8. TUTELA EXTRA-INDENNIZZO: ASPETTI LEGALI 1. Risarcimento del danno biologico Cumulabilità del risarcimento del danno con la legge 210/92 2. Soggetti passivi della domanda di risarcimento del danno 3. Prescrizione 4. Competenza territoriale 5. Sentenza n. 11609/2005 6. 7. 8. 9. Dies a quo Identificazione dei diritti dei soggetti danneggiati Responsabilità del Ministero della Salute Limite temporale Principio della causalità adeguata Fatto notorio della conoscenza dei test Consenso informato Danno occorso in occasione di lavoro Altre indennità Contagio per utilizzo di strumenti infetti Paola Soragni Legale INCA CGIL Reggio Emilia ha curato il capitolo 8 8. TUTELA EXTRA-INDENNIZZO: ASPETTI LEGALI 117 La legge 210/92 prevede un indennizzo da parte dello Stato a tutti coloro che hanno contratto patologie di carattere irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni di sangue o suoi componenti, e somministrazione di emoderivati. La somma che viene elargita a tale titolo a dette persone ha carattere meramente assistenziale, e ritrova la propria ratio nella solidarietà e assistenza nell’affrontare le spese e le difficoltà quotidiane dovute alla limitazione psico-fisica a seguito della patologia contratta. Sono poi presenti nel nostro ordinamento altre forme di tutela per le persone danneggiate, che devono essere considerate a seconda delle concrete fattispecie. Tali tutele offrono una più adeguata risposta alle esigenze specifiche, anche se certamente mai sufficienti a sopperire alla limitazione della capacità psico-fisica dei danneggiati. 1. Risarcimento del danno biologico Cumulabilità del risarcimento del danno con la legge 210/92 L’indennizzo di cui alla L. 210/92 ha carattere meramente assistenziale. La misura di tale indennizzo non è tuttavia adeguata all’estrema gravità dei danni per le patologie contratte, i danni morali e quelli che derivano dalla limitazione alla vita di relazione, alla capacità lavorativa. Di differente natura e fine è il risarcimento del danno, richiesto nei confronti dei responsabili civili della violazione del diritto all’integrità psico-fisica della persona. Mentre l’indennità ex L. 210/92 trova la propria ratio nella solidarietà e assistenza nell’affrontare le spese e le difficoltà quotidiane dovute alla limitazione psico-fisica, il secondo trova ragione nella violazione stessa del diritto primario alla salute. Inizialmente l’orientamento giurisprudenziale tendeva ad una non cumulabilità dell’indennizzo con il risarcimento del danno. Grazie alla sentenza del Tribunale di Roma del 4-15 giugno 2001, e prima ancora alla sentenza della Corte Costituzionale n. 423 del 16 ottobre 2000, oggi si è affermata la possibilità di richiedere integralmente sia il risarcimento del danno sia l’indennità ai sensi della legge 210/1992. Più recentemente, anche la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11609/2005 ha ribadito la cumulabilità dell’indennizzo con il risarcimento del danno e la possibilità di richiedere entrambi senza pregiudizio l’uno dell’altro. A tal proposito la Corte Costituzionale nella sentenza sopra richiamata ha disposto che: ` Ferma la possibilità per l’interessato di azionare l’ordinaria pretesa risarcitoria, il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, ha dunque previsto una misura economica di sostegno aggiuntiva, in un caso di danno alla salute, il cui ottenimento dipende esclusivamente da ragioni obbiettive facilmente determinabili, secondo parametri fissi, in modo da consentire agli interessati in tempi brevi una protezione certa nell’an e nel quantum, non subordinata all’esito di un’azione di risarcimento del danno, esito condizionato all’accertamento dell’entità, e, soprattutto, alla non facile individuazione di un fatto illecito e del responsabile di questo a 8. TUTELA EXTRA-INDENNIZZO: ASPETTI LEGALI 118 L’indennizzo e il risarcimento del danno sono ontologicamente differenti, sia dal punto di vista del soggetto passivo, che dei presupposti e del petitum. L’indennizzo infatti prescinde da ogni addebito di colpa, discendendo da un dovere generale di solidarietà, rivestendo una mera funzione assistenziale, e grava pertanto sulla collettività. Il risarcimento del danno si fonda invece su un giudizio di colpa, e si rivolge verso il danneggiante. Da tali considerazioni consegue che, accertata la colpa della struttura sanitaria, e/o del Ministero della Salute, l’avvenuta erogazione dell’indennità di cui alla L. 210/92 non può precludere il diritto all’integrale risarcimento del danno. Secondo la sentenza del Tribunale di Roma e la sentenza della Corte di Cassazione 11609/2005, il danneggiato ha il diritto al risarcimento del danno biologico, del danno alla vita di relazione, al danno patrimoniale e, vista la rilevanza penalistica dei fatti, al danno morale. 2. Soggetti passivi della domanda di risarcimento del danno Per «soggetti passivi» s’intendono i soggetti di diritto ai quali può essere inoltrata la domanda di risarcimento del danno. Tali soggetti sono obbligati in solido. Di seguito sono indicati i soggetto passivi della domanda di risarcimento del danno, distinti a seconda che l’infezione derivi da trasfusione di sangue o suoi componenti, o derivi da somministrazione di prodotti emoderivati. Nel secondo caso, in cui l’infezione derivi da somministrazione di prodotti commerciali emoderivati è palese la responsabilità del Ministero della Salute, che già dal lontano 1967, a seguito dell’entrata in vigore della L. 592/67, aveva il compito di emanare le direttive tecniche per la organizzazione, il funzionamento ed il coordinamento dei servizi inerenti alla raccolta, preparazione, conservazione e distribuzione del sangue umano per uso trasfusionale nonché alla preparazione dei suoi derivati, esercitandone altresì la vigilanza. Nonostante tale normativa e tali obblighi a capo del Ministero della Salute, quest’ultimo continuava ad importare sangue dall’estero (si consideri altresì sangue mercenario dall’Africa….!) fino al 1992 – con la disciplina della legge 210/92 – senza le opportune cautele, senza idonea sorveglianza, e soprattutto senza predisporre una disciplina tale da garantire l’incolumità pubblica. E tale condotta omissiva, o comunque insufficiente, del Ministero della Salute si è protratta nel tempo, nonostante il