 3. ANASSIMANDRO DI MILETO I quattro elementi fondamentali (acqua, aria , fuoco, terra) che compongono tutti i corpi della natura e del cosmo, cioè tutte le cose, sono diversi e contrari tra loro. Quindi uno di essi può ANASSIMANDRO. VITA E OPERE originare gli altri solo se già in qualche modo li contiene. Questo era Concittadino di Talete, ne fu seguace forse il ragionamento di Talete. in molti campi. Nacque nel 610 circa Anassimandro, suo probabile allievo, fa un passo avanti rispetto a e visse fino al 546 circa. Della sua questo ragionamento e lo perfeziona. vita si sa ben poco. Fu un grande Ammette che i quattro elementi materiali fondamentali (acqua, aria, astronomo, un geologo e geografo fuoco, terra) compongono tutte le cose e che sono diversi e contrari tra (disegnò la prima carta della Terra). loro. Ma ne deduce che nessuno di loro, preso da solo, può contenere La sua intuizione scientifica più tutti gli altri. Quindi, deve esistere una specie di super-elemento, che interessante è la formulazione di una contiene già in sé tutti gli altri, mescolati insieme. teoria evoluzionista di tutti gli esseri viventi. Gli vengono attribuite alcune L’ápeiron. Questo super-elemento, più originario, da cui gli altri opere di astronomia e, soprattutto, il elementi (acqua, aria , fuoco, terra) insieme a tutte le cose, derivano e trattato scientifico-filosofico Sulla a cui, insieme a tutte le cose, ritornano, lo chiama ápeiron. natura. È arrivato fino a noi solo un L’arché per Anassimandro è l’ápeiron, una mescolanza originaria di bellissimo frammento di poche righe. acqua, aria, fuoco, terra. Una mescolanza ancora non differenziata. La differenziazione avviene con la nascita dei quattro elementi e con la loro determinazione reciproca. Gli elementi sono diversi e contrari, cioè sono determinati. L’ápeiron è l’indeterminato. Essendo indeterminato, non può essere delimitato nemmeno dallo spazio e dal tempo. Quindi l’ápeiron è l’illimitato, l’infinito nello spazio e nel tempo, da cui derivano tutte le cose limitate, finite, che esistono nello spazio e nel tempo e che si trasformano continuamente, cioè divengono. Il divenire (nascere, crescere, modificarsi, morire) è caratteristica di tutte le cose della natura e del cosmo, l’immutabilità è caratteristica dell’arché, dell’ápeiron. L’armonia e l’ingiustizia. La dimensione originaria, quella dell’ápeiron, è anche perfetta armonia, equilibrio di tutte le cose mescolate insieme, fuse, e non divise, non separate, non ancora diversificate, non ancora contrarie ed opposte tra loro. La natura e il cosmo, dove tutte le cose nascono e si differenziano le une dalle altre, si pongono in contrasto o in opposizione le une con le altre, è disarmonia, è ingiustizia. La nascita, la separazione dall’ápeiron, è ingiustizia, è sopraffazione di una cosa sull’altra. La morte è l’espiazione dell’ingiustizia della nascita, la pena per la sopraffazione. La morte è il ritorno alla dimensione originaria dell’ápeiron, alla mescolanza con tutte le altre cose. Il tempo è l’ordine necessario mediante il quale si ristabilisce secondo un ciclo di nascita e morte, di produzione e distruzione, l’armonia originaria. L’ingiustizia compiuta con la nascita e la separazione, che hanno spezzato il legame con l’armonia originaria, viene riparata dalla morte, che ricongiunge ciò che era stato separato, ristabilisce l’armonia. Ciò avviene secondo necessità: perché è necessario, è giusto, che alla colpa della nascita si ponga riparo con la pena della morte. 17 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 2 È lo stesso Anassimandro, attraverso l’unico frammento che ci è giunto e che ci è stato tramandato da Simplicio, a descriverci questo ciclo cosmico con parole potenti ed evocative: «Principio degli esseri è l’infinito.... da dove infatti gli esseri hanno origine, lì hanno anche la distruzione secondo necessità: poiché essi pagano l’uno all’altro la pena e l’espiazione dell’ingiustizia secondo l’ordine del tempo» (Anassimandro, in Simplicio, De physica, 24, 13). Dunque, l’ápeiron è: 1. l’origine da cui tutte le cose derivano, separandosi e differenziandosi (in seguito a tale separazione e differenziazione tutto ciò che esiste nella natura e nel cosmo si evolve dall’indeterminato originario a forme sempre più determinate: è la prima teoria evolutiva della storia del pensiero scientifico-filosofico) 2. la sostanza eterna, permanente e immutabile, indeterminata e illimitata, fisica e «metafisica», identica in tutte le cose diverse e contrarie che costituiscono la natura e il cosmo, che da essa derivano e che ad essa ritornano, 3. il principio che, con le sue trasformazioni, necessarie secondo l’ordine del tempo, produce, dirige e governa tutti i cambiamenti, la vita di tutte le cose. PARAGRAFO 4. ANASSIMENE DI MILETO Anassimene, allievo di Anassimandro, suo continuatore nella ricerca scientifico-filosofica ionica, riparte dal risultato cui era giunto il suo maestro. L’arché è illimitata, è infinita: questo Anassimene lo riconosce. Ma qual è la sua forma originaria? Com’è fatta l’arché prima di trasformarsi in tutte le cose che esistono in natura, tutte le cose del cosmo? L’unico frammento di Anassimene che ci è pervenuto dice qualcosa che chiarisce tutto per chi ha compreso il percorso fatto fino ad ora dalla filosofia: «Come l’anima nostra, che è aria, ci sostiene, così il soffio e l’aria circondano il mondo intero». L’aria. Ecco, per Anassimene, l’ápeiron è l’aria. Questo significa che la forma originaria dell’arché, che si trasforma in tutte le altre cose, è la forma dell’aria. Forse ad Anassimene parve che l’aria fosse, tra i quattro elementi, ANASSIMENE. VITA E OPERE quello più immateriale, più sfuggente, più inafferrabile. L’aria è Allievo di Talete e di Anassimandro , ovunque, non si può contenerla in alcun modo. Tutto ciò che il nostro proseguì e sviluppò le loro ricerche. sguardo abbraccia, fino alle stelle più lontane, per il modo di vedere di Nacque nel 586 circa e visse fino al Anassimene, è immerso nell’aria. 528 circa (o forse fino al 525). Fu L’aria è anche in noi, è il soffio vitale, è il respiro, è l’anima, è la vita astronomo e meteorologo. Forse stessa, è il principio di movimento del corpo. scrisse anch’egli un trattato L’aria è anche il respiro dell’universo, l’anima del mondo, il soffio scientifico-filosofico Sulla natura e vitale di tutte le cose della natura e del cosmo, la vita che è ovunque. altre opere, di cui ci è rimasto solo In tutti questi sensi l’aria, la forma più originaria dell’arché, sembra la un importante frammento di poche più adatta a comprendere cos’è l’infinito, l’illimitato di cui parlava righe. Anassimandro. L’aria di Anassimene conserva, infatti, i caratteri dell’infinità e dell’illimitatezza che Anassimandro aveva attribuito all’arché. Inoltre, per Anassimene, vale lo stesso ragionamento fatto per l’acqua di Talete. 18 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 2 Essa forse non è proprio l’aria che entra nei nostri polmoni, ma una sostanza appena un po’ più originaria, la sostanza aerea non ancora del tutto differenziata. I quattro elementi fondamentali sono, infatti, diversi e contrari tra loro. Quindi uno di essi può originare gli altri solo se già in qualche modo li contiene. Ecco perché l’aria di Talete forse è un elemento aereo più primitivo, più originario. L’aria stessa, quella che respiriamo, deriva allora da questo primo elemento aereo. Da esso derivano anche l’acqua, il fuoco e la terra, cioè l’intero cosmo, l’intera natura. Dunque, l’elemento aereo (inteso sia come aria – aèr – che ha un significato meteorologico, sia come respiro, soffio vitale e anima – pneuma - con un significato fisiologico e persino spirituale) 5, è: 1. l’origine da cui tutte le cose derivano, 2. la sostanza eterna, permanente e immutabile, infinita ed illimitata, fisica e «metafisica», identica in tutte le cose diverse e contrarie che costituiscono la natura e il cosmo, che da essa derivano e che ad essa ritornano, 3. il principio che, con le sue trasformazioni, produce, dirige e governa tutti i cambiamenti, la vita di tutte le cose. Il contributo più originale e innovativo di Anassimene riguarda in particolare questo terzo significato dell’arché. Più degli altri due esponenti della «scuola» ionica di Mileto, egli si preoccupa di chiarire il «meccanismo» attraverso il quale la forma originaria dell’«aria» si trasforma in tutte le altre forme, diverse e contrarie, di tutte le cose che esistono nella natura e nel cosmo. Si preoccupa di spiegare in che modo l’«aria» sia il «motore» del divenire di tutto. L’aria è motore perché comprimendosi e dilatandosi diventa fredda e calda. Dall’aria nascono forme contrarie e diverse, il freddo e il caldo. La compressione produce la condensazione. La dilatazione produce la rarefazione. Sono dunque la condensazione e la rarefazione dell’aria a generare tutti gli altri elementi e tutte le cose. Dalla condensazione si producono l’acqua e la terra, dalla rarefazione il fuoco. Il principio del divenire. Per quel che sappiamo noi, sulla base delle poche testimonianze di cui disponiamo, nel pensiero di Talete e di Anassimandro questo punto della questione dell’arché non era chiarito. Lo si poteva spiegare solo sulla base del movimento originario dell’acqua e dell’ápeiron. L’arché, per entrambi i primi due filosofi, pur essendo in sé immutabile, non poteva essere immobile. Ma una risposta chiara e specifica non veniva fornita: Il problema andava affrontato in modo esplicito: come si genera il divenire? In che modo l’arché è anche governo del Tutto, meccanismo che trasforma tutte le cose? Anassimene risponde esplicitamente a questa domanda e questo è un suo merito evidente. La sua spiegazione puramente fisica, meccanica e quantitativa (fondata cioè sulla variazione della quantità di aria contenuta in un determinato spazio: espansione o compressione) avrà grandi influssi sulla successiva ricerca scientifica e filosofica. Con lui si chiude l’epoca della «scuola» di Mileto. La filosofia, questo nuovo modo di pensare nato in una grande città marittima e commerciale dell’Egeo, si espanderà in tutto il Mediterraneo e darà origine ad altre discussioni, ad altri problemi, a nuove conquiste del pensiero umano, a nuovi sviluppi delle nostre capacità logiche. Ne parleremo dal prossimo capitolo. L’ilozoismo. Prima di concludere questo capitolo, bisogna ancora ricordare che, come è evidente da quello che 5 Cfr. L. Geymonat, 1970. 19 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 2 abbiamo detto, i tre filosofi di Mileto considerano la natura, e il cosmo, un’unica entità vivente. Talete osserva prevalentemente i fenomeni della vita e da essi sviluppa la teoria dell’«acqua». Anassimandro concentra la sua attenzione sulla dinamica della vita e della morte. Anassimene, pur introducendo un principio esplicativo del movimento anche fisico-meccanico, parla del soffio vitale che circonda il mondo intero (l’anima cosmica) e che è, come la nostra anima, principio di vita. Questo modo di pensare alla natura come organismo vivente si chiama ilozoismo, che significa «materia animata» (dal greco hýle «materia», e zoé «vita»). 20 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 4 CAPITOLO 3. DALLA SOSTANZA ALLA STRUTTURA: LA LOGICA E LA MATEMATICA La filosofia, nata a Mileto, si sviluppa molto rapidamente nella Ionia e poi viene «esportata» nelle nuove colonie greche dell’Italia del Sud, quella che si chiamerà Magna Grecia. Eraclito di Efeso e Pitagora di Samo, il quale fonderà una scuola filosofica a Crotone, nell’attuale Calabria, approfondiscono il problema della ricerca dell’arché, spostando l’attenzione dall’individuazione della sostanza originaria, che occupò i filosofi di Mileto, alla ricerca della struttura originaria di tutto ciò che esiste. PARAGRAFO 1. ERACLITO DI EFESO Con l’esaurirsi della scuola di Mileto, che per più di un secolo aveva svolto un’opera di ricerca scientifica e filosofica di altissimo livello, l’interesse per il pensiero razionale si estese comunque nel resto della Ionia. In particolare, ad Efeso (l’attuale Selçuk, in Turchia), grande centro politico ed economico-commerciale poco distante da Mileto, si mise in luce Eraclito, detto l’«oscuro» per il suo stile ERACLITO. VITA E OPERE volutamente ricercato e aforismatico, costituito cioè di pensieri più o Eraclito nacque ad Efeso tra il 540 e meno lunghi, accostati gli uni agli altri sulla base di affinità tematiche. il 535 a.C. e visse fino al 480 o 475 Della sua opera ci sono giunti una notevole quantità di frammenti, che a.C. Era certamente di ceto ci permettono di ricostruire il suo pensiero con una certa sicurezza. aristocratico e di stirpe regale. Il riferimento quasi costante della sua riflessione filosofica è costituito Possediamo pochissime notizie sulla dai risultati della ricerca degli altri filosofi ionici, in particolare sua vita. Sembra che visse in Anassimandro e Anassimene. solitudine presso il tempio di Per entrambi la dimensione originaria, quella dell’ápeiron, che Artemide, dove lasciò in custodia il Anassimene pensa come aria infinita, è anche perfetta armonia, suo trattato filosofico Sulla natura, di equilibrio di tutte le cose mescolate insieme, fuse, e non divise, non cui ci sono giunti un discreto numero separate, non ancora diversificate, non ancora contrarie ed opposte tra di frammenti. Conobbe certamente le loro. È la sostanza identica, comune a tutte le cose che esistono nella opere dei filosofi di Mileto, con i quali natura e nel