PRODUCT-HARM CRISIS: UNA SISTEMATIZZAZIONE
DEI CONTRIBUTI ACCADEMICI SUGLI EVENTI CRITICI
CHE COLPISCONO I PRODOTTI DI MARCA
di Camilla Barbarossa
Premessa
Gli eventi critici extraordinari che colpiscono i prodotti di marca vengono
definitivi nella letteratura di marketing come product-harm crisis. Gli scandali che
hanno coinvolto la marca Sanlu per la contaminazione del latte con melamina,
Mattel per l'utilizzo di livelli eccessivi di piombo nella produzione di giocattoli,
Toyota per la produzione di automobili difettose, sono tutti esempi di productharm crisis.
Le crisi di prodotto di marca hanno effetti estremamente gravi sulla salute dei
consumatori e, talvolta, anche sull'ambiente naturale in cui l'impresa opera. Inoltre,
l'evidenza empirica dimostra che nessuna impresa è immune dagli effetti di un
evento critico extraordinario come una product-harm crisis. Le crisi minacciano la
reputazione della marca (Davies et al., 2003), riducono le vendite e le quote di
mercato (Van Heerde et al., 2007), distruggono la brand equity (Zhao et al., 2011)
e coinvolgono l'impresa in costose operazioni di product recall (laddove questa
strategia sia attuabile). Alla gravità estrema dell'evento va aggiunto che l’attivismo
di organizzazioni e consumatori nonché la crescente attenzione dei media rendono
le crisi di prodotto un fenomeno frequente e ad eco sempre più ampia.
Tuttavia, nonostante la frequenza e la severità delle conseguenze per
consumatori, ambiente naturale e imprese, gli studi sulle product-harm crisis sono
ancora esigui (Klein e Dawar, 2004) e l'argomento merita di essere ulteriormente
investigato da un punto di vista teorico ed empirico.

Camilla Barbarossa è Ricercatrice a Tempo Determinato in Organizzazione Aziendale presso la
Libera Università Maria Ss. Assunta (LUMSA), Dipartimento di Scienze Umane (Comunicazione,
Formazione e Psicologia), Piazza delle Vaschette, 101 – 00193 Roma; [email protected].
Questo lavoro si pone come breve ovierview e sistematizzazione dei principali
contributi in tema di product-harm crisis prodotti fino a questi momento nella
letteratura di marketing. Nello specifico, in primo luogo, si analizzano gli aspetti
definitori e le caratteristiche peculiari delle product-harm crisis. In secondo luogo,
si esaminano gli effetti delle crisi di prodotto di marca sui consumatori e sulle
imprese. Infine, vengono analizzate le diverse strategie di risposta che le imprese
possono sviluppare in caso di coinvolgimento in un evento negativo extraordinario
come una crisi di prodotto.
1. Le product-harm crisis
Nella letteratura di marketing, gli eventi critici extraordinari che colpiscono i
prodotti di marca vengono definiti come 'crisi di prodotto' (product-harm crisis o
brand crisis). Ma et al. (2010, p. 443) definiscono le product-harm crisis come
“well-known events related to product defects or harm associated with some
brands”, ovvero come eventi ad elevata eco mediatica i quali fanno riferimento a
difetti gravi di prodotti di marca. Analogamente, Dawar e Pillutla (2000, p. 215)
definiscono tali eventi come "discrete, well publicized occurrences wherein
products are found to be defective or dangerous”, ovvero come accadimenti
specifici e ben noti relativi a prodotti di marca ritenuti pericolosi. Più in generale,
Barbarossa et al. (2013) definiscono le product-harm crisis come quelle crisi
d'impresa che si verificano quando un prodotto di marca, i processi produttivi che
generano tali prodotti e/o le risorse umane afferenti alla marca rappresentano un
rischio grave per (o causano un danno grave a) consumatori, lavoratori e ambiente.
In tal senso, le product-harm crisis richiamano le caratteristiche tipiche delle
più generali crisi organizzative (Pearson e Clair, 1998), in quanto esse
costituiscono accadimenti:
 extraordinari, ovvero che non rientrano nelle attività ordinarie dell'impresa (e
quindi richiedono una gestione apposita);
 ambigui, ovvero per i quali è difficoltoso identificarne la causa generatrice;
 ad elevato impatto negativo, ovvero in grado di causare un elevato danno ai
consumatori, ai lavoratori e all'ambiente naturale nonché di minacciare la
sopravvivenza dell'impresa.
