SIATE CREDIBILI. FATE SEMPRE SEGUIRE I FATTI ALLE PAROLE. INTERVISTA A VINCENZO DI FIORE – GRUPPO BURGO a cura di Nicoletta Daminato, Antonio Garganese, Francesca Maggioni, Maria Cristina Masullo (partecipanti alla XVII edizione del Master in Risorse Umane e Organizzazione) Una splendida giornata quasi primaverile sul lago di Garda accompagna la nostra visita allo stabilimento di Toscolano Maderno (Brescia) del Gruppo Burgo, dove il 17 febbraio 2012 incontriamo e conosciamo Vincenzo Di Fiore (HR Mill Manager). Appena arrivati, Di Fiore ci accoglie nel suo ufficio per poi condurci nella sala riunioni. Iniziamo l’intervista presentandoci reciprocamente: Vincenzo Di Fiore ci chiede un po’ di noi, dei nostri studi e dei nostri progetti futuri, ma soprattutto che cosa vorremmo fare e per quale motivo abbiamo scelto il ramo HR. Inoltre, ci chiede informazioni riguardo al master e agli argomenti trattati, sottolineando il fatto che uno dei temi fondamentali da trattare è la sicurezza, come poi ribadirà e spiegherà nell’intervista. Da subito appare molto disponibile per incontrare dei ‘giovani’ e ragionare insieme a loro su quali siano i compiti e le funzioni HR all’interno dell’azienda, in particolare in uno stabilimento produttivo e non in un’azienda di servizi. Ci racconti un po’ di sé e di come è arrivato a ricoprire questa posizione… Un giorno, un amico ingegnere mi chiese come si arriva ad essere la ‘testa’ di un team di HR: ebbene, non è certo una passione che accompagna un bambino durante la sua crescita, bensì un insieme di circostanze che ci fanno approdare a questo ambito. Le ‘circostanze’ della vita mi hanno fatto sviluppare quelle che chiamo le mie due vite: La mia attività lavorativa era inizialmente indirizzata verso la psicoanalisi, in coerenza con i miei studi di tipo psicologico. In quel periodo avevo fondato con altri colleghi un’associazione di psicologi (Centro per lo Studio della Personalità), nell’ambito del quale ho conosciuto un collega che mi ha messo in contatto con l’ANCIFAP (Associazione Nazionale Centri IRI Formazione e Addestramento Professionale), dove ho svolto un periodo lavorativo come formatore e scoperto il mondo dell’azienda, che ho trovato molto interessante. Ho quindi deciso di lasciare la psicologia clinica (anche per motivi di “sostenibilità economica”) e dedicarmi alle Risorse Umane. Tali esperienze hanno fatto in modo che la mia vita professionale fosse segnata da un susseguirsi di opportunità in diverse aziende nell’ambito delle gestione delle Risorse Umane. Il mio percorso da HR Manager è iniziato nell’Agusta, dove ho trascorso dieci anni (19871997), occupandomi prima di organizzazione, poi anche di sviluppo e di relazioni sindacali ed arrivando alla posizione di responsabile del personale di uno stabilimento. Quindi sono passato come HR Plant Manager ad uno stabilimento di produzione vetraria per il mercato automobilistico della PPG (multinazionale statunitense), successivamente ceduto alla multinazionale europea Glaverbel, nel quale mi sono trattenuto dal 1997 al 2001. La terza tappa mi ha portato a ricoprire la posizione attuale all’interno del Gruppo Burgo, nel quale il mio rapporto iniziò prima nello stabilimento di Duino (Trieste), e successivamente in quelli di Tolmezzo (Udine) e Chiampo (Vicenza), oltre a gestire la funzione di organizzazione e sviluppo per le operations del Gruppo. Infine, oggi mi trovo a Toscolano (Brescia); qui ho ricoperto e ricopro tuttora la funzione di HR Mill Manager. Da sottolineare il fatto che il mio ruolo è quasi sempre stato quello del ‘ristrutturatore’ e ‘riorganizzatore’. Ci può raccontare una sua giornata tipo? La ‘giornata tipo’ di un HR non esiste; non adagiatevi eccessivamente su un’idea di lavoro di tipo statico. Un HR manager è colui che in modo flessibile riesce ad adattarsi ed affrontare quotidianamente le molteplici problematiche che si possono presentare. Quali sono, secondo lei, le maggiori