PRODUCT-HARM CRISIS: UNA SISTEMATIZZAZIONE DEI CONTRIBUTI ACCADEMICI SUGLI EVENTI CRITICI CHE COLPISCONO I PRODOTTI DI MARCA di Camilla Barbarossa Premessa Gli eventi critici extraordinari che colpiscono i prodotti di marca vengono definitivi nella letteratura di marketing come product-harm crisis. Gli scandali che hanno coinvolto la marca Sanlu per la contaminazione del latte con melamina, Mattel per l'utilizzo di livelli eccessivi di piombo nella produzione di giocattoli, Toyota per la produzione di automobili difettose, sono tutti esempi di productharm crisis. Le crisi di prodotto di marca hanno effetti estremamente gravi sulla salute dei consumatori e, talvolta, anche sull'ambiente naturale in cui l'impresa opera. Inoltre, l'evidenza empirica dimostra che nessuna impresa è immune dagli effetti di un evento critico extraordinario come una product-harm crisis. Le crisi minacciano la reputazione della marca (Davies et al., 2003), riducono le vendite e le quote di mercato (Van Heerde et al., 2007), distruggono la brand equity (Zhao et al., 2011) e coinvolgono l'impresa in costose operazioni di product recall (laddove questa strategia sia attuabile). Alla gravità estrema dell'evento va aggiunto che l’attivismo di organizzazioni e consumatori nonché la crescente attenzione dei media rendono le crisi di prodotto un fenomeno frequente e ad eco sempre più ampia. Tuttavia, nonostante la frequenza e la severità delle conseguenze per consumatori, ambiente naturale e imprese, gli studi sulle product-harm crisis sono ancora esigui (Klein e Dawar, 2004) e l'argomento merita di essere ulteriormente investigato da un punto di vista teorico ed empirico. Camilla Barbarossa è Ricercatrice a Tempo Determinato in Organizzazione Aziendale presso la Libera Università Maria Ss. Assunta (LUMSA), Dipartimento di Scienze Umane (Comunicazione, Formazione e Psicologia), Piazza delle Vaschette, 101 – 00193 Roma; [email protected]. Questo lavoro si pone come breve ovierview e sistematizzazione dei principali contributi in tema di product-harm crisis prodotti fino a questi momento nella letteratura di marketing. Nello specifico, in primo luogo, si analizzano gli aspetti definitori e le caratteristiche peculiari delle product-harm crisis. In secondo luogo, si esaminano gli effetti delle crisi di prodotto di marca sui consumatori e sulle imprese. Infine, vengono analizzate le diverse strategie di risposta che le imprese possono sviluppare in caso di coinvolgimento in un evento negativo extraordinario come una crisi di prodotto. 1. Le product-harm crisis Nella letteratura di marketing, gli eventi critici extraordinari che colpiscono i prodotti di marca vengono definiti come 'crisi di prodotto' (product-harm crisis o brand crisis). Ma et al. (2010, p. 443) definiscono le product-harm crisis come “well-known events related to product defects or harm associated with some brands”, ovvero come eventi ad elevata eco mediatica i quali fanno riferimento a difetti gravi di prodotti di marca. Analogamente, Dawar e Pillutla (2000, p. 215) definiscono tali eventi come "discrete, well publicized occurrences wherein products are found to be defective or dangerous”, ovvero come accadimenti specifici e ben noti relativi a prodotti di marca ritenuti pericolosi. Più in generale, Barbarossa et al. (2013) definiscono le product-harm crisis come quelle crisi d'impresa che si verificano quando un prodotto di marca, i processi produttivi che generano tali prodotti e/o le risorse umane afferenti alla marca rappresentano un rischio grave per (o causano un danno grave a) consumatori, lavoratori e ambiente. In tal senso, le product-harm crisis richiamano le caratteristiche tipiche delle più generali crisi organizzative (Pearson e Clair, 1998), in quanto esse costituiscono accadimenti: extraordinari, ovvero che non rientrano nelle attività ordinarie dell'impresa (e quindi richiedono una gestione apposita); ambigui, ovvero per i quali è difficoltoso identificarne la causa generatrice; ad elevato impatto negativo, ovvero in grado di causare un elevato danno ai consumatori, ai lavoratori e all'ambiente naturale nonché di minacciare la sopravvivenza dell'impresa. L'evidenza empirica offre innumerevoli esempi di product-harm crisis che hanno coinvolto marche leader operanti in settori industriali diversi. Ad esempio, nel 