L'evidenza empirica offre innumerevoli esempi di product-harm crisis che
hanno coinvolto marche leader operanti in settori industriali diversi. Ad esempio,
nel 2000, le marche Bridgestone e Firestone furono costrette a ritirare dal mercato
statunitense 6,5 milioni di pneumatici a seguito del verificarsi di incidenti stradali
mortali causati da difetti gravi nei pneumatici venduti (Advertising Age, 2002). Nel
2007, la marca Mattel, primo produttore mondiale di giocattoli, annunciò il ritiro
dal mercato di un milione e mezzo di giocattoli a marca Fisher Price poiché i
giocattoli fabbricati in Cina vennero giudicati pericolosi per la presenza di livelli di
piombo eccessivi nella vernice utilizzata per le rifiniture (The New York Times,
2007). Più recentemente, nel gennaio 2012, la marca Costa Crociere è stata
coinvolta in un caso di product-harm crisis a seguito del naufragio della nave da
crociera Costa Concordia nelle acque dell'Isola del Giglio (The Guardian, 2012).
Casi di product-harm crisis si verificano ancora più frequentemente nel settore
alimentare. L'alimentazione, infatti, per il diretto effetto che questa esercita sulla
salute e sul benessere degli individui, è oggetto di particolare attenzione da parte di
governi (ad esempio, tramite crescenti controlli di sicurezza), associazioni e
consumatori1. Nel 1990, ad esempio, la marca francese Perrier fu costretta a ritirare
tutte le bottiglie in vendita nei negozi e nei ristoranti statunitensi a causa della
presenza di tracce di benzene (La Repubblica, 1990). Analogamente, nel 1999,
Coca-Cola ritirò dal mercato belga circa 30 milioni di lattine e bottiglie
contaminate da un fungicida rimasto nelle confezioni come residuo delle
lavorazioni precedenti (The Economist, 1999). Ancora, nel 2008, Sanlu, il
maggiore produttore di latte in Cina, fu coinvolto nello scandalo del latte
contaminato da melamina, artificialmente aggiunta per arricchire il livello proteico
del latte.
Gli scandali relativi a prodotti dannosi o nocivi non riguardano solo singole
marche ma possono anche coinvolgere un'intera industry. Si pensi, a titolo
esemplificativo, allo scandalo "Detox" che ha coinvolto, nel 2012, numerose
marche del settore dell'abbigliamento (ad esempio, Diesel, Nike, Adidas, Zara,
H&M, Kalvin Klein, Mango, Levi's, Benetton), in quanto accusate
dall’organizzazione ambientalista Greenpeace di utilizzare sostanze chimiche
tossiche capaci di procurare gravi danni alla salute umana e all'ambiente naturale
(Barbarossa et al., 2013), o a quanto accaduto nel 2013 quando molte marche
industriali e retailer del settore alimentare (ad esempio, Tesco, Iceland, IKEA,
1
Con riferimento ai consumatori, si registra, oggi, un’accresciuta consapevolezza della qualità dei
prodotti alimentari di cui normalmente si fa uso nonché la crescente diffusione tra di correnti culturali
ispirate da un’attenzione crescente al “biologico”, allo slow living, alla qualità e al rispetto
dell'ambiente. Questi aspetti rendono più reattivo il consumatore di fronte a eventi negativi posti in
essere dall'impresa o da soggetti ad essa collegati (ad esempio, fornitori e distributori).
In Italia, il problema delle frodi alimentari è attuale e percepito come molto rilevante dai
consumatori italiani. Secondo recenti studi CENSIS (2013), il 71% delle famiglie italiane è
preoccupato della scarsa sicurezza dei prodotti alimentari, il 70% dichiara di leggere le etichette, il
40% si informa perché sente spesso parlare di alimenti contraffatti e poco sicuri. Per l'85% sono
molto importanti le garanzie igienico-sanitarie, il 50% presta molta importanza ai marchi
agroalimentari di qualità (Dop, Igp e Stg) e il 24% dichiara di fare la spesa con la consapevolezza di
voler acquistare prodotti più sicuri.
Findus UK, Buitoni e Star) sono state coinvolte nello scandalo europeo della carne
equina2.
