La nascita indesiderata
1. Era prevedibile che la Corte di Cassazione, che di frequente
sconfessa i giudici del merito, e spesso se stessa anche su importanti
questioni bioetiche, giungesse al non accettabile traguardo di affermare il diritto di non nascere. Con la voluminosa sentenza del 2 ottobre 2012, n. 16754, la terza sezione civile della Corte ha affermato, per la prima volta, il diritto del neonato – soggetto giuridicamente capace – a chiedere il risarcimento del danno per essere nato
“malformato”, segnando un significativo mutamento di indirizzo rispetto alle proprie precedenti posizioni quali espresse con le due importanti pronunce n. 14888 del 2004 e n. 10471 del 2009.
Il progresso delle conoscenze scientifiche ha consentito interventi
medici in campo riproduttivo un tempo impensabili. Oggi accanto
alla richiesta di risarcimento per un figlio non voluto, in quanto la
sua nascita non rientrava nei programmi di vita dei genitori, si assiste al moltiplicarsi di richieste di risarcimento per il figlio nato handicappato, quindi non voluto “solo” in ragione della sua patologia
mentale o fisica.
Il caso deciso dalla Suprema Corte riguarda una giovane madre
di due figli che, all’inizio delle terza gravidanza, avrebbe dichiarato
al medico di essere disposta a continuarla purché il bambino nascesse sano. Il medico ha prescritto solo l’esame diagnostico Tritest
che ha dato risultato negativo sull’esistenza della sindrome di
Down, risultata invece presente alla nascita della bambina.
La sentenza della Cassazione è, per l’Italia, rivoluzionaria. Per
la prima volta infatti viene riconosciuto il diritto al risarcimento
non solo alla famiglia, ma anche al bambino che nasce disabile. Finora potevano chiedere il risarcimento del danno solo la madre, il
padre, le sorelle e i fratelli. Non aveva diritto di chiedere i danni il
bambino che, a causa di una errata diagnosi del medico, fosse nato
disabile perché la madre era stata privata, per un inadempimento
medico, del diritto di fare ricorso alla legge sull’interruzione volontaria di gravidanza.1
1
Si veda la nota di M. Casini al testo della Sentenza della Corte di Cassazione, terza sezione civile, n. 16754 del 2 ottobre 2012, pubblicata su questo fascicolo alle pp. 830-843.
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Il tema è da tempo oggetto, in ambito internazionale, di dibattito
giuridico, bioetico e biopolitico. Prevalentemente non si è riconosciuto un diritto “a non nascere se non sano” e sono state rigettate
le domande proposte iure proprio dal neonato malformato ed accolte
invece quelle dei genitori. Voce fuori del coro è stata una nota pronunciata della Corte di Cassazione francese – l’ Arret Perruche del
28 novembre 2001 – dove si è stabilito che: “quando gli errori commessi da un medico impediscono di esercitare alla donna la propria
scelta d’interruzione della gravidanza, al fine di evitare la nascita di
un bambino handicappato, quest’ultimo può domandare il risarcimento del danno consistente nel proprio handicap, causato dai predetti errori”.
Nella terminologia giuridica molto usata, propria dei paesi di
Common Law si usano espressioni come wrongful birth, wrongful life e wrongful pregnancy.
È denominato wrongful life il caso del figlio che può citare in
giudizio la madre od altra persona – spesso il medico – per averlo
fatto nascere. È il caso della nuova sentenza.
La wrongful birth riguarda casi in cui la madre cita in giudizio
chi ritiene responsabile di averle fatto partorire un figlio inabile,
mentre avrebbe potuto evitarlo. Sono in genere casi di responsabilità civile medica.
Infine, è ritenuta wrongful pregnancy la gravidanza non voluta
causata da errore diagnostico sulla sua esistenza oppure da inefficace procedura anticoncezionale.
I Giudici della Suprema Corte non hanno mai riconosciuto, fino
alla sentenza del 2 ottobre 2012, l’ammissibilità nel nostro sistema
giuridico del diritto di richiesta di risarcimento da parte del nato
per wrongful life. È l’esito, non sappiamo se definitivo, del lungo
braccio di ferro sul diritto di non nascere, tra i sostenitori del diritto
a non esistere come è accaduto nell’Affaire Perruche, e coloro invece che, con riferimento all’evento nascita, non hanno considerato la
possibilità per un individuo di lamentarsi di un danno per il solo fatto di essere nato.