2000, le marche Bridgestone e Firestone furono costrette a ritirare dal mercato statunitense 6,5 milioni di pneumatici a seguito del verificarsi di incidenti stradali mortali causati da difetti gravi nei pneumatici venduti (Advertising Age, 2002). Nel 2007, la marca Mattel, primo produttore mondiale di giocattoli, annunciò il ritiro dal mercato di un milione e mezzo di giocattoli a marca Fisher Price poiché i giocattoli fabbricati in Cina vennero giudicati pericolosi per la presenza di livelli di piombo eccessivi nella vernice utilizzata per le rifiniture (The New York Times, 2007). Più recentemente, nel gennaio 2012, la marca Costa Crociere è stata coinvolta in un caso di product-harm crisis a seguito del naufragio della nave da crociera Costa Concordia nelle acque dell'Isola del Giglio (The Guardian, 2012). Casi di product-harm crisis si verificano ancora più frequentemente nel settore alimentare. L'alimentazione, infatti, per il diretto effetto che questa esercita sulla salute e sul benessere degli individui, è oggetto di particolare attenzione da parte di governi (ad esempio, tramite crescenti controlli di sicurezza), associazioni e consumatori1. Nel 1990, ad esempio, la marca francese Perrier fu costretta a ritirare tutte le bottiglie in vendita nei negozi e nei ristoranti statunitensi a causa della presenza di tracce di benzene (La Repubblica, 1990). Analogamente, nel 1999, Coca-Cola ritirò dal mercato belga circa 30 milioni di lattine e bottiglie contaminate da un fungicida rimasto nelle confezioni come residuo delle lavorazioni precedenti (The Economist, 1999). Ancora, nel 2008, Sanlu, il maggiore produttore di latte in Cina, fu coinvolto nello scandalo del latte contaminato da melamina, artificialmente aggiunta per arricchire il livello proteico del latte. Gli scandali relativi a prodotti dannosi o nocivi non riguardano solo singole marche ma possono anche coinvolgere un'intera industry. Si pensi, a titolo esemplificativo, allo scandalo "Detox" che ha coinvolto, nel 2012, numerose marche del settore dell'abbigliamento (ad esempio, Diesel, Nike, Adidas, Zara, H&M, Kalvin Klein, Mango, Levi's, Benetton), in quanto accusate dall’organizzazione ambientalista Greenpeace di utilizzare sostanze chimiche tossiche capaci di procurare gravi danni alla salute umana e all'ambiente naturale (Barbarossa et al., 2013), o a quanto accaduto nel 2013 quando molte marche industriali e retailer del settore alimentare (ad esempio, Tesco, Iceland, IKEA, 1 Con riferimento ai consumatori, si registra, oggi, un’accresciuta consapevolezza della qualità dei prodotti alimentari di cui normalmente si fa uso nonché la crescente diffusione tra di correnti culturali ispirate da un’attenzione crescente al “biologico”, allo slow living, alla qualità e al rispetto dell'ambiente. Questi aspetti rendono più reattivo il consumatore di fronte a eventi negativi posti in essere dall'impresa o da soggetti ad essa collegati (ad esempio, fornitori e distributori). In Italia, il problema delle frodi alimentari è attuale e percepito come molto rilevante dai consumatori italiani. Secondo recenti studi CENSIS (2013), il 71% delle famiglie italiane è preoccupato della scarsa sicurezza dei prodotti alimentari, il 70% dichiara di leggere le etichette, il 40% si informa perché sente spesso parlare di alimenti contraffatti e poco sicuri. Per l'85% sono molto importanti le garanzie igienico-sanitarie, il 50% presta molta importanza ai marchi agroalimentari di qualità (Dop, Igp e Stg) e il 24% dichiara di fare la spesa con la consapevolezza di voler acquistare prodotti più sicuri. Findus UK, Buitoni e Star) sono state coinvolte nello scandalo europeo della carne equina2. 2. Gli effetti delle product-harm crisis Le crisi di prodotto differiscono significativamente da difettosità lievi di prodotto. Mentre queste ultime possono causare inconvenienti modesti ai consumatori, le product-harm crisis rappresentano un pericolo grave per (e quindi possono causare danni ingenti a) la salute dell'uomo e all'ambiente naturale in cui l'impresa opera (Siomkos e Kurzbard, 1994). Si pensi, ad esempio, alle conseguenze drammatiche di alcuni degli eventi critici descritti nel paragrafo precedente. La contaminazione del latte da melamina, in cui l'impresa Sanlu fu coinvolta nel 2008, comportò il ricovero di 6.244 bambini in Cina