difficoltà del lavoro HR? La struttura aziendale è organizzata per ottenere dei risultati di efficienza. Nel momento in cui questo obiettivo risulta compromesso, spesso è necessario trovare il modo di rimuovere ciò che ostacola il percorso. A tal fine, la funzione della gestione delle Risorse Umane deve riuscire a conciliare due tipologie d’approccio: quella soft e quella hard. La parte soft rappresenta lo sviluppo delle relazioni, la comunicazione, la formazione e lo sviluppo professionale delle persone, quella hard è spesso caratterizzata, soprattutto in tempi di crisi come questi, dallo sviluppo delle relazioni industriali e dal riuscire a mantenere la disciplina all’interno dell’azienda, gestendo, se necessario, anche l’interruzione del rapporto lavorativo. Il buon HR manager è colui che riesce a mantenere il giusto equilibrio tra le due parti, tenendo conto delle necessità sia dell’impresa che delle persone e della loro sensibilità. Una situazione critica da dover affrontare può essere la fusione tra aziende differenti, come possono essere gestite e come impattano sul personale? In che modo le persone ‘vivono’ le acquisizioni dipende sia dalla capacità che si dimostra nel gestirle correttamente, che dal contesto, in particolar modo è fondamentale comprendere se ciò comporta o meno un cambiamento nell’ambiente lavorativo. Dalle mie diverse esperienze, ho notato delle differenze nel modo di gestire la funzione HR durante le acquisizioni. Ad esempio quando la PPG è stata acquistata da Glaverbel, l’acquisizione è stata gestita come una fusione; la funzione Hr si è occupata di stilare un elenco dei punti di forza e dei punti di debolezza di entrambe le aziende, cercando di serbare il meglio delle due aziende. Quindi, si è cercato di mantenere i punti di forza dell’azienda in procinto di acquisizione e di sostituirli ai punti di debolezza dell’azienda che acquista. La parte più complicata in queste circostanze è convincere ogni persona che non si è più parte della PPG, ma si è Glaverbel: è dunque necessario far accettare il cambiamento. Spesso infatti le persone si identificano fermamente con l’azienda tanto da continuare a “sentirsi” appartenenti all’azienda precedente anche quando ormai la gestione è passata ad una successiva. Nel momento in cui gestisci in modo scorretto determinate situazioni si alimenta una scontentezza complessiva, per cui gli ‘acquisiti’ si sentono ‘colonizzati’, mentre coloro che ‘acquistano’ sono convinti che gli altri siano trattati in modo migliore. Al contrario, e’ utile sin dall’inizio evitare di riferirci ad un ‘noi’ diverso da un ‘loro’, comunicare efficacemente e concedere il medesimo rispetto ad entrambe le parti in causa. In conclusione, l’azienda che ‘acquista’ necessita di comprendere l’azienda che sta acquistando, deve possedere le capacità di interfacciarsi con essa, deve conoscere il sistema e “prendere quello che c’è di buono”. E’ quindi necessario e doveroso “mettere insieme le persone”. Fondamentale è quindi gestire il personale, cosa significa esattamente? Gestire il personale significa allo stesso tempo sia motivare che disciplinare le persone, in modo da uniformare i comportamenti dei dipendenti alle regole esistenti. La fabbrica è simile ad un microsistema sociale che per funzionare ha bisogno di regole condivise e da rispettare e, come direttore del personale, sei, in questo sistema, sia un poliziotto che un giudice. Fondamentale è anche la formazione e il rafforzamento dei responsabili attraverso il coaching, ad esempio. Inoltre è utile mantenere sempre una ‘sana’ concretezza delle cose e tenere presente che le persone sono vere ed in carne ed ossa ed hanno il diritto di essere trattate con rispetto in ogni circostanza che ci si ritrova ad affrontare, anche e soprattutto nei casi di riduzione degli organici. Tornando alle fusioni, se le due aziende hanno una diversa modalità di gestione del personale, quale si utilizza? E’ necessario