Il Consenso Informato in Psichiatria: Mito o Realtà?

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Journal of Neuroscience, Psychology and Cognitive Science
On-line date: 2009-04-20
Il Consenso Informato in Psichiatria: Mito o Realtà?
di Alessia Micoli
Keywords: Cassazione, Codice, Deontologia, Amministatore, Civile, Consenso
Permalink: http://www.neuroscienze.net/index.asp?pid=idart&cat=2&arid=546
Il paternalismo ippocratico che riconosceva al medico il diritto-dovere di non rivelare nulla al
paziente circa le sue condizioni di salute ed i trattamenti sanitari cui veniva sottoposto è
certamente tramontato; la fiducia incondizionata nell'operato del medico è ormai una "leggenda"
che i giovani ascoltano, talvolta incuriositi, talvolta increduli, talvolta affascinati, nelle aule
universitarie allorquando si affronta la tematica del consenso informato e della responsabilità
professionale, due aspetti che sempre più permeano l'odierna attività del medico. Le questioni di
responsabilità professionale, infatti, sono sempre più spesso legate a quelle relative alla mancanza
e/o inadeguatezza del consenso informato. I fondamenti giuridici del consenso all'atto medico si
ritrovano in alcuni principi fondamentali sanciti dalla Costituzione. Gli artt. 13 e 32 della nostra
Carta Costituzionale così recitano: (art.13) "...la libertà personale è inviolabile...E' punita ogni
violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni della libertà.."; (art. 32)
"...La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della
collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un
determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun
caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana...". Il concetto di "consent" comincia
ad affiorare nel 1914 nella giurisprudenza statunitense con il caso "Schloendorf", caso in cui il
giudice Cardozo affermò che "ogni essere umano adulto e sano di mente ha il diritto di decidere
su cosa va fatto al suo corpo; e che un chirurgo che esegue un intervento senza il consenso del
paziente commette un'aggressione e risponde delle conseguenze" . In Italia, anche se la necessità
del consenso all'atto medico emerge per la prima volta nel 1978 con la legge 833 e precisamente
con la disposizione contenuta nell'art. 33 ("...Gli accertamenti ed i trattamenti sono di norma
volontari...Gli accertamenti ed i trattamenti sanitari obbligatori devono essere accompagnati da
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iniziative rivolte ad assicurare il consenso e la partecipazione da parte di chi vi è delegato..."), il
tramonto definitivo del paternalismo ippocratico è stato inequivocabilmente segnato nel 1992 dalla
nota "sentenza Massimo", sentenza nella quale la Corte di Cassazione ebbe a configurare
nell'operato del chirurgo, che aveva eseguito una parte dell'intervento senza il consenso dell'avente
diritto - di poi deceduto - il delitto di omicidio preterintenzionale. La disciplina sistematica del
consenso informato si ritrova esclusivamente nel codice di deontologia medica approvato il 3
ottobre 1998 che stabilisce quanto segue: Articolo 30: "...Il medico deve fornire al paziente la più
idonea informazione sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle prospettive e le eventuali alternative
diagnostico-terapeutiche e sulle prevedibili conseguenze delle scelte operate; il medico
nell´informarlo dovrà tenere conto delle sue capacità di comprensione, al fine di
promuoverne la massima adesione alle proposte diagnostico-terapeutiche. Ogni ulteriore richiesta
di informazione da parte del paziente deve essere soddisfatta. Il medico deve, altresì, soddisfare le
richieste di informazione del cittadino in tema di prevenzione. Le informazioni riguardanti
prognosi gravi o infauste o tali da poter procurare preoccupazione e sofferenza alla persona,
devono essere fornite con prudenza, usando terminologie non traumatizzanti e senza escludere
elementi di speranza. La documentata volontà della persona assistita di non essere informata o di
delegare ad altro soggetto l´informazione deve essere rispettata...."; Art. 32: "... Il medico
non deve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza l´acquisizione del
