L’insufficienza renale nei
portatori di trapianti non renali:
il punto di vista di un nefrologo
RIASSUNTO
L’insufficienza renale cronica è una frequente e grave complicazione dei trapianti d’organo non renale e diversi fattori possono concorrere alla sua eziopatogenesi. La prevenzione dell’insufficienza renale post-trapianto è anzitutto basata su un uso corretto degli inibitori della calcineurina. Il dosaggio di questi
farmaci dovrebbe essere ridotto in presenza di aumenti della creatinina plasmatici superiori al 30%. L’esposizione a questi agenti immunosoppressivi dovrebbe essere monitorata mediante il monitoraggio dei livelli plasmatici. Nei pazienti in terapia con ciclosporina sono particolarmente utili i valori di picco alla
seconda ora, che correlano bene con l’area sotto la curva. Vanno anche evitati,
nel limite del possibile, gli antibiotici e antivirali nefrotossici, gli anti-infiammatori non steroidei e altri agenti che possano produrre un danno renale. Molto
importante è il controllo dei fattori aspecifici di progressione.
Nei pazienti che abbiano già sviluppato insufficienza renale è stato tentato un rimpiazzo degli inibitori della calcineurina con inibitori di mTOR con risultati contrastanti. Una completa sospensione dell’anti-calcienurinico può esporre a rigetto.
D’altra parte, vi è un sinergismo di tossicità tra queste due categorie di farmaci, per
cui è sconsigliabile la somministrazione a dosi piene dei due farmaci per iniziare la
progressiva sospensione dell’anti-calcineurinico. Teoricamente, la manovra più
prudente potrebbe consistere nella progressiva riduzione fino a dosi minime dell’anti-calcineurinico (non alla completa sospensione), associata alla progressiva introduzione dell’inibitore di mTOR fino a raggiungere dosi terapeutiche.
Parole chiave
Nefrotossicità, trapianto di cuore, trapianto di fegato, inibitori calcineurina,
inibitori mTOR.
Renal failure in non-renal organ transplantation:
a nephrologist’ s point of view
SUMMARY
Chronic renal failure is a frequent and severe complication of non-renal organ
transplantation and a number of factors may be involved in its etiopathogenesis. The
prevention of renal insufficiency is first based on an appropriate use of calcineurin
inhibitors. The doses should be reduced whenever the plasma creatinine levels increase more
than 30% over the basal. The exposure to these agents should be monitored through their
plasma levels. With cyclosporine it is particularly useful the measurement of the peak levels,
two hours after the drug administration, which have good correlation with the area-underthe-curve. Whenever possible the use of nephrotoxic antibiotics, antiviral agents and nonsteroidal antiinflammatory drugs should be avoided. Also important is the control of nonspecific factors of progression. Complete withdrawal of calcineurin-inhibitors with
replacement with mTOR inhibitors has been tried with conflicting results. Such a
manoeuvre may be complicated by rejection when calcineurin inhibitor is stopped rapidly
or by an enhanced nephrotoxicity when a full dose of mTOR inhibitor is added before the
reduction of calcineurin inhibitor. Theoretically, it may be preferable to reduce gradually
the calcineurin inhibitor until minimal doses (not complete withdrawal) while introducing
progressively the mTOR inhibitor until reaching the therapeutic dosage
Key words
Nephrotoxicity, heart transplantation, liver transplantation, calcineurin inhibitors,
mTOR inhibitors.
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2/ 2005
Claudio Ponticelli
Istituto Auxologico Italiano
L’insufficienza renale
nei portatori di trapianti
non renali: il punto
di vista del nefrologo
l
C. Ponticelli
Trapianti 2005; IX: 61-71
Introduzione
È esperienza comune che, anche escludendo il trapianto renale, un
numero importante di trapiantati può sviluppare un’insufficienza
renale progressiva fino alla completa perdita funzionale dei reni.
Tale complicazione rischia di diventare sempre più frequente, favorita dalla più lunga emivita del trapianto e da un’accettazione sempre più ampia dei candidati al trapianto. In un’analisi retrospettiva
dei dati americani, Ojo et al.1 hanno riportato che, durante un follow-up mediano di 36 mesi, il 16,5% di 11.426 pazienti che avevano
ricevuto un trapianto non renale sviluppò insufficienza renale cronica. Il rischio di insufficienza renale a 5 anni era attorno all’11%
per i trapiantati di cuore, al 18% per i trapiantati di fegato e al 21%
per i trapiantati di intestino ed era quasi raddoppiato a 10 anni. Lo
sviluppo di insufficienza renale cronica aumentava di 4,55 volte il
rischio di morte.
l
Cause di insufficienza renale
Nella maggior parte dei casi l’insufficienza renale nei portatori di trapianto non renale riconosce una genesi multifattoriale.