attuare una scelta riguardo a quale dei due sistemi di gestione utilizzare e poi estenderlo ed applicare il sistema di gestione anche all’altra azienda. Ad esempio, nella Burgo la figura del funzionario era intermediaria tra quadro e dirigente; tale figura non esisteva nella Marchi e quando vi è stata la fusione è stato deciso di eliminarla definitivamente. Il problema si è presentato nel momento in cui vi era il bisogno di fare accettare ai funzionari (mantenendo la medesima retribuzione di prima) il fatto che erano formalmente dei quadri. Ciò rappresenta ancora un argomento sensibile per gli exfunzionari. Essere HR in fabbrica, cosa comporta e quali sono i rapporti con la linea produttiva? Essere il Responsabile del Personale di uno stabilimento ha le sue peculiarità, lavorare in uno stabilimento significa essere legato ai tempi della fabbrica, non hai controllo sul tuo tempo, soprattutto in fabbriche come la nostra che sono a ciclo continuo e vi è la necessità di ‘stare dietro’ ai turni di lavoro e agli uomini della produzione. In particolare hai a che fare con tanti “operaiacci” (ride affettuosamente n.d.r.) che è necessario gestire, questo significa parlare di meno e agire di più. Nel lavoro in uno stabilimento si ha a che fare con un sistema eterogeneo, ciò comporta dei vincoli in più e ti costringe ad avere una visione a 360 gradi non solo dei vari compiti HR, ma anche della vita della fabbrica e della produzione. Significa, quindi, anche contribuire all’ottimizzazione della fabbrica, come è avvenuto nel caso dello stabilimento di Duino (Trieste), in cui abbiamo modificato il processo produttivo passando alla Lean production: abbiamo realizzato una nuova struttura organizzativa, una nuova organizzazione del lavoro, in cui il capo della linea diventa più responsabile seguendo il processo produttivo dall’inizio alla fine. Come è necessario comportarsi in situazioni di riduzione dell'organico? Innanzitutto è necessario aver sempre presente che ci si trova di fronte a delle persone che spesso hanno un forte legame con l’azienda, in cui hanno passato una buona fetta della loro vita. Quindi è utile parlargli, spiegargli la situazione e comprendere quali possono essere le leve su cui agire per far meglio accettare a loro la dura decisione che stiamo approntando. Nella riduzione dell’organico bisogna affrontare dunque, oltre che le tematiche strettamente legate alla gestione pratica delle mobilità, anche questioni di natura puramente personale. Vi faccio l’esempio di una situazione che mi diverto a chiamare “incentivo all’esodo con i boccioni”. Ad esempio, quando lavoravo in PPG nello stabilimento di Roccasecca (Frosinone) mi son trovato a dover gestire una riduzione del personale, attraverso una procedura di mobilità rivolta a dipendenti che avrebbero raggiunto nel periodo di mobilità i requisiti per il pensionamento. In questa situazione uno degli operai (un carrellista), che aveva già concordato l’uscita con relativo incentivo economico in quanto sarebbe arrivato alla pensione, la sera di uno degli ultimi giorni di lavoro, all’inizio del turno, cominciò a dire che aveva cambiato idea e non voleva più lasciare l’azienda. Venuto a conoscenza di questa situazione, ho deciso di parlargli personalmente per capire quale era il motivo che lo spingeva a rifiutare l’accordo già stabilito. In realtà si trattava di un momento di crisi personale legata al fatto di sentirsi in qualche modo svuotato della sua importanza come lavoratore all’interno dell’azienda che era diventata negli anni il suo mondo (il problema che chiunque si pone nel momento in cui sta andando in pensione). Dopo un paio d’ore di colloquio il dipendente si calmò, e per confermare definitivamente la volontà di andare via mi chiese di consentirgli di portarsi via un po’ di boccioni dell’acqua vuoti. I “boccioni” erano i serbatoi contenenti l’acqua da bere dei distributori che si trovavano nei reparti ed uffici. Erano