fatto che le conoscenze tecniche avessero raggiunto determinati livelli di scienza dell’epatite e delle altre forme virali presenti nel sangue. Al riguardo afferma il Tribunale di Roma che: ` Al Ministero non è contestata l’omissione normativa, cioè di avere omesso di emanare provvedimenti nella materia in esame, ma di averli emanati in ritardo, con contenuti inadeguati, e di non aver vigilato sulla puntuale esecuzione degli stessi e, soprattutto, di non aver effettuato controlli effettivi sulla sicurezza del plasma importato dall’estero, ovvero del sangue raccolto senza controllo sulla qualità dei donatori, sui canali di approvvigionamento e distribuzione, sulle modalità e le cautele concretamente seguite nella preparazione dei prodotti a 8. TUTELA EXTRA-INDENNIZZO: ASPETTI LEGALI 119 Naturalmente sono responsabili civili, e quindi legittimati passivi per il contagio da prodotti commerciali emoderivati, le Case farmaceutiche che hanno acquistato e utilizzato il sangue infetto senza le opportune cautele, o in base alla normativa via via emanata dal Ministero della Salute, o in base al principio del neminem laedere, di cui all’art. 2043 c.c., date le conoscenze tecniche e scientifiche dei virus trasmissibili con il sangue umano. Certamente una responsabilità delle Case farmaceutiche produttrici di emoderivati è ravvisabile alla luce dell’art. 2050 c.c., che stabilisce una presunzione di responsabilità a carico di chi esercita attività pericolose; nel caso particolare delle imprese produttrici di farmaci emoderivati. Tale responsabilità prevede una presunzione di colpa a carico dell’Azienda farmaceutica. Pertanto una volta dimostrato da parte del danneggiato il nesso causale tra la somministrazione del prodotto infetto e il contagio, l’impresa farmaceutica, per liberarsi dalla presunzione di responsabilità, deve fornire la prova rigorosa di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno con la verifica dell’innocuità del prodotto tenendo conto di tutte le metodologie scientifiche, anche sperimentali. Non basta infatti la prova negativa di non aver commesso alcuna violazione delle norme di legge o di comune prudenza, ma occorre quella positiva di aver impiegato ogni cura e misura idonee ad impedire l’evento. Di particolare interesse sono le varie sentenze della Corte di legittimità in ordine al caso Trilergan, che si è pronunciata più volte in merito alla responsabilità della casa farmaceutica e dei suoi fornitori di gammaglobuline per aver prodotto e posto in commercio negli anni 70 lotti di Trilergan contaminati da un antigene responsabile del virus dell’epatite B che, inevitabilmente, aveva contagiato i pazienti ai quali il farmaco era stato somministrato. Parte della dottrina ha ravvisato altresì una responsabilità delle Case farmaceutiche nella normativa di cui al d.p.r. 24 maggio 1988 n. 224, che disciplina la responsabilità del produttore nel caso di prodotti difettosi. Comunque anche tale normativa, come l’art. 2050 c.c., attribuisce all’im-presa farmaceutica gli stessi incombenti per esonerarsi dalla responsabilità del danno cagionato dal sangue infetto. Il soggetto passivo in caso di trasmissione dei virus per trasfusione di sangue o suoi componenti infetti è sempre il Ministero della Salute, per i motivi sopra esposti. Responsabile civilmente è altresì l’Azienda ospedaliera, per le trasfusioni di sangue o plasma avvenute dopo il 1° gennaio 1995, in quanto l’Azienda si obbliga ad eseguire le prestazioni sanitarie necessarie, rispondendo verso il paziente per l’inesatto adempimento di tale obbligazione ex art. 1218 c.c., sussistendo un «contratto di cura» tra il paziente stesso e la struttura sanitaria. Qualora la raccolta di sangue sia stata effettuata dall’AUSL, è altresì responsabile l’Azienda sanitaria locale se la trasfusione di sangue o plasma infetti è avvenuta dopo il 1° gennaio 1995. Inoltre, è applicabile anche all’ente ospedaliero la normativa di cui all’art. 2050 c.c., e cioè, come visto in precedenza per le case farmaceutiche, la responsabilità per attività pericolose, con onere a carico dell’ente di dimostrare di avere fatto tutto il possibile per evitare il contagio. Così ad esempio si è espresso il Tribunale di Ravenna con sentenza 28 ottobre 1999: ` Posto che, per la naturale idoneità del sangue a veicolare agenti patogeni ed in considerazione delle numerose norme ispirate alla finalità di prevenire il rischio di contagio post-trasfusionale, l’attività di preparazione del sangue umano all’impiego 8. TUTELA EXTRA-INDENNIZZO: ASPETTI LEGALI 120 trasfusionale va considerata pericolosa ai sensi dell’art. 2050 c.c.; per liberarsi dalla responsabilità del contagio occorso al ricevente, il centro trasfusionale deve provare di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare che il sangue fornito fosse attinto da agenti patogeni, comprese quelle, note ed astrattamente possibili, che all’epoca dei fatti non erano oggetto di specifica prescrizione normativa (nella specie, in un caso di contagio da HIV conseguente ad una trasfusione somministrata nel luglio 1985, il centro trasfusionale non ha fornito la prova di avere espletato sul sangue metodiche di «screening» anamnestico mirate, volte ad impedire la donazione da parte di soggetti appartenenti ad una categoria di soggetti particolarmente esposti al rischio di essere portatori di virus) a Naturalmente, l’ente ospedaliero è sempre e comunque responsabile in forza del principio del neminem laedere, in base alle conoscenze tecniche e scientifiche all’epoca della raccolta e somministrazione del sangue. L’A-zienda ospedaliera alla luce dei principi sopra citati, è tenuta a utilizzare tutti i mezzi per la cura dei pazienti, sia che vi siano specifiche norme che impongano tali comportamenti, sia, in carenza di queste, qualora vi siano comunque le capacità per riconoscere la presenza dei virus (HIV, epatite B, epatite C, già epatite non A non B) nel sangue umano. Se, come nella maggior parte dei casi affrontati, la trasfusione del sangue o plasma è avvenuta prima del 1° gennaio 1995, erano responsabili per le infezioni da addebitarsi a tale periodo le vecchie USL. Con la riorganizzazione del sistema sanitario nazionale, avvenuta con il d.lgs. 502/92 (poi modificato dal d.lg. 7 dicembre 1993 n. 517) il legislatore ha