2. Gli effetti delle product-harm crisis
Le crisi di prodotto differiscono significativamente da difettosità lievi di
prodotto. Mentre queste ultime possono causare inconvenienti modesti ai
consumatori, le product-harm crisis rappresentano un pericolo grave per (e quindi
possono causare danni ingenti a) la salute dell'uomo e all'ambiente naturale in cui
l'impresa opera (Siomkos e Kurzbard, 1994). Si pensi, ad esempio, alle
conseguenze drammatiche di alcuni degli eventi critici descritti nel paragrafo
precedente. La contaminazione del latte da melamina, in cui l'impresa Sanlu fu
coinvolta nel 2008, comportò il ricovero di 6.244 bambini in Cina per patologie
gravi ai reni; le difettosità nei pneumatici venduti da Bridgestone e Firestone nel
1990 portarono a più di cento incidenti stradali mortali; lo scandalo in cui fu
coinvolta Coca-Cola nel 1999 portò al ricovero in ospedale di più di 90 persone in
una sola settimana; il naufragio della Costa Concordia nel 2012 causò il decesso di
33 individui tra partecipanti alla crociera, membri dell'equipaggio e sommozzatori
impiegati nei lavori di recupero del relitto.
Le product-harm crisis non esercitano effetti negativi esclusivamente sui
consumatori o sull'ambiente naturale. Queste producono effetti estremamente
dannosi anche per l'impresa coinvolta nella crisi. Le crisi minacciano la reputazione
dell'impresa o della marca (Davies et al., 2003), riducono le vendite e le quote di
mercato (Van Heerde et al., 2007) e distruggono la brand equity (Zhao et al.,
2011). Ad esempio, lo scandalo che coinvolse Mattel il 14 agosto 2007 per la
presenza di quantità eccessive di piombo nella verniciatura dei giocattoli e il
conseguente annuncio del ritiro dei giocattoli dal mercato spinse al ribasso il titolo
Mattel che, lo stesso giorno, a Wall Street, perse il 3,48% a 22,75 dollari per azione
(Il Sole 24 Ore, 2007). Ancora, a seguito dello scandalo del latte contaminato da
melamina, l'impresa Sanlu utilizzò tutte le proprie riserve finanziare per ritirare i
2
Lo scandalo della contaminazione della carne bovina con carne equina (anche noto in Europa
come the horsemeat scandal) riguarda alimenti pubblicizzati come contenenti carni bovine e risultati
contenere carne di cavallo in percentuali non correttamente dichiarate (fino al 100% del contenuto di
carne). Lo scandalo, pur non rappresentando di per sé una questione di sicurezza alimentare, ha
rivelato un guasto importante nella tracciabilità della catena di approvvigionamento alimentare di ben
13 Paesi europei e, quindi, il rischio di inclusione di sostanze nocive. Nello specifico, il rischio è
rappresentato dall'inclusione nella catena alimentare di carne di cavalli utilizzati a fini sportivi e, con
loro, di fenilbutazone, un medicinale veterinario severamente vietato in alimenti animali (BBC,
2013).
prodotti dal mercato e risarcire le parti lese. I debiti contratti, tuttavia, furono
talmente elevati che l’azienda fallì un anno dopo.
Se i consumatori ritengono l'impresa responsabile per l'evento critico, questi
sviluppano atteggiamenti e valutazioni negative verso la marca e intraprendono
azioni negative contro di essa: riducono l'intenzione all'acquisto, boicottano la
marca, effettuano passaparola negativi circa la marca stessa (Verbeke, 2001).
Dunque, sulla base di quanto esposto fino a questo momento, è possibile
affermare che gli effetti delle crisi di prodotto di marca sono classificabili in due
macro-categorie:
 gli effetti sui consumatori;
 gli effetti sull'impresa.
A questa categorizzazione corrispondono approcci e filoni di ricerca distinti
all'interno della letteratura di product-harm crisis. I paragrafi che seguono sono
volti ad approfondire questi aspetti.
2.1 Gli effetti sui consumatori
Un effetto fondamentale conseguente agli eventi critici extra-ordinari che
riguardano i prodotti di marca inerisce alle reazioni dei consumatori all'evento
critico. All'analisi di tali effetti è dedicato un florido filone di ricerca che, nella
maggior parte dei casi, utilizza indagini campionarie (survey) o esperimenti per
valutare l'impatto che le crisi di prodotto di marca (reali o fittizie) esercitano sui
giudizi di colpevolezza e responsabilità dell'impresa per l'evento dannoso e
conseguenti outcome di tipo non comportamentale (ad esempio, atteggiamento) e
comportamentale (ad esempio, comportamento d'acquisto e passaparola) dei
consumatori.