1. Farmaci immunosoppressori. Sia il tacrolimus sia la ciclosporina inducono una profonda vasocostrizione renale, mediata da un’aumentata sintesi di endotelina, da uno sbilanciamento tra prostaglandine
vasodilatatrici e trombossani vasocostrittori, da un’aumentata espressione di angiotensina II, e da una ridotta sintesi di ossido nitrico2. La
conseguente ischemia renale determina riduzione della filtrazione
glomerulare, aumento della creatinina plasmatica, dell’azotemia,
dell’uricemia. Tali alterazioni funzionali sono dose-dipendenti e reversibili. Tuttavia, l’angiotensina II e gli altri stimoli vasocostrittori
favoriscono anche un’aumentata espressione del transforming-factor ß-1 (TGFß-1), un potente profibrotico che svolge un ruolo importante nella patogenesi della fibrosi interstiziale. Inoltre l’angiotensina II stimola la produzione di osteopontina, che a sua volta recluta fibroblasti e macrofagi3. Ne possono derivare lesioni arteriolari, con ispessimento mucinoide dell’intima o jalinosi nodulare, e in
una fase più avanzata fibrosi interstiziale e atrofia tubulare4. Anche
queste alterazioni sono spesso dose-dipendenti, ma vi è una diversa
suscettibilità individuale; alcuni pazienti possono tollerare dosi relativamente elevate mentre altri pazienti sviluppano un’insufficienza
renale anche dopo esposizione a dosi moderate di inibitori della calcineurina. È ben documentato, inoltre, che reni di persone anziane
e/o con insufficienza renale pre-esistente sono particolarmente vulnerabili alla tossicità degli inibitori della calcineurina5.
Gli inibitori di mTOR (o FRAP), una chinasi che svolge un ruolo chiave nella regolazione della proliferazione cellulare in risposta a citochine e fattori di accrescimento, sono stati a lungo considerati come privi
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di tossicità renale. Tuttavia studi sperimentali e osservazioni cliniche
hanno dimostrato che sia il sirolimus che l’everolimus possono esercitare una certa nefrotossicità, sia pure molto inferiore a quella degli
inibitori della calcineurina. Studi nell’animale hanno evidenziato alterazioni tubulari consistenti in collasso tubulare, vacuolizzazione, nefrocalcinosi6 ed aumentata apoptosi delle cellule tubulari7. Nell’animale da esperimento il sirolimus aumenta l’espressione di TGFß-18.
L’associazione con inibitori della calcineurina amplifica questo
effetto9. Inoltre, i mTOR antagonisti possono aumentare la proteinuria in alcuni modelli di glomerulonefrite sperimentale10. Le esperienze cliniche con questi farmaci nel trapianto renale hanno documentato la possibilità che provochino una ritardata ripresa funzionale11, un
sinergismo di tossicità renale con ciclosporina12 e tacrolimus13, un effetto proteinurico nei pazienti con insufficienza renale14. Per quanto
la nefrotossicità degli inibitori di mTOR sia complessivamente modesta, questa non va trascurata ricordando che può essere amplificata
dalla pre-esistenza di un danno renale e dall’associazione con dosi stadard di inibitori della calcineurina.
Poiché gli studi disponibili dimostrano che l’associazione di everolimus con basse dosi di ciclosporina diminuisce il rischio di nefrotossicità senza ridurre l’efficacia terapeutica15,16, l’uso dell’associazione
Csa + everolimus nella pratica clinica dovrebbe prevedere l’impiego
di Csa a dosi molto più basse rispetto alle dosi standard, al fine di
minimizzare la tossicità renale.