previsto la costituzione delle Aziende sanitarie locali e delle Aziende Ospedaliere, dotate di personalità giuridica e piena autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica, ed ha incaricato le Regioni di regolare e definire i rapporti passivi, oltre che attivi, facenti capo alle vecchie USL. Con la legge 28 dicembre 1995 n. 549 si è stabilito, all’art. 2, comma 14, che ` le Regioni attribuiscono ai direttori generali delle istituite aziende sanitarie locali le funzioni di commissari liquidatori delle soppresse unità sanitarie ricomprese nell’ambito territoriale delle rispettive aziende. Le gestioni a stralcio di cui all’art. 6, comma 1, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, sono trasformate in gestioni liquidatorie a Pertanto, attualmente legittimato passivo per fatti avvenuti anteriormente alla applicazione della L. 502/92 è la Regione di competenza nonché il Commissario liquidatore (nella persona del Direttore generale) delle soppresse USL. Occorre tuttavia valutare nell’ambito della normativa delle singole Regioni se il compito di liquidare le obbligazioni delle pregresse USL è ancora in capo al Commissario liquidatore (come ad esempio in Emilia Romagna, in Lombardia, in Calabria, nel Lazio, ecc.) o è stato restituito alla sola Regione (es. in Liguria, dove una normativa regionale, tuttora discussa per la sua legittimità ai sensi dell’art. 117 della Carta Costituzionale, ha soppresso la figura del Commissario liquidatore, ed ha restituito la legittimità passiva alla Regione). In diversi casi le persone sono state infettate a seguito di trasfusioni di sangue o plasma avvenute presso cliniche private. Tuttavia, in concreto, anche queste ricevono il sangue direttamente dall’Azienda Ospedaliera di riferimento. 3. Prescrizione 8. TUTELA EXTRA-INDENNIZZO: ASPETTI LEGALI 121 Il diritto al risarcimento dei danni subiti a seguito di utilizzo di sangue infetto è di 10 anni. L’art. 2947 c.c., stabilendo la prescrizione del generale diritto al risarcimento del danno, dispone che se il fatto illecito causa del danno è riconosciuto dalla legge come reato, è applicata anche al risarcimento del danno l’eventuale prescrizione più lunga stabilita per la fattispecie delittuosa. Tuttavia, non tutta la giurisprudenza è conforme in tal senso, e pertanto è bene comunque interrompere il termine prescrizionale nel termine dei 5 anni previsti per la prescrizione ordinaria. Il Tribunale di Roma nella nota sentenza avverso il Ministero della Sanità afferma la prescrizione decennale: ` il termine di prescrizione è di dieci anni, in considerazione della rilevanza penalistica del comportamento del Ministero nella diffusione delle infezioni virali in questione, essendo configurabili astrattamente i reati dell’epidemia colposa ovvero dell’omicidio colposo o delle lesioni colpose plurime a E così è affermato dall’attuale sentenza della Corte di legittimità n. 11609/2005 citata. Trattandosi invece di responsabilità contrattuale attribuibile agli istituti ospedalieri nei confronti del paziente, può comunque sostenersi la prescrizione decennale. Il dies a quo della prescrizione del diritto al risarcimento del danno decorre dalla data in cui «la condotta illecita abbia inciso nella sfera giuridica del danneggiato con effetti esteriorizzati e conoscibili dal medesimo, nel senso che la persona abbia avuto reale e concreta consapevolezza dell’esi-stenza e gravità del danno» (Trib. Roma giugno 2001). La persona danneggiata deve essere a conoscenza del danno effettivo, della sua gravità, e deve essere a conoscenza del nesso causale tra la somministrazione di sangue infetto e la patologia sofferta. Non sono pertanto sufficienti i certificati medici di rilievo sierologico, in quanto non si può presumere che nelle date indicate sul certificato la persona abbia avuto piena conoscenza dei risultati di quelle stesse diagnosi, e soprattutto della gravità dell’infezione e delle sue conseguenze. Ritengo inoltre che nel caso di asintomaticità della patologia, il dies a quo possa decorrere da quando si scateni un effetto a danno della persona infettata. Solo in tal caso sussiste, è conoscibile e quantificabile un danno, per il quale si possa richiedere il risarcimento. Importante al riguardo la sentenza della Cassazione Civile n. 11609/2005 che, chiaramente, determina il momento dal quale far decorrere la prescrizione del diritto al risarcimento del danno, dalla comunicazione del verbale della Commissione Medica Ospedaliera. Ritiene, infatti, la Corte di legittimità che solo da quella data i soggetti infettati hanno piena conoscenza della rapportabilità eziologica delle loro affezioni alle emotrasfusioni. Solo da tale momento possono intendersi esteriorizzati gli effetti dannosi delle trasfusioni o dell’assunzione dei prodotti emoderivati, e solo da tale momento i danneggiati hanno conoscenza e certezza del nesso causale tra l’utilizzo del sangue infetto e la contrazione della patologia virale. Altre sentenze si erano espresse in tal senso (sentenza dell’8 gennaio 2003; sentenza del 14 giugno 2001). Possono quindi essere inoltrate domande di risarcimento del danno qualora non siano trascorsi 10 anni dalla comunicazione del verbale della CMO competente. È opportuno quindi inoltrare raccomandata con ricevuta di ritorno con richiesta di risarcimento danni al fine di interrompere la prescrizione. 