cosmo. Da tale sostanza identica tutte le cose si generano nel suo scritto discute a distanza. e si separano, nascendo. A tale sostanza identica tutte le cose si ricongiungono con la morte. Nel testo di Anassimandro, cui anche Anassimene si riferisce, la nascita, la separazione dall’ápeiron, è ingiustizia, è sopraffazione di una cosa sull’altra. Solo la morte è l’espiazione dell’ingiustizia della nascita, la pena per la sopraffazione. Perciò l’esistenza di tutte le cose diverse e mutevoli, il divenire della natura e del cosmo è ingiustizia, disarmonia; solo l’ápeiron è armonia ed equilibrio. Il lógos. Questo è il punto cruciale che segna la distanza di Eraclito dai filosofi di Mileto. Per segnare tale distanza Eraclito introduce il principio del lógos. Nel greco antico il termine significa sia «parola dotata di senso», sia «pensiero razionale». Eraclito sfrutta il termine in tutte le possibili sfumature di significato e ne amplia il campo di applicazione. Innanzitutto Eraclito interpreta il cosmo e la natura come lógos. Nel senso che il nuovo termine viene utilizzato quasi come fosse un sinonimo dei termini kósmos e physis. Cosa significa? Per Eraclito non ci sono molti dubbi: il cosmo e la natura sono dotati di una razionalità intrinseca, hanno un senso comprensibile, riconoscibile, come le parole che hanno un chiaro significato. In altri termini, il lógos (la razionalità) riguarda tutte le cose che esistono, che nascono e muoiono, infinitamente molteplici, cioè in infiniti modi diverse e contrarie tra loro. Riguarda tutte le cose che cambiano continuamente aspetto, crescono, si sviluppano, decadono, insomma si trasformano e divengono. Eraclito non scopre il principio del divenire, ma afferma che il divenire è razionale, è giusto, è logico (per usare una parola che utilizziamo anche noi oggi e che deriva proprio da lógos): «tutte le cose accad[o]no secondo lo stesso lógos» afferma il filosofo di Efeso in una parte del frammento 1, secondo la classificazione Diels-Kranz (DK, d’ora in poi). Ecco un contrasto tra Anassimandro ed Eraclito: per il filosofo di Mileto il divenire è ingiustizia, per Eraclito il divenire è razionalità; per Anassimandro solo l’ápeiron è armonia, per il filosofo di Efeso razionalità è armonia e il divenire è armonia. Nel pensiero di Eraclito il tema centrale non è il divenire, come qualche interprete sottolinea. Il divenire sarà piuttosto il centro del pensiero dei seguaci di Eraclito. 21 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 4 Il divenire e la molteplicità. Il tema del divenire era già noto, come abbiamo visto, anche ai filosofi di Mileto, che cercavano la sostanza identica e permanente che accomuna tutte le molteplici cose che divengono, che cercavano l’unità del molteplice. Per Eraclito, invece, il tema centrale è la razionalità del divenire, la sua logicità, la sua armonia. Ma ancora non basta: il tema centrale di Eraclito ha due aspetti. Il secondo aspetto riguarda la razionalità del molteplice. Il lógos è divenire e molteplicità. Ecco l’altro aspetto del contrasto tra Anassimandro ed Eraclito: per il filosofo di Mileto la molteplicità è ingiustizia, per Eraclito è razionalità; per Anassimandro solo l’ápeiron è armonia, per il filosofo di Efeso razionalità è armonia e la molteplicità è armonia. Possiamo dunque utilizzare i frammenti di Eraclito per comprendere meglio il senso dell’unico frammento di Anassimandro che ci è pervenuto e nel reciproco confronto delineare più chiaramente le due posizioni. Per Anassimandro tutto ciò che vi è di assolutamente perfetto, positivo, giusto, bello, felice e realizzato è nell’armonia dell’indifferenziato: in esso tutte le cose (tutti gli esseri costituiti della stessa sostanza) sono insieme fuse nell’unità indistinta. Al contrario, l’esistenza temporanea e continuamente mutevole dei diversi e dei contrari, separati gli uni dagli altri e in perenne conflitto gli uni con gli altri, costituiscono un cosmo ingiusto. Esso è affetto da imperfezione e negatività e nessuna delle cose può ottenere una piena realizzazione della propria natura. Per Eraclito, invece, è proprio la infinita diversità, contrarietà e contrapposizione delle cose che esistono (e che sono in quantità illimitata) a permettere la manifestazione di tutte le cose in uno scorrere senza limiti: questa è l’unica possibile perfezione, positività, giustizia, bellezza, felicità, pienezza di realizzazione. La «guerra». Eraclito lo esprime facendo ricorso al termine pólemos che significa guerra, conflitto, contesa, contrapposizione: «Pólemos è padre di tutte le cose, di tutte re; e gli uni disvela come dèi e gli altri come uomini, gli uni fa schiavi gli altri liberi» (fr. 53 DK). E ancora: «Bisogna però sapere che la guerra è comune, che la giustizia è contesa e che tutto accade secondo contesa e necessità» (fr. 80 DK). È l’infinita varietà delle cose, quella che chiameremmo biodiversità, ad entusiasmare Eraclito, non la «pace» dell’arché. L’armonia dei contrari e l’unità degli opposti. Nella reciproca contesa, tutti i contrari e gli opposti si rivelano complementari e in essi si realizza l’illimitata ricchezza della natura e del cosmo: è l’armonia dei contrari e l’unità degli opposti: «L’opposto concorde e dai discordi bellissima armonia» (fr. 8 DK); «Noi scendiamo e non scendiamo nello stesso fiume, noi stessi siamo e non siamo» (fr. 49a DK) [frammento in cui il tema del divenire è incluso nella riflessione sull’unità degli opposti]; «Ascoltando non me, ma il lógos, è saggio convenire che tutto è uno» (fr. 50 DK); «L’armonia nascosta vale di più di quella che appare» (fr. 54 DK). Con Eraclito, dunque, il dibattito filosofico fa un altro passo avanti. Non si tratta più di trovare l’identica e unica sostanza da cui tutte le cose derivano e alla quale ritornano, quanto piuttosto di comprendere che tutto è uno, proprio nella illimitata diversità. L’identità e l’unità di tutte le cose non è una sostanza ma una struttura logica: ciò che è comune a tutte le cose è la loro identità/opposizione: ogni cosa è se stessa in quanto è diversa, contraria e opposta a tutte le altre6. Non c’è nella natura un solo filo d’erba che sia uguale ad un altro e questo è ciò che spiega tutto: il lógos di Eraclito non è l’origine di tutte le cose, ma è tutte le cose, si identifica con esse. «Ascoltando non me, ma il lógos, è saggio convenire che tutto è uno»: il lógos ci insegna che tutto è uno, perché ogni cosa è se stessa in quanto si differenzia da tutte le altre cose. In questo consiste l’unità: nel fatto che l’identità, la possibilità di esistere e realizzarsi di ogni cosa, sta nella diversità e nell’opposizione rispetto a tutte le altre. Si dice, in linguaggio filosofico, che l’arché è totalmente immanente alla natura, in quanto appunto si identifica con essa, agisce all’interno di essa e non è separata (immanente è opposto a trascendente, termine con cui si indica un principio separato dalla natura e dal cosmo Glossario). Usando un termine posteriore, si può parlare anche di panteismo, nel senso che, per Eraclito, il principio assoluto si identifica con il cosmo e la natura ( Glossario). Ma questa conoscenza del lógos non è intuitiva né immediata. Essa è piuttosto il frutto di una ricerca che inizia con l’indagine su se stessi, sulla propria anima, con il superamento dei pregiudizi dovuti ai punti di vista individuali, per cogliere ciò che è comune a tutte le cose. Il lógos che è comune a tutte le cose è anche il lógos dell’anima umana, il pensiero razionale che è dote di tutti. E l’anima umana è illimitata come il cosmo: perciò su di essa e sul cosmo l’indagine non ha mai fine e non può mai rinchiudersi in una presunta verità già acquisita. Svegli e dormienti. La maggior parte degli uomini, tuttavia, si accontentano di una saggezza privata, di un punto 6 Cfr. E. Severino, 1984. 22 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 4 di vista soggettivo, che impedisce loro di cogliere da un punto di vista generale la realtà della natura e del cosmo. Essi sono come coloro che dormono e sognano mondi illusori, rispetto a coloro che sono svegli e vedono la realtà delle cose, cercano di comprenderne a fondo la profondità e la complessità, che non appare in superficie («la natura delle cose ama celarsi», fr. 123 DK). Leggiamo nella sua interezza il frammento 1 DK e, a seguire, altri illuminanti frammenti sul tema della conoscenza: «Di questo lógos che è sempre gli uomini non hanno intelligenza, sia prima di averlo ascoltato sia subito dopo averlo ascoltato; benché infatti tutte le cose accadano secondo lo stesso lógos, essi assomigliano a persone inesperte, pur provandosi in parole ed in opere tali quali sono quelle che io spiego, distinguendo secondo natura ciascuna cosa e dicendo com’è. Ma agli altri uomini rimane celato ciò che fanno da svegli, allo stesso modo che non sono coscienti di ciò che fanno dormendo» (fr. 1 DK); «Bisogna dunque seguire ciò è comune. Ma pur essendo questo lógos comune, la maggior parte degli uomini vive come se avesse una propria e particolare saggezza» (fr. 2 DK); «Unico e comune è il mondo per coloro che sono desti» (fr. 89 DK). La logica e l’anima. C’è ancora un altro passo avanti del dibattito filosofico: la ricerca non riguarda solo la natura, ma riguarda il ricercatore stesso in quanto parte di essa, parte anch’egli di quell’Uno-Tutto che viene indagato. E l’indagine può cominciare proprio dal soggetto conoscente, che diviene anche oggetto esplicito della ricerca. In ogni soggetto umano agisce, infatti, lo stesso lógos che agisce nel cosmo, poiché «il pensare è a tutti comune» e ad ognuno «è concesso conoscere se stesso», come ha fatto lo stesso Eraclito che ha «indagato [se] stesso». Il filosofo di Efeso apre dunque la strada allo sviluppo di un nuovo ambito delle ricerche filosofiche, la «logica», che in seguito avrà un immenso sviluppo, come studio dei meccanismi e dei principi che regolano il ragionamento umano ( Glossario). Comprendere il lógos del cosmo è anche comprendere il lógos dell’anima umana e anche questa, come l’altra, è una ricerca nell’ambito dell’illimitato, della profondità e della complessità, come il filosofo di Efeso ci dice in uno dei più vibranti frammenti: «Per quanto tu possa camminare, e neppure percorrendo intera la via, tu potresti mai trovare i confini dell’anima: così profondo è il suo lógos» (fr. 45 DK). C’è un altro intenso e bellissimo frammento di Eraclito che illustra l’esigenza spirituale/conoscitiva di una continua tensione verso la conoscenza. È il frammento 18 DK: «Se non speri l’Insperabile, non lo scoprirai, perché [non sperandolo] sarà chiuso alla ricerca, e ad esso non condurrà nessuna strada». Qui Eraclito, che già usava la parola «filosofia», indica il senso di ogni ricerca, che non si accontenta mai dei risultati raggiunti, ma si spinge sempre oltre gli apparenti limiti della conoscenza e non si arrende di fronte a ciò che sembra irraggiungibile. Arrendersi sarebbe proprio l’unico modo di rendere l’obiettivo irraggiungibile. Il fuoco. Ma c’è forse anche un passo indietro nella profondità del pensiero del filosofo di Efeso? Così suona il frammento 30 DK: «Quest’ordine, che è identico per tutte le cose, non lo fece nessuno degli Dei né gli uomini, ma era sempre ed è e sarà fuoco eternamente vivo, che secondo misura si accende e secondo misura si spegne». Eraclito nomina il fuoco. Dopo aver scoperto la dimensione logica dell’Uno-Tutto, la struttura razionale della natura e del cosmo, egli ritorna forse ad una dimensione naturalistica indicando nel fuoco l’arché? Ci chiarisce forse la situazione il frammento 90 DK: «Tutte le cose sono uno scambio del fuoco, e il fuoco uno scambio di tutte le cose, come le merci sono uno scambio dell’oro e l’oro uno scambio delle merci».Il fuoco, dunque, sembra essere la materializzazione dello stesso lógos, una sorta di metafora fisica con cui, pur indicando una sostanza materiale unitaria (come l’acqua, o l’ápeiron, o l’aria), egli raffigura l’incessante divenire e il mutarsi di tutte le cose le une nelle altre. Il fuoco: vita, calore, energia è anche morte, distruzione, fumo: divenire e molteplicità, armonia dei contrari e unità degli opposti. Non un passo indietro, allora, ma un modo per rielaborare ed integrare la ricerca precedente sulla totalità della natura e del cosmo, la ricerca dei filosofi di Mileto sulla sostanza unica da cui tutte le cose derivano e a cui ritornano. Eraclito ha individuato la struttura razionale del cosmo e della natura, ma non rinuncia ad individuare anche la sostanza materiale che nel perenne divenire si scambia con tutte le cose, come le merci con l’oro: il fuoco meglio di ogni altro elemento rappresenta il mutare continuo del tutto e la sua infinita varietà. 