per patologie gravi ai reni; le difettosità nei pneumatici venduti da Bridgestone e Firestone nel 1990 portarono a più di cento incidenti stradali mortali; lo scandalo in cui fu coinvolta Coca-Cola nel 1999 portò al ricovero in ospedale di più di 90 persone in una sola settimana; il naufragio della Costa Concordia nel 2012 causò il decesso di 33 individui tra partecipanti alla crociera, membri dell'equipaggio e sommozzatori impiegati nei lavori di recupero del relitto. Le product-harm crisis non esercitano effetti negativi esclusivamente sui consumatori o sull'ambiente naturale. Queste producono effetti estremamente dannosi anche per l'impresa coinvolta nella crisi. Le crisi minacciano la reputazione dell'impresa o della marca (Davies et al., 2003), riducono le vendite e le quote di mercato (Van Heerde et al., 2007) e distruggono la brand equity (Zhao et al., 2011). Ad esempio, lo scandalo che coinvolse Mattel il 14 agosto 2007 per la presenza di quantità eccessive di piombo nella verniciatura dei giocattoli e il conseguente annuncio del ritiro dei giocattoli dal mercato spinse al ribasso il titolo Mattel che, lo stesso giorno, a Wall Street, perse il 3,48% a 22,75 dollari per azione (Il Sole 24 Ore, 2007). Ancora, a seguito dello scandalo del latte contaminato da melamina, l'impresa Sanlu utilizzò tutte le proprie riserve finanziare per ritirare i 2 Lo scandalo della contaminazione della carne bovina con carne equina (anche noto in Europa come the horsemeat scandal) riguarda alimenti pubblicizzati come contenenti carni bovine e risultati contenere carne di cavallo in percentuali non correttamente dichiarate (fino al 100% del contenuto di carne). Lo scandalo, pur non rappresentando di per sé una questione di sicurezza alimentare, ha rivelato un guasto importante nella tracciabilità della catena di approvvigionamento alimentare di ben 13 Paesi europei e, quindi, il rischio di inclusione di sostanze nocive. Nello specifico, il rischio è rappresentato dall'inclusione nella catena alimentare di carne di cavalli utilizzati a fini sportivi e, con loro, di fenilbutazone, un medicinale veterinario severamente vietato in alimenti animali (BBC, 2013). prodotti dal mercato e risarcire le parti lese. I debiti contratti, tuttavia, furono talmente elevati che l’azienda fallì un anno dopo. Se i consumatori ritengono l'impresa responsabile per l'evento critico, questi sviluppano atteggiamenti e valutazioni negative verso la marca e intraprendono azioni negative contro di essa: riducono l'intenzione all'acquisto, boicottano la marca, effettuano passaparola negativi circa la marca stessa (Verbeke, 2001). Dunque, sulla base di quanto esposto fino a questo momento, è possibile affermare che gli effetti delle crisi di prodotto di marca sono classificabili in due macro-categorie: gli effetti sui consumatori; gli effetti sull'impresa. A questa categorizzazione corrispondono approcci e filoni di ricerca distinti all'interno della letteratura di product-harm crisis. I paragrafi che seguono sono volti ad approfondire questi aspetti. 2.1 Gli effetti sui consumatori Un effetto fondamentale conseguente agli eventi critici extra-ordinari che riguardano i prodotti di marca inerisce alle reazioni dei consumatori all'evento critico. All'analisi di tali effetti è dedicato un florido filone di ricerca che, nella maggior parte dei casi, utilizza indagini campionarie (survey) o esperimenti per valutare l'impatto che le crisi di prodotto di marca (reali o fittizie) esercitano sui giudizi di colpevolezza e responsabilità dell'impresa per l'evento dannoso e conseguenti outcome di tipo non comportamentale (ad esempio, atteggiamento) e comportamentale (ad esempio, comportamento d'acquisto e passaparola) dei consumatori. 