8. TUTELA EXTRA-INDENNIZZO: ASPETTI LEGALI 122 Di seguito, si riporta un esempio di raccomandata. Raccomandata a . r. __________ ____________, il Spett.le MINISTERO DELLA SANITÀ Lungotevere Ripa n. 1 00153 ROMA Spett.le Regione ______ (di competenza) Gent.mo Commissario liquidatore (di competenza) Oggetto: DENUNCIA E RICHIESTA RISARCIMENTO DANNI PER UTILIZZO DI EMODERIVATI INFETTI. Il sottoscritto Sig. _________________________________, ha contratto infezione da epatite di tipo C (o altro ______________________________________________ - INDICARE LA PATOLOGIA), a seguito di utilizzo di emoderivati, essendo il Sig. ____________________________________________________ emofilico / a seguito di trasfusioni di sangue avvenute il ___________ presso __________________ . (Per chi avesse ottenuto l’indennizzo ai sensi della legge 210/92 - specificare quanto segue) Il Sig. ______________________________ già aveva richiesto indennità ai sensi della L. 210/1992. Alla visita medica presso il centro militare/ospedaliero di medicina legale di ___________________, la Commissione medica aveva così accertato: «Sì, esiste nesso causale tra la trasfusione e l’infermità epatica cronica HCV (in caso di altra patologia indicarne gli estremi), correla- 8. TUTELA EXTRA-INDENNIZZO: ASPETTI LEGALI 123 ta ascrivibile alla ____ (qualificare la categoria tabellare) categoria della tabella A, allegata al DPR 30/12/1981 n. 834». Dall’infezione è derivato certamente un danno biologico, alla vita di relazione, patrimoniale, esistenziale e, vista la rilevanza penalistica dei fatti, morale. Con la presente pertanto Vi invita a risarcire tutti i danni patiti, a seguito del comportamento negligente, imprudente, e per imperizia degli organi preposti al controllo e alla vigilanza in materia della sanità e, in particolare, nella produzione, commercializzazione e distribuzione dei derivati del sangue. Risulta infatti Vostro comportamento omissivo per colposa inosservanza dei doveri istituzionali attribuiti a detti Organi. Risulta altresì responsabilità professionale a carico dell’Azienda ospedaliera. Vi avverto sin d’ora che, in caso di mancato riscontro alla presente mia, o in caso di diniego di dette richieste, adirò la competente Autorità Giudiziaria a mezzo del mio legale di fiducia Avv. ____________________________________ (per chi avesse legali di propria fiducia). Distinti saluti. 4. Competenza territoriale Chiamando in causa, quale soggetto legittimato passivo, il Ministero della Salute, è competente il Foro presso il quale si trova l’Avvocatura di Stato territoriale. Nel caso dell’Emilia Romagna sarà competente il Foro di Bologna. Nel caso in cui, invece, per vari motivi, ci si rivolga nei soli confronti degli altri soggetti passivi, la competenza territoriale spetta al Giudice del luogo in cui si è verificato l’evento lesivo, o, alternativamente, al Giudice del luogo in cui la persona giuridica ha la propria sede. 5. Sentenza n. 11609/2005 Si ritiene necessario soffermarsi sulla recente sentenza della Corte di Cassazione n. 11609/2005, in quanto vi sono indicati in modo chiaro i requisiti essenziali per ottenere il risarcimento del danno, da ben considerare nel momento in cui una persona fisica intende rivolgersi al Ministero della Salute per aver contratto epatite B, epatite C, HIV a seguito di trasfusioni o utilizzo di prodotti emoderivati infetti. Tali elementi si possono distinguere in elementi positivi, laddove permettono a molte persone di ottenere tale risarcimento, ed elementi negativi, che ascrivono so- 8. TUTELA EXTRA-INDENNIZZO: ASPETTI LEGALI 124 lo a un determinato momento storico il diritto al risarcimento del danno. Quali elementi positivi determinati dalla sentenza della Cassazione n. 11609/2005 possono elencarsi i seguenti: Dies a quo La Corte di Cassazione, come sopra esposto, determina il momento dal quale far decorrere la prescrizione del diritto al risarcimento del danno dalla comunicazione del verbale della Commissione Medica Ospedaliera. Pertanto, anche se il danneggiato avesse già documentazione medica attestante la patologia cronica, quale dies a quo si considera comunque il giorno dalla comunicazione del verbale della CMO. Identificazione dei diritti dei soggetti danneggiati La sentenza 11609/2005 identifica espressamente i diritti che possono essere fatti valere dai soggetti danneggiati, ben distinguendo, ancora una volta, tra legge 210/92 e risarcimento del danno (a tal proposito vedasi anche la proposta di legge presentata il 30 marzo 2004)1. La contrazione dei virus per sangue infetto può determinare il diritto dei soggetti danneggiati a richiedere: risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. In caso di condotta colpevole del Ministero della Salute; equo indennizzo, ex art. 32 Cost. Ove il danno, non derivante da fatto illecito, sia conseguenza di un adempimento di un obbligo legale; misure di sostegno assistenziale (L. 210/1992). Responsabilità del Ministero della Salute Riconosce inoltre la citata sentenza la responsabilità del Ministero alla luce dell’art. 2043 c.c. Ritiene infatti la Corte di Legittimità che anche la Pubblica Amministrazione è tenuta a subire le conseguenze stabilite dall’art. 2043 c.c., atteso che tali principi si pongono come limiti esterni alla sua attività discrezionale, ancorché il sindacato di questa rimanga precluso al giudice ordinario. Tuttavia, nell’accogliere il diritto al risarcimento del danno quale responsabilità ex art. 2043 c.c., afferma la Cassazione che non sussiste il diritto al risarcimento del danno per i soggetti che abbiano contratto il virus prima di determinate date, essendo carente, in tale caso, la configurabilità della colpa a carico del Ministero della Salute. Si introducono così gli aspetti e principi negativi che emergono dalla sentenza 11609/2005. Limite temporale Afferma la Corte di Cassazione che, per poter ottenere il risarcimento del danno, occorre, giustamente, ascrivere un comportamento colposo al Ministero della 1 Si tratta del d.d.l. n. 2970, poi assorbito nel d.d.l. 3603, approvato dalla Camera l’11.10.2005 e promulgato come legge 229/2005. 8. TUTELA EXTRA-INDENNIZZO: ASPETTI LEGALI 125 Salute. Ritiene, tuttavia, che tale comportamento non sia ravvisabile qualora il sangue infetto sia stato somministrato, o per trasfusione o per utilizzo di prodotti emoderivati, prima di una determinata data, alla quale la Corte di Cassazione fa risalire il momento in cui si ha conoscenza tecnica medica del singolo virus. Ritiene quindi la Cassazione che, per ascrivere responsabilità colposa al Ministero della Salute è necessario che il momento del contagio si sia verificato dai seguenti anni: dal 1978 per l’epatite B; dal 1985 per l’HIV; dal 1988 per l’HCV. La Corte di Legittimità sostiene che solo dalle date sopra indicate erano approntati i test diagnostici per ciascuna delle patologie, e che, quindi, solo da allora poteva accertarsi se il sangue immesso nel circuito delle emotrasfiusioni o della produzione di emoderivati fosse infetto. Principio della causalità adeguata Con il principio della causalità adeguata, la Corte di legittimità giustifica e motiva il limite temporale della colpevolezza del Ministero della Salute. I ricorrenti avevano avanzato la