Test genetici solo nelle mani degli ESPERTI

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GENETICA E CANCRO
Test genetici solo
nelle mani degli ESPERTI
di Daniela Ovadia
Corbis
Proliferano le aziende che invitano a fare
esami genetici per valutare il rischio
individuale di ammalarsi. Ma le risposte
che si ottengono aprono solo nuove
domande
L’ARTICOLO IN BREVE
ome una sorta di palla anche Internet è diventata
di cristallo, i test geneti- una facile via di accesso a
ci promettono di rivela- controlli che dovrebbero inre alle persone tutti i segreti vece essere affidati a struttunascosti nel DNA e di quan- re accreditate e sicure.
Dietro queste iniziative
tificare il loro rischio di amapparentemente
malarsi. Si tratta
innocue
(in
di strumenti
Sono pochi
fondo
che
rifrutto delle più
i tumori
schio si corre a
avanzate ricerindotti
mandare in lache sulle cause
delle malattie da un gene solo boratorio un
semplice tampo(in primo luogo
del cancro, delle malattie ne di saliva o un campione
neurodegenerative e cardio- di sangue?) si nascondono
vascolari) e come tali costi- infatti pericolosi fraintendituiscono l’ausilio diagnosti- menti. Perché se è vero che
co del futuro ma, a detta la medicina ha identificato
degli esperti, si sono diffusi alcuni geni che aumentano
in modo eccessivo e incon- la predisposizione ad ammatrollato. Ora arrivano anche larsi di determinate malattie,
in Italia le aziende che pro- è anche vero che cercarli è
mettono una sorta di paten- utile solo in casi selezionati,
tino di eterna giovinezza come spiega Marco Pierotti,
grazie all’analisi dei geni. E direttore scientifico dell’Isti-
C
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La diffusione dei test genetici senza un accurato controllo
da parte di esperti genetisti è un potenziale pericolo per
l’individuo, perché fornisce informazioni di difficile
interpretazione. Questo è particolarmente vero nel caso del
cancro. Sono pochi i tumori in cui un solo gene identifica
con sicurezza il rischio di ammalarsi. Nella maggior parte
dei casi l’analisi coinvolge diversi tratti del DNA e la sua
interpretazione statistica richiede l’ausilio di un esperto.
La consulenza genetica è sempre necessaria prima di
sottoporsi agli esami per valutare se davvero vi sono le
indicazioni.
I bioeticisti si stanno inoltre interrogando su alcuni
importanti aspetti legati a queste tecniche, come la
conoscenza di alterazioni che possono aver colpito anche i
familiari, il diritto alla privacy e la possibilità di intervenire
per bloccare o limitare la diffusione della malattia di cui si
cerca la causa.
tuto nazionale tumori di
Milano: “È opportuno procedere solo se dopo un’accurata valutazione da parte di
un genetista esperto vi sono
indicazioni al test genetico”.
UN NOME
DIVERSI OBIETTIVI
Sotto il grande cappello dei
‘test genetici’ si nascondono in
realtà esami con finalità diverse.
Ve ne sono alcuni che cercano
banche
Tutelare la privacy
QUESTIONI DI ETICA
I candidati ai test di suscettibilità provengono da famiglie
in cui la patologia è comparsa
con frequenza superiore alla
media e in età molto precoce.
"Poiché non conosciamo
tutte le possibili alterazioni genetiche in alcune malattie (tra
le quali diverse forme di cancro) non avrebbe senso fare
screening su persone senza sintomi o senza casi in famiglia”
ribadisce Pierotti.
In questi casi, un risultato
negativo significa solo che il rischio di quell’individuo è analogo a quello della media della
popolazione, mentre un risultato positivo indica un rischio aumentato, anche se non sempre
è facile quantificarlo. “Le cifre
che vengono date dai consulenti genetici (più 20, più 30 per
cento) sono frutto delle nostre
conoscenze epidemiologiche,
ma sono anche, ovviamente,
solo indicative per definizione”
conclude Pierotti.
I dubbi degli esperti sulla
diffusione indiscriminata dei
test genetici non riguardano
solo gli aspetti più strettamente pratici e scientifici, ma
anche quelli etici, come spiega
I risultati di un’analisi del DNA possono essere particolarmente
delicati e quindi è ovvio che i pazienti desiderino garantirsi la
massima privacy. Ma è davvero così?
Nei centri più seri vi sono particolari protocolli per la conservazione
delle cartelle cliniche contenenti dati sensibili come quelli genetici,
compresi sistemi di criptaggio. Non si può dire altrettanto per le
informazioni che viaggiano sul web: negli Stati Uniti si sono
verificati casi di datori di lavoro o di assicurazioni che hanno
consultato la mappa genetica di una persona senza chiedere
l’autorizzazione. Le ragioni sono evidenti: perché assicurare o
assumere qualcuno che ha un rischio elevato di ammalarsi? La
legge italiana, in questo senso, è ancora lacunosa, come conferma
Giovanni Boniolo: “Nessuno discute, per esempio, delle banche dati
legali contenenti il DNA degli individui che si sono trovati sulla
scena di un delitto, magari casualmente, e che nemmeno sanno
che il loro materiale biologico è stato schedato”.
Per non parlare dei cosiddetti ‘furti di DNA’ ovvero della possibilità,
piuttosto semplice, di far analizzare il DNA altrui a sua insaputa. I
casi di cronaca più eclatanti riguardano, per esempio, fidanzati che
fanno analizzare i geni delle future mogli per verificare il loro rischio
di ammalarsi o di padri che, dubitando di essere i genitori biologici
dei propri figli, fanno eseguire test di paternità senza il consenso
della moglie.
