Adolphe Appia, Attore musica e scena Adolphe Appia Attore musica e scena La messa in scena del dramma wagneriano - La musica e la messa in scena - L'opera d'arte vivente Introduzione e cura dì Ferruccio Marotti Adolphe Appia, Attore musica e scena Titolo delle opere originali: La mise en scène du drame wagnérien La musique et la mise en scène Traduzioni dal francese di Delia Gambelli L'Oeuvre d'Art Vivant Traduzione dal francese di Marco De Marinis 32 illustrazioni fuori testo Il presente volume è pubblicato nell'ambito del programma del Consiglio Nazionale delle Ricerche “Le teoriche dello spettacolo nel Novecento.” Prima edizione.- giugno 1975 Adolphe Appia, Attore musica e scena Adolphe Appia ATTORE MUSICA E SCENA Prefazione e cura di Ferruccio Marotti 32 illustrazioni fuori testo Il volume raccoglie gli scritti di Adolphe Appia da La musica e la messa in scena (1895) a La messa in scena dei dramma wagneriano (1899), fino a ciò che, dell’attività teorica e artistica di Appia, costituisce il punto di arrivo: L’opera d’arte vivente pubblicata a Ginevra nel 1921. Sono scritti che si pongono come la base istituzionale per la storia della regia, ma il loro valore supera di gran lunga quello che siamo abituati ad attribuire all’opera di ogni “fondatore”: essi si prestano a letture aperte ad alcuni dei temi piú stimolanti dei dibattito sullo spettacolo contemporaneo. Secondo quanto rileva Ferruccio Marotti nella prefazione al volume in cui ricostruisce anche l’insieme dell’attività teatrale dell’artista ginevrino, quel che di piú “moderno” l’opera di Appia ci offre è, innanzitutto, contenuto nel rigore della sua teoria, o meglio nella teoria dei suo rigore. Il sistema di Appia è deduttivo, l’unica premessa è la musica come principio ordinatore. I passaggi della deduzione si pongono tutti come una equazione il cui primo membro è costituito dalla realtà – negativa – rappresentata da ciò che il teatro è, e il secondo da ciò che il teatro dovrebbe essere, da ciò che il teatro può divenire. Ogni passaggio, in fondo, non fa che rispecchiare – nella sostanza – il precedente e il seguente: solo gli estremi si configurano, di volta in volta, sotto specie particolari diverse. Ma, nel crogiuolo di un tale sistema, tutti gli elementi dello spettacolo si trasformano, assumono valori nuovi e insospettati. Il teatro viene vivisezionato: non di una riforma si tratta, ma di una negazione totale che lascia li posto ad una utopia altrettanto radicale. Il teatro del futuro non è il futuro del teatro: «prima o poi arriveremo a quel che si chiama ‘La Sala’, cattedrale dell’avvenire, che accoglierà le manifestazioni piú diverse della nostra vita sociale e artistica in uno spazio libero, vuoto, trasformabile, e sarà il luogo per eccellenza in cui l’arte drammatica fiorirà con o senza spettatori... L’arte drammatica di domani sarà un atto sociale al quale ognuno darà il suo apporto». Adolphe Appia nasce a Ginevra nel 1862. La sua vita, pressoché priva di grandi accadimenti esteriori, cela le idee, i sogni le sconfitte di un uomo, un “malato di nervi”, che la società respinge in una casa di cura. In queste case, chiamate meno eufemisticamente manicomi, ritorna periodicamente sino alla morte nel febbraio 1928. Oltre a quelle della pubblicazione delle sue tre opere, le altre date della vita di Appia segnano il suo incontro con la Ritmica di Dalcroze (1906), le sue messe in scena, fra il 1923 e il 1925, dei Tristano e Isotta, dell’Oro del Reno e della Walkiria (la prima alla Scala di Milano, con Toscanini) e – fra il 1909 e il 1927 – una lunga serie di esposizioni in tutta Europa dei suoi disegni e bozzetti.