23 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 4 PARAGRAFO 2. PITAGORA DI SAMO E LA SUA SCUOLA Come già aveva fatto Eraclito, portando alla luce la struttura logica del tutto, anche Pitagora di Samo (isola ancor oggi greca, di fronte alla costa dove sorgeva l’antica Mileto), allievo di Anassimandro e forse anche di Talete, rende esplicito il suo interesse per la struttura del cosmo e della natura. E, per lui, tale struttura è matematica. La scuola che fondò a Crotone nella seconda metà del VI secolo a.C. fece della matematica il principio di tutte le cose. Aritmo-geometria. Bisogna però subito precisare che per gli antichi greci e anche per Pitagora la matematica era una scienza aritmo-geometrica. Nel senso che l’aritmetica e la geometria non erano ancora distinte ma costituivano una sola forma di conoscenza della realtà. PITAGORA. VITA E OPERE Pitagora fu una figura leggendaria, considerato un dio dagli allievi della sua scuola, tanto che alcuni storici ne misero in dubbio la reale esistenza. Nato nel 575 a.C. nell’isola di Samo, di fronte alla costa della Ionia, fu allievo di Anassimandro e poi di Ferecide di Siro. Con lui e anche dopo la sua morte viaggiò a lungo nel Mediterraneo, in Egitto e in Mesopotamia, venendo iniziato ai misteri dei templi greci, a quelli sacerdotali egizi e alle scienze astronomiche e mediche babilonesi. Tornato a Samo, caduta nelle mani di un tiranno, si trasferì verso il 535 a Crotone, dove fondò la sua scuola, una vera e propria comunità scientifica, politica e religiosa. Coltivò, come i suoi seguaci, innumerevoli interessi in campo matematico, astronomico, medico, musicale, etico, religioso, politico. A lui sono attribuite le celebri tavole (o tabelline) e il teorema di geometria che porta il suo nome. Non lasciò nulla di scritto, ma tenne esclusivamente insegnamenti orali. Per entrare a far parte della sua comunità occorreva sottoporsi a un lungo rituale di iniziazione. A essa potevano partecipare sia uomini che donne, in notevole controtendenza rispetto alla cultura greca dominante. L’influenza politica della sua scuola fu determinante per le sorti della città di Crotone. Sembra sia stata una rivolta anti-aristocratica ad indurlo a rifugiarsi a Metaponto dove morì nel 490 a.C.. I suoi seguaci non si dispersero e fondarono diverse altre scuole, tra cui spiccano quella di Filolao a Tebe e quella di Archita a Taranto. Il numero non costituiva un’entità astratta, rappresentabile graficamente, come facciamo oggi noi, che abbiamo ereditato la grafia araba. Il numero era invece inteso come un’entità concreta e spaziale. I numeri, infatti, erano raffigurati da piccoli oggetti, come sassolini, ad esempio, disposti nello spazio. In questa visione anche fisico-spaziale dell’aritmetica, il numero 1, per esempio, era assimilabile ad un punto geometrico dotato di estensione nello spazio: 24 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 4 Il numero 2 poteva essere costruito e rappresentato da due punti ed evocare la linea geometrica: Il numero 3 era costituito da tre punti disposti nello spazio in modo da contenere una superficie (triangolare): Infine, con il numero 4 era possibile rappresentare il volume (una piramide a base triangolare): Punto, linea, superficie e volume: tutti gli elementi fondamentali dello spazio geometrico racchiusi nei primi quattro numeri. In questo senso, essi sono anche gli elementi fondamentali della natura e del cosmo e di tutte le cose divenienti, molteplici, diverse e contrarie che popolano il cosmo e la natura. Esse si generano dall’unità-punto e, più in generale, dai primi quattro numeri. Anche per Pitagora, come per Eraclito, nonostante la polemica a volte esplicita tra i due filosofi, l’arché non è una sostanza ma è la struttura del cosmo e della natura, la struttura di tutte le cose: una struttura aritmo-geometrica. Tutte le cose sono, infatti, combinazioni diverse e complesse di forme geometriche, di punti, linee, superfici e volumi. Tutte le cose sono misurabili e numerabili. Inoltre, dalla somma dei primi quattro numeri si ricava il 10, il numero perfetto, cosmico e divino insieme. Anche per Pitagora, infatti, come per Eraclito, si può parlare di panteismo, dal momento che il tutto è un ordine razionale, aritmetico e geometrico, armonico e unitario, in cui il principio strutturale che spiega il cosmo e la natura è ad essi immanente. In questo senso il numero 10 è il numero che esprime sia il cosmo che il “Dio”. Pitagora, o forse i seguaci della sua scuola, lo rappresentavano con la tetraktys, il triangolo sacro su cui essi giuravano. Essa esprime i principi fondamentali della dottrina pitagorica: il numero come armonia, limite, ordine e misura. Tutti i filosofi precedenti o contemporanei avevano pensato il rapporto tra l’unità immutabile e la molteplicità che diviene e si trasforma. In particolare, Eraclito aveva pensato la struttura logica dell’unità degli opposti. Pitagora, allo stesso modo, pensa ed esprime la struttura matematica dell’Uno (o Monade), da cui si generano gli opposti fondamentali (la Diade: il due) e che, a loro volta, danno origine all’opposizione tra il pari e il dispari e a quella tra l’illimitato e il limite (da cui derivano tutte le altre). 25 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 4 Ma se per Eraclito, ciò che è comune a tutte le cose è il loro essere diverse da tutte le altre, per Pitagora questa identità è espressa dal fatto che ogni cosa è un’unità. In questo senso l’uno è il fondamento identico di ogni cosa 7. Quindi, prendendo le distanze dal maestro Anassimandro, Pitagora individua nel limite, e non nell’illimitato, il fondamento primo dell’ordine cosmico e naturale. Il pari raffigura l’illimitato per la sua divisibilità; il dispari rappresenta il limite e la perfezione, perché l’unità che resta, dopo ogni divisione, impedisce l’infinità divisibilità. Per Pitagora, insomma, la matematica è la chiave scientifica per comprendere il cosmo e la natura, ma ne è anche la chiave metafisico-teologica. Non c’è conflitto, per Pitagora, tra religione e scienza. I numeri e le figure geometriche, per Pitagora e la sua scuola, hanno un valore scientifico, e sul fondamento aritmetico - geometrico essi costruiscono una complessa cosmologia. Hanno inoltre un valore mistico-teologico, da cui deriva l’elaborazione di una altrettanto complessa numerologia simbolica che ebbe anche una significativa applicazione socio-politica ( Approfondimenti). L’anima. Per Pitagora, come per Eraclito, anche l’anima dell’uomo ha natura cosmica e “divina”. L’eclettica formazione di Pitagora, avvenuta non solo a Mileto, ma anche in Egitto e a Babilonia, lo conduce a rielaborare in chiave concettuale e scientifica i temi della sapienza orientale e dei misteri orfici ( Approfondimenti Sezione 1 Percorso 3), che consideravano l’anima come principio autonomo dal corpo e destinato ad un ciclo di reincarnazioni successive. Il filosofo di Samo riprese questo principio dualistico anima/corpo e lo ricondusse nell’alveo del dualismo tra limite e illimitato e nell’ambito della sua speculazione filosofica, facendone anche, nella comunità scientifica, religiosa e politica che fondò a Crotone (e di cui facevano parte anche donne), un principio morale ed una norma di vita comunitaria. Innanzitutto, è molto probabile che egli (o qualche suo allievo 8) abbia ipotizzato un ragionamento di questo genere: 1. le «verità» matematiche sono eterne e immutabili, valgono in qualunque circostanza ed epoca (oggi diciamo che la matematica non è un’opinione); 2. l’anima umana che, come per Eraclito, ha una struttura razionale, in particolare una struttura razionale matematica, è in grado di comprendere e di apprendere le verità matematiche; 3. l’anima umana razionale ha le stesse caratteristiche delle verità che è in grado di conoscere: è anch’essa eterna. Di tale ragionamento troviamo una traccia in un frammento di Alcmeone, un eccellente medico di formazione pitagorica, vissuto a Crotone sul finire del VI secolo, in cui afferma: «L’anima è immortale per la sua somiglianza con le cose immortali […] la luna, il sole, gli astri».9 Come per Eraclito, l’anima ha la stessa struttura del cosmo, dunque per Pitagora la stessa struttura aritmo-geometrica: è armonia, misura, ordine, limite. A differenza del corpo, soggetto al divenire, l’anima è sottratta allo spazio e al tempo, vive innumerevoli vite, incarnandosi ciclicamente in corpi diversi (dottrina della «metempsicosi», che significa trasmigrazione dell’anima). Ma il suo legame con il corpo può contaminarla e incatenarla ad un ciclo infinito di reincarnazioni successive, anche in animali inferiori. La scuola pitagorica, quindi, fu anche una comunità di vita, fondata su pratiche di purificazione, in cui certe rigorose attività fisiche e lo sviluppo delle migliori facoltà dell’anima, 7 Cfr. E. Severino, 1984. Come Filolao, ad esempio, vissuto nel corso del V sec. a.C., cui si attribuisce la rielaborazione e la pubblicazione scritta di molte tesi del pitagorismo (cfr. M. Vegetti, 1975). 9 Cfr. L. Geymonat, 1970. 26 8 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 4 la razionalità e la scienza, possono elevare l’uomo verso il divino. Il fine è quello di liberarsi definitivamente dal ciclo delle trasmigrazioni e congiungersi per sempre con la dimensione della divinità ( Approfondimenti). L’unico resto del Tempio di Hera Lacinia (V secolo a.C.), che sorgeva sul promontorio a sud dell’antica Crotone e fu frequentato anche da Pitagora. 27 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 4 CAPITOLO 4. L’ESSERE, IL PENSIERO E IL LINGUAGGIO In Magna Grecia, nell’attuale Campania, la filosofia compì un decisivo passo avanti nello sviluppo delle capacità logiche della mente umana. Ad Elea sorse una scuola che approfondì i nessi tra la struttura originaria della realtà e la capacità del pensiero umano di conoscerla ed esprimerla con il linguaggio. La filosofia divenne ontologia, cioè scienza dell’essere. PARAGRAFO1. LA SCUOLA DI ELEA Elea, poi divenuta Velia per i romani (oggi frazione di Ascea, in provincia di Salerno), fu fondata, tra il 560 e il 545 a.C., da Greci in fuga dalla Ionia per la minaccia dei Persiani. Divenne ben presto un grande centro marittimo e commerciale. Tra coloro che giunsero ad Elea non molto tempo dopo la sua fondazione vi fu Senofane di Colofone. Egli era un poeta girovago che cantò in versi sia la fondazione di Colofone, sua città natale, sia la nascita della colonia di Elea. Inoltre, a Senofane viene attribuita la paternità, discussa, di quella che divenne una delle più importanti scuole filosofiche dell’antichità e che sorse appunto ad Elea tra il VI e il V secolo a.C. Essa dette un’impronta nuova e profonda al dibattito che si stava svolgendo da più di un secolo ed influì in modo decisivo sugli sviluppi successivi del pensiero razionale. Gli Eleati, infatti, nella discussione sul problema dell’arché, che ha coinvolto l’intero mondo greco insediato sulle coste del Mediterraneo, compiono un passo avanti denso di conseguenze fondamentali e imprevedibili. PARAGRAFO 2. SENOFANE DI COLOFONE Avendo viaggiato molto per il Mediterraneo ed avendo avuto una lunga vita, Senofane poté, da un lato, assistere, nella Ionia in cui era nato, al sorgere della filosofia e all’eclissarsi dell’antica mitologia, e dall’altro, portare nella Magna Grecia, prima di Pitagora, di cui era contemporaneo, quella nuova forma di sapere. La sua presenza ad Elea nel VI secolo a.C. funge da stimolo culturale molto forte alla nascita di una nuova scuola, di cui non fu forse il fondatore. Ma la diffusione dei risultati del pensiero ionico, gli echi del nuovo pensiero critico che egli contribuisce a far conoscere, avranno un ruolo importante. Nei suoi versi echeggia una netta critica dell’antropomorfismo mitico in SENOFANE. VITA E OPERE cui si attribuisce forma e caratteri umani agli dèi. Questo modo di pensare Nato a Colofone, nella Ionia, a deriva direttamente dal nuovo atteggiamento scientifico dei filosofi di metà strada tra Efeso e Smirne Mileto. Nel suo pensiero, il distacco del pensiero filosofico da quello (l’attuale Izmir turca), intorno al mitico è netto. Così egli scrive: «Omero ed Esiodo hanno attribuito agli 580 a.C., se ne allontanò ai dei tutto quello che per gli uomini è oggetto di vergogna e di biasimo: tempi della conquista rubare, fare adulterio e ingannarsi […] i mortali credono che gli dei siano persiana,nel 540. Viaggiò a nati e che abbiano abito, linguaggio e aspetto come loro […] gli Etiopi lungo in Sicilia e in Magna credono che [gli dei] siano camusi e neri, i Traci, che abbiano occhi Grecia e visse per più di azzurri e capelli rossi […] ma se buoi, cavalli e leoni avessero le mani e cent’anni. Si stabilì a Elea, dove sapessero disegnare...i cavalli disegnerebbero gli dei simili a cavalli e i ebbe forse tra i suoi allievi buoi gli dei simili a buoi» (H. Diels – W. Kranz, 1981). Senofane qui Parmenide. Fu poeta e mette in luce anche la diversità e relatività delle opinioni umane, la varietà divulgatore di filosofia. Gli sono dell’abito, del linguaggio e dell’aspetto. È un tema che sarà attribuiti due poemi epici, uno particolarmente rilevante a partire dal secolo successivo ( Unità 2 sulla Fondazione di Colofone, Capitolo 1) l’altro sulla Colonizzazione di In contrapposizione all’antropomorfismo teologico, Senofane sviluppa una Elea. dottrina panteista in cui non è difficile riconoscere l’influsso del pensiero di Eraclito: «Uno, dio, tra gli dei e tra gli uomini il più grande, non simile agli uomini né per aspetto né per intelligenza […] tutto intero vede, tutto intero pensa, tutto intero sente […] senza fatica tutto scuote con la forza del pensiero […] sempre nell’identico luogo permane senza muoversi, né gli si addice recarsi qui o là» (op. cit.). Il tema dell’unità, della compiutezza, della perfezione e dell’immobilità, sarà ripreso con uno sviluppo potente e innovativo da quel suo probabile allievo, Parmenide di Elea, di cui parleremo nel prossimo paragrafo. Bisogna ancora aggiungere che Senofane segna anche il passaggio dagli antichi e tradizionali valori dell’aristocrazia a quelli delle nuove democrazie, che stanno nascendo in molte colonie. La virtù non è più quella del valore, della forza, del coraggio, ma quella dell’ingegno e del potere