2.1.1 Il processo di attribuzione di colpa
Un elemento chiave per comprendere gli effetti delle crisi sulle risposte del
mercato è rappresentato dal processo di attribuzione di colpa (Folkes, 1984; Folkes
et al., 1987). Il processo di attribuzione di colpa costituisce il processo di
valutazione dei consumatori circa la responsabilità e colpevolezza dell'impresa per
l'evento dannoso, il quale, a sua volta, influenza i comportamenti di consumo nei
confronti del prodotto di marca (Weiner, 2000). I consumatori, infatti, costruiscono
spontaneamente attribuzioni di colpa per i prodotti coinvolti nella crisi, le quali
possono essere considerate antecedenti di valutazioni e comportamenti d’acquisto
(Folkes, 1984; Folkes et al., 1987; Klein e Dawar, 2004).
Il modello proposto da Weiner (1986) è ampiamente usato in questi studi e
concettualizza tre dimensioni causali di attribuzione che inducono ad un giudizio
complessivo di responsabilità o colpa:
 il locus del comportamento che genera la crisi;
 la stabilità del comportamento;
 la controllabilità del comportamento.
Il locus del comportamento indica il grado con cui i consumatori attribuiscono
la responsabilità dell'evento critico a una causa interna (l'impresa) piuttosto che ad
una causa esterna (l'evento critico viene attribuito a soggetti terzi operanti
direttamente o indirettamente nella filiera produttiva come, ad esempio, produttori,
fornitori, distributori e governi). La stabilità del comportamento indica il grado con
cui i consumatori percepiscono l'evento critico come un accadimento ricorrente e
stabile nella vita dell'impresa piuttosto che un accadimento extra-ordinario e
temporaneo. Infine, la controllabilità del comportamento indica il grado con cui i
consumatori ritengono che l'impresa fosse in grado di prevedere e controllare il
comportamento o l'evento critico generatore dello scandalo.
Se il locus è interno e il comportamento considerato stabile e controllabile, i
consumatori tendono ad attribuire la responsabilità all’impresa agente. Di
conseguenza, assegnazioni di colpa ed espressioni di rabbia da parte dei
consumatori emergono spesso nei confronti dell’impresa. Al contrario, se il locus è
esterno e il comportamento considerato temporaneo e incontrollabile, l’attribuzione
di responsabilità tenderà a ricadere su fattori esterni diversi dall'impresa.
2.1.2 Le variabili moderatrici del processo di attribuzione di colpa
Precedenti studi hanno dimostrato come, di fronte al medesimo evento critico,
un diverso processo di attribuzione dei consumatori può portare a reazioni (in
termini di outcome non comportamentali e comportamentali) del tutto opposte
(Cavicchi et al., 2010). Alcuni consumatori abbandonano il consumo della marca
coinvolta nella crisi, mentre altri rafforzano l'attaccamento alla marca e pongono in
essere comportamenti difensivi della marca stessa. Queste diversità sono
ascrivibili, oltre che ad una diversa interpretazione dei processi di colpa, di cui si è
detto nel paragrafo precedente, anche a variabili 'moderatrici'. In questo secondo
caso, è possibile affermare che l’impatto delle crisi di prodotto sulle valutazioni dei
consumatori è "regolato" da diverse variabili le quali possono inerire alle
caratteristiche individuali del consumatore, alle caratteristiche dell'impresa nonché
a fattori situazionali.
Considerando le caratteristiche del consumatore, Dawar e Pillutla (2000)
analizzano il ruolo moderatore delle aspettative dei consumatori sulle valutazioni
circa la crisi di prodotto. I consumatori che hanno un’opinione positiva pre-crisi
dell’impresa limitano le loro valutazioni negative dell’impresa durante la crisi. Al
contrario, nessun tipo di limitazione è presente in caso di assenza di opinioni
positive pre-crisi e gli effetti della crisi di prodotto sono decisamente più negativi.
Ahluwalia et al. (2000; 2001), invece, investigano il ruolo moderatore del grado
di committment (impegno) che il consumatore ha nei confronti del prodotto/marca
sugli effetti negativi di una crisi di prodotto. I consumatori con bassi livelli di
committment assegnano maggior peso all’informazione negativa piuttosto che a
quella positiva, perché la percepiscono come maggiormente “diagnostica”. I
consumatori con alto livello di committment, invece, non presentano questo bias
negativo.