2.1.1 Il processo di attribuzione di colpa Un elemento chiave per comprendere gli effetti delle crisi sulle risposte del mercato è rappresentato dal processo di attribuzione di colpa (Folkes, 1984; Folkes et al., 1987). Il processo di attribuzione di colpa costituisce il processo di valutazione dei consumatori circa la responsabilità e colpevolezza dell'impresa per l'evento dannoso, il quale, a sua volta, influenza i comportamenti di consumo nei confronti del prodotto di marca (Weiner, 2000). I consumatori, infatti, costruiscono spontaneamente attribuzioni di colpa per i prodotti coinvolti nella crisi, le quali possono essere considerate antecedenti di valutazioni e comportamenti d’acquisto (Folkes, 1984; Folkes et al., 1987; Klein e Dawar, 2004). Il modello proposto da Weiner (1986) è ampiamente usato in questi studi e concettualizza tre dimensioni causali di attribuzione che inducono ad un giudizio complessivo di responsabilità o colpa: il locus del comportamento che genera la crisi; la stabilità del comportamento; la controllabilità del comportamento. Il locus del comportamento indica il grado con cui i consumatori attribuiscono la responsabilità dell'evento critico a una causa interna (l'impresa) piuttosto che ad una causa esterna (l'evento critico viene attribuito a soggetti terzi operanti direttamente o indirettamente nella filiera produttiva come, ad esempio, produttori, fornitori, distributori e governi). La stabilità del comportamento indica il grado con cui i consumatori percepiscono l'evento critico come un accadimento ricorrente e stabile nella vita dell'impresa piuttosto che un accadimento extra-ordinario e temporaneo. Infine, la controllabilità del comportamento indica il grado con cui i consumatori ritengono che l'impresa fosse in grado di prevedere e controllare il comportamento o l'evento critico generatore dello scandalo. Se il locus è interno e il comportamento considerato stabile e controllabile, i consumatori tendono ad attribuire la responsabilità all’impresa agente. Di conseguenza, assegnazioni di colpa ed espressioni di rabbia da parte dei consumatori emergono spesso nei confronti dell’impresa. Al contrario, se il locus è esterno e il comportamento considerato temporaneo e incontrollabile, l’attribuzione di responsabilità tenderà a ricadere su fattori esterni diversi dall'impresa. 2.1.2 Le variabili moderatrici del processo di attribuzione di colpa Precedenti studi hanno dimostrato come, di fronte al medesimo evento critico, un diverso processo di attribuzione dei consumatori può portare a reazioni (in termini di outcome non comportamentali e comportamentali) del tutto opposte (Cavicchi et al., 2010). Alcuni consumatori abbandonano il consumo della marca coinvolta nella crisi, mentre altri rafforzano l'attaccamento alla marca e pongono in essere comportamenti difensivi della marca stessa. Queste diversità sono ascrivibili, oltre che ad una diversa interpretazione dei processi di colpa, di cui si è detto nel paragrafo precedente, anche a variabili 'moderatrici'. In questo secondo caso, è possibile affermare che l’impatto delle crisi di prodotto sulle valutazioni dei consumatori è "regolato" da diverse variabili le quali possono inerire alle caratteristiche individuali del consumatore, alle caratteristiche dell'impresa nonché a fattori situazionali. Considerando le caratteristiche del consumatore, Dawar e Pillutla (2000) analizzano il ruolo moderatore delle aspettative dei consumatori sulle valutazioni circa la crisi di prodotto. I consumatori che hanno un’opinione positiva pre-crisi dell’impresa limitano le loro valutazioni negative dell’impresa durante la crisi. Al contrario, nessun tipo di limitazione è presente in caso di assenza di opinioni positive pre-crisi e gli effetti della crisi di prodotto sono decisamente più negativi. Ahluwalia et al. (2000; 2001), invece, investigano il ruolo moderatore del grado di committment (impegno) che il consumatore ha nei confronti del prodotto/marca sugli effetti negativi di una crisi di prodotto. I consumatori con bassi livelli di committment assegnano maggior peso all’informazione negativa piuttosto che a quella positiva, perché la percepiscono come maggiormente “diagnostica”. I consumatori con alto livello di committment, invece, non presentano questo bias negativo. Un effetto simile a quello appena descritto è analizzato anche da Dawar e Lei (2009), i quali indagano la familiarità del consumatore con il prodotto/marca. Le valutazioni fatte dai consumatori che presentano alti livelli di familiarità sono influenzate solo da crisi di prodotto particolarmente rilevanti e negative, e non anche da quelle più leggere. Ancora Silvera et al. (2010) esaminano il ruolo dell’età nella valutazione delle potenziali minacce relative alle crisi dei prodotto di marca e rilevano che le percezioni di minaccia in relazione alle crisi di prodotto si riducono con l’età. Infine, Vassilikopoulou et