della mente umana. Non sono gli atleti di Olimpia a meritare premi, 28 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 4 ma gli scienziati e i filosofi. L’antica aretè sta per tramontare e sarà presto sostituita da nuovi valori, che saranno discussi più approfonditamente dai filosofi del secolo successivo ( Unità 2). PARAGRAFO 3. PARMENIDE DI ELEA È con Parmenide che la scuola di Elea assume quelle caratteristiche che ne faranno il punto di riferimento di tutto il pensiero successivo, non solo di quello greco antico. Come aveva fatto Eraclito, ma giungendo a conclusioni opposte alle sue, Parmenide collega la parola dotata di significato al pensiero razionale, che genera la parola e la utilizza per PARMENIDE. VITA E OPERE esprimere la realtà. Parmenide nato nel 515 a.C. ad Elea Ogni nostra parola ed ogni nostro pensiero, osserva Parmenide, (che si chiamerà Velia dall’epoca esprimono ciò che è. Tutto ciò che noi diciamo e pensiamo è essere, romana), fu discepolo di Senofane, appartiene all’essere in modo indissolubile. Parlare di una cosa che era giunto ad Elea ai tempi della qualsiasi o pensarla significa dire e pensare la sua esistenza, cioè dire sua fondazione. Di famiglia e pensare che «è». Ecco ciò che rende identiche tutte le cose. Non è aristocratica, fu un influente uomo una sostanza (Talete, Anassimandro, Anassimene), o una struttura politico della città, che stava logico razionale (Eraclito), o logico-matematica (Pitagora). Ciò che diventando un grande centro rende identiche tutte le cose è il verbo «essere». Verbo che può essere portuale e commerciale tirrenico. Ne sostantivato e diventare «l’essere». Questo è il principio di identità scrisse, infatti, la nuova costituzione. che imprimerà una svolta sostanziale alla scienza, alla logica e alla Ebbe sicuramente anche una filosofia. formazione pitagorica e si interessò A questa conclusione Parmenide giunge al termine di una lunga di astronomia. È considerato il vero ricerca che lo allontana dalle opinioni più comuni e scontate, per fondatore della scuola filosofica di avvicinarlo alla scoperta della legge «divina» e della giustizia. Elea, che ebbe grande influenza sul Nel proemio del suo poema il filosofo di Elea narra con potenti ed pensiero dei grandi filosofi evocative metafore il viaggio che egli ha intrapreso, per approfondire successivi. Come racconta Platone la struttura logica di tutto ciò che esiste, di tutte le cose che abitano la nel Parmenide, il grande eleate fece natura e il cosmo. un viaggio ad Atene con il suo allievo Un carro trainato da «sagaci cavalle» e guidato dalle figlie del sole, Zenone e lì conobbe il giovane giovani fanciulle immortali, lo conduce lontano dalle «case della Socrate, intavolando una notte […] verso la luce», fino ad una porta (forse la «porta rosa» di discussione. Scrisse un poema Elea, tuttora conservata) oltre la quale si apre un bivio: da una parte il filosofico in esametri dal titolo Sulla «sentiero della notte», su cui camminano i comuni mortali con le loro natura, diviso in due libri. Ce ne sono ingannevoli opinioni, dall’altra il «sentiero del giorno», «fuori dal pervenuti diciannove frammenti di cammino degli uomini», alla casa della dea che gli rivelerà «il cuore 160 versi in tutto. Visse fino al 450 che non trema della ben rotonda verità e le opinioni dei mortali in cui a.C. non c’è vera certezza». Il sentiero del giorno. Eraclito si era ritirato nel tempio, distinguendo la sua ricerca del lógos (propria di coloro che son desti) dalle opinioni comuni e più diffuse (che appartengono ai dormienti). Allo stesso modo, Parmenide è guidato a percorrere il sentiero del giorno verso il tempio, dove la dea gli manifesterà la luce della verità, e a lasciarsi dietro le spalle il sentiero della notte che lo riporterebbe indietro, verso una conoscenza errata, impedita dai «veli» che nascondono la realtà agli occhi della gente comune, prigioniera di opinioni soggettive. Ed ecco ciò che la dea gli rivela: «Bisogna che tutto tu sappia e il cuore che non trema della ben rotonda verità, e le opinioni dei mortali in cui non c’è vera certezza. Orbene io ti dico, e tu dopo averlo ascoltato prendi cura del mio discorso, quali sole vie di ricerca siano pensabili. Quella che dice che l’essere è e che non è possibile che non sia, e questo è il cammino della persuasione che si accompagna alla Verità; e quella che dice che non è e che è necessario che non sia, e questo io ti dico che è un sentiero non percorribile, né infatti potresti conoscere ciò che non è - non è infatti possibile - né dirlo. Lo stesso infatti è pensare ed essere. Per la parola e il pensiero bisogna che l’essere sia, solo esso infatti è possibile che sia e il nulla non è. Su questo ti esorto a riflettere. È la stessa cosa pensare e il pensiero che è, infatti senza l’essere in cui è espresso non troverai il pensare. Niente altro infatti è o sarà all’infuori dell’essere» (fr. 2-3 DK). 29 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 4 Linguaggio, pensiero ed essere sono coincidenti in modo quasi perfetto e tutto ciò che si può dire e pensare è soltanto l’essere. Questa è l’unica strada che si può percorrere, quella che esprime la necessità dell’essere, il sentiero del giorno. L’essere è: ciò è necessario, è giusto, è logico: questo è il senso della simbologia parmenidea. Il sentiero della notte. C’è anche un’altra strada, il sentiero della notte. La percorrono tutti coloro che affermano il non essere di tutte le cose, la loro scarsa importanza, il loro annientamento. Chi dice che le cose vengono dal nulla e tornano nel nulla abita le case della notte. E costoro affermano anche che il pensiero e il linguaggio non sono collegati all’essere. Per loro, il pensiero pensa cose che non esistono e, come aveva mostrato Eraclito, tanti sono coloro che rifiutano di seguire ciò che è comune, ma vivono come se avessero una «propria e particolare saggezza», un punto di vista soggettivo che è diverso da persona a persona. Per loro, il linguaggio esprime i significati soggettivi che attribuiscono alla realtà e sono coloro che, come aveva già mostrato Eraclito, non «parlano adoperando la mente». Parmenide lo esprime così: «Per la parola e il pensiero bisogna che l’essere sia, solo esso infatti è possibile che sia e il nulla non è. Su questo ti esorto a riflettere. Innanzitutto da questa via di ricerca ti tengo lontano, ma anche da quella su cui i mortali che nulla sanno vanno errando: gente dalla doppia testa, l’incapacità infatti nei loro petti dirige la errabonda mente, essi sono trasportati, sordi e insieme ciechi, attoniti, gente incerta, per i quali essere e non essere sono ritenuti lo stesso e non lo stesso, e di tutte le cose il cammino è reversibile» (fr. 2 DK). Dunque: l’essere è e non può non essere; il non essere non è e non può essere. Questa è la struttura logico-razionale che già Eraclito cercava e il cui contenuto Parmenide esprime attraverso l’opposizione fondamentale tra la verità e l’errore, tra il giorno e la notte, tra l’essere e il non essere. Tale contenuto finirà per allontanare Parmenide da Eraclito e creare tra i loro seguaci una lunga discussione. Infatti, se per Eraclito l’opposizione di tutte le cose è il contenuto del lógos, ciò che le raccoglie nell’Uno-Tutto, per Parmenide l’Uno-Tutto è l’Essere che si oppone assolutamente al nulla, escludendolo dal pensiero e dal discorso. Il problema dell’origine di tutte le cose ha fatto un altro notevole passo avanti con Parmenide, la cui riflessione filosofica ci porta al di là della sostanza unica e al di là anche della struttura logica o matematica del cosmo e della natura. L’ontologia. Con Parmenide l’antica filosofia cosmologica si trasforma in ontologia, la scienza dell’essere in quanto essere ( Glossario). La cosmologia, nata con Talete e portata da Pitagora ed Eraclito al massimo grado di sviluppo logico-scientifico, identificava il tutto con la natura e il cosmo, cercandone il principio esplicativo. L’ontologia inaugurata da Parmenide sposta invece l’interesse della filosofia verso lo studio dei caratteri del tutto come essere. Non si tratta cioè di indagare un qualche particolare tipo di ente (cioè di cose che esistono nel cosmo o nella natura), ma l’Essere in generale, l’Essere in assoluto, l’Essere come significato di tutto ciò che esiste (l’Essere con l’iniziale maiuscola). È questa una conquista definitiva per la filosofia, un gigantesco passo avanti, che sfrutta pienamente i vantaggi della lingua greca: l’articolo, infatti, permette di sostantivare il predicato verbale, trasformandolo in soggetto: l’Essere, appunto. L’Essere e i suoi caratteri. E quali sono per l’Eleate i caratteri dell’Essere? Eccone la descrizione tratta dal suo poema: «L’essere, come potrebbe esistere in futuro, come potrebbe essere nato? Se fosse divenuto non sarebbe, né si estingue la nascita e la morte scompare. Ma immobile, costretto nei limiti di vincoli immensi è senza principio né fine, poiché nascita e morte furono respinte lontano, le allontanò la vera certezza. Perciò saranno tutte soltanto parole quante i mortali hanno posto, credendo che fossero vere: nascere e perire, essere e non essere; e cambiare di luogo e mutare lo splendente colore. Come sarebbe nato e da dove? Dal non essere non ti permetterò né di dirlo, né di pensarlo, infatti dell’Essere non si può dire né pensare che non è. Quale mai necessità lo avrebbe spinto, proveniente dal nulla, a nascere prima o dopo? E inoltre non è divisibile perché è tutto uguale. Né vi è da una parte un di più, né da una parte un di meno che possa impedirgli la contiguità di sé con se stesso, ma è tutto pieno di essere, perciò è tutto contiguo, difatti l’essere è a contatto con l’essere. Rimanendo identico con un identico stato giace in sé stesso e così rimane lì immobile, ché la potente Necessità lo tiene nelle catene del limite che tutto intorno lo cinge. Perché l’Essere non può non essere compiuto. Infatti non manca di niente, perché se di qualcosa fosse manchevole mancherebbe di tutto» (fr. 8 DK). Perciò, l’Essere: 1. Non nasce e non muore. Non è soggetto al divenire. «Non vi è in esso un principio» né vi può essere una fine, pur essendo costretto dentro a limiti di vincoli immensi. Non potrebbe, infatti, essere nato: non dall’essere perché esso è già essere. Non dal non essere, poiché nulla può derivare dal nulla: è immutabile. 30 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 4 2. Non avrebbe potuto nascere in un prima o in un dopo temporali: è eterno. L’eternità, che era stata concepita come il carattere del principio originario sostanziale o logico, viene ora attribuita all’Essere inteso come tutto ciò che esiste. Parmenide scopre dunque l’eterno come dimensione sottratta totalmente al tempo e al divenire, caratterizzata da un presente non temporale. L’eternità per Parmenide non è solo la permanenza della sostanza (Talete, Anassimandro, Anassimene) o l’immutabilità della struttura logico-razionale (Eraclito) o matematico-razionale (Pitagora) del cosmo. È la caratteristica fondamentale dell’essere in quanto essere. L’eternità non è un tempo infinito che scorre continuamente, ma è l’assenza di mutamento. 3. Non è divisibile, anzi è tutto uguale, tutto pieno di essere, contiguo a se stesso, essere senza incrinature, senza discontinuità, senza fratture: è uno e indivisibile. Eraclito aveva già pensato il Tutto come Uno, ma la sua è l’unità del molteplice infinito dei diversi, contrari e opposti. Allo stesso modo Pitagora pensava l’Uno come la fonte del molteplice. Parmenide concepisce l’unità come indivisibilità, come pienezza di essere, come integrità, come contiguità dell’essere all’essere. Per l’Eleate l’unica opposizione è tra essere e nulla e il nulla non è. Perciò, l’unità dell’essere si pone non soltanto oltre il divenire ma anche oltre la molteplicità, cioè oltre l’opposizione di Eraclito tra i diversi, contrari e opposti. 4. È sempre identico a se stesso, perciò è immobile nelle catene del limite stabilito dalla Necessità, cioè dalla logica razionale che è la sua struttura intima (identità di essere, pensiero e linguaggio): è sempre identico e immobile. L’identità dell’Essere con se stesso rafforza il concetto dell’immobilità dell’essere concepito in una dimensione a-spaziale, priva cioè di caratteristiche spaziali, come di quelle temporali. Tempo e spazio non riguardano l’essere. 