lamentela in merito alle date da cui far discendere la conoscenza tecnica dei test di rilevazione di ciascun virus, assumendo che già dagli anni ’70 era diffusa la consapevolezza della pericolosità delle trasfusioni di sangue per il rischio di trasmissioni virali, e che, data la coincidenza epidemiologica tra i virus HIV HBV e HCV, e data la conoscenza dell’epatite B sino dal 1964, era certamente evitabile il contagio adottando i mezzi di contrasto già conosciuti con riferimento al virus dell’HBV. Ritiene invece la Corte di Cassazione che non possa ascriversi responsabilità al Ministero della Salute laddove le conseguenze dannose erano possibili ma non prevedibili nella loro specificità. Non essendo ancora rilevato il test diagnostico per i virus HIV e HCV, il Ministero non era tenuto, ai sensi dell’art. 2043 c.c. a prestare misure idonee ad evitare il contagio, trattandosi di conseguenze indirette e mediate. La Cassazione, per raggiungere tale convinzione, afferma che, anche per la sussistenza della responsabilità aquiliana del Ministero, e pertanto ai sensi dell’art. 2043 c.c., è necessario che la conseguenza del comportamento sia prevedibile, richiamando l’art. 2056 c.c. l’art. 1223 c.c. «Se l’inadempi-mento o il ritardo non dipende da dolo del debitore, il risarcimento del danno è limitato al danno che poteva prevedersi nel tempo in cui è sorta l’obbligazione», e richiamando pertanto la responsabilità giuridica prevista nella responsabilità contrattuale. Con il principio dell’adeguatezza la Cassazione afferma, concludendo, che il danno risarcibile è quello adeguato alle conoscenze tecniche acquisite al momento in cui l’evento si è verificato. Non possono quindi essere considerate «normali» le conseguenze non conoscibili al momento dell’infezione. Solo in tal modo, ritiene, la colpa del Ministero ha i requisiti necessari di prevedibilità e di evitabilità. Fatto notorio della conoscenza dei test 8. TUTELA EXTRA-INDENNIZZO: ASPETTI LEGALI 126 Ed infine, la Corte di Cassazione, per determinare il momento dal quale far decorrere la conoscenza dei virus e dei test per rilevarne la presenza, utilizza il concetto di fatto notorio. Ritiene la Cassazione che il fatto tecnico, sia pure a livello semplicistico, sia notorio qualora la collettività ne sia periodicamente sensibilizzata dalla stampa e dagli altri mezzi di comunicazione di massa o da altre forme di pubblicità. Qualora il fatto sia divenuto patrimonio della conoscenza diffusa, assume i connotati di notorio. E, nel caso specifico, della decorrenza della conoscenza tecnica, il fatto notorio attiene ad un «fatto storico». Per quanto riguarda il virus dell’epatite C, dell’epatite B e dell’HIV ritiene la Cassazione che il momento storico, divenuto fatto notorio della collettività per i singoli virus esaminati, siano gli anni sopra indicati. Occorre pertanto contestare le affermazioni della Corte di Cassazione per garantire, anche alle persone infettate prima di tali date, il diritto al risarcimento del danno. È importante, se non determinante, una relazione medica di parte, approfondita soprattutto relativamente alle date di conoscenza tecnica dei virus e alle date di conoscenza dei test diagnostici. Trattandosi di responsabilità ex art. 2043 c.c., onere di provare tutti gli elementi per attribuire la colpa al Ministero della Salute incombe sui soggetti infettati. In tal senso è da condurre anche il consulente che verrà nominato d’ufficio. In questo modo potrà evitarsi il ricorso a fatto notorio per determinare la data in cui si è raggiunta la conoscenza tecnica di ciascun virus, e dei relativi test diagnostici. Pare altresì, come poi riconosciuto in parte dalla sentenza stessa in oggetto, che applicare il concetto di «fatto notorio» alla scienza medica non sia corretto. La scienza medica, come tale, è ascritta e di competenza della sola classe medica, e non della collettività, cui non appartiene il requisito della professionalità. Importante, in causa, continuare a sostenere una responsabilità del Ministero della Salute anche ai sensi dell’art. 2050 c.c., per esercizio di attività pericolose. Nel caso venisse finalmente riconosciuta una responsabilità del Ministero in tal senso, nel procedimento giudiziario si verificherebbe un’in-versione dell’onere della prova, incombendo così su controparte dimostrare la mancanza di colpa e la mancanza degli elementi essenziali per ottenere il risarcimento del danno. Alla luce delle migliaia di domande di risarcimento del danno per utilizzo di sangue infetto, ed alla luce delle articolate e, a volte, contraddittorie motivazioni esplicate nella sentenza esaminata, forse questa è frutto non solo di ragionamento giuridico, ma anche di pensiero e finalità politiche. Non bisogna poi dimenticare che sono anche altri i motivi per cui può ascriversi responsabilità ai soggetti passivi, quali Regione, Commissario liquidatore, AUSL. Ad esempio, è bene indicare che le trasfusioni di sangue non erano necessarie, nei casi in cui si fosse potuto ricorrere a cure alternative, o nel caso in cui non fossero state indispensabili per la guarigione. Oppure, qualora le trasfusioni di sangue fossero avvenute in circostanza di un’operazione programmata, è opportuno sostenere 8. TUTELA EXTRA-INDENNIZZO: ASPETTI LEGALI 127 che era ben possibile ricorrere a trasfusioni autologhe e non eterologhe. Ed ancora, è pure sostenibile la mancanza del consenso informato. In tal modo si può eludere il problema della conoscenza tecnica dell’epoca delle trasfusioni, sussistendo comunque responsabilità professionale. 