Le due massime rilevanti della sentenza 16754/ 2012 sono le seguenti:
I. Sussiste nei confronti dei genitori e dei fratelli e sorelle del
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neonato la responsabilità sanitaria del medico che, richiesto di un
accertamento diagnostico circa le eventuali malformazioni genetiche del feto, così da poter la gestante interrompere la gravidanza,
ometta di fornire una completa informazione in ordine a tutte le possibili indagini esperibili e circa l’alta percentuale di “false negatività” dell’esame prescelto (cd. “Tritest”).
II. È risarcibile il danno da nascita malformata lamentato iure
proprio dal neonato, allorché l’errore colpevole del medico non abbia evitato, od abbia concorso a non evitare, l’evento, diritto fondato sugli art. 2, 3, 29, 30 e 32 Cost. e che consiste nella condizione
diversamente abile e nel maggior disagio esistenziale, che il risarcimento concorre a lenire.
Colpisce, nella motivazioni contenute nella sentenza quella secondo cui, “risulta innegabile come l’esercizio del diritto al risarcimento da parte del minore in proprio non sia in alcun modo riconducibile ad un impersonale “non nascere”, ma si riconnetta, personalmente e soggettivamente, a quella singola, puntuale e irripetibile
vicenda umana che riguarda quel determinato (e altrettanto irripetibile) soggetto che, invocando un risarcimento, fa istanza al giudice
di piena attuazione del dettato costituzionale dianzi evocato, onde
essere messo in condizione di poter vivere meno disagevolmente,
anelando ad una meno incompleta realizzazione dei suoi diritti di
individuo singolo e di parte sociale scolpiti nell’art. 2 della Costituzione.” Se abbiamo ben capito, meglio non nascere, essere abortiti
sia pure per decisione altrui.
2. La Società Italiana di Ecografia Ostetrico-Ginecologica (SIEOG)
ha espresso profondo stupore e preoccupazione per questa sentenza, in quanto , oltre a sollevare una serie di gravi problemi etici,
contraddice alcuni elementi sostanziali della legge 194 e ha delle
importanti ricadute sulla pratica medica. Si ricorda che il caso
Perruche portò in Francia, allo sciopero a oltranza di tutti i Ginecologi che effettuavano ecografie ostetriche e suscitò forti rimostranze di tutte le Associazioni che si occupavano a vario titolo di
soggetti disabili fino alla promulgazione di una legge limitante il
riconoscimento di un tale diritto (Legge francese 0303 del
4.03.2002). Riconoscere il diritto a non nascere e risarcire un individuo affetto da un handicap per il fatto di essere nato significa
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considerare la disabilità in sé come una condizione che non merita
di esistere e può portare ad estreme derive ideologiche nelle quali
discostarsi da un modello di “normalità” diventa iniquo e comunque pericoloso. La preoccupante sentenza della Cassazione acuisce
anche altre problematiche, di natura etica, medico-legale, assistenziale.
In primo luogo, la sentenza prospetta la possibilità di ricorrere
all’aborto su base “eugenetica” e smentisce la filosofia di fondo
della legge 194 per la quale il ricorso alla interruzione di gravidanza verrebbe giustificato dalla necessità di tutelare la salute fisica o
psichica della donna. In particolare, questa sentenza rischia di esasperare il ricorso alla diagnosi invasiva (amniocentesi e villocentesi), con aumento significativo delle perdite fetali per il rischio di
aborto correlato alla procedura (0,5%, 1/200). Si avrebbe altresì un
effetto dirompente sulle attuali procedure di screening precoce (test
combinato, integrato, Tritest) che hanno portato nell’ultimo decennio in tutto il mondo ad una riduzione significativa della diagnostica
invasiva (villocentesi ed amniocentesi) con una importante diminuzione non solo dei costi ma anche degli aborti collegati a tali procedure. Quindi, l’Italia si porrebbe ancora una volta in imbarazzante
e frustrante controtendenza rispetto a tutti i paesi dell’Unione Europea e di gran parte del mondo.