5. Non manca di nulla, in quanto l’essere è compiuto in se stesso. È tutto ciò che esiste ed è perfetto. Parmenide, come già Pitagora, identifica la perfezione non con l’illimitato di Anassimandro ma con il limite del grande matematico di Samo e Crotone. È perfetto ciò che ha una forma, una struttura, un ordine, un’armonia compiuta e omogenea. L’illimitato invece è sinonimo, già per Pitagora, di caos e disordine. Quindi, rispetto ad Anassimandro, l’Essere conserva due dei caratteri che il filosofo di Mileto attribuiva all’ápeiron, infatti anche l’Essere è indeterminato e indifferenziato. Ma non ha più la terza caratteristica, quella dell’illimitatezza, in quanto la necessità lo vincola al limite. Non è pertanto infinito, ma finito. La perfezione del’Essere viene rappresentata da Parmenide come una Sfera immensa (l’Essere è «costretto nei limiti di vincoli immensi», cioè non misurabili). La sfera è una potente ed evocativa metafora visiva che esprime in modo magistrale il senso della forma perfetta dell’assoluto, trasfigurando l’insegnamento pitagorico cui si ispira in una visione cosmico-ontologica superiore. L’immensa (non misurabile) sfera è, infatti, certamente, immagine del kósmos e metafora dell’Essere. L’assoluto. L’Essere dunque è un assoluto, non un relativo. Le caratteristiche dell’Essere, cioè della totalità di ciò che esiste, ne fanno l’unica realtà, che quindi non è in relazione con altre cose. Ciò che non ha relazione con nulla è detto appunto assoluto, cioè sciolto da legami e rapporti con altro (absolutum Glossario). Parmenide scopre la dimensione dell’assoluto che i filosofi precedenti avevano soltanto intravisto ma non sviluppato, dato che i principi eterni da essi posti sono sempre in relazione con ciò che da essi deriva e che ad essi ritorna. Il divenire e la molteplicità come illusione dei sensi. Ne segue che, per Parmenide, il divenire e la molteplicità non appartengono all’Essere. Tutto ciò che dicono coloro che, come direbbe Eraclito, non adoperano la mente, è quindi insensato: «Perciò saranno tutte soltanto parole quante i mortali hanno posto, credendo che fossero vere: nascere e perire, essere e non essere; e cambiare di luogo e mutare lo splendente colore». Tutti i molteplici cambiamenti che avvengono in natura sono soltanto oggetto delle opinioni soggettive dei «mortali che nulla sanno» e che «vanno errando: gente dalla doppia testa, […] per i quali essere e non essere sono ritenuti lo stesso e non lo stesso, e di tutte le cose il cammino è reversibile». Già Anassimandro considerava «ingiustizia» il divenire e la molteplicità, cioè la sopraffazione con cui tutte le cose diverse e contrarie, nascendo, si separavano dalla dimensione originaria dell’ápeiron, tant’è che poi era necessaria l’espiazione con la quale, morendo, tutte le cose diverse e contrarie ritornano all’ápeiron. Parmenide trasforma questa «ingiustizia» in una necessità ontologica10: nulla può separarsi dall’Essere, nulla può generarsi, nulla può morire e ritornare all’Essere, poiché l’Essere è e non subisce alcun mutamento e variazione, non ha parti diverse e contrarie, ma è tutt’uno con se stesso. Divenire e molteplicità fanno pertanto parte della conoscenza illusoria discutibile ed opinabile (opinione, in greco doxa), mentre la «ben rotonda verità», la vera conoscenza razionale (epistème) afferma solo l’essere. Saranno dunque 10 Cfr. E. Severino, 1984. 31 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 4 soltanto parole senza senso, pronunciate da «gente dalla doppia testa» tutte quelle affermazioni che utilizzano il «non» nel linguaggio: «x non è più», «x non è ancora», «x non è y», «y non è x». Frasi di questo tipo, proposizioni in forma negativa, contengono una grave contraddizione logica, poiché esprimono e pensano l’opposto dell’essere, cioè il non essere. I sensi, dunque, ci ingannano, testimoniando l’esperienza del divenire e della molteplicità, che la ragione nega come illusoria. Il linguaggio. Il nostro linguaggio può errare se viene scollegato dal pensiero razionale e dice parole vuote in cui si fa credere che qualcosa possa non esser più o non esser ancora, o che qualcosa possa non esser un’altra cosa. L’errore del linguaggio si verifica quando si ammette che essere e non essere siano la stessa cosa e contemporaneamente non siano la stessa cosa. L’errore del linguaggio è anche l’errore dei filosofi precedenti. Essi infatti ammettono che tutte le cose che esistono (e che sono l’essere) provengano da un’altra dimensione: cioè che derivino da un principio eterno, nascendo. Esse quindi acquisterebbero l’essere con la nascita. Ma se esse sono l’essere e l’essere è tutto, fuori dall’essere non vi è nulla. Perciò esse dovrebbero nascere dal nulla. Allo stesso modo, tutte le cose che esistono (e che sono l’essere) tornano ad un’altra dimensione: cioè si ricongiungono ad un principio eterno, morendo. Esse quindi perderebbero l’essere con la morte. Ma se esse sono l’essere e l’essere è tutto, fuori dall’essere non vi è nulla. Perciò esse dovrebbero tornare al nulla. Questo è l’errore che coinvolge anche le filosofie precedenti, che Parmenide mostra come contraddittorie e assurde su questo specifico punto, in cui si ammette che il cammino di tutte le cose sia reversibile (dal nulla all’essere e dall’essere al nulla). Il principio di non contraddizione. A tale errore Parmenide vuole porre rimedio, affermando la non contraddittorietà dell’Essere, che è e non può non essere. È questo il principio di non contraddizione, che insieme al principio di identità costituirà il fondamento di tutta la scienza, la logica e la filosofia successive, almeno fino all’Ottocento inoltrato ( Unità 4). Ma il filosofo di Elea si pone anche il problema di spiegare, con la logica e la ragione, il divenire e la molteplicità, elaborando una cosmologia plausibile, per la quale si rimanda agli Approfondimenti. Parmenide Livelli Ragione e vera conoscenza (epistème) Linguaggio Il linguaggio pronuncia l’essere Conoscenza Realtà Il pensiero razionale pensa l’essere Essere immutabile, eterno, ingenerato, imperituro, uno, identico, continuo, immobile, perfetto Esperienza e conoscenza illusoria dei sensi (doxa) Il linguaggio si inganna pronunciando il non essere La conoscenza sensoriale testimonia il divenire e la molteplicità Molteplicità e divenire PARAGRAFO 4. ZENONE DI ELEA Zenone di Elea (495-430 a.C.), allievo prediletto di Parmenide, fu un grande logico e l’abile inventore dell’arte dialettica nell’utilizzo del ragionamento e del linguaggio, come lo definì Aristotele. La dialettica consiste in questo: non ci si limita ad esporre una teoria, cioè una tesi, ma si attua un confronto con una teoria avversaria, cioè un’antitesi, per farne emergere gli errori e rafforzare la tesi. In tal modo si tenta la confutazione dell’antitesi, cioè la dimostrazione della sua falsità, dimostrando indirettamente la verità della tesi. Con questo procedimento nuovo e molto efficace egli si dedicò alla difesa sistematica della teoria del maestro. I paradossi. Celebri sono i suoi paradossi, che sono fondati sulla tecnica, da lui messa a punto, della dimostrazione per assurdo. Un paradosso è un ragionamento che dimostra una contraddizione non risolvibile, cioè un’aporia. Quelli di Zenone hanno lo scopo di confutare le teorie del movimento, del divenire e della molteplicità, che costituivano l’antitesi della teoria parmenidea, dimostrando la loro assurdità logica. In tal modo Zenone rafforza indirettamente la teoria dell’Essere uno, immutabile e immobile. La potenza logica dei suoi ragionamenti è tale da generare degli sviluppi notevoli anche nel campo della matematica e della fisica. Inoltre rivela una raffinata tecnica argomentativa, che sarà utilizzata presto da altre scuole filosofiche. I suoi 32 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 4 paradossi, di cui ci parlano sia Platone nel Parmenide che Aristotele nella Fisica, si dividono in due grandi categorie: quelli che confutano la molteplicità degli enti e quelli che confutano il movimento e il divenire degli enti. La confutazione della molteplicità. Tra quelli che confutano la molteplicità, ne ricordiamo uno (per gli altri rimandiamo agli Approfondimenti): «Se gli enti sono molti, è necessario che siano tanti quanti sono e non di più né di meno. Ma se sono tanti quanti sono saranno limitati. Se gli enti sono molti sono infiniti: sempre infatti in mezzo agli enti ve ne sono altri e in mezzo a questi di nuovo degli altri. Ed in tal modo gli enti sono infiniti» (Platone, Parmenide). Lo scopo esplicito di Zenone è mostrare la contraddizione logica non risolvibile tra finito e infinito in cui cade chi sostiene la teoria della molteplicità. Lo scopo implicito è quello di dimostrare che l’Essere è uno e non molteplice, come sosteneva Parmenide. Il suo ragionamento è rigoroso e preciso: 1. Se gli enti sono molti dovranno essere tanti quanti sono e non di più: cioè teoricamente si potrebbero contare o calcolare; 2. Gli enti sarebbero dunque di numero finito, determinato (in teoria si potrebbero contare o calcolare) 3. Ma se gli enti sono molti sono infiniti, perché se fossero, per esempio, due, per distinguerli, separarli e differenziarli, ce ne dovrebbe essere un terzo (per esempio una particella che li divide); 4. E se ce ne fosse un terzo, per distinguere, separare e differenziare i tre enti, ce ne dovrebbero essere altri due in mezzo a loro (per esempio, altre due particelle); 5. Questo processo andrebbe avanti all’infinito, moltiplicando gli enti che distinguono, separano e differenziano quelli dati, perciò gli enti sono infiniti; 6. In conclusione, gli enti sono sia finiti che infiniti, il che è assurdo. La teoria della molteplicità cade in una contraddizione logica non risolvibile, un’aporia; 7. Perciò, si dovrebbe ammettere che l’Essere è uno. La confutazione del movimento. Anche tra i paradossi che confutano il movimento e il divenire ne ricordiamo uno, quello celeberrimo di Achille e della tartaruga (per gli altri rimandiamo agli Approfondimenti): «Il secondo è l’argomento detto dell’Achille. Esso dice che il più lento non sarà mai raggiunto nella corsa dal più veloce. Infatti è necessario che chi insegue giunga prima al punto da cui è partito chi fugge, cosicché il più lento si troverà sempre necessariamente un po’ più avanti del più veloce». Lo scopo esplicito di Zenone è mostrare la contraddizione logica non risolvibile tra in cui cade chi sostiene la teoria del movimento e del divenire. Lo scopo implicito è quello di dimostrare che l’Essere è immutabile, come sosteneva Parmenide. Il paradosso presuppone un vero e proprio racconto. Achille, il «piè veloce» dell’epica omerica, fa una gara di corsa con una tartaruga, l’animale più lento, e le concede un notevole vantaggio. Quindi, mentre Achille inizia la gara dal punto P, la tartaruga partirà dal punto P’. Achille, il «piè veloce», è certo che raggiungerà e supererà la tartaruga, giungendo per primo al punto F, che indica la fine del percorso, il traguardo della gara. In effetti, Achille ben presto raggiunge il punto A’, che corrisponde al punto P’, da cui la tartaruga (T) è partita. Ma nel frattempo la tartaruga avrà percorso un pezzo di strada e sarà arrivata nel punto T’. In questo punto giungerà presto anche Achille (A’’) ma nel frattempo la tartaruga, pur avanzando lentamente, avrà percorso un altro po’ di spazio, portandosi nel punto T’’. Questo sarà presto raggiunto da Achille nel punto A’’’. Ma intanto la tartaruga sarà arrivata al punto T’’’, e così via all’infinito. Perciò, la tartaruga arriverebbe per prima al punto finale (F), percorrendo frazioni di spazio minime, ma restando sempre in vantaggio rispetto ad Achille. Lo spazio, infatti, è infinitamente divisibile, perciò Achille non potrà mai raggiungere la tartaruga, la quale sarà sempre avanti rispetto a lui, sia pure di uno spazio piccolissimo e infinitesimale. Il movimento, pertanto, è assurdo, così come lo è il divenire. Qualsiasi movimento infatti implica una trasformazione, un mutamento. Ma pensare il movimento produce 33 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 4 una contraddizione logica non risolvibile, un’aporia ( Glossario). Si dovrebbe dunque ammettere che l’Essere è immutabile. Chi proverà a confutare i paradossi di Zenone, cercherà di smascherare l’identificazione tra lo spazio geometrico e quello fisico. Il primo è ideale o virtuale e quindi divisibile all’infinito. Il secondo è materiale e reale e quindi non può essere infinitamente diviso. Su questa identificazione tra il virtuale e il reale Zenone gioca abilmente per confutare le tesi avversarie, dando così origine ad una tecnica della discussione e della confutazione dialettica che avrà un grande avvenire. Essa permetterà di potenziare e migliorare gli strumenti logici del pensiero. Per inciso, d’ora in poi, dopo aver trattato Parmenide, potremo smettere di usare il generico termine «cosa» e servirci del termine «ente», che indica tutto che esiste in modo determinato e differenziato, a differenza dell’Essere che è indeterminato e indifferenziato. PARAGRAFO 5. MELISSO DI SAMO La diffusione della filosofia eleatica arrivò a Samo nel corso del V secolo a.C. e nell’isola ionica, da cui se ne era andato Pitagora mezzo secolo prima, trovò ascolto e sostegno nell’influente uomo politico Melisso (480 a.C.-…). Ma, mentre Zenone accolse in blocco la teoria del maestro e la difese confutando le teorie avversarie, Melisso ne interpretò a modo suo alcuni passaggi logici. In particolare, la concezione di Parmenide secondo cui è perfetto ciò che ha una forma, una struttura, un ordine, un’armonia compiuta e omogenea viene modificata profondamente dal filosofo di Samo. La perfezione dell’Essere racchiuso «nelle catene del limite che tutto intorno lo cinge» e rappresentato da una sfera, omogeneo, finito e compiuto in sé, non convince Melisso. La sostanza infinita. Egli è così indotto a trasformare l’Essere di Parmenide in una sostanza fisica, che occupa lo spazio infinito e così torna ad intenderlo simile all’ápeiron di Anassimandro, non solo indeterminato e indifferenziato, ma anche illimitato ed infinito, anche se mantiene le altre caratteristiche dell’Essere di Parmenide: quindi non è principio, ma l’Uno-Tutto. L’Essere di Melisso, che conserva tutti gli altri attributi (unità, eternità, immobilità, perfezione) che gli riconosceva il maestro di Elea, non è più soltanto una struttura logica, ontologica e metafisica, ma anche e soprattutto una materia eterna estesa in ogni direzione possibile, senza limite alcuno. Con questa operazione riduttiva, Melisso è indotto a non concepire più l’eternità dell’Essere come un presente immutabile, ma piuttosto come un tempo infinito, un’estensione illimitata dell’Essere nel passato e nel futuro, senza inizio né fine. Anzi, si può dire che è proprio la sua incomprensione del concetto di eternità a-temporale elaborato da Parmenide che lo spinge a non intendere il concetto di perfezione come finitezza. Pensando l’eterno come l’infinito nel tempo, ne conclude che, per ragioni di simmetria e di parallelismo, debba esser infinito anche nello spazio (sul concetto greco di perfezione Approfondimenti). 