Corbis
precedenza si tratta di geni che
sono in grado, da soli, di determinare la malattia, in altri l’analisi genetica mostra solo un
generica suscettibilità ad ammalarsi.
“È quanto accade con le
malattie cosiddette multifattoriali, in cui non solo vi sono più
geni coinvolti, ma è necessario,
perché la malattia compaia, che
vi sia anche una particolare interazione tra loro e con l’ambiente” spiega l’esperto.
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nel DNA del soggetto la presenza di alcuni geni che sono
indice di malattia già in corso.
Un esempio è quello del gene
della fibrosi cistica, che viene ricercato nei bambini appena
nati con familiarità e che presentano alcuni sintomi sospetti.
Altri geni, come alcuni di
quelli che provocano il cancro
del colon familiare (gene della
poliposi adenomatosa familiare), non indicano la malattia
ma una probabilità di ammalarsi che, con l’avanzare dell’età,
arriva quasi al 90 per cento.
Non una certezza, quindi, ma
quasi. Sapere di essere portatori
di queste mutazioni nel DNA è
però importante perché le misure di prevenzione (ricorso frequente alla colonscopia e asportazione dei polipi e di altre lesioni precancerose) sono efficaci nella maggioranza dei casi.
Se invece si vanno a cercare
geni che indicano un rischio di
ammalarsi di tumore più basso
(come per esempio i geni
BRCA1 e BRCA2 del cancro
del seno o dell’ovaio – che indicano un rischio compreso tra il
50 e l’80 per cento – o il gene
Ret del carcinoma della tiroide), saperlo è molto utile perché dà l’indicazione di aumentare la frequenza dei controlli,
cominciare in giovane età,
adottare stili di vita sani ma
solo l’asportazione preventiva
dell’organo (mammelle, ovaie o
tiroide) potrebbe, spesso a caro
prezzo, fornire una ragionevole
sicurezza di evitare il cancro.
“Quando le percentuali
sono ancora più basse o il gene
esaminato è coinvolto in diversi
tipi di tumori, l’utilità è ancora
minore” spiega Pierotti.
Mentre nei casi descritti in
Giovanni Boniolo, docente di
filosofia della scienza all’Università di Padova e direttore
del dottorato di ricerca in
Scienze della vita ed etica presso la Scuola europea di medicina molecolare di IFOM: “Gli
esami genetici non sono assimilabili agli altri tipi di test
diagnostici perché oltre a fornire informazioni sul soggetto
che vi si sottopone, ne danno
dati...
anche su familiari e parenti”.
Se una donna scopre, per
esempio, di essere portatrice
del gene BRCA per il cancro
del seno, deve avvertire le sorelle? E se queste preferiscono
non sapere? “Esiste un diritto a
conoscere ma anche un diritto
a non conoscere” continua Boniolo. “È difficile, però, che la
notizia di un test positivo sfugga ai consaguinei più stretti,
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Molti test, poche consulenze
Secondo un censimento effettuato dalla Società italiana di genetica umana (SIGU), in tre
anni, dal 2004 al 2007, i test genetici effettuati in Italia sono aumentati del 30 per cento. E
si parla solo di esami effettuati in laboratori registrati (circa 500 in tutta Italia), escludendo,
quindi, chi ha fatto ricorso al fai da te tramite Internet o i centri di medicina rigenerativa
che non sono censiti nell’ambito dei laboratori di citogenetica e immunogenetica.
A fronte di oltre 560 mila test, le consulenze genetiche sono state appena 70.154: un dato
preoccupante, perché significa che i pazienti non sono stati adeguatamente accompagnati
nella decisione di fare il test e nella fase di comprensione del risultato.
Anche le strutture che dichiarano di avere le apparecchiature per fare i test genetici sono
in constante e ingiustificata crescita: in Italia sono circa tre volte più numerose che nella
ben più grande Francia. Per evitare che gli italiani siano facile preda di una moda dilagante
ma poco utile, la SIGU, d’accordo con il ministero del Welfare, avvierà una campagna
informativa su questo tipo di esami.
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che si trovano quindi a fronteggiare una situazione per la
quale non sono preparati.
Anche perché non vi è nessuna
certezza: vi sono coppie di gemelle, ambedue positive per il
gene BRCA in cui il cancro si
è manifestato in una sorella
ma non nell’altra”.
COSA VUOL DIRE RISCHIO
Inoltre vi è un problema di
interpretazione del referto, specie se non è un genetista a presentarlo al paziente.
“Non tutti hanno dimestichezza con la statistica, e invece
qualche nozione è fondamentale per comprendere la reale
portata delle informazioni che
si ricevono. Per esempio, avere
un rischio aumentato del 30
per cento di sviluppare un tumore ha un significato diverso
se la malattia è molto frequente
o se, invece, è relativamente
rara. Il 30 per cento in più di
un numero piccolo significa
una aumento limitato in termini assoluti, ma consistente se la
malattia è molto diffusa” spiega
Boniolo.
La bioetica deve tenere
conto anche degli aspetti psicologici: “Ha senso fare uno studio genetico se possiamo proporre al paziente qualcosa per
limitare il danno, altrimenti è
una questione da valutare con
attenzione” continua Boniolo.
“Un esempio tipico è quello
delle demenze come l’Alzheimer: al momento non c’è
modo di fermare l’evoluzione
della malattia, né di prevenirla.
Fare un test genetico, quindi, è
etico solo se la persona ha particolari esigenze, per esempio
quella di mettere ordine nei
propri affari o nella propria vita
privata in previsione di una
malattia che, però, può anche
non manifestarsi”.
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