consenso informato del paziente. Il consenso, espresso in forma scritta nei casi previsti dalla legge
e nei casi in cui per la particolarità delle prestazioni diagnostiche e/o terapeutiche o per le
possibili conseguenze delle stesse sulla integrità fisica si renda opportuna una manifestazione
inequivoca della volontà della persona, è integrativo e non sostitutivo del processo informativo di
cui all´Articolo 30. Il procedimento diagnostico e/o il trattamento terapeutico che possano
comportare grave rischio per l´incolumità della persona, devono essere intrapresi solo in
caso di estrema necessità e previa informazione sulle possibili conseguenze, cui deve far seguito
una opportuna documentazione del consenso. In ogni caso, in presenza di documentato rifiuto di
persona capace di intendere e di volere, il medico deve desistere dai conseguenti atti diagnostici
e/o curativi, non essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontà della persona, ove
non ricorrano le condizioni di cui al successivo articolo 34..."; Art. 33: "...Allorche´ si
tratti di minore, interdetto o inabilitato il consenso agli interventi diagnostici e terapeutici, nonché
al trattamento dei dati sensibili, deve essere espresso dal rappresentante legale. In caso di
opposizione da parte del rappresentante legale al trattamento necessario e indifferibile a favore di
minori o di incapaci, il medico e´ tenuto a informare l´autorità giudiziaria..."; Art.34:
"...Il medico deve attenersi, nel rispetto della dignità, della libertà e dell´indipendenza
professionale, alla volontà di curarsi, liberamente espressa dalla persona. Il medico, se il paziente
non e´ in grado di esprimere la propria volontà in caso di grave pericolo di vita, non può
non tenere conto di quanto precedentemente manifestato dallo stesso. Il medico ha
l´obbligo di dare informazioni al minore e di tenere conto della sua volontà,
compatibilmente con l'età e con la capacità di comprensione, fermo restando il rispetto dei diritti
del legale rappresentante; analogamente deve comportarsi di fronte a un maggiorenne infermo di
mente...."; Art.35: "....Allorché sussistano condizioni di urgenza e in caso di pericolo per la vita di
una persona, che non possa esprimere, al momento, volontà contraria, il medico deve prestare
l´assistenza e le cure indispensabili...".Nella Convenzione di Oviedo del 474/97, ratificata
in Italia nel 2001, è prevista una ulteriore regolamentazione specifica del consenso. Nell'art.5 si
ribadisce la necessità di un consenso libero ed informato, di una informazione adeguata, nonché la
possibilità per l'interessato di revocare liberamente il consenso in qualsiasi momento. Nell'art. 7, la
Convenzione prevede quanto segue: "...la persona che soffre di un disturbo mentale grave non può
essere sottoposta, senza il proprio consenso, a un intervento avente per oggetto il trattamento di
questo disturbo se non quando l'assenza di un tale trattamento rischia di essere pregiudizievole alla
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sua salute e sotto riserva delle condizioni di protezione previste dalla legge comprendenti le
procedure di sorveglianza e di controllo e le vie di ricorso...". Inoltre, nell'art. 9 si riconosce
"considerazione" per i desideri precedentemente espressi da parte del paziente che al momento
dell'intervento non è in grado di esprimere la sua volontà. Sulla base di quanto stabilito dal Codice
di Deontologia Medica e di quanto contemplato nella predetta Convenzione di Oviedo, dunque, il
consenso si ritiene validamente prestato solo quando trattasi di consenso libero, attuale, manifesto,
consapevole, completo, gratuito e recettizio. La volontà del paziente deve essere, pertanto,
manifestata liberamente e consapevolmente dalla persona nei cui confronti deve essere eseguito il
trattamento sanitario, in modo chiaro ed univoco. Il consenso deve essere, inoltre, espresso prima
dell'inizio del trattamento e deve persistere durante l'intera durata del trattamento. Il consenso può
essere revocato in qualsiasi momento da parte del paziente. Il medico deve informare il paziente in
modo esauriente e comprensibile, offrendo tutti gli elementi indispensabili a rendere l'interessato