6. Consenso informato Discorso a parte merita il consenso informato che, allo stato attuale, manca di una disciplina organica. Tale espressione non si rinviene nel codice civile e penale italiano, ma risulta importata dagli Stati Uniti, dove è stata utilizzata per la prima volta in un processo celebrato in California nel 1957. Compare, comunque, in alcune fonti anche di rango regolamentare per specifiche attività sanitarie quali, in particolare, la sperimentazione dei farmaci (d.m. 15 luglio 1997, «Recepimento delle linee guida dell’Unione Europea di buona pratica clinica per la esecuzione delle sperimentazioni cliniche dei medicinali») e il trattamento degli emoderivati (d.m. 15 gennaio 1991, attualmente sostituito dal D.M. 26.01.2001). In particolare, l’art. 19 del d.m. 15 gennaio 1991 recita: ` La trasfusione di sangue, di emocomponenti e di emoderivati costituisce una pratica terapeutica non esente da rischi; necessita pertanto del consenso informato del ricevente a Anche le norme deontologiche prevedono specifiche disposizioni riguardo all’informazione al paziente e al consenso all’atto medico. In particolare il vigente Codice di Deontologia Medica, approvato il 3 ottobre 1998, ha dedicato a tali temi diversi articoli. In particolare: nell’art. 30 si delineano le modalità del processo di informazione al paziente: ` Il medico deve fornire al paziente la più idonea informazione sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle prospettive e le eventuali alternative diagnostico-terapeutiche e sulle prevedibili conseguenze delle scelte operate; il medico nell’informarlo dovrà tenere conto delle sue capacità di comprensione, al fine di promuoverne la massima adesione alle proposte diagnostico-terapeutiche. (...)a Il successivo art. 32, tratta specificamente del consenso: ` Il medico non deve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza l’acquisizione del consenso informato del paziente. Il consenso, espresso in forma scritta nei casi previsti dalla legge e nei casi in cui per la particolarità delle prestazioni diagnostiche e/o terapeutiche o per le possibili conseguenze delle stesse sull’integrità fisica si renda opportuna una manifestazione inequivoca della volontà della persona, è integrativo e non sostitutivo del processo informativo di cui all’art. 30. Il procedimento diagnostico e/o il trattamento terapeutico che possono comportare grave rischio per l’incolu-mità della persona, devono essere intrapresi solo in caso di estrema necessità e previa informazione sulle possibili conseguenze, cui deve fare seguito una opportuna documentazione del consenso. In ogni caso, in presenza di documentato rifiuto di persona capace di intendere e di volere, il medico deve desistere dai conseguenti atti diagnostici e/o curativi, non essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontà della persona, ove non ricorrano le con- 8. TUTELA EXTRA-INDENNIZZO: ASPETTI LEGALI 128 dizioni di cui al successivo art. 34 a L’art. 34 a sua volta recita: ` Il medico deve attenersi, nel rispetto della dignità, della libertà e della indipendenza professionale, alla volontà di curarsi, liberamente espressa dalla persona. Il medico, se il paziente non è in grado di esprimere la propria volontà in caso di grave pericolo di vita, non può non tenere conto di quanto precedentemente manifestato dallo stesso. Il medico ha l’obbligo di dare informazioni al minore e di tenere conto della sua volontà, compatibilmente con l’età e con la capacità di comprensione, fermo restando il rispetto dei diritti del legale rappresentante; analogamente deve comportarsi di fronte a un maggiore infermo di mente a Secondo l’orientamento prevalente in dottrina, recepito anche da alcune sentenze della Corte di Cassazione, il principio del consenso informato si ricollega al principio personalistico che ispira il nostro ordinamento e che trova particolare espressione negli artt. 13 e 32, comma 2° della Costituzione: il primo sancisce il primato della libertà personale; il secondo stabilisce che «nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge» e, di conseguenza, che un trattamento medico può essere attuato a prescindere dalla volontà favorevole della persona interessata solo quando sia necessario per salvaguardare la collettività dai rischi che potrebbero derivarle dalla malattia del singolo e sempre che ciò sia previsto mediante esplicita disposizione di legge. A livello giurisprudenziale, la Suprema Corte di Cassazione si è più volte pronunciata sul tema del consenso informato, quale fonte di responsabilità contrattuale del sanitario (Cass. Sez. III Civile, 29 marzo 1976 n. 1132; Cass. Sez. III Civile, 26 marzo 1981 n. 1773), oltre che condizione imprescindibile ai fini di un valido consenso del paziente al trattamento diagnostico-terapeutico (Cass. Sez. III Civile, 25 luglio 1967 n. 1950). Sempre in materia di consenso informato, la Suprema Corte, Sez. III Civile, con sentenza del 15 gennaio 1997 n. 364, ha affermato, in particolare, che: 1) «l’obbligo di informazione da parte del sanitario assume rilievo nella fase precontrattuale, in cui si forma il consenso del paziente al trattamento o all’intervento, e trova fondamento nel dovere di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto» (così anche Cass. 12 giugno 1982, n. 3602; Cass. Sez. III Civ. 25 novembre 1994, n. 10014); 2) l’obbligo di informazione deve estendersi anche ai rischi specifici e connessi a determinate scelte alternative in modo che il paziente, con l’aiuto tecnico-scientifico del sanitario e attraverso una cosciente valutazione dei rischi o dei relativi vantaggi prospettati, opti, consapevolmente, per una o l’altra delle scelte possibili. Con la sentenza n. 9374 del 24 settembre 1997 la medesima Sezione della Suprema Corte, ha precisato che ` la mancata richiesta del consenso costituisce autonoma fonte di responsabilità qualora dall’intervento scaturiscano effetti lesivi, o addirittura mortali, per il paziente, per cui nessun rilievo può avere il fatto che l’intervento medesimo sia stato eseguito in modo corretto a Si cita infine la IV Sezione Penale della Corte di Cassazione che con sentenza n. 1572 dell’11 luglio 2001 ha affermato: ` La necessità del consenso, che non si identifica con quello di cui all’art. 50 c.p. 8. TUTELA EXTRA-INDENNIZZO: ASPETTI LEGALI 129 ed ha essenza diversa, si evince, in generale dall’art. 13 della Costituzione, il quale sancisce l’inviolabilità della libertà personale, nel cui ambito deve ritenersi compresa la libertà di salvaguardare la propria salute ed integrità fisica, escludendone ogni restrizione se non per atto motivato dall’Au-torità Giudiziaria e nei soli casi e con le modalità previste dalla legge a Per la Corte pertanto, il consenso costituisce un presupposto di liceità del trattamento medico ed inerisce alla libertà morale del soggetto e alla sua autodeterminazione, nonché alla sua libertà fisica intesa come diritto al rispetto della propria integrità corporea, e quindi, in sostanza, alla libertà personale tutelata dall’art. 13 