Un effetto simile a quello appena descritto è analizzato anche da Dawar e Lei
(2009), i quali indagano la familiarità del consumatore con il prodotto/marca. Le
valutazioni fatte dai consumatori che presentano alti livelli di familiarità sono
influenzate solo da crisi di prodotto particolarmente rilevanti e negative, e non
anche da quelle più leggere.
Ancora Silvera et al. (2010) esaminano il ruolo dell’età nella valutazione delle
potenziali minacce relative alle crisi dei prodotto di marca e rilevano che le
percezioni di minaccia in relazione alle crisi di prodotto si riducono con l’età.
Infine, Vassilikopoulou et al. (2011) analizzano il ruolo svolto dalle convinzioni
etiche dei consumatori sulla valutazione delle crisi dei prodotti di marca
esaminando le interdipendenze che esistono tra convinzioni etiche, attribuzioni di
colpa, rabbia e intenzione d’acquisto dei prodotti realizzati dall’impresa coinvolta
dalla crisi. I consumatori con convinzioni etiche più forti attribuiscono maggiori
livelli di responsabilità e colpa all’impresa coinvolta nella crisi, esprimono
maggiori livelli di rabbia e minore propensione all’acquisto dei prodotti coinvolti
nell'evento critico.
Con riferimento ai fattori relativi alla marca, Grunwald e Hempelmann (2010)
mostrano che la reputazione del prodotto/marca è capace di influenzare
positivamente le percezioni di responsabilità dell’impresa e quindi proteggere
l’impresa da attribuzioni di colpa. Similmente, Lin et al. (2011) analizzano il ruolo
dell’abilità dell’impresa e delle sue attività di responsabilità sociale per valutare
l’impatto delle crisi di prodotto sulle valutazioni e intenzioni d'acquisto dei
consumatori.
Infine, con riferimento ai fattori situazionali, Dawar e Lei (2009) analizzano il
ruolo della “gravità” della crisi come moderatore della valutazione del
prodotto/marca, in interazione con la familiarità sopra descritta. Similmente, Lei et
al. (2012) analizzano l'effetto moderatore della frequenza della crisi nel settore
interessato dalla crisi.
2.2 Gli effetti sull'impresa
Il secondo filone di ricerca concerne gli effetti delle crisi di prodotto sulle
performance dell'impresa. Le conseguenze dell'evento critico per l'impresa sono
molteplici. Queste, generalmente, consistono in perdite significative dei volumi di
vendita, nella riduzione della quota di mercato e della brand equity, nella
diminuzione dell'efficacia degli investimenti di marketing e nell'aumento della
sensibilità dei consumatori alle attività di marketing poste in essere dalle imprese
concorrenti.
Chu et al. (2005), ad esempio, indagano l'effetto negativo della crisi di prodotto
sulle quotazioni di borsa. Analogamente, Van Heerde et al. (2007) analizzano le
conseguenze negative della crisi in termini di riduzione delle vendite della marca.
Gli autori dimostrano che l'efficacia degli investimenti pubblicitari si riduce dopo
l'evento critico, mentre l'ammontare di investimenti richiesto, al fine di mantenere
una costante efficacia mediatica, diviene significativamente più elevato poiché la
marca colpita dallo scandalo è più vulnerabile nella mente dei consumatori anche
con riferimento ai concorrenti.
3. Le strategie di risposta delle imprese
Nei paragrafi precedenti si è discusso circa gli effetti delle crisi di prodotto di
marca sui consumatori e sulle performance aziendali. Si è visto, nello specifico,
come i consumatori costruiscano giudizi complessivi di responsabilità e
colpevolezza nei confronti della marca attraverso processi di attribuzione di colpa.
Si è detto, inoltre, che tali processi sono ulteriormente regolati da variabili
moderatrici che inseriscono alle caratteristiche individuali dei consumatori e alle
caratteristiche delle imprese.
La letteratura di product-harm crisis suggerisce che, oltre alle caratteristiche
degli individui e delle imprese, le attribuzioni di responsabilità vengono anche
regolati dalle condotte delle imprese nel momento in cui queste si trovino coinvolte
in una crisi di prodotto di marca. In altri termini, le scelte strategiche delle
imprese, intese come risposta alle accuse di product-harm crisis, sono in grado di
influenzare i giudizi di responsabilità e colpevolezza dei consumatori verso la
marca coinvolta nella crisi.