2. Età avanzata. È tuttora discusso se l’età avanzata di per sé si accompagni ad una riduzione della funzione renale. Per molto tempo si è ritenuto che il passaggio alla senescenza determinasse una perdita di
massa renale di circa il 40%17. Studi più recenti hanno dimostrato
che negli anziani sani deceduti per cause traumatiche si ha invece
solo una modesta riduzione della massa renale18. Tuttavia, la gran
maggioranza dei soggetti anziani soffre di condizioni morbose (aterosclerosi, ipertensione arteriosa, diabete, ecc.) che possono causare
glomerulosclerosi, aumento delle resistenze vascolari intra-renali, alterata regolazione dell’escrezione di acqua e sodio19. Queste condizioni rendono il rene dell’anziano più vulnerabile ai farmaci immunosoppressori, ad altre sostanze nefrotossiche, alle brusche variazioni emodinamiche e agli stessi fattori aspecifici di progressione. Nello
studio di Ojo et al.1 il rischio di sviluppare insufficienza renale cronica nei pazienti con trapianto non renale aumentava del 36% per
ogni decennio di età.
3. Disfunzione renale pre-esistente. Molti pazienti che sviluppano insufficienza renale dopo trapianto avevano una funzione renale alterata
già al momento del trapianto. Nell’analisi retrospettiva di Ojo et al.1
solo il 50% dei trapiantati aveva una filtrazione glomerulare (FG) ≥
90 ml/min. Il 25% aveva una FG tra 60 e 89 ml/min, il 20% una FG
tra 30 e 59 ml/min e il 5% una FG inferiore a 29 ml/min. Inoltre un
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10% soffriva di ipertensione arteriosa, un 8% di diabete mellito, un
15% era portatore di virus B o C dell’epatite.
Quindi circa la metà dei trapiantati aveva una disfunzione renale ed
almeno il 5% aveva un’insufficienza renale grave al momento del
trapianto. Era verosimile attendersi che un buon numero di questi
pazienti avrebbe sviluppato insufficienza renale nel giro di pochi
anni, indipendentemente dal trapianto.
Infatti, la riduzione di massa nefronica può innescare un circolo vizioso che conduce all’insufficienza renale terminale. I nefroni residui vanno incontro ad una ipertrofia compensatoria del mesangio
che può arrivare alla sclerosi. Inoltre, il ridotto numero di nefroni
causa importanti modificazioni dell’emodinamica intra-renale. A
fronte di una maggiore portata ematica per singolo glomerulo, l’autoregolazione renale dovrebbe impedire un iperallusso ed un’ipertensione glomerulare. Tuttavia, l’arteriola afferente non è in grado
di modulare adeguatamente il proprio tono. La sua vasocostrizione
è inferiore rispetto a quello dell’arteriola efferente. Ne consegue
una relativa vasodilazione pre-glomerulare, un aumento della pressione idraulica intra-glomerulare e un’aumentata permeabilità glomerulare, con proteinuria, progressiva sclerosi glomerulare e ulteriore perdita di nefroni20.
4. Proteinuria. Vi è una buona evidenza sperimentale e clinica indicante che la proteinuria rappresenta un importante fattore di progressione verso l’insufficienza renale. L’eccessivo riassorbimento di proteine da parte del tubulo prossimale stimola il rilascio di mediatori
infiammatori, di citochine e di chemochine nel versante interstiziale. Questi agenti attivano la proliferazione di fibroblasti e miofibroblasti con successiva sintesi di matrice extra-cellulare e sviluppo di fibrosi interstiziale21. Alternativamente, è stato ipotizzato che la proteinuria produca una lesione del podocita, una cellula situata sul
versante esterno della membrana basale del glomerulo (GBM) che
svolge numerose importanti funzioni tra cui quella di regolare il
traffico di proteine. Le brecce causate dal danno podocitario consentono l’essudazione di materiale attraverso la GBM con successiva
formazione di connessioni tra GBM e capsula di Bowman, proliferazione extra-capillare e danno funzionale22.
Studi epidemiologici sulla popolazione generale hanno trovato una
forte associazione tra presenza ed entità della proteinuria e sviluppo
di insufficienza renale23. Non esistono dati precisi sulla frequenza e
sull’entità della proteinuria nei candidati al trapianto non renale,
ma è ragionevole assumere che una discreta percentuale di pazienti
possa avere sviluppato proteinuria in conseguenza della prolungata
stasi renale nei pazienti con scompenso cardiaco o in conseguenza
di nefropatie da virus B o C (vedi più avanti).
