Embolia polmonare

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Scienza & Esperienza
Errore
Embolia polmonare decifrata in extremis
Renato Rossi
MEDICINA GENERALE
VERONA
In ambito diagnostico,
affidarsi a soluzioni preconfezionate
è il modo più facile
di mancare il bersaglio.
Il caso
La mamma ha sempre ragione
Come ogni anno si ripete il rito del ritorno dalle ferie estive: l’ambulatorio straripa di
pazienti ed è in questo clima un po’ concitato che squilla il telefono. E’ la madre di
Stefano P, un ragazzo di 29 anni, che mi prega di passare a visitare il figlio a letto con
la broncopolmonite. Appena finito con l’ultimo paziente, apro la scheda clinica di
Stefano e vedo che il sostituto ha annotato una visita ambulatoriale eseguita tre giorni
prima per una flogosi respiratoria acuta, per la quale si era limitato a prescrive
sintomatici. La madre dice di non aver mai visto Stefano in quelle condizioni; mi
allunga la documentazione rilasciata dal Pronto soccorso dove ha portato il figlio
perché non migliorava: la radiografia mostra:«In zona basale destra evidenti
chiazzette di addensamento parenchimale, compatibili con focolaio
broncopneumonico» e il prelievo una modesta leucocitosi neutrofila.
Stefano è disteso con parte del busto appoggiato su due cuscini, la fronte imperlata di
sudore nonostante non faccia molto caldo. Mi dice che adesso va un po’ meglio
rispetto ai giorni scorsi, anche se ha ancora qualche linea di febbre e il respiro
pesante. La pressione arteriosa è normale, il battito cardiaco regolare, leggermente
tachicardico: 108 battiti al minuto. L’esame obiettivo toracico mi pare negativo:
d’altra parte il focolaio visto alla radiografia è abbastanza piccolo da non essere
sentito col fonendo. Finita la visita, tranquillizzo i due, dicendo loro che Stefano può
essere trattato a domicilio con l’antibiotico prescritto dal Pronto soccorso.
All’uscita della camera la madre mi sussurra:«Mai avrei pensato di vedere mio figlio
senza nemmeno la forza di andare fino al bagno: eppure, gli manca il respiro anche
solo per pochi passi». A dire il vero anch’io trovo strano che un focolaio
broncopneumonico definito di modesta entità provochi la dispnea riferita dalla madre.
Rientro in camera e sollecito il giovane a muovere qualche passo: effettivamente
diventa subito tachipnoico.
Stefano è mio paziente da pochi mesi e, poiché è sempre stato sano, non ho ancora
avuto occasione di fare una raccolta della sua anamnesi: è il momento di rimediare.
Vengo così a sapere che quattro o cinque anni fa ha sofferto di una flebite alla gamba
sinistra, non trattata con eparina o anticoagulanti.
Osservo e palpo attentamente gli arti inferiori e riscontro solo una modesta
succulenza a livello tibiale sinistro, ma questo non basta a tranquillizzarmi. Così
decido di rispedirlo d’urgenza in Pronto Soccorso con lettera d’accompagnamento
per i colleghi, in cui dichiaro di sospettare un’embolia polmonare, che sarà
confermata dalla TC spirale del torace. Un ecodoppler venoso degli arti inferiori
mostra una trombosi venosa profonda recente sugli esiti di quella di vecchia data.
Durante il ricovero si scopre anche una mutazione eterozigote a carico del fattore V
di Leiden.
articolo
Nel caso di apertura il collega narra come sia scampato all’errore che un medico non
vorrebbe mai commettere: una mancata diagnosi di embolia polmonare, patologia
grave e potenzialmente mortale.
Nella maggior parte dei casi, l’embolia polmonare è una complicanza di una trombosi
venosa profonda (TVP), palese o asintomatica, localizzata agli arti inferiori (più
raramente superiori). Nei casi come quello di Stefano, in cui l’embolia polmonare
insorge come prima manifestazione, la diagnosi non è così semplice. Il collega ha
potuto porla perché ha giustamente dato valore alla preoccupazione della madre.