molto apprezzati dai lavoratori in quanto si trattava di una zona di campagna dove serbatoi come quelli erano utili per diversi fini. All’inizio lasciavamo che le persone li portassero via quando si svuotavano, poi avevamo dovuto smettere quando ci accorgemmo che li svuotavano apposta per portarli via. Tornando al nostro lavoratore, ovviamente non erano una decina di serbatoi di plastica a poterlo convincere a lasciare il lavoro, ma attraverso quella richiesta aveva sbloccato una situazione psicologica, ottenendo in qualche modo un “qualcosa in più” rispetto a quanto già concordato. Vi racconto questo per farvi capire che le resistenze che si possono trovare in un accordo di questo tipo, spesso, non sono di natura contrattuale, ma puramente legate alla sfera umana e personale del singolo lavoratore e vanno affrontate di conseguenza. Situazioni difficili di questo genere coinvolgono anche l’attiva presenza dei sindacati, come avvengono le relazioni industriali e, in particolare, le trattative? I rapporti con i sindacati non si riducono alla ‘semplice’ trattativa, questa è solo la “parte conclusiva” del rapporto; la trattativa, infatti, rispecchia i rapporti tra le parti che sussistono già prima di sedersi intorno al tavolo. Sia nelle trattative che nei rapporti con i sindacati, in generale, è fondamentale la gestione della comunicazione e, in particolare, la gestione della parola. Infatti è necessario essere consapevoli che queste situazioni comunicative sono diverse da quelle che si affrontano quotidianamente, come ad esempio parlare con i colleghi; la comunicazione richiesta è più strategica: vi sono contenuti che si vuole far passare a tutti e altri che è utile siano colti solo da alcuni partecipanti. Inoltre, è necessario non complicare il discorso, parlare chiaramente in modo da far capire il perché delle misure applicate (come ad esempio nel caso sopracitato della mobilità) e farle accettare. E’ necessario perseguire gli obiettivi prefissati e per raggiungerli è fondamentale essere preparati e sapere dove si vuole andare, ma soprattutto è necessario saperci arrivare nonostante tutte le deviazioni: si ha un obiettivo da raggiungere e la maggior parte delle volte la strada per ottenerlo non è lineare, è necessario essere flessibili e non perdere mai di vista la meta che ci si prefigge. Ritengo che una delle capacità essenziali è quella di saper interpretare le resistenze che s’incontrano, per poter meglio comprendere quali siano le leve giuste da usare per raggiungere l’obiettivo. Ha affermato che è molto importante saper interpretare le resistenze, può meglio spiegarci cosa intende? Per farvi comprendere meglio l’argomento, vi racconto un episodio che mi è accaduto qualche anno fa, quando abbiamo organizzato un intervento di Development Center per le persone chiave in azienda. I partecipanti hanno dimostrato inizialmente un atteggiamento diffidente e una resistenza ai temi trattati nel corso; siamo andati ad indagare il perché di questo atteggiamento e abbiamo scoperto che, poiché l’azienda si trovava ad affrontare una riduzione di organico, molti partecipanti del corso lo avevano interpretato come un’occasione per valutarli e decidere chi licenziare, quando invece il nostro scopo era quello di potenziare i talenti. Ogni cosa può avere un significato diverso a seconda del contesto che si sta vivendo; è allora importante saper interpretare le resistenze e affrontarle essendo chiari e credibili. Cosa intende con credibilità? Per essere credibili bisogna assumersi le proprie responsabilità, anche quando non si può o non si vuole decidere autonomamente non bisogna sembrare colui che deve sempre chiedere qualcosa a qualcun altro, è auspicabile rispondere semplicemente con un “ci devo pensare” e successivamente verificare la tua reale capacità e competenza in quella circostanza. Quindi bisogna avere responsabilità delle proprie decisioni e saper gestire le situazioni, proprio laddove