informato sul tipo di trattamento, sulle finalità, sulle possibilità di successo, sulle possibili
alternative terapeutiche, sulla natura dei rischi e degli effetti collaterali che possono derivare dal
trattamento medesimo. Il consenso non può mai essere prestato a titolo oneroso ed ha effetto dal
momento in cui il terapeuta ne viene a conoscenza. Non è richiesta la forma scritta, tranne che per
i trapianti e per la donazione di sangue; l'art. 32 del Codice Deontologico richiama la forma scritta
solo nei casi "..in cui per la particolarità delle prestazioni diagnostiche e/o terapeutiche o per le
possibili conseguenze delle stesse sulla integrità fisica si renda opportuna una manifestazione in
equivoca della volontà della persona....". Il dissenso validamente manifestato dal paziente
cosciente e capace sarà idoneo ad impedire qualsiasi trattamento medico. Il trattamento medico
effettuato in mancanza di consenso del paziente esporrà il medico a conseguenze non solo
disciplinari, ma anche penali e civili. In ambito civile, il medico dovrà risarcire i danni cagionati al
paziente, allorquando sia dimostrato un concreto nesso causale tra il danno lamentato ed il
mancato consenso. In ambito penale, invece, le ipotesi di reato per le quali il medico può essere
perseguito in caso di mancato consenso risultano molteplici e, a seconda dei casi, vanno dalla
violenza privata, allo stato di incapacità procurato mediante violenza. L'ipotesi di omicidio
preterintenzionale appare, invece, superata dal più recente orientamento giurisprudenziale della
Corte di Cassazione. Infatti, a distanza di nove anni dalla predetta "sentenza Massimo", la IV
Sezione penale della Corte di Cassazione ha, con sentenza 12/7/01, escluso la configurabilità
dell'omicidio preterintenzionale nelle ipotesi in cui manchi il dolo, ritenendo che deve escludersi
l'intenzionalità della condotta nei casi in cui il medico, durante l'intervento chirurgico, rilevi una
situazione che, pur non essendo caratterizzata da elementi di urgenza, venga affrontata
immediatamente e senza il consenso dell'avente diritto. Inoltre, nella sentenza 29 maggio - 11
luglio 2002, la I Sezione Penale della Corte di Cassazione ha affermato che il medico è sempre
legittimato ad effettuare il trattamento terapeutico giudicato necessario per la salvaguardia della
salute del paziente, anche in mancanza di esplicito consenso. Qualora, invece, il medico proceda
nonostante il rifiuto espresso del paziente, potrà configurarsi il reato di violenza privata ma non in caso di lesioni e successiva morte - l'ipotesi di omicidio preterintenzionale. In ambito
psichiatrico il problema del consenso informato appare ancora più complesso, posto che la validità
dello stesso è funzionale allo stato psicopatologico dell'individuo. In altri termini, la condizione
psichica nella quale versa il soggetto pone spesso dei dubbi sulla validità del consenso/dissenso
manifestato. La libertà decisionale in ordine al trattamento può essere, ad esempio, inficiata nelle
forme schizofreniche, nei disturbi con alterazione della coscienza, nelle demenze. Per alcuni
disturbi psichiatrici ad andamento cronico e con intervalli liberi il problema non sembra possa
essere agevolmente superato nemmeno dal "contratto di Ulisse"; infatti, ancorché l'art. 34 del
Codice di Deontologia, specificatamente preveda che "...Il medico, se il paziente non è in grado di
esprimere la propria volontà in caso di grave pericolo di vita, non può non tenere conto di quanto
precedentemente manifestato dallo stesso..." e sebbene l'art. 9 della Convenzione di Oviedo
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affermi che "...i desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di
un paziente che, al momento dell'intervento non è in grado di esprimere la sua volontà saranno
tenuti in considerazione...", alle c.d. "direttive anticipate", ovvero alle prescrizioni scritte
attraverso le quali il paziente indica eventuali trattamenti medici cui essere sottoposto nel caso di
impossibilità futura ad esprimere la propria volontà libera e cosciente, non viene pacificamente
attribuito valore legale. Anche la tendenza del mondo anglosassone di consentire il "privilegio