Orecchio teso sul respiro corto
In effetti la dispnea, o meglio la tachipnea, è uno dei segni principali dell’embolia
polmonare, se non l’unico. Nei pazienti allettati o in cui vi siano condizioni di rischio
per TVP (fratture degli arti inferiori, recenti interventi chirurgici addomino-pelvici
oppure ortopedici), la tachipnea è un segno facile da porre nella giusta luce, ma può
essere sottovalutato quando mancano queste condizioni.
In letteratura sono riportati i sintomi più frequentemente riferibili all’embolia
polmonare (vedi la tabella 1). Ovviamente esistono forme di gravità molto variabile,
da quadri iperacuti e massivi con grave compromissione respiratoria e
cardiocircolatoria nei quali, chiarita o meno la diagnosi, si deve ricoverare il paziente,
fino a quadri più modesti che possono passare quasi inosservati o che vengono
scambiati per una comune flogosi respiratoria.
E’ quanto è successo al giovane del caso narrato, anche perché il quadro radiologico,
la febbre e la leucocitosi neutrofila suggerivano, in effetti, la broncopolmonite come
diagnosi più probabile.
L’errore è comprensibile se si considera che Stefano non aveva, apparentemente,
fattori di rischio evidenti per embolia polmonare. Né il medico sostituto, né quello del
Pronto soccorso hanno invece dato l’importanza che meritava al sintomo tachipnea.
Neppure il curante, all’inizio, ha pesato come doveva questo sintomo, probabilmente
tratto in inganno da un certo miglioramento riferito dal paziente dopo l’assunzione
dell’antibiotico e dal ritrovarsi una diagnosi già confezionata dai colleghi ospedalieri.
La storia sottolinea l’importanza di ascoltare sempre quanto riferiscono il paziente o
i suoi familiari: quelle che possono sembrare preoccupazioni o ansie eccessive, talora
si rivelano elementi essenziali per la diagnosi.
Punteggio quasi dirimente
La letteratura è però concorde nel ritenere che la diagnosi di TVP e di embolia
polmonare su base clinica sia difficile, benché siano stati messi a punto sistemi a
punteggio che, di fronte a un sospetto clinico, permettono di stratificare il paziente in
bassa, media ed elevata probabilità, secondo i criteri di Wells (vedi le tabelle 1 e 2).
Nel caso di Stefano si ottengono tre punti: 1,5 punti per la tachicardia e 1,5 punti per
la precedente TVP. Tuttavia, era proprio quest’ultimo il dato mancante che ha
impedito un inquadramento corretto sia al medico sostituto, sia a quello del Pronto
soccorso. Il motivo va addebitato a una carente raccolta dell’anamnesi. Il collega che
narra il caso, invece, quasi tirato per la giacca dalla madre, alla fine ha annodato
correttamente i vari fili arrivando alla giusta conclusione.
Quadratura dei sintomi
Nel costruire il percorso diagnostico, oltre ai sintomi e ai segni suggeriti dai criteri di
Wells, il curante ha tenuto nel debito conto anche altri aspetti più sfumati, ma che
posti nel giusto contesto non dovevano essere trascurati: la modesta succulenza
cutanea a livello tibiale e lo stato di sofferenza del paziente.
Il fatto che si trattasse di un giovane, e senza evidenti fattori di rischio, può costituire
un’attenuante per chi ha sbagliato. Tuttavia bisognerebbe avere sempre presente ciò
insegnava il filosofo Karl Popper nella sua teoria della falsificabilità: di fronte a una
data ipotesi scientifica, cercare sistematicamente alternative che la smentiscano. La
difficoltà principale nasce dalla mancanza di alternative valide o dal non saperle
ricercare. L’ipotesi formulata per prima, e a cui ci si affeziona, è la più probabile
perché si riferisce a una patologia vista di frequente, mentre le patologie rare vengono
scartate. In questo caso, in un giovane di trent’anni, una broncopolmonite è molto più
comune di un’embolia polmonare. Però, se questa metodologia è corretta, quando
qualche sintomo stona con il quadro generale, o se l’evoluzione clinica è diversa da
quella prevista, occorre giocoforza ripescare le ipotesi eliminate oppure cercare di
elaborarne di nuove.