5. Glomerulonefriti e nefriti interstiziali. Esistono diverse glomerulonefriti associate al virus dell’epatite e quindi potenzialmente già pre-
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senti nel ricevente HBV o HCV positivo. L’epatite da virus B è spesso
associata ad una nefropatia membranosa24, l’epatite da virus C alla
glomerulonefrite crioglobulinemica25. Inoltre la cirrosi epatica può
favorire lo sviluppo di una glomerulonefrite a depositi di IgA, che è
stata trovata nel 50-100% di studi autoptici o bioptici26.
Rari casi di glomerulosclerosi focale de novo sono stati riportati in pazienti con trapianto di polmone27. È probabile, però, che l’incidenza
di glomerulonefriti de novo sia più frequente di quella riportata in
letteratura. Ad esempio, considerando l’importante effetto diabetogeno dei corticosteroidi e degli inibitori della calcineurina, è verosimile che un buon numero di pazienti sviluppi diabete e nel lungo
una nefropatia diabetica. Inoltre, poiché la risposta allo-immune determina una condizione pro-infiammatoria ci si dovrebbe aspettare
nel paziente trapiantato una caduta dei meccanismi anti-infiammatori che proteggono dall’autoimmunità, con possibile sviluppo di
glomerulonefriti de novo, analogamente a quanto accade nel trapianto renale28. È anche possibile che sia sottostimata l’incidenza di glomerulonefriti indotte da infezioni batteriche o virali.
Nel tratto urinario di persone normali è quasi costantemente presente il polyoma virus BK in fase latente. Nei pazienti trapiantati il virus
può essere riattivato dall’immunosoppressione e può indurre una nefrite interstiziale progressiva che generalmente porta ad insufficienza
renale terminale. Solo recentemente è stata focalizzata l’attenzione
dei nefrologi sulla possibilità che il BK virus potesse essere responsabile di una progressiva disfunzione del rene trapiantato. In verità,
una volta riconosciuta questa possibilità si è visto che il problema aveva dimensioni ben maggiori dell’atteso, in quanto è stato stimato che
circa il 5-6% dei trapiantati renali può sviluppare una nefrite da
polyoma BK virus29. Il rischio di riattivazione è particolarmente elevato nei pazienti che ricevono una combinazione di tacrolimus e micofenolato mofetil o un potente trattamento del rigetto30. Finora sono
stati segnalati soltanto casi episodici di nefrite interstiziale da BK virus sui reni nativi di trapiantati di cuore31 e di polmone32, ma è ragionevole ritenere che i pazienti sottoposti ad immunosoppressione
spinta che abbiano sviluppato riattivazione del virus con effetti devastanti sulla funzione renale siano molto più numerosi.
6. Sostanze nefrotossiche. Oltre ai farmaci immunosoppressori vi è una
lunga lista di farmaci e sostanze impiegate nel paziente trapiantato
che possono esporre al rischio di tossicità renale. Tra questi: mezzi
di contrasto, antibiotici (aminoglicosidi, fluorochinolonici), antivirali (cidofovir, raramente ganciclovir), antifungini (amfotericina B),
farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS), sia anti-COX 1 che
anti-COX 2.
Va inoltre ricordato che diversi farmaci interferiscono col citocromo
P450, aumentando i livelli ematici degli inibitori della calcineurina e
degli inbitori di mTOR e quindi la loro potenziale tossicità. L’interferenza maggiore è data dai macrolidi (eritromicina, claritromicina),
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dai calcio-antagonisti non diidropiridinici (verapamil, diltiazem), dagli azolici (chetoconazolo e suoi derivati).
7. Fattori di progressione non specifici. I pazienti che sviluppano una
disfunzione renale cronica possono peggiorare sia per la persistenza delle cause che hanno prodotto il danno renale, sia per la progressiva perdita dei nefroni sottoposti ad iperfiltrazione ed iperpressione. Un ruolo importante è però svolto anche dai cosiddetti
fattori aspecifici di progressione, quali ipertensione arteriosa33, proteinuria34, diabete35, iperlipemia36, obesità37 e, probabilmente, anche iperuricemia38 e fumo39.
Come prevenire lo sviluppo di insufficienza renale?