34 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 4 Nella foto, la porta rosa dell’antica Elea (quella oltre la quale si imbocca il «sentiero del giorno», che porta alla «ben rotonda verità», nel poema di Parmenide). Essa fa parte di un complesso di scavi archeologici che hanno riportato alla luce anche l’area portuale, la Porta marina, le Terme ellenistiche, le Terme romane, l’Agorà, l’Acropoli, il quartiere meridionale e il quartiere arcaico. Questi resti dell’antica Elea, divenuta in età romana Velia, oggi frazione del Comune di Ascea (SA), sono stati dichiarati dall’Unesco «patrimonio dell’umanità». Sono visitabili tutti i giorni. Elea fu fondata da colonizzatori di Focea, città della Ionia (attuale Foça in Turchia), sul golfo di Smirne (attuale Izmir Mappa 1). Nelle Storie di Erodoto è narrata la storia dei Focei, primi navigatori su lunghe distanze e dell’epica vicenda della fondazione dell’antichissima Hyele, poi divenuta Elea. 35 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 5 CAPITOLO 5. LA RICERCA DI UNA SINTESI: I PLURALISTI La contrapposizione tra il pensiero di derivazione ionica e quello eleatico spinge i filosofi della generazione successiva ad una sintesi tra l’esperienza, in cui il divenire e la molteplicità appaiono come dati inconfutabili, e la razionalità logica e ontologica di Parmenide, che afferma l’immutabilità dell’Essere. Alla soluzione del nuovo problema, il conflitto tra esperienza e ragione, si impegnano i cosiddetti Pluralisti, filosofi diversi per origine geografica e formazione culturale, ma tutti intenzionati a raggiungere una sintesi che spieghi adeguatamente le ragioni per cui il conflitto è solo apparente. PARAGRAFO 1. RAGIONE ED ESPERIENZA: UNA CONTRADDIZIONE RISOLVIBILE La diffusione del pensiero di Parmenide nell’area greco-mediterranea suscitò un problema alla cui risoluzione si impegnarono i filosofi e scienziati della generazione successiva al maestro di Elea, contemporanei di Zenone e Melisso. Il problema dell’arché, nato dagli interessi naturalistici e scientifici dei pensatori di Mileto, è stato il primo problema propriamente filosofico. Ha avuto uno sviluppo rapido e inatteso, arrivando alla scoperta della dimensione ontologica della ricerca razionale. Ma ora l’ontologia razionale di Parmenide, che afferma l’unità e l’immutabilità dell’Essere, ha creato un conflitto con i dati dell’esperienza, la cui osservazione testimonia la realtà della molteplicità e del divenire. La ricerca dell’origine prima di Parmenide. Tutti i filosofi che hanno preceduto Parmenide hanno ricercato un principio unico ed immutabile che spiegasse nel miglior modo possibile l’esistenza di tutte cose molteplici e divenienti. Quindi, per tutti i filosofi ionici (Talete, Anassimandro, Anassimene, Eraclito e Pitagora, emigrato poi nella Magna Grecia) la realtà è costituita da due livelli diversi: 1. L’arché, immutabile unica ed eterna (cioè ingenerata e imperitura); 2. La natura o cosmo, che include tutte le cose diverse, contrarie ed opposte che sono molteplici e si modificano nel tempo, essendo soggette al divenire, quindi alla nascita e alla morte. Ma Parmenide con la sua logica stringente, che è una prosecuzione della logica messa progressivamente a punto dagli altri, ha mostrato che la nascita e la morte sono impossibili, in quanto equivalgono a un venire dal nulla e a un andare nel nulla. Ma il nulla non è e solo l’Essere in senso assoluto è, unico, immutabile, eterno, ingenerato, imperituro. In tal modo, Parmenide ha finito per rendere problematica l’esperienza comune, che testimonia molteplicità e divenire. Essa non sarebbe altro che opinione illusoria. Perciò non sarebbero altro che parole senza senso quelle che parlano di arché, di natura o cosmo, di molteplicità o divenire. Solo l’Essere è. Non vi è alcun principio né vi sono «nascere e perire, essere e non essere; e cambiare di luogo e mutare lo splendente colore». Lo sviluppo logico-ontologico di Parmenide ha finito, dunque, per presentarsi come una profonda svolta nella ricerca dell’origine. Così egli ha dato origine ad un contrasto che è bene espresso dai paradossi di Zenone. Da una parte la tesi di Parmenide che l’Essere è uno e immutabile; dall’altra l’antitesi (da confutare) che sostiene molteplicità e divenire. In tale antitesi non è rappresentato solo Eraclito, ma anche tutti gli altri filosofi ionici, compreso Pitagora che dalla Ionia si sposterà a Crotone. Se stiamo fermi alla dialettica di Zenone, la contraddizione sembra non risolvibile, la sintesi, tra tesi e antitesi, sembra una vana speranza. Questo conflitto, questa contraddizione apparentemente non risolvibile, tra ragione ed esperienza, è il nuovo problema che gli scienziati-filosofi detti pluralisti cercheranno di risolvere, trovando la sintesi possibile tra le due tesi contrapposte. Una nuova sintesi. Nei loro tentativi, pur nelle differenze anche profonde che li contraddistinguono, si può trovare una potente sintesi di tutto il pensiero filosofico ionico ed eleatico. Essi infatti uniscono gli interessi cosmologici, naturalistici e scientifici a quelli logici e ontologici, sia pure in gradi diversi. La loro sintesi non è semplicemente un compromesso tra posizioni diverse, ma nasce da uno sforzo di ragionamento e di argomentazione che produce nella filosofia del V secolo a.C. alcuni significativi passi avanti. Una sintesi è, infatti, sempre qualcosa di più di una semplice composizione tra tesi opposte e richiede un impegno per un superamento del problema e per elaborare una nuova visione della realtà. Ed è appunto ciò che accade nel pensiero dei pluralisti. 36 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 5 Per risolvere il problema del conflitto tra ragione ed esperienza essi riprendono lo schema logico dei pensatori ionici, costruito su due livelli. Ma lo modificano profondamente, operando una svolta molto importante rispetto a tutta la precedente filosofia. Spiegano, infatti, la molteplicità attribuendola non al livello della natura ma a quello dell’arché, che pertanto non è più unica ma plurale, molteplice e costituita di elementi materiali, ontologicamente caratterizzati come l’Essere di Parmenide. La ricerca dell’unità del molteplice, che era stata la caratteristica di tutto il pensiero ionico e che aveva condotto gli eleati ad affermarla come valore assoluto, ora viene messa da parte. I principi sono molteplici, pur conservando alcune delle caratteristiche che la filosofia ionica e quella eleatica avevano individuato: l’immodificabilità, l’eternità, l’ingenerabilità, l’indistruttibilità. Spiegano il divenire non come nascita e morte ma come la combinazione (aggregazione e disgregazione) dei molteplici principi da cui si genera la realtà naturale e cosmica. Perciò, riassumendo, i due livelli della realtà sono: 1. I molteplici principi o elementi, sostanze semplici, immutabili ed eterne (cioè ingenerate e imperiture); 2. La natura o cosmo, popolato di tutti gli enti molteplici e divenienti, sostanze composte che derivano dalla combinazione dei principi, i quali variamente si aggregano e disgregano nel tempo. PARAGRAFO 2. EMPEDOCLE DI AGRIGENTO Empedocle di Akragas (l’attuale Agrigento) fu medico, scienziato, forse mago e certamente filosofo. Fu un profondo conoscitore delle dottrine diffuse nella Magna Grecia, quella pitagorica e quella eleatica, ma anche della filosofia ionica che cercava negli elementi l’origine di tutte le cose. Ed è proprio nella pluralità dei quattro elementi che egli trova lo spunto per una complessa sintesi di tutto il pensiero precedente. Le radici di tutte gli enti. I quattro elementi non possono esser derivati da uno solo di essi, come pensavano Talete (l’aria), Anassimene (l’aria infinita) e in parte Eraclito (il fuoco come materializzazione del lógos). Non vanno neppure pensati come una mescolanza indifferenziata originaria, qual è l’ápeiron di Anassimandro. Devono invece concepiti come principi semplici, separati, immutabili e non modificabili, eterni, non generati e indistruttibili. Da essi deriva il cosmo e la natura e tutti gli enti molteplici e soggetti al divenire. Acqua, aria, fuoco, terra sono per Empedocle le «radici» da cui tutto trae alimento e linfa vitale. Dalle combinazioni delle radici nasce un ciclo cosmico anch’esso eterno, in cui tutti gli enti che possono esistere si aggregano e si disgregano progressivamente nella loro infinita varietà. Nulla nasce e nulla muore e il divenire non è un uscire dal nulla e tornare nel nulla, poiché il nulla non è e dal nulla non si genera nulla. La stessa generazione e la reciproca distruzione sono soltanto apparenti, poiché le sostanze che si combinano continuamente non subiscono alterazioni, non si producono e non si distruggono. Anassimandro pensava la generazione e la distruzione come il perenne ciclo della colpa e della pena, dell’ingiustizia che doveva essere riscattata. Parmenide la considerava un’assurdità ontologica impensabile, che necessità e giustizia proibivano. Melisso, adattando l’ontologia parmenidea alla sua cultura ionica, trasforma l’Essere nell’unica sostanza eterna. Empedocle trasforma la generazione e la distruzione, la morte e la nascita, nell’incessante comporsi e scomporsi degli elementi fondamentali, che hanno le stesse caratteristiche dell’Essere-sostanza di Melisso, ma anche quelle dell’arché ionica, principio di vita del Tutto in una concezione ilozoista che Empedocle fa sua. Gli elementi sono radici nel senso letterale della parola: da esse in tutti gli universi possibili scorre la linfa vitale, l’anima del cosmo e della natura. 37 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 5 Il problema della genesi del divenire. Ma il filosofo di Agrigento deve porsi un problema che i filosofi precedenti potevano ignorare. Che cosa induce le quattro radici a combinarsi? Qual è la necessità che costringe i quattro elementi, di per sé eterni ed immutabili e perciò anche immobili, a generare il divenire di tutte gli enti? Per i filosofi ionici l’arché è principio anche del divenire, del cambiamento di tutte le cose, è il «motore» che fa funzionare tutto il EMPEDOCLE. VITA E OPERE cosmo, tutta la natura. Ma Parmenide ha negato la verità del divenire. Empedocle, nato ad Akragas Ora Empedocle, che accoglie la tesi di Parmenide, attribuendo alle (l’attuale Agrigento) nel 492 a.C. e radici i caratteri dell’Essere, deve porsi il problema di individuare un vissuto fino al 430 a.C. circa, è stato principio dinamico. Per la filosofia ionica il divenire si genera dalle una delle menti più geniali della trasformazioni del principio, ma i principi di Empedocle, le radici, Sicilia del V secolo. Scienziato e non possono trasformarsi poiché le vincola la necessità dell’Essere. Le mago, medico e profeta, senza che radici perciò sono solo principi sostanziali, ma qual è allora il ciò potesse essere contradditorio «motore» che produce il loro movimento e la loro all’epoca, fu impegnato politicamente composizione/scomposizione, generando il divenire di tutti gli enti? nella città. Aristocratico di origine, Ed ecco la geniale intuizione di Empedocle, la bellissima metafora contribuì ad abbattere il tiranno dell’Amore e dell’Odio ispirata al mondo umano, passioni trasformate Trasideo nel 470, In seguitò si in forze cosmiche che governano il Tutto. Amore è la forza che schierò dalla parte democratica per unisce, Odio la forza che separa. rovesciare l’oligarchia dei Cinquecento. Sembra che venne Il ciclo cosmico. Le due forze agiscono contrapponendosi e, a esiliato nel Peloponneso dai suoi seconda del prevalere dell’una sull’altra o dell’equilibrio tra le due, si nemici. Intorno a lui fiorirono molte genera l’immenso ciclo cosmico: leggende, ma pare certo che liberò la città di Selinunte da un’epidemia, 1. Quando prevale Amore, tutto si unisce e le radici si fondono ereditando una fama di semidio. in un immenso Sfero, che richiama l’essere di Parmenide Ebbe una vasta conoscenza della (divenuto sostanza, come accade nel pensiero di Melisso), filosofia dell’epoca, avendo ma anche l’ápeiron di Anassimandro, l’indifferenziato frequentato la scuola pitagorica e armonico, non turbato dall’ingiustizia della molteplicità e del forse quella di Elea. divenire; A Empedocle sono attribuite opere di 2. Quando l’azione di Odio si equilibra a quella di Amore, carattere medico e politico, oltre che possono nascere i mondi e gli enti, diversi, contrari e opposti tragedie. Scrisse certamente due che li popolano: essi sono una mescolanza di Amore e Odio, poemi filosofici alla maniera di di forze che uniscono e forze che separano (è il regno del Parmenide: Sulla natura e molteplice e del divenire, che ricorda il pólemos di Eraclito); Purificazioni. Sono giunti fino a noi 3. Quando l’azione di Odio prevale tutto si disgrega, le radici si circa 450 frammenti rispetto ai 5000 separano e si afferma il Caos; versi complessivi dei due poemi.. 