non hai potere decisionale. Infine è fondamentale “far sempre seguire i fatti alle parole”. Abbiamo discusso di relazioni sindacali, ma le relazioni verso l’esterno non sono solo queste, giusto? Quando hai a che fare con le relazioni sindacali, le relazioni esterne, con Confindustria, e con le istituzioni, è necessario ricordarti sempre che rappresenti l’azienda sia verso l’interno che verso l’esterno. Bisogna essere sempre proattivi nel rapportarsi con le più disparate personalità (es. sindaci, consiglieri, presidenti di regioni o province) e stakeholders. A seconda del contesto ambientale in cui l’azienda ha luogo ci si trova ad affrontare problematiche sempre differenti. A volte è utile far leva sull’importanza economica che ha l’azienda per il tessuto economico e sociale, per poter fare pressione sulla politica locale e ottenere ciò che serve per lo sviluppo della stessa… Per concludere, ha qualche consiglio utile da fornirci sulle qualità che deve avere un buon HR? In primis è necessario essere persone credibili. In secondo luogo, anche quando si ha a che fare con persone complicate è utile mettersi in campo e gestirle nel migliore dei modi. Inoltre, come vi ho accennato precedentemente, la sicurezza è un tema molto importante anche per il manager delle risorse umane, anche se il ruolo RSPP (Responsabile Servizio Prevenzione e Protezione dei rischi) dipende solitamente dal direttore di stabilimento. Tuttavia, il problema della sicurezza non riguarda esclusivamente la sua posizione, infatti si può decidere di affrontarlo e gestirlo dall’inizio oppure si decide di aspettare che si presenti il problema. Comunque in un modo o nell’altro, la salute delle persone è qualcosa che ci si ritrova sul tavolo. Ad esempio, uno dei modi che si sono sperimentati alla Burgo per trattare la sicurezza è stato quello di intraprendere delle iniziative formative, in particolare all’interno di un progetto di Change management per tutti i capi, sono stati affrontati gli aspetti comportamentali e di responsabilizzazione sugli infortuni. “Più cose sai fare, più servi”. Così Vincenzo Di Fiore, Hr manager dalle mille sfaccettature, conclude la sua intervista. Più che una conclusione, la sua è un’esortazione ad essere poliedrici e flessibili nel mondo HR: ciò è rappresentato dalla ricchezza di contenuti differenti che traspare sia nella sua formazione che nella sua carriera professionale. Dalle sue parole emerge un secondo consiglio di notevole importanza: la credibilità. Nel mondo del lavoro Hr è fondamentale “essere credibili”, ma in che modo? Assumendosi la propria parte di responsabilità anche quando non si è completamente indipendenti, non rinviando semplicemente ad un’autorità superiore. Un ulteriore aspetto rilevante è rappresentato dalla gestione “di persone e cose spiacevoli”: il mondo Hr è un mondo costituito non solo da componenti soft come la formazione, lo sviluppo e l’organizzazione, ma anche da componenti hard come l’essere in grado di ‘licenziare persone’. Complessivamente il focus agli obiettivi è l’anello che chiude la catena dell’intervista e la determinazione e concretezza di Di Fiore emerge chiaramente dal suo monito finale: “fate sempre seguire i fatti alle vostre parole”. La concretezza dimostrata durante l’intervista emerge chiaramente nella sua disponibilità a mostrarci come funziona l’azienda in carne ed ossa. Il nostro ‘viaggio’ nello stabilimento cartario inizia, nel primo pomeriggio, con i depositi di cellulosa; ci poi viene mostrato come funziona l’impianto per la depurazione dell’acqua. Infatti la posizione dell’azienda in riva al lago è strategica, dato il grande quantitativo di acqua che serve per il processo di creazione della carta. Il nostro giro prosegue all’interno degli edifici dove sono posizionati i macchinari e si conclude nel laboratorio dove la carta prodotta è testata per verificarne la composizione e confrontarla con la ‘ricetta’ richiesta dal committente.