della Costituzione. Ne deriva pertanto che non è attribuibile al medico un generale «diritto di curare», bensì, conseguentemente all’abilitazione all’esercizio della professione sanitaria, la «facoltà» o la «potestà di curare», le quali tuttavia, per potersi estrinsecare necessitano del consenso della persona che deve sottoporsi al trattamento sanitario. Le uniche eccezioni a tale criterio generale sono configurabili nel caso di trattamenti obbligatori ex legge, ovvero nel caso in cui il paziente non sia in condizione di prestare il proprio consenso o si rifiuti di prestarlo e l’intervento medico risulti urgente ed indifferibile al fine di salvaguardare dalla morte o da un grave pregiudizio alla salute. Per il resto, la mancanza del consenso (opportunamente «informato») del malato, o la sua invalidità per altre ragioni, determina l’arbitrarietà del trattamento medico chirurgico e la sua rilevanza penale, in quanto posto in violazione della sfera personale del soggetto e del suo diritto di decidere se permettere interventi estranei sul proprio corpo. 7. Danno occorso in occasione di lavoro Se l’evento si è verificato in occasione di lavoro (ad esempio a seguito d’infortunio è stato necessario praticare trasfusioni di sangue) occorre applicare al danneggiato anche la tutela assicurativa per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, ricorrendo all’INAIL. Se l’evento-contagio si è verificato a danno di un lavoratore nello svolgimento delle proprie mansioni (ad esempio un dipendente di Azienda ospedaliera infortunatosi manipolando sangue infetto, o pungendosi con una siringa), oltre ad applicare la normativa dell’assicurazione obbligatoria dell’INAIL, può essere responsabile civilmente l’Azienda ospedaliera quale datore di lavoro, per non avere assunto tutte le necessarie cautele, ai sensi dell’art. 2087 c.c. L’art. 2087 c.c. pone in capo all’imprenditore l’obbligo di adottare, nell’esercizio dell’impresa (di cui gli competono, ai sensi dell’art. 2086 c.c., la direzione e il potere gerarghico), le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica dei prestatori di lavoro. Tale obbligo di comportamento trova la sua fonte nell’art. 32 della Costituzione, secondo il quale lo Stato assume la tutela della salute dei cittadini come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, nonché nell’art. 41 della Costituzione in cui l’affermato principio di libertà dell’iniziativa privata, viene condizionato dalla necessità che essa si svolga con modalità tali da non pregiudicare la sicurezza, la libertà e la dignità umana. In particolare, l’art. 4 del d.p.r. 27 aprile 1955, n. 547, recante norme per la pre- 8. TUTELA EXTRA-INDENNIZZO: ASPETTI LEGALI 130 venzione degli infortuni sul lavoro dei lavoratori subordinati, impone al datore di lavoro: di attuare le misure di sicurezza previste dal decreto stesso; di rendere edotti i lavoratori dei rischi specifici cui erano esposti; di disporre ed esigere che i singoli lavoratori osservassero le norme di sicurezza ed usassero i mezzi di protezione messi a loro disposizione. L’art. 377 del d.p.r. n. 547/55 prevede l’obbligo del datore di lavoro di mettere a disposizione dei dipendenti ` mezzi personali di protezione appropriati ai rischi inerenti alle lavorazioni ed operazioni effettuate, qualora manchino o siano insufficienti i mezzi tecnici di protezione. I detti mezzi personali di protezione devono possedere i necessari requisiti di resistenza e di idoneità nonché essere mantenuti in buono stato di conservazione a Anche l’art. 382 del suddetto decreto prevede l’obbligo, per il datore di lavoro, di munire i lavoratori esposti al pericolo di offesa degli occhi con materiali dannosi, di occhiali, visiere o schermi appropriati. E così l’art. 385 obbliga il datore a disporre i lavoratori di idonei mezzi di difesa. La responsabilità dell’Azienda ospedaliera sussiste anche nel caso in cui vi sia un concorso di colpa del lavoratore. Al riguardo si ricorda la Suprema Corte di Cassazione che con sentenza 24 marzo 2004, n. 5920, ha dichiarato: ` Le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l’insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso, con la conseguenza che il datore di lavoro è sempre responsabile dell’in-fortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente, per l’imprenditore, all’eventuale concorso di colpa del lavoratore, la cui condotta può comportare, invece, l’esonero totale del medesimo imprenditore da ogni responsabilità solo quando presenti i caratteri dell’abnormità, inopinabilità ed esorbitanza, necessariamente riferiti al procedimento lavorativo «tipico» ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell’evento a Si riporta infine la sentenza del 23 maggio 2003, n. 8230 della Corte di Legittimità: ` A norma dell’art. 2087 c.c., il datore di lavoro, nell’esercizio dell’impresa, è tenuto ad adottare tutte le misure attinenti all’efficienza e al buon andamento del servizio, idonee ad evitare o a limitare eventuali danni a carico dei lavoratori, danni che potrebbero essere provocati anche da un servizio non pienamente efficiente, e la sua responsabilità per il suo mancato assolvimento di tale obbligo non è esclusa né dalla colpa del lavoratore, né dalla colpa o dal dolo di terzi a Il danno occorso in occasione di lavoro prevede l’applicazione altresì della disciplina della causa di servizio, qualora siano integrati gli ulteriori requisiti previsti da tale istituto. La causa di servizio è indispensabile per ottenere la pensione privilegiata e l’equo indennizzo. Tale disciplina è sorta dall’esigenza etico-sociale di riparare il danno economico alla persona derivato da infermità o lesioni riportate per aver dovuto anteporre il supremo interesse della collettività al proprio diritto individuale dell’incolumità psico-fisica. 8. TUTELA EXTRA-INDENNIZZO: ASPETTI LEGALI 131 L’attuale normativa è disciplinata dal Testo Unico in materia di pensioni di guerra, emesso con d.p.r. 23/12/1978 n. 915 e dal successivo d.p.r. 31/12/1981 n. 834. La tutela prevista dal riconoscimento della causa di servizio è’ stata così estesa a numerose categorie di lavoratori, dipendenti direttamente o indirettamente dallo Stati oppure da Aziende che rivestono una peculiare natura di pubblico servizio (come gli enti ospedalieri). Pertanto, ad esempio, anche un lavoratore che contrae una patologia invalidante a seguito di puntura con un ago infetto può chiedere il riconoscimento della causa di servizio. 