3. Questa lunga e deprimente vicenda si è intrecciata con l’evoluzione della dottrina giuridica e della giurisprudenza in tema di responsabilità medica, connotata sia da sentimenti di rivalsa e di vendetta, sia, ancor più, dal desiderio di conseguire vantaggi o comunque aiuti economici a spese dei medici, delle strutture sanitarie e
delle compagnie di assicurazione. Si sono così ampliati progressivamente gli spazi concessi alle vere o presunte vittime e, in taluni rilevanti casi, l’evoluzione giurisprudenziale ha acquistato addirittura
il carattere della cosiddetta “giurisprudenza normativa”, pur in assenza di norme specifiche e attraverso mutamenti bruschi opposti a
quelli che la stessa Corte, e i giudici dei primi gradi, spesso più prudenti, hanno poco tempo prima affermato e motivato. Il progressivo
aumento del contenzioso medico legale per casi di mancata diagnosi
di patologie fetali sta portando, purtroppo, ad un significativo cambiamento nell’atteggiamento degli operatori sanitari che si vedono
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spesso costretti a scelte pericolose – ed anche economicamente costose – di medicina difensiva.
Ci si deve interrogare sulla possibilità e reale legittimità, che i
giudici, specie quelli di legittimità, possano liberamente affermare
de novo rivoluzionari principi giuridici, spesso attraverso contraddittorie motivazioni. In tal modo si creano ulteriori ed onerose forme di danno che si affermano ed utilizzano ex post, a carico dei medici e delle strutture sanitarie, in genere dopo molti anni dall’evento
di cui è causa, con una sorta di retroattività. È l’ennesimo frutto del
dilagare di sentenze creative, che colpiscono soprattutto la sanità.
Basti ricordare la lunga ed alternante vicenda di Eluana Englaro, di
cui questa rivista si è a suo tempo occupata.2
Non si vuole, e non si può, entrare in complesse questioni giuridiche di legittimità che non sono di nostra competenza anche se da
semplici cittadini è doveroso manifestare forte turbamento e porsi
interrogativi nell’assistere a queste vistose oscillazioni, in genere influenzate da movimenti ideologici, spesso di provenienza straniera.
L’opinione pubblica ne è in parte sconcertata se non addirittura
scandalizzata, in parte invece entusiasta ritenendo trattarsi di “progressi”. In tal modo si approfondiscono le fratture che esistono nella società e comunque si accentua l’impressione che determinate decisioni siano ispirate ad influenze ideologiche e che taluni giudici
non ne siano esenti. Né si può trascurare, sul piano etico, che questi
nuovi principi giuridici vengono applicati in un ambito, la responsabilità medica civile, in cui sono in gioco rilevanti riflessi economici
che ampliano a dismisura i risarcimenti, contribuendo alla crescente crisi delle medicina specie in suoi delicati settori quali sono certamente l’ostetricia e la ginecologia.
Concorrono, nei casi di malformazioni embrionali, anche opinabili interpretazioni dell’art. 6 della legge 194/1978 la quale viene
letta alla lettera b, come automatica liceità dell’aborto in caso di feti malformati, mentre invece, a differenza dell’art. 4 che offre ampie
motivazioni dell’aborto, l’art. 6 richiede la sussistenza di un “grave
pericolo per la salute fisica o psichica della donna” accertato da un
2
FIORI A. Il caso Englaro (Editoriale). Medicina e Morale 2008; 5: 933-936.
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medico del servizio ostetrico-ginecologico (art.7). Purtroppo per
quanto riguarda almeno la sindrome di Down, la recentissima introduzione in commercio di un nuovo test, di prossima distribuzione in
Italia – il Prenatest che si afferma positivo anche alla 12ma settimana – può superare le pur fragili argomentazioni relative ai test genetici mediante amniocentesi (dalle 15 alle 18 settimane) lasciando alla madre la totale libertà di decidere.
4. Ancora più grave è la decisione della Cassazione qualora la si
consideri dal punto di vista bioetico.
Qualsiasi essere umano fin dal primo istante della sua esistenza
deve essere rispettato come un individuo e una persona, perché tale
esistenza ha già in sé un valore intrinseco ed una dignità umana piena. Questo essere non può essere arbitrariamente violato nella sua
esistenza corporea, perché la sua corporeità è valore per il suo successivo sviluppo. Non può dunque immaginarsi un diritto a non nascere, qualunque ne possa essere il motivo che viene addotto per affermarlo traendone le conseguenze sia nel pretendere l’aborto e, se
non affettuato, chiedere un risarcimento che in caso di cosiddetta
wrongful life può essere richiesto addirittura alla madre.