A questo aspetto è dedito un florido filone di ricerca che indaga le strategie e le
tattiche manageriali che supportano le imprese nel superare una crisi di prodotto di
marca (Mitroff, 2004). Nello specifico, questi studi si concentrano
sull'identificazione, classificazione e analisi delle possibili strategie di risposta
poste in essere dalle imprese alle accuse di product-harm crisis. Griffin (1991), ad
esempio, classifica le strategie di risposta in:
 denial (smentita), quando l'impresa smentisce le accuse di responsabilità per
l'evento critico;
 reticence (riserbo), quando l'impresa non conferma né smentisce la propria
responsabilità per l'evento critico;
 apology (apologia), quando l'impresa assume pubblicamente la responsabilità
dell'evento dannoso e si giustifica con i suoi pubblici di riferimento.
Brennan et al. (2013) sintetizzano le opzioni strategiche di risposta in due
macro categorie. Da un lato, le marche accusate di product-harm crisis possono
rispondere alle accuse adottando un approccio conciliatorio, quindi possono
assumere (pienamente o parzialmente) la responsabilità dell'evento critico,
effettuare delle scuse pubbliche agli stakeholder di riferimento e, in alcuni casi,
offrire risarcimenti alle parti lese o impegnarsi per eliminare la causa dell'evento
dannoso. Dall'altro lato, le imprese possono decidere di ignorare le accuse o
deresponsabilizzare sé stesse per l'accaduto, adottando, così, un atteggiamento
difensivo.
Gli studi sull'effetto delle strategie appena menzionate sui processi di
attribuzione di colpa dei consumatori e sui conseguenti outcome valutativi e
comportamentali offrono, ad oggi, risultati discordanti. Alcuni autori, sostengono
che il commitment dell'impresa a modificare i propri wrongdoing costituisca la
strategia più efficace nel ridurre le percezioni e le reazioni comportamentali
negative dei consumatori verso la marca (Gold e Weiner, 2000). Secondo questi
autori, le marche che adottano delle strategie post crisis di tipo difensivo
risulterebbero danneggiate, in termini di atteggiamento e comportamento dei
consumatori verso la marca, in maniera maggiore rispetto a quelle che utilizzano
un approccio proattivo.
Al contrario, Chen et al. (2009) analizzano gli effetti di strategie di risposta
diverse (proattive versus passive) sulle performance dell'impresa in caso di product
recall. Secondo questi autori, indipendentemente dalla categoria di prodotto e dal
tipo di impresa, le strategie proattive nell'ambito di casi di product recall avrebbero
un effetto negativo maggiore sul valore dell'impresa rispetto a strategie di tipo
passivo, poiché il mercato azionario, nel caso di strategia proattiva, sarebbe
maggiormente portato a inferire la colpevolezza dell'impresa.
La discordanza dei risultati appena enunciati invita allo sviluppo di ulteriori
studi empirici contestualizzati in diversi settori industriali.
4. Conclusioni
Nonostante la frequenza e la severità delle conseguenze per i consumatori, per
l'ambiente naturale in cui l'impresa opera e per le performance aziendali, le
product-harm crisis hanno ricevuto una scarsa attenzione da parte della letteratura
di marketing (Klein e Dawar, 2004). Negli anni più recenti, a causa dell'aumento
della frequenza di casi di crisi di prodotto, della crescente attenzione sulla
sicurezza dei prodotti da parte di consumatori, associazioni e governi nonché a
causa dell'ampia eco mediatica generata dalla comunicazione sui social media, le
crisi di prodotto di marca, e la loro gestione, sono divenute un argomento dalla cui
conoscenza studiosi di marketing, studiosi di comunicazione e marketer non posso
prescindere.
Questo lavoro ha offerto un contributo nella comprensione delle crisi di
prodotto di marca. Nello specifico, esso si è posto l'obiettivo conoscitivo di fornire
una sintetica ovierview e sistematizzazione dei principali contributi in tema di
product-harm crisis prodotti fino a questi momento nella letteratura di marketing.
In primo luogo, esso ha trattato degli aspetti definitori e delle caratteristiche
peculiari delle product-harm crisis. In secondo luogo, ha esaminato gli effetti delle
crisi di prodotto di marca sui consumatori e sulle imprese. Infine, ha analizzato le
diverse strategie di risposta che le imprese possono sviluppare in caso di
coinvolgimento in una crisi di prodotto di marca.
Molto c'è ancora da indagare, ed è mio auspicio che questo interessante
argomento possa costituire tema di discussione in uno dei MUMM Conference Day
futuri.
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