8. Altre indennità Oltre al risarcimento del danno e alla tutela disciplinata dalla legge 210/92, devono considerarsi anche gli altri istituti previsti dal nostro ordinamento, applicabili a seconda dei casi concreti. Si ricorda al riguardo che la legge 238 del 25 luglio 1997 ha previsto, all’art. 1, prevede la cumulabilità dell’indennizzo con ogni altro emolumento a qualsiasi titolo percepito. È pertanto applicabile la tutela assistenziale dell’invalidità civile anche a coloro che hanno contratto patologie virali quali l’epatite C, l’epatite B e l’HIV a seguito di trasfusione di sangue o somministrazione di emoderivati infetti. Come già esplicato, tale disciplina è cumulabile con l’indennizzo ex legge 210/92. Pertanto i danneggiati la cui invalidità ricopra i requisiti previsti per ottenere l’assegno o la pensione d’invalidità, hanno diritto ad ottenere come ulteriore indennizzo, oltre alla legge 210/92, tale assegno o pensione. Nel caso in cui l’infermità raggiunga una gravità tale da rendere la persona contagiata incapace di adempiere da sola alle attività quotidiane, quali lavarsi, mangiare, curare la propria persona, deambulare, questa o gli altri legittimati potranno richiedere l’indennità di accompagnamento. In tali casi, ove necessario, si può richiedere anche la nomina di un amministratore di sostegno, qualora la persona danneggiata non sia più in grado di attendere ad alcuni negozi giuridici per la gestione del proprio patrimonio. 9. Contagio per utilizzo di strumenti infetti Il virus dell’epatite C, dell’epatite B e dell’HIV può trasmettersi anche per utilizzo di strumenti infetti, non sterilizzati con la dovuta cura da parte della struttura sanitaria, o in ambito ambulatoriale. L’infezione da virus HCV, ad esempio, costituisce un importante problema socio – sanitario. Basta pensare a quante persone, e quante volte nel corso della loro vita, si rivolgono a studi medici e dentistici. Si è parlato spesso di prevenzione negli ambulatori medici attraverso un miglioramento delle condizioni di lavoro, e si è cercato di evitare, soprattutto negli ultimi quindici anni, i possibili rischi di contagio in ambulatori dentistici. Non vi è una normativa specifica in materia per tutelare i pazienti. Occorre rivolgersi al diritto più generale del codice civile, del codice penale e della Carta Co- 8. TUTELA EXTRA-INDENNIZZO: ASPETTI LEGALI 132 stituzionale. Quest’ultima dispone, tra i principi fondamentali, il diritto alla salute e alla cura medica. Il codice civile ravvisa la responsabilità attribuibile alla struttura sanitaria qualora causi un’infezione utilizzando strumenti infetti o in ambienti ove sono presenti possibili fonti di contagio, nelle seguenti norme: art. 2043: «Risarcimento per fatto illecito»; art. 2236 c.c.: «Responsabilità del prestatore d’opera»; art. 2051 c.c.: «Danno cagionato da cose in custodia». L’art. 2043 c.c. sancisce il dovere di risarcire la lesione di un diritto soggettivo assoluto e obbliga l’autore della lesione a risarcire le conseguenze negative patrimoniali e, nel caso di lesioni colpose, non patrimoniali. Tale articolo è sempre da citare unitamente all’art. 2236 c.c., che limita la responsabilità del prestatore d’opera intellettuale nei casi di dolo o colpa grave. Ciò significa che, in caso di una operazione, qualora non occorrano determinate e specifiche cognizioni scientifiche di speciale difficoltà, è ravvisabile la responsabilità del medico. L’art. 2236 prevede che sia onere del paziente dimostrare di avere subito un danno, e che questo sia conseguenza di una negligenza del professionista. La limitazione di responsabilità del medico si ha solo quando gli atti che egli deve compiere trascendono la prestazione professionale media, e quindi, ad esempio, quando il caso è eccezionale per non essere stato ancora adeguatamente studiato e sperimentato. La responsabilità civile del medico è in generale classificabile in due categorie diversamente disciplinate: quella contrattuale e quella extracontrattuale o aquiliana. La prima è caratterizzata dal rapporto tra il paziente ed il medico esercitante la libera professione; in passato, al contrario, il rapporto tra il medico e paziente all’interno della struttura ospedaliera pubblica era considerato extracontrattuale. Tuttavia, oggi, dottrina e giurisprudenza si sono impegnate in un tentativo di superamento di tale distinzione, È stato ritenuto possibile il concorso dei due tipi di responsabilità. In particolare, il rapporto che lega il paziente alla struttura sanitaria, rientrando nel contratto d’opera professionale, chiama la struttura a rispondere a titolo sicuramente contrattuale; ma anche se il medico dipendente non stipula un contratto direttamente con il paziente, è portatore di un’obbligazione che, pur non fondata sul contratto, ma piuttosto sul contatto sociale2, ha anch’essa natura contrattuale. L’art. 2051 c.c. prevede che sia responsabile per i danni cagionati dalle cose colui che ha il potere materiale su di esse. Per la prevalente giurisprudenza la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia ha carattere oggettivo. Pertanto, perché possa configurarsi in concreto la responsabilità è sufficiente che sussista un nesso causale tra la cosa in custodia e il danno arrecato, senza che rilevi la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza. Il nesso di causalità è da escludersi solo nel caso in cui il danno sia da ascriversi a caso fortuito. Chi chiede il risarcimento del danno ex art. 2051 è sufficiente che dimostri quindi l’esistenza del nesso causale, tra i beni in custodia e il danno, mentre spetterà alla controparte, per liberarsi dall’obbligo di risarcimento, dimostrare che l’evento dannoso si è verificato per caso fortuito. Per il personale medico, rientrante in un contesto organizzativo a capo di una 2 Sentenza Cassazione civile, sez. III, 22 gennaio 1999, n. 589. 8. TUTELA EXTRA-INDENNIZZO: ASPETTI LEGALI 133 struttura medico-amministrativa, pubblica o privata, risponde della sua responsabilità la struttura stessa, esistendo tra le parti un rapporto di subordinazione da un lato, e, dall’altro, di direzione e controllo.