La nefrotossicità degli immunosoppressori costituisce la più frequente
(ma non unica!) causa di deterioramento della funzione renale. Nella maggior parte dei casi, l’insufficienza renale progredisce perché
le modificazioni terapeutiche sono eseguite troppo tardivamente,
quando i livelli di creatinina plasmatici sono aumentati del 100% o
più rispetto ai valori basali. Un’analisi retrospettiva su pazienti con
malattie autoimmuni non renali ha dimostrato che il rischio di una
nefropatia irreversibile da ciclosporina è correlato all’aumento percentuale della creatinina rispetto ai valori basali4, essendo relativamente modesto per aumenti del 50-60%, ma aumentando progressivamente fino a svilupparsi in tutti i pazienti che avevano avuto un
aumento del 200%. È quindi consigliabile monitorare frequentemente sia i livelli ematici dell’agente utilizzato, sia i valori di creatinina plasmatici.
Idealmente l’esposizione alla ciclosporina andrebbe misurata creando
un’area-sotto-la curva (AUC) tramite ripetuti prelievi ematici per diverse ore. Nella pratica clinica, la determinazione dell’AUC è riservata solo a casi di difficile interpretazione e si preferisce oggi misurare il picco di ciclosporinemia due ore dopo la sua somministrazione.
Infatti, i livelli ematici basali danno un’idea solo approssimativa dell’esposizione alla ciclosporina, mentre è ben documentata una buona correlazione tra la concentrazione ematica di ciclosporina alla II
ora e AUC40). Mentre nell’immediato post-operatorio sono raccomandati livelli elevati di C2, anche superiori a 1500 ng/ml, i livelli
andranno progressivamente ridotti e al terzo mese non dovrebbero
superare 800 ng/ml, in regimi basati sulla ciclosporina come principale immunosoppressore40. Un livello troppo elevato di ciclosporinemia associato ad un incremento della creatinina plasmatica è molto
suggestivo di nefrotossicità. In tali condizioni una cauta riduzione
della ciclosporina (ad esempio 25% ogni 7-10 giorni fino al ritorno
a livelli ottimali) può evitare un ulteriore deterioramento della funzione renale senza rischio di rigetto. Eventuali ulteriori riduzioni del
farmaco, in caso di insuccesso, dovranno essere fatte con cautela e
sotto stretta sorveglianza. Va comunque sottolineato ancora una vol-
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ta che le lesioni renali prodotte dagli inibitori della calcineurina
possono essere arrestate o anche migliorate se il farmaco viene ridotto o sospeso per tempo41, mentre sono irreversibili e progressive
se le modificazioni posologiche sono eseguite tardivamente.
Alcuni studi preliminari indicherebbero che la somministrazione della
ciclosporina in dose unica al mattino possa ridurre la tossicità renale
rispetto alla doppia dose in pazienti trapiantati di rene42 e in bambini con glomerulosclerosi focale43. È in corso uno studio multicentrico internazionale per verificare l’efficacia e la tollerabilità di tale approccio anche nel trapianto di fegato. Sono state usate diverse sostanze per prevenire la tossicità degli inibitori della calcineurina: gli
ACE-inibitori44,45 e i sartanici46 sembrano esercitare un effetto protettivo, ma mancano studi clinici controllati. Nel trapianto renale, un
recente studio randomizzato ha dimostrato una migliore funzione
renale nei pazienti che ricevevano un calcio-antagonista47. Nell’animale, un nuovo antifibrotico utilizzato nella fibrosi polmonare, il
pirfenidone, ha dimostrato un importante effetto di protezione contro la nefrotossicità da ciclosporina48.
Altre misure per prevenire il danno renale consistono nell’evitare,
quando possibile, l’uso di agenti nefrotossici (vedi sopra). Se è necessario l’uso di queste sostanze, vanno prese alcune precauzioni. Va
anzitutto ricordato che il danno tubulo-interstiziale prodotto dagli
agenti nefrotossici viene potenziato da uno stato di deidratazione
del paziente. Va quindi verificato lo stato di idratazione e molti nefrologi raccomandano comunque un’idratazione parenterale prima
di iniziare una terapia potenzialmente nefrotossica49. Se il paziente
deve ricevere mezzi di contrasto(MDC), oltre a un’appropriata idratazione prima e dopo l’indagine, va raccomandata la somministrazione di acetilcisteina (600 mg due volte al dì) il giorno prima dell’esame ed il giorno dell’esame. Una recente metanalisi di 14 studi
randomizzati su 1584 pazienti ha dimostrato una significativa riduzione del rischio di insufficienza renale da MDC nei pazienti trattati
con acetilcisteina50. In caso di antibiotici o antivirali nefrotossici si
raccomanda di seguire gli appositi algoritmi per le dosi da somministrare e di verificare che le concentrazioni ematiche del farmaco
non superino i livelli raccomandati. I FANS andrebbero riservati a
casi molto selezionati, raccomandando di usare le dosi minime efficaci, di sospenderli il più rapidamente possibile, e di mantenere un
buono stato di idratazione durante la loro somministrazione.
l
Che fare nel caso di insufficienza renale cronica
causata da inibitori della calcineurina?