terapeutico", ovvero di permettere al medico di filtrare e anche di omettere informazioni che
possano, in considerazione della reazione emotiva che siffatte informazioni potrebbero
determinare, impedire una discussione razionale delle modalità del consenso informato, non
sembra aver trovato alcun riscontro normativo, ancorché nella realtà gli psichiatri utilizzino il
privilegio terapeutico nei casi in cui appaiono evidenti la necessità del trattamento e le
conseguenze negative di un mancato intervento. Nella gestione dei servizi psichiatrici territoriali, i
problemi legati al consenso informato sono spesso presenti: lo psichiatra frequentemente si trova a
dover agire in assenza di coscienza di malattia nel paziente psicotico grave e nel dover
somministrare farmaci antipsicotici. Nella gestione psichiatrica di pazienti cronici è stata più volte
invocata l'innovativa figura dell'Amministatore di sostegno, introdotta nel nostro Codice Civile
dalla legge 6/1/04, per "...la persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione
fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere
adeguatamente ai propri interessi...". Dubbi in ordine alla validità del consenso informato
investono anche i disturbi depressivi. Come legittimamente afferma Pancheri, "...ci si può
ragionevolmente chiedere che senso abbia considerare valido il consenso informato in un grave
depresso, con deliri (di colpa, di rovina o di persecuzione) e con grave rallentamento
psicomotorio che ostacola o impedisce ogni forma di comunicazione...". Il problema diventa
palesemente complesso allorquando ci soffermiamo sulla validità del consenso richiesto al
paziente per essere sottoposto a terapia elettroconvulsivante (TEC). Sulla base della circolare
emanata dal Ministero della sanità il 15/9/99, La TEC necessita di un consenso libero,
consapevole, attuale e manifesto; l'assenso deve essere scritto e ripetuto ad ogni applicazione; la
TEC può essere impiegata solo negli episodi depressivi gravi con sintomi psicotici e rallentamento
psicomotorio. Appare decisamente arduo ritenere che un paziente per il quale i sanitari abbiano
ravvisato condizioni psicopatologiche che necessitano di terapia elettroconvulsivante possa
esprime un valido consenso, posto che, come è noto, gli indicatori positivi per la TEC nell'ambito
della depressione sono rappresentati da: grave depressione in corso di schizofrenia, melancolia
grave, soprattutto se accompagnata da marcato rallentamento motorio e/o da deliri nichilistici o
paranoidei; situazioni in cui è di primaria importanza rimuovere tempestivamente i sintomi, come
ad esempio nel rischio di suicidio e nella sitofobia. In caso di rifiuto da parte del paziente, allo
psichiatra non restano molte scelte: o rinuncia all'intervento o avvia la procedura di TSO. Ma la
rinuncia non sarebbe certamente priva di critiche ed anche di conseguenze giuridiche, posto che
anche il diniego del paziente può ritenersi epifenomenico dello stato psicopatologico. Tali
difficoltà, invero, denotano la complessità del problema relativo alla validità del consenso
informato in psichiatria. La peculiarità della relazione terapeutica che si stabilisce in ambito
psichiatrico si caratterizza per la presenza di "valenze" del rapporto medico- paziente tali da
rendere impossibile una acquisizione del tutto esplicita e preventiva del consenso informato, sia in
relazione alla natura dell'infermità psichica, sia in relazione alle modalità di trattamento. Dunque,
come afferma Fornari, il consenso perfetto è un mito irraggiungibile. E' invece possibile ottenere
un consenso concordato da sottoporre a verifiche periodiche, affinché anche il paziente affetto da
infermità psichica possa giungere ad un livello di competenza decisionale tale da consentirgli
scelte libere e consapevoli. Il consenso informato in psichiatria appare, dunque, "...un processo che
coincide da un lato con la consapevolezza del come, quando, perché, a quale fine, che cosa e a chi
si comunica o non si comunica, dall'altro con l'analisi del tipo e della qualità di restituzione
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dell'informazione ricevuta...".
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