Superficiale ma non trascurabile
Nel caso di apertura, una mancanza di respiro così evidente contrastava con la
relativa povertà del quadro radiologico e semeiologico. Alla base, comunque, vi è un
altro grave errore di comportamento: non aver raccolto con cura l’anamnesi.
Quattro o cinque anni prima Stefano aveva avuto una tromboflebite superficiale
(trattata forse in maniera inadeguata) che aveva dato origine a una trombosi venosa
profonda, rimasta però asintomatica e misconosciuta.
D’altra parte, mentre per le TVP il trattamento è ben codificato, pochi studi hanno
indagato quale sia la terapia più efficace per le trombosi venose superficiali. In
genere viene considerata una patologia di scarsa importanza clinica tuttavia,
soprattutto le forme al di sopra del ginocchio (e questo era probabilmente il caso di
Stefano), possono complicarsi con un’embolia polmonare sia direttamente sia per
estensione al circolo profondo.
Oltre alla terapia compressiva, sono state proposte varie strategie: terapia topica,
antinfiammatori non steroidei, eparina, chirurgia (legatura della giunzione
safenofemorale, legatura e stripping della vena interessata).
Una revisione Cochrane ha cercato di determinare quale dovrebbe essere la terapia di
scelta delle flebiti superficiali: sia i FANS sia le eparine a basso peso molecolare
riducono, rispetto al placebo, di circa il 70 per cento la progressione e la recidiva di
tromboflebite. I trattamenti topici agiscono sul dolore locale mentre la chirurgia
associata alla terapia compressiva riduce il tromboembolismo venoso e la
progressione della tromboflebite rispetto alla sola compressione. Gli autori della
revisione, pur con le dovute cautele per la scarsa qualità degli studi, concludono che
la terapia di scelta dovrebbe essere una dose intermedia di eparina a basso peso
molecolare per un mese.
Mutazione trombofilica
Come si apprende dalla storia, la flebite di Stefano era stata trattata in maniera
insufficiente: non erano stati usati né eparina né anticoagulanti. In quell’occasione si
era verificata un’estensione del processo trombotico al circolo venoso profondo. Su
questo trombo, rimasto a lungo silente, si è instaurata dopo anni una nuova trombosi:
la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso, causando un’embolia polmonare
apparentemente inspiegabile. Il tutto, in assenza di fattori scatenanti contingenti, era
in realtà da ascrivere a una trombofilia di base.
Gli esami hanno evidenziato una mutazione del fattore V di Leiden. Tra le numerose
condizioni trombofiliche, la mutazione del fattore V di Leiden è una tra le più comuni
poiché presente nel 4-5 per cento della popolazione.
L’eterozigosi per la mutazione porta a un aumento del rischio trombotico di circa 5-8
volte rispetto al rischio basale, mentre l’omozigosi anche di 50 o 100 volte. Stefano,
portatore della mutazione in eterozigosi, ha già avuto due episodi di
tromboembolismo venoso (TEV) e dovrà perciò sottoporsi a profilassi secondaria con
warfarin, verosimilmente per tutta la vita. Infatti, il rischio di recidiva è molto più
elevato dopo un primo episodio di TEV apparentemente idiopatico rispetto a un TEV
secondario a fattori contingenti. Una profilassi prolungata riduce tale rischio, anche
se non lo annulla completamente.
Per questo motivo, dopo un singolo episodio di TEV, viene consigliata una terapia
anticoagulante per 3-6 mesi, prolungata a 12 o più se l’evento è stato spontaneo.
Dopo una recidiva, soprattutto se esistono condizioni trombofiliche, la profilassi
viene raccomandata per molti anni, a volte sine die.