Come ricordato precedentemente, la ciclosporina e il tacrolimus possono provocare vari gradi di tossicità renale, da un’insufficienza
funzionale completamente reversibile provocata dalla vasostrizione fino a un’insufficienza renale terminale associata a lesioni istologiche irreversibili. Il successo di eventuali provvedimenti dipen-
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de soprattutto dalla loro tempestività. Non possiamo aspettarci
grandi risultati in pazienti con una creatinina plasmatica ≥ 3
mg/dl, ma anche per valori inferiori una terapia di salvataggio renale iniziata tardivamente rischia di risultare inefficace, se non addirittura dannosa.
A fronte di una insufficienza renale cronica indotta da un anticalcineurinico alcuni autori hanno proposto la completa sospensione
del farmaco sostituendolo con un mTOR-antagonista o, nel trapianto di fegato che è meno esposto al rischio di rigetto cronico,
con micofenolato mofetil (MMF). Anche se sono stati riportati alcuni casi di successo nel trapianto di cuore 51 e di fegato52, la completa sospensione dell’anticalcineurinico comporta alcuni rischi.
La ciclosporina e il tacrolimus non inducono tolleranza immunologica, ma favoriscono piuttosto un adattamento del sistema immunitario alla terapia di mantenimento. La modifica di tale terapia può favorire un rigetto subclinico, soprattutto quando l’anticalcineurinico era somministrato da anni e quando la sua sospensione avviene rapidamente. D’altra parte la completa sostituzione
di ciclosporina o tacrolimus con un anti-mTOR da solo o in combinazione con MMF può esporre a tossicità midollare ed altri effetti collaterali dose-dipendenti53. Inoltre, nel trapianto renale, il
rimpiazzo della ciclosporina con sirolimus è seguito da un peggioramento della funzione renale o da proteinuria in circa la metà
dei pazienti, particolarmente se avevano già lesioni vascolari o
proteinuria54. Questo peggioramento può essere causato dalla reciproca interferenza farmacocinetica dei due agenti che determina un sinergismo di tossicità. Pertanto, all’inizio della manovra di
sostituzione non dovrebbero essere somministrate piene dosi di
anticalcineurinico e di un anti-mTOR.
Dati recenti hanno dimostrato che l’associazione di everolimus con
dosi molto basse di ciclosporina può mantenere un importante effetto anti-rigetto e minimizzare la tossicità renale della ciclosporina.
Sulla base di questi dati è lecito attendersi che una minimizzazione
della ciclosporina associata a dosi terapeuticamente efficaci di everolimus possa proteggere sia da eventuali rigetti tardivi subclinici, sia
da un progressivo peggioramento della nefrotossicità. L’introduzione dell’everolimus e la riduzione della ciclosporina dovrebbero essere fatte con gradualità e sotto stretta sorveglianza clinica. Una possibile strategia consiste nel ridurre del 25% la dose di ciclosporina inserendo contemporaneamente everolimus alla dose di 0,5-1 mg pro
die, ogni 7-10 giorni fino a raggiungere livelli ematici di ciclosporina
tra 50-100 ng/ml basali o 300-400 ng/ml alla II ora e di everolimus
tra 3-8 ng/ml.
Infine, è importante il controllo dei fattori aspecifici di progressione55.
Il paziente con disfunzione renale dovrebbe seguire una dieta moderatamente ipoproteica (0,7 g/Kg/die). È necessario uno scrupoloso
controllo della pressione arteriosa cercando di ottenere una pressione media attorno a 90 mmHg. Va caldeggiato l’uso di ACE-inibitori
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e/o sartanici in caso di proteinuria > 1g/die, l’uso di statine in caso
di ipercolesterolemia, e un rigoroso controllo della glicemia, ricordando che quasi la metà dei pazienti trapiantati ha un’intolleranza
ai carboidrati e il 20-25 % soffre di diabete conclamato56.
C. Ponticelli
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