Tanto più che, in una prospettiva etica, anche il solo ragionevole
dubbio che si tratti di un essere umano è sufficiente per assumere un
atteggiamento di rispetto assoluto, tale da giustificare il divieto di
nuocergli in alcun modo. Sopprimere volontariamente un individuo,
anche se all’inizio del suo cammino esistenziale, ha la gravità morale di un omicidio da un punto di vista della realtà obiettiva. Il fatto
che sia innocente, indifeso e non capace di difendersi è da considerare un aggravante di crudeltà e che questo venga fatto dai genitori
stessi costituisce una offesa e una ferita sulla stessa naturalità e intimità dei vincoli parentali. Il fatto che il concepito – il figlio concepito: così bisognerebbe chiamarlo – si presenti con dei difetti che
possono rendere compromessa la salute sua e la serenità della famiglia non è una ragione di condanna a morte.
Uccidere volutamente per discriminare quelli che hanno benessere e salute da quelli che presentino qualche difetto aggiunge un aggravante sul piano della ingiustizia.
La Enciclica Evangelium Vitae (25.03.1995) riassume le discussioni intorno agli usi linguistici volti ad attenuare la realtà con que-
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ste precise parole: “l’aborto procurato è l’uccisione deliberata e diretta, comunque venga attuata, di un essere umano nella fase iniziale
della sua esistenza compresa fra il concepimento e la morte. La gravità morale appare in tutta la sua verità se si riconosce che si tratta
di un omicidio e in particolare se si considerano le circostanze specifiche che lo qualificano.
Chi viene soppresso è un essere umano che si affaccia alla vita,
ossia quanto di più innocente in assoluto si possa immaginare, mai
potrebbe essere considerato un aggressore, meno che mai un ingiusto aggressore! È debole inerme, al punto di essere privo anche di
quella minima forma di difesa che è costituita dalla forza implorante dei gemiti e del pianto del neonato. È totalmente affidato alla protezione e alle cure di colei che lo porta in grembo. Eppure, talvolta,
è proprio lei, la madre, a decidere e a chiederne la soppressione e
persino a procurarsela”. (E.V. n. 58).
La obiettività del giudizio morale non impedisce di considerare
le eventuali attenuanti nella fase della valutazione del soggetto che
ha compiuto il fatto: il soggetto può essere stato forzato, ingannato
o vittima di un pregiudizio diffuso; tra i fattori che tendono ad ingannare c’è la stessa legge permissiva, per cui tra le popolazioni facilmente si confonde ciò che è legale con ciò che è morale; ma questi fattori su cui si può valutare la limitata responsabilità di un soggetto o l’altro e su cui i credenti chiedono la misericordia di Dio,
non diminuiscono la realtà della uccisione e la gravità del delitto,
che può addirittura diventare più grave per chi ha fatto l’inganno o
ha esercitato la costrizione, per chi ha voluto la legge.
Per i cristiani, che hanno a disposizione la misericordia di Dio è
responsabilità maggiore il pensare che soltanto la Infinita Misericordia di Dio può ridonare la pace e insegnare le vie della riparazione.
La minaccia maggiore oggi è quella di voler far passare come
fatto accettato dalle coscienze e che è stato legalizzato e giustificato
da una legge che è già permissiva sempre, ed è più permissiva quando si tratta del nascituro malformato, quasi che si debba essere obbligati a sopprimere chi non è sano. Con l’obbligo di un presunto riconoscimento di un danno al soggetto che non è stato soppresso
(mentre la legge l’avrebbe permesso), per un errore medico come è
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nella sentenza di cui si fa il commento, ci sembra che la gravità morale sale alle soglie dei magistrati con un duplice aggravamento:
l’aver condiviso una legge che autorizza la soppressione di un essere umano innocente e in più l’aver condannato al risarcimento del
danno (quale danno? il non aver ucciso!) il medico che (per negligenza o errore!) non ha eseguito questa sentenza di morte. Abyssus
abyssum invocat!
Angelo Fiori
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Elio Sgreccia
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