4. Quando Amore riprende ad agire e si equilibra con Odio, di nuovo si generano mondi ed enti diversi, contrari e opposti. Trascendenza o immanenza. Potremmo chiederci se le due forze siano immanenti o trascendenti. Agiscono dall’esterno rispetto alle radici, essendo da esse separate? O sono intrinseche alle radici stesse? La risposta non è facile, anche perché le concezioni immanentiste prevalgono decisamente nella filosofia delle origini. I Greci concepivano la natura e il cosmo come un Tutto autosufficiente, in cui la trascendenza forse era ancora impensabile. Bisogna però notare che la struttura logica del pensiero di Empedocle porterebbe a sviluppare il concetto di due forze trascendenti. Ma questo sviluppo non era ancora avvenuto nella dottrina del filosofo siciliano. D’altra parte, il suo ilozoismo lo induce ad intendere le due forze come coeterne alle radici e a pensare le radici stesse, cioè gli elementi, come fonti di vita, dotati essi stessi di vita. In questo senso, non c’è alcuna contraddizione nel fatto che Empedocle fosse e si proclamasse sia scienziato che mago. Dal suo punto di vista la scienza e la magia indagano entrambe le leggi di una natura che è vita ed è anima. Saranno gli Atomisti ( Paragrafo 3) ad anticipare una concezione moderna della scienza, separandola dal sapere magico-religioso che Empedocle tiene unito al sapere scientifico. Del resto, questo tipo di approccio lo ritroveremo ben venti secoli dopo, nel Rinascimento italiano, dove tra magia e scienza ci saranno ancora dei punti di contatto significativi. 38 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 5 Insomma, riassumendo, la realtà per Empedocle può essere così rappresentata: 1. I principi: a. Le quattro radici o elementi (acqua, aria, fuoco, terra), sostanze semplici, immutabili ed eterne (cioè ingenerate e imperiture) da cui tutti gli enti derivano; b. Le due forze cosmiche Amore e Odio, che, combinando tra loro le radici, generano tutti gli enti, secondo cicli cosmici che si ripetono nel tempo infinito; 2. I cicli cosmici e naturali, in cui possono esistere tutti gli enti molteplici e divenienti, sostanze composte che derivano dalla combinazione delle radici, le quali variamente si aggregano e disgregano nel tempo. L’anima. In un cosmo che è vita e anima, Empedocle fece propria la concezione pitagorica dell’anima individuale, che si adattava particolarmente alla sua visione ciclica del Tutto. Anche l’anima, come gli infiniti universi possibili, è sottoposta a cicli vitali che le permettono di rinascere infinite volte in corpi diversi, secondo la teoria della metempsicosi, già elaborata da Pitagora e proveniente dai misteri orfici ( Capitolo 4 Paragrafo 2). Un nuovo problema si affaccia: la conoscenza (e nasce la gnoseologia). Empedocle volle studiare non solo la realtà, ma anche il modo in cui avviene la conoscenza della realtà. Questo settore della filosofia, che avrà in seguito un grande sviluppo, si chiama «gnoseologia» ed è lo studio teorico della conoscenza ( Glossario). Implicitamente anche gli altri filosofi precedenti se ne sono occupati (il lógos di Eraclito e la matematica di Pitagora sono strutture della realtà ma anche della conoscenza; Parmenide stesso trattò a fondo il rapporto tra pensiero ed essere). Ora però la gnoseologia inizia ad avere uno sviluppo specifico. Il soggetto umano, autore della ricerca scientifica e filosofica, può diventare esso stesso oggetto di ricerca e di studio, nelle sue capacità conoscitive. Ci si può chiedere, infatti, attraverso quali modalità avviene, nell’essere umano, la conoscenza della realtà esterna. Nella visione sintetica di Empedocle, in cui l’ontologia eleatica, filtrata attraverso Melisso, si ricongiunge con l’ilozoismo dei primi filosofi, uomo e natura sono composti delle medesime sostanze che si mescolano e si separano ad opera di Amore e Odio. In quest’ottica la sensazione e il pensiero sono spiegabili come il continuo fondersi e separarsi degli elementi, delle radici da cui tutto prende vita. Perciò, per Empedocle, il simile conosce il simile: le sensazioni e il pensiero si producono in noi per contatto tra le parti degli stessi elementi che costituiscono tutti gli enti ( Approfondimenti Sezione 1 Percorso 5). PARAGRAFO 2. ANASSAGORA DI CLAZOMENE Ionico di nascita, l’astronomo, scienziato e filosofo Anassagora conosce bene il pensiero dei suoi predecessori e contemporanei e ne tenta una sintesi originale e solo apparentemente simile a quella di Empedocle. Con lui, l’interesse per la natura, per il cosmo e per la ricerca scientifico-filosofica, nato nelle colonie della Ionia e poi della Magna Grecia, giunge ad Atene, dove conoscerà in seguito uno sviluppo esponenziale. Suo allievo fu il grande statista Pericle. Ma i suoi corsi furono frequentati anche dal giovane Socrate, che poi sarà destinato ad imprimere alla filosofia una svolta decisiva e sarà accomunato al suo primo maestro Anassagora da un destino solo in parte simile ( Unità 2 Capitolo 2 Paragrafo 13). ANASSAGORA. VITA E OPERE Nacque a Clazomene (attuale Kilizman, nel golfo di Smirne) nel 500 a.C. e si formò nell’ambiente della ricerca scientifica ionica. Verso il 470 introdusse ad Atene la filosofia, entrando anche a far parte del «partito» di Pericle, di cui divenne maestro e consigliere. La scuola di ricerca scientifica e di elaborazione teorica socio-politica che fondò ad Atene ebbe tra i suoi allievi anche Socrate. Il suo influsso sulla cultura ateniese durò per una quarantina d’anni, preparando il terreno alla «rivoluzione sofistica» che avrebbe fatto dei problemi sociali e politici il centro di interesse dominante per la filosofia di fine V secolo e del successivo. Gli avversari politici di Pericle, verso il 433, lo accusarono di ateismo ed empietà per le sue teorie astronomiche (negava agli astri carattere divino) e lo costrinsero all’esilio. Tornò nella Ionia, a Lampsaco, dove aprì un’altra scuola e visse, circondato dall’ammirazione dei concittadini, fino al 428 a:C: Nei suoi trattati scientifici si occupò anche di medicina, biologia e matematica. La sua opera principale Sulla natura fu diffusa pubblicamente ad Atene e venduta alla cittadinanza, come un libro moderno. Ne sono pervenuti una ventina di frammenti. 39 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 5 Condivide con Empedocle l’esigenza di mantenere distinti i due livelli di realtà, quello dell’Essere, dei principi semplici e immutabili, e quello del divenire cosmico in cui si generano per composizione/scomposizione tutti gli enti. Ma la sua soluzione presenta alcuni tratti di genialità che lo caratterizzano in modo particolare. I semi. Innanzitutto, i principi sono infiniti e, per sfuggire alle aporie messe in luce da Zenone, sono anche infinitamente divisibili. Anassagora li chiama semi e li considera miscugli di sostanze originariamente indifferenziati e simili, nel nome del principio «tutto è in tutto». Perciò Aristotele li chiamerà omeomerie, cioè «particelle simili». Essi differiscono fra loro qualitativamente, nel senso che varia la mescolanza che le costituisce: cambiano, per così dire, le dosi dei medesimi ingredienti. I semi non sono sostanze, ma mescolanze originarie di tutte le sostanze che esistono, quelle che compongono i minerali, i vegetali e gli animali. Il grano, per esempio, è costituito di semi che si ritrovano anche nel corpo umano: infatti, il nostro corpo si nutre di pane che deriva dal grano. «Tutto è in tutto» significa appunto che tutti i semi contengono tutte le sostanze, sia pure mescolate diversamente. Quindi, per esempio, nei semi del grano prevalgono certe sostanze vegetali, ma sono presenti anche tutte le altre; nei semi che formano il corpo umano prevalgono altre sostanze rispetto a quelle vegetali, ma anche queste sono presenti, tant’è che di esse ci nutriamo: «[…] non è possibile che qualche cosa esista separatamente, ma tutte le cose hanno parte a tutto» (fr. 6 DK). Il richiamo ad Anassimandro è abbastanza evidente. I semi sono miscugli indifferenziati e, confusi tutti insieme, formano una sorta di ápeiron, che conserva anche i caratteri dell’Essere eleatico: immutabilità, ingenerabilità, indistruttibilità, eternità. Il movimento dei semi li separa progressivamente dall’originaria caotica fusione e, dopo averli separati, li aggrega e disgrega in infiniti tempi e modalità, dando origine a mondi infiniti e a tutti gli enti che li abitano. Anche per Anassagora, nulla nasce e nulla muore e il divenire non è un uscire dal nulla e tornare nel nulla, poiché il nulla non è e dal nulla non si genera nulla. La stessa generazione e la reciproca distruzione sono soltanto apparenti, poiché i semi che si combinano continuamente non subiscono alterazioni, non si producono e non si distruggono: «I Greci non hanno una giusta visione del nascere e del morire, poiché niente nasce né perisce, ma da ciò che esiste si riunisce e si separa. E così dovrebbero rettamente chiamare il nascere una riunione, il morire una separazione» (fr. 17 DK). Il Noús. Anche per Anassagora si pone però, come per Empedocle, il problema del «motore», del principio dinamico che produce il divenire, agendo sulla massa indistinta dei semi per separali e ricombinarli nelle infinite forme di esistenza che possono abitare la natura, il cosmo e gli infiniti universi possibili. I semi sono, infatti, principi immutabili, in sé immobili. Che cosa può indurli a combinarsi? Qual è la necessità che li costringe a generare il divenire di tutte gli enti? Qual è, o quali sono i principi dinamici? Anche in questo caso, il genio del filosofo di Clazomene appare in tutta la sua evidenza. Egli, infatti, indica nel Noús, cioè nell’Intelletto, la forza cosmica, l’intelligenza superiore che governa il divenire. La grande metafora di Amore e Odio elaborata da Empedocle, viene semplificata e potenziata da Anassagora: una sola forza cosmica intelligente è il motore di tutte le infinite trasformazioni possibili. Trascendenza o immanenza. Anche in questo caso, come per Empedocle, possiamo chiederci se si tratti di un principio immanente o trascendente, anche se la questione è ancora prematura per quell’epoca. Ma è lo stesso Anassagora a chiarirci le idee: «In ogni [cosa] c’è una particella di ogni [cosa], eccezion fatta per l’Intelletto» (fr. 12 DK). L’Intelletto è separato, in quanto non può essere mescolato a nessuna altra cosa. È un principio che non partecipa della materia con cui sono composti tutti gli altri enti del cosmo e degli infiniti universi possibili. Si affaccia, senza ancora definirsi, una concezione trascendente del principio dinamico ( Approfondimenti). Certo, egli si ispira alle indagini della scuola ionica, all’ápeiron di Anassimandro, all’immaterialità dell’aria/anima di Anassimene e, soprattutto, al lógos immanente di Eraclito, ma il suo passo avanti è notevole e avrà influssi decisivi sul pensiero successivo. Ed è un passo avanti che è pronto a giustificare le trasformazioni della polis ateniese, in cui l’aristocrazia e i suoi valori fondati sull’ereditarietà stanno tramontando. Si affermano i nuovi ceti medi, che fanno dell’intelligenza, della scienza e del dominio tecnico sulla natura la loro forza. È ora possibile riassumere il quadro della visione complessiva di Anassagora: 1. I principi: a. I semi infiniti e infinitamente divisibili, immutabili ed eterni (cioè ingenerati e imperituri), da cui tutti gli enti derivano; 40 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 5 b. Il Noús, che produce il divenire e, separando i semi dall’ammasso originario indifferenziato e poi combinandoli tra loro, permette la generazione di tutti gli enti del cosmo e degli infiniti universi possibili; 2. La natura, il cosmo e gli infiniti universi in cui possono esistere tutti gli enti molteplici e divenienti, sostanze composte che derivano dalla combinazione dei semi, i quali variamente si aggregano e disgregano nel tempo. La gnoseologia. Anassagora, come Empedocle si occupò anche di gnoseologia, ma all’opposto del filosofo di Agrigento, pose il centro di ogni conoscenza nel cervello, e ritenne che essa avvenisse per contrasto, per differenza: l’intelligenza si confronta con la natura fisica, ne fa esperienza, ne ricava concetti che applica nel controllo metodico della natura attraverso la scienza e la tecnica ( Approfondimenti).11 PARAGRAFO 3. LEUCIPPO DI MILETO E DEMOCRITO DI ABDERA Con la leggendaria figura di Leucippo, erede dell’antica sapienza scientifica nata a Mileto, inizia la scuola atomistica, che avrà nel suo seguace Democrito e, successivamente, nella lunga storia della scuola di Epicuro, una notevole diffusione ben oltre l’ambito della cultura greca, fin oltre il Rinascimento del XVI secolo d.C. Gli atomi. Ancor oggi sono considerati dalla scienza i componenti fondamentali della materia, gli atomi sono pensati da Leucippo come le particelle elementari infinite, ingenerate e indistruttibili, di cui sono composti tutti gli enti che possono esistere negli infiniti universi possibili. L’influenza dello ionico Anassagora sembra indiscutibile, ma ci sono due importanti differenze che devono essere sottolineate: 1. Le particelle sostanziali di Anassagora, i semi, sono infinitamente divisibili, mentre quelle di Leucippo, gli atomi si chiamano così perché sono indivisibili (a-tómos in greco significa: «che non può essere tagliato»). Anassagora si preoccupa di sfuggire alle aporie di Zenone, Leucippo ne confuta la validità logica ed è probabile che la sua formazione scientifica sia immune dall’influenza eleatica; 2. I semi di Anassagora sono particelle simili, che si differenziano tra loro qualitativamente, miscugli diversi di tutte le sostanze fondamentali, già originariamente mescolate. Leucippo, invece, non sembra interessato ad approfondire la composizione degli atomi: essi sono semplicemente la materia fondamentale da cui tutti gli enti sono composti e le loro reciproche differenze sono solo di tipo quantitativo, spaziale e «geometrico». LEUCIPPO. VITA E OPERE Le notizie sulla vita di Leucippo sono talmente scarse che qualche storico della filosofia ne nega perfino l’esistenza. Sembra comunque che sia nato a Mileto, culla della filosofia, tra il 490 e il 475 a. C. e che sia vissuto fino al 420-410 a:C. Fu forse in contatto con Anassagora, dalla cui teoria trasse ispirazione per elaborare le sue tesi atomiste. Verso il 440 si trasferì ad Abdera, in Tracia, dove fondò una scuola, che fu frequentata da Democrito, cui si attribuisce lo sviluppo sistematico delle dottrine del maestro. Scrisse una Grande cosmologia, sul cui contenuto ci sono giunte solo testimonianze indirette. Sul primo punto non ci dovrebbero essere difficoltà. Approfondiamo il secondo, leggendo un passo di Aristotele: «Essi riducono, tuttavia, queste differenze a tre, ossia alla figura, all’ordine e alla posizione, giacché affermano che l’oggetto si distingue per proporzione, per contatto e per direzione; ma tra queste tre cose, la proporzione si identifica con la figura, il contatto con l’ordine, la direzione o la posizione: difatti A differisce da N per figura, AN da NA per ordine, Z da N per posizione» (Aristotele, Metafisica, I, A, 4, 985 b, 13-20). La spiegazione è alquanto chiara, anche se l’esempio verte sulle lettere dell’alfabeto. Proviamo a fare un altro esempio. Un triangolo è diverso da un quadrato per la forma. Un quadrato è diverso da un rombo per la posizione nello spazio. 