Nota bibliografica
 Christiansen SC et al. Thrombophilia, clinical factors, and recurrent venous
thrombotic events . JAMA 2005; 293: 2352.
 Di Nisio M et al. Treatment for superficial thrombophlebitis of the leg.
Cochrane Database of Systematic Reviews 2008 Issue 1.
http://mrw.interscience.wiley.com/cochrane/clsysrev/articles/CD004982/frame.
html
 Wells PS et al. Derivation of a simple clinical model to categorize patients’
probability of pulmonary embolism: increasing the model utility with the
SimpliRED d-dimer. Thromb Haemost 2000; 83: 418.
 Wells PS et al. Value of assessment of pretest probability of deep-vein
thrombosis in clinical management. Lancet 1997; 350: 1796.
TABELLA 1 Segni
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e sintomi di embolia polmonare
Dolore toracico di tipo pleuritico
Emottisi
Segni radiologici di addensamento polmonare o versamento pleurico
Sibili respiratori, sfregamenti pleurici
Sincope, convulsione
Tachicardia
Tachipnea o dispnea
Tosse, febbre, cianosi
TABELLA 2 Criteri
di Wells: probabilità a priori di TVP
Assegnare 1 punto per ognuno di questi item:
 Allettamento per più di tre giorni dopo chirurgia (entro quattro settimane)
 Cancro in fase attiva
 Dolorabilità localizzata lungo la distribuzione delle vene profonde
 Edema del polpaccio > 3 cm rispetto al controlaterale
 Edema unilaterale improntabile
 Paralisi, paresi o immobilizzazione degli arti inferiori
 Tumefazione di tutto l’arto inferiore
 Vene collaterali superficiali (non varici)
Sottrarre 2 punti se è altrettanto o più probabile.una diagnosi alternativa a quella di
TVP
Interpretazione:
 punteggio < 1 punto: bassa probabilità di TVP (3 per cento)
 punteggio: 1-2 punti: probabilità intermedia di TVP (17 per cento)
 punteggio: >= 3 punti: probabilità elevata di TVP (75 per cento)
TABELLA 3 Criteri
di Wells: probabilità a priori di embolia polmonare
Assegnare 3 punti per ognuno di questi item:
 diagnosi alternative meno probabili di un’embolia polmonare
 segni clinici di TVP
Assegnare 1,5 punti per ognuno di questi item:
 frequenza cardiaca > 100 bpm
 immobilizzazione o chirurgia nelle quattro settimane precedenti
 precedente TVP
Assegnare 1 punto per ognuno di questi item:
 emottisi
 storia di cancro
Interpretazione:
 punteggio < 2 punti: probabilità bassa di embolia polmonare (3,4 per cento)
 punteggio 2-6 punti: probabilità intermedia di embolia polmonare (27,8 per
cento)
 punteggio > 6 punti: probabilità elevata di embolia polmonare (78,4 per cento)
Occhio al concetto
Sbagliando si impara

Non dare per scontata una diagnosi, se alcuni segni o sintomi stonano con il
quadro generale.

Tutti i segni e i sintomi, anche i meno importanti, vanno sempre valorizzati.

L’anamnesi rimane la pietra fondamentale su cui costruire tutto l’edificio
diagnostico.

Talora gli esami strumentali possono confondere e rendere più
arduo il compito del medico.
Embolia polmonare
Occhio Clinico 2008; 3:
Key words: Embolia Polmonare; Tromboembolismo Venoso; Fattore V di Leiden
L’embolia polmonare può presentarsi come complicanza di una trombosi venosa
profonda (TVP), anche asintomatica. Uno dei segni principali è la tachipnea che può
essere sottovalutato nei pazienti con fattori di rischio per TVP misconosciuti e in cui
non è stata ben raccolta l’anamnesi. Per diagnosticare la TVP e l’embolia polmonare
sono stati elaborati dei sistemi a punteggi, i criteri di Wells. La mutazione del fattore
V di Leiden favorisce il tromboembolismo venoso (TEV) il cui rischio può essere
ridotto con la profilassi del warfarin.
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