al. (2011) analizzano il ruolo svolto dalle convinzioni etiche dei consumatori sulla valutazione delle crisi dei prodotti di marca esaminando le interdipendenze che esistono tra convinzioni etiche, attribuzioni di colpa, rabbia e intenzione d’acquisto dei prodotti realizzati dall’impresa coinvolta dalla crisi. I consumatori con convinzioni etiche più forti attribuiscono maggiori livelli di responsabilità e colpa all’impresa coinvolta nella crisi, esprimono maggiori livelli di rabbia e minore propensione all’acquisto dei prodotti coinvolti nell'evento critico. Con riferimento ai fattori relativi alla marca, Grunwald e Hempelmann (2010) mostrano che la reputazione del prodotto/marca è capace di influenzare positivamente le percezioni di responsabilità dell’impresa e quindi proteggere l’impresa da attribuzioni di colpa. Similmente, Lin et al. (2011) analizzano il ruolo dell’abilità dell’impresa e delle sue attività di responsabilità sociale per valutare l’impatto delle crisi di prodotto sulle valutazioni e intenzioni d'acquisto dei consumatori. Infine, con riferimento ai fattori situazionali, Dawar e Lei (2009) analizzano il ruolo della “gravità” della crisi come moderatore della valutazione del prodotto/marca, in interazione con la familiarità sopra descritta. Similmente, Lei et al. (2012) analizzano l'effetto moderatore della frequenza della crisi nel settore interessato dalla crisi. 2.2 Gli effetti sull'impresa Il secondo filone di ricerca concerne gli effetti delle crisi di prodotto sulle performance dell'impresa. Le conseguenze dell'evento critico per l'impresa sono molteplici. Queste, generalmente, consistono in perdite significative dei volumi di vendita, nella riduzione della quota di mercato e della brand equity, nella diminuzione dell'efficacia degli investimenti di marketing e nell'aumento della sensibilità dei consumatori alle attività di marketing poste in essere dalle imprese concorrenti. Chu et al. (2005), ad esempio, indagano l'effetto negativo della crisi di prodotto sulle quotazioni di borsa. Analogamente, Van Heerde et al. (2007) analizzano le conseguenze negative della crisi in termini di riduzione delle vendite della marca. Gli autori dimostrano che l'efficacia degli investimenti pubblicitari si riduce dopo l'evento critico, mentre l'ammontare di investimenti richiesto, al fine di mantenere una costante efficacia mediatica, diviene significativamente più elevato poiché la marca colpita dallo scandalo è più vulnerabile nella mente dei consumatori anche con riferimento ai concorrenti. 3. Le strategie di risposta delle imprese Nei paragrafi precedenti si è discusso circa gli effetti delle crisi di prodotto di marca sui consumatori e sulle performance aziendali. Si è visto, nello specifico, come i consumatori costruiscano giudizi complessivi di responsabilità e colpevolezza nei confronti della marca attraverso processi di attribuzione di colpa. Si è detto, inoltre, che tali processi sono ulteriormente regolati da variabili moderatrici che inseriscono alle caratteristiche individuali dei consumatori e alle caratteristiche delle imprese. La letteratura di product-harm crisis suggerisce che, oltre alle caratteristiche degli individui e delle imprese, le attribuzioni di responsabilità vengono anche regolati dalle condotte delle imprese nel momento in cui queste si trovino coinvolte in una crisi di prodotto di marca. In altri termini, le scelte strategiche delle imprese, intese come risposta alle accuse di product-harm crisis, sono in grado di influenzare i giudizi di responsabilità e colpevolezza dei consumatori verso la marca coinvolta nella crisi. A questo aspetto è dedito un florido filone di ricerca che indaga le strategie e le tattiche manageriali che supportano le imprese nel superare una crisi di prodotto di marca (Mitroff, 2004). Nello specifico, questi studi si concentrano sull'identificazione, classificazione e analisi delle possibili strategie di risposta poste in essere dalle imprese alle accuse di product-harm crisis. Griffin (1991), ad esempio, classifica le strategie di risposta in: denial (smentita), quando l'impresa smentisce le accuse di responsabilità per l'evento critico; reticence (riserbo), quando l'impresa non conferma né smentisce la propria responsabilità per l'evento critico; apology (apologia), quando l'impresa assume pubblicamente