11 Cfr. M. Vegetti, 1970. 41 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 5 Un quadrato appoggiato su un rettangolo dà origine a una combinazione diversa da quella che si ottiene appoggiando il rettangolo sul quadrato. Tutti gli enti, secondo Leucippo, risultano dall’infinita combinazione di queste tre varianti, per cui forme diverse, posizioni diverse nello spazio e ordini diversi nella combinazione stessa generano un’infinita varietà di enti e di universi infiniti. Il materialismo. La sua tendenza a trasformare la sostanza in materia, che già si era rilevata nell’eleatico Melisso di Samo, lo porta dunque a proseguire sulla strada aperta da Anassagora, cercando di rendere più rigorosa e più matematica la sua teoria, moltiplicando all’infinito l’Essere uno di Melisso. Al contrario di Anassagora, però, Leucippo cerca di sfuggire alle confutazioni di Zenone, basate sull’infinita divisibilità dello spazio, non assumendo una posizione difensiva, ma entrando nel merito della questione. Anassagora, infatti, per evitare obiezioni, aveva concepito la sostanza come infinitamente divisibile. Leucippo invece, o forse fu il suo allievo Democrito, distingue tra lo spazio ideale della geometria, in cui si applica il principio della divisibilità infinita, e lo spazio fisico, in cui la regressione all’infinito è impossibile: la materia non può essere infinitamente scomposta, ma è logico che a un certo punto della scomposizione ci si imbatta nella particella minima, nel mattoncino più piccolo, ma semplice e non divisibile, che costituisce la materia: l’atomo, appunto. La sua teoria è il primo vero e rigoroso materialismo della storia del pensiero. Egli, infatti, insieme al suo allievo Democrito, identifica il tutto con la materia fisica. Il movimento e il vuoto: una concezione moderna e materialistica della scienza. La semplificazione razionale del pensiero di Anassagora conduce Leucippo anche a negare l’esistenza di qualsiasi principio che governi il divenire, l’aggregarsi e il disgregarsi dei composti atomici, cioè di tutti gli enti, che sono il risultato della combinazione infinita delle particelle elementari. Tutto si spiega in termini fisici, sull’asse della tradizione ionica, che concepiva il movimento e il divenire come immanenti al principio originario. Allo stesso modo, Leucippo include il movimento originario eterno e inarrestabile tra le caratteristiche originarie degli atomi, il cui incessante vortice dà origine ad infiniti universi, al cosmo che conosciamo, alla natura e a tutti gli enti possibili. Ma la maggiore originalità di Leucippo, e certo anche di Democrito, è una conseguenza altrettanto logica della trasformazione della sostanza in atomi infiniti di materia dotati di movimento. Infatti, per essere possibile, il movimento presuppone che esista il vuoto, in cui gli atomi possano muoversi liberamente, in modo del tutto indeterminato e casuale. Lo precisa Aristotele nella sua Metafisica: «[…] Leucippo, invece, e il suo compagno Democrito affermano che sono elementi il pieno e il vuoto, […], identificando il pieno e il solido con l’essere, il vuoto col non-essere [perciò il vuoto è reale come il corpo], e secondo loro queste sono le cause della realtà, e cause in senso materiale» (Aristotele, Metafisica, I, A, 4, 985 b, 4-10). Dunque, anche il non essere esiste come spazio infinito vuoto che rende possibile il movimento continuo delle particelle e la generazione di tutti composti possibili, dagli universi più vasti e innumerevoli agli enti più microscopici. Dunque, nella loro sintesi del pensiero precedente, Leucippo e Democrito operano una sistematica riduzione all’ambito fisico. Tutto ciò che esiste è materia in movimento, in un vortice originario che è reso possibile dall’esistenza del vuoto. Democrito di Abdera. Meccanicismo e determinismo. Mente geniale dai vasti interessi, fu allievo di Leucippo e sviluppò ulteriormente la teoria atomistica, applicandola a pressoché tutti i campi del sapere. Nei suoi viaggi soggiornò anche ad Atene e venne in contatto con la nuova cultura ateniese, in cui si era inserito lo stesso Anassagora di Clazomene, cui gli atomisti si erano ispirati. Ma, nella nuova capitale commerciale e morale del mondo ellenico, gli 42 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 5 interessi naturalistici erano ormai stati abbandonati a favore di altri temi e problemi, più attinenti alla vita umana e sociale. Democrito tentò, pur con scarso successo, di divulgare ad Atene una visione rigorosamente scientifica anche sulle nuove questioni antropologiche, che si erano sostituite a quelle cosmologiche ( Approfondimenti). Tuttavia, la rivoluzione dei Sofisti e la profonda svolta impressa da Socrate si imporranno sul futuro dibattito filosofico, mettendo temporaneamente in disparte l’approccio atomistico ( Unità 2). Sembra che l’unica fondamentale modifica apportata da Democrito alla struttura atomica della materia consista nel considerare il movimento degli atomi come rigorosamente determinato. Il movimento spontaneo e immanente degli atomi (in cui sembra anticipato il principio di inerzia, che sarà scoperto molti secoli più tardi) sembra fosse concepito da Leucippo come un vortice imprevedibile e casuale. Al contrario Democrito, perfezionando la concezione meccanica del moto degli atomi, concepisce tale moto come prevedibile: «Il carattere meccanicistico del suo materialismo dipende dal fatto che le uniche leggi regolanti il moto degli atomi sarebbero […] di tipo meccanico. Poiché tali leggi consentirebbero di ricavare con esattezza il comportamento dei corpi […] ne segue che non vi sarà posto, entro il mondo, per alcuna libertà; in altri termini, il materialismo meccanicistico darà luogo a una concezione rigorosamente deterministica di tutti i processi naturali» (L. Geymonat, 1970). Per meccanicismo si intende una concezione filosofica che tende a identificare il divenire con il movimento meccanico dei corpi. Spesso tale concezione implica il materialismo, in cui si ammette solo l’esistenza di corpi materiali. Il determinismo interpreta ogni evento della realtà come effetto di una catena causale: Ogni evento, quindi, è sia effetto che causa di altri eventi ( Glossario). Insomma, i due atomisti sono dei potenti anticipatori di alcuni principi della scienza e della filosofia moderna del XVII secolo 12: materialismo e meccanicismo, strettamente congiunti tra loro ( Glossario). DEMOCRITO. VITA E OPERE Nacque ad Abdera, in Tracia, nel 460 a.C. e fu allievo di Leucippo. Pare che rinunciò ad una parte delle ricchezze che gli provenivano da una famiglia benestante per dedicarsi ai suoi studi. Viaggiò a lungo in Asia e soggiornò ad Atene all’epoca in cui si diffondeva la sofistica e fu contemporaneo di Socrate. Visse fino al 360 a.C. Scienziato dai vastissimi interessi si occupò di tutti i campi del sapere della sua epoca (dalla matematica alla musica, dalla storia alla linguistica, dall’agricoltura alla pittura, dalla medicina alla biologia), sviluppando e applicando le teorie del suo maestro Leucippo. Scrisse numerose opere, tra cui la Piccola cosmologia, Sulla natura, Sulle forme degli atomi, Sulle parole, delle quali ci sono giunti solo brevi frammenti, anche se numerosi. L’anima e la conoscenza: qualità primarie e secondarie Nella sua visione materialista e meccanicista Democrito concepisce anche l’anima come composta di atomi, più leggeri di quelli che compongono i corpi. Anche la conoscenza avviene per contatto meccanico, attraverso l’urto degli atomi. Da ciò deriva una distinzione che avrà molto successo nell’ambito della rivoluzione scientifica del XVII secolo: quella tra qualità primarie e qualità secondarie. Le qualità primarie sono le reali proprietà oggettive dei corpi, che derivano dalle proprietà degli atomi: sono cioè le quantità. Tutto ciò che è misurabile è oggettivo: la forma o figura, le dimensioni fisiche, lo spazio, il tempo, il movimento, la velocità. Tutte le altre proprietà, quelle non misurabili, sono soggettive: esistono solo nell’anima che le percepisce. Pertanto il suono, il colore, il sapore e l’odore non appartengono realmente ai corpi, anche se sono l’effetto delle forme degli atomi. Esse dipendono però anche dalle diversità di percezione dei singoli individui. È una dottrina, questa, che influenzerà notevolmente il suo concittadino Protagora, anch’egli allievo di Leucippo ( Unità 2, Capitolo 1, Paragrafo 3). Un nuovo problema prende forma: l’etica. Nel pensiero di Democrito, che volle occuparsi con atteggiamento scientifico di tutti gli argomenti possibili, comincia a prendere forma autonoma un settore di ricerca che non era stato ancora affrontato con gli strumenti teorici che esso richiedeva. Si tratta dello studio del comportamento umano, 12 Cfr. L. Geymonat, 1970. 43 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 5 dell’indagine sulle eventuali norme che possono regolarlo. Questo settore della filosofia si chiama «etica» (dal greco ethos, che significa carattere, temperamento e, in senso lato, comportamento). Da lì a poco l’etica avrà un grande sviluppo (cfr. Sofisti Unità 2), ma Democrito è il primo che affronta il problema con i mezzi concettuali della sua dottrina. La riflessione morale, sulle norme dell’agire umano, sui valori di un saggio modo di vivere, era sempre esistita, fin dalla più antica mitologia, era stata trasmessa dai poeti, fatta propria dalle massime dei Sette Savi ed era implicita nelle teorie di tutti i filosofi precedenti. Ma se la filosofia ha cercato i principi che governano la natura con mezzi razionali, dovrà essere possibile cercare anche, con gli stessi mezzi, i principi che governano il mondo umano. Ed è ciò che inizia a fare Democrito, con la sua etica atomistica, individualistica, fondata sull’autocontrollo e sull’autosufficienza ( Approfondimenti). Democrito anticipò i Sofisti anche con i suoi trattati sul linguaggio ( Unità 2) e si interessò di storia della civiltà, di biologia, di medicina e di altro ancora ( Approfondimenti). 44 Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 5 Tabella riassuntiva. Nascita di nuovi problemi e di nuovi ambiti della filosofia dallo sviluppo delle dottrine derivanti dalla ricerca sui problemi precedenti Ambito cosmologico - Problema della ricerca dell’origine Nuovo ambito Nuovo problema Filosofi o scuole Sviluppi e relativi ambiti della filosofia filosofico Scuola di Mileto Eraclito Pitagora Scuola di Elea Empedocle Anassagora Leucippo e Democrito Ricerca della sostanza materiale originaria (cosmologia) Ricerca della struttura logica originaria Ricerca della struttura matematica originaria Ricerca della struttura logico-ontologica del Tutto Ricerca della struttura materiale e logicoontologica di tutto ciò che esiste (ontologia e cosmologia) Ricerca della struttura materiale e logicoontologica di tutto ciò che esiste (ontologia, cosmologia e gnoseologia) Ricerca della struttura materiale e logicoontologica di tutto ciò che esiste (ontologia, cosmologia e gnoseologia) 45 Ricerca del lógos Logica Ricerca sull’essere Ontologia Ricerca sulle capacità conoscitive dell’essere umano Gnoseologia Ricerca sui principi del comportamento umano Etica Percorsi della filosofia Sezione 1, Unità 1, Capitolo 5 HAI IMPARATO CHE ... 1. LA FILOSOFIA NASCE A MILETO COME RICERCA DELL’UNICA E PERMANENTE ORIGINE DI TUTTE LE MOLTEPLICI COSE CHE MUTANO NEL TEMPO. 2. SI SVILUPPA COME RICERCA DELLA STRUTTURA ORIGINARIA, LOGICA O MATEMATICA, DEL TUTTO, NELLE DOTTRINE DI ERACLITO E PITAGORA. 3. SCOPRE LA DIMENSIONE DELL’ESSERE DI TUTTE LE COSE COME CARATTERISTICA UNICA E IMMUTABILE GRAZIE ALLA SCUOLA DI ELEA. 4. CERCA DI ATTUARE UNA SINTESI TRA IL DIVENIRE E L’ESSERE, IN MODI SIMILI MA DIVERSI, AD OPERA DEI PLURALISTI. www.angeloconforti.it [email protected] 46