la responsabilità dell'evento dannoso e si giustifica con i suoi pubblici di riferimento. Brennan et al. (2013) sintetizzano le opzioni strategiche di risposta in due macro categorie. Da un lato, le marche accusate di product-harm crisis possono rispondere alle accuse adottando un approccio conciliatorio, quindi possono assumere (pienamente o parzialmente) la responsabilità dell'evento critico, effettuare delle scuse pubbliche agli stakeholder di riferimento e, in alcuni casi, offrire risarcimenti alle parti lese o impegnarsi per eliminare la causa dell'evento dannoso. Dall'altro lato, le imprese possono decidere di ignorare le accuse o deresponsabilizzare sé stesse per l'accaduto, adottando, così, un atteggiamento difensivo. Gli studi sull'effetto delle strategie appena menzionate sui processi di attribuzione di colpa dei consumatori e sui conseguenti outcome valutativi e comportamentali offrono, ad oggi, risultati discordanti. Alcuni autori, sostengono che il commitment dell'impresa a modificare i propri wrongdoing costituisca la strategia più efficace nel ridurre le percezioni e le reazioni comportamentali negative dei consumatori verso la marca (Gold e Weiner, 2000). Secondo questi autori, le marche che adottano delle strategie post crisis di tipo difensivo risulterebbero danneggiate, in termini di atteggiamento e comportamento dei consumatori verso la marca, in maniera maggiore rispetto a quelle che utilizzano un approccio proattivo. Al contrario, Chen et al. (2009) analizzano gli effetti di strategie di risposta diverse (proattive versus passive) sulle performance dell'impresa in caso di product recall. Secondo questi autori, indipendentemente dalla categoria di prodotto e dal tipo di impresa, le strategie proattive nell'ambito di casi di product recall avrebbero un effetto negativo maggiore sul valore dell'impresa rispetto a strategie di tipo passivo, poiché il mercato azionario, nel caso di strategia proattiva, sarebbe maggiormente portato a inferire la colpevolezza dell'impresa. La discordanza dei risultati appena enunciati invita allo sviluppo di ulteriori studi empirici contestualizzati in diversi settori industriali. 4. Conclusioni Nonostante la frequenza e la severità delle conseguenze per i consumatori, per l'ambiente naturale in cui l'impresa opera e per le performance aziendali, le product-harm crisis hanno ricevuto una scarsa attenzione da parte della letteratura di marketing (Klein e Dawar, 2004). Negli anni più recenti, a causa dell'aumento della frequenza di casi di crisi di prodotto, della crescente attenzione sulla sicurezza dei prodotti da parte di consumatori, associazioni e governi nonché a causa dell'ampia eco mediatica generata dalla comunicazione sui social media, le crisi di prodotto di marca, e la loro gestione, sono divenute un argomento dalla cui conoscenza studiosi di marketing, studiosi di comunicazione e marketer non posso prescindere. Questo lavoro ha offerto un contributo nella comprensione delle crisi di prodotto di marca. Nello specifico, esso si è posto l'obiettivo conoscitivo di fornire una sintetica ovierview e sistematizzazione dei principali contributi in tema di product-harm crisis prodotti fino a questi momento nella letteratura di marketing. In primo luogo, esso ha trattato degli aspetti definitori e delle caratteristiche peculiari delle product-harm crisis. In secondo luogo, ha esaminato gli effetti delle crisi di prodotto di marca sui consumatori e sulle imprese. Infine, ha analizzato le diverse strategie di risposta che le imprese possono sviluppare in caso di coinvolgimento in una crisi di prodotto di marca. Molto c'è ancora da indagare, ed è mio auspicio che questo interessante argomento possa costituire tema di discussione in uno dei MUMM Conference Day futuri. Bibliografia Advertising Age (2002), Annual Report, reperibile su: http://adage.com/article/american-demographics/annual-report/44541/. Ahluwalia R., Burnkrant R. e Unnava H. (2000), “Consumer response to negative publicity: the moderating role of commitment”, Journal of Marketing Research, 37, 2: 203-214. Ahluwalia R., Unnava H. e Burnkrant R.E. (2001), “The moderating role of commitment on the spillover effect of marketing communications”, Journal of Marketing Research, 38, 3: 458-470. Aggarwal P. 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