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Il
MeccanIcIsMo
LA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA
I mutamenti verificatisi nel campo delle scienze sin dalla pubblicazione, nel 1543, del De revolutionibus orbium coelestium di Copernico, influiscono in modo determinante sull’immagine del
mondo e sul pensiero dell’età moderna.
La rivoluzione scientifica sconvolge la visione tradizionale del mondo, espressa dalla scienza
delle età precedenti, e mette in discussione un intero sistema di cultura e di valori. Filosofi e
scienziati si interrogano, infatti, sulla stessa collocazione dell’uomo nell’universo e sul suo destino, dando luogo a tensioni fortissime sul piano etico-religioso, che in alcuni casi coinvolgono oltre che la loro opera, la loro stessa esistenza.
Con lo sviluppo scientifico, si diffonde anche un’idea nuova di progresso umano, cioè la convinzione che la scienza – con le sue applicazioni in campo tecnico – sia uno strumento indispensabile per realizzare un efficace controllo dell’uomo sulla natura e, perciò, un mezzo essenziale
di emancipazione e liberazione umana.
Attraverso i rivolgimenti che si succedono nell’arco di poco più di un secolo nei vari campi di
indagine (astronomia, fisica,
matematica, chimica, biologia, ecc.) la stessa idea di
scienza della natura viene ad
assumere una fisionomia nuova, con connotati a noi più familiari, rispetto a quelli delle
scienze antica, medievale e rinascimentale.
La scienza si afferma come
un sapere basato su un impianto teorico sofisticato, che
ambisce ad abbracciare una
grande varietà di fenomeni
dell’universo naturale e umano
mediante ipotesi unificanti; le
modalità della conoscenza,
Meccanicismo
Niccolò
Copernico.
Il meccanicismo è la concezione che riduce la realtà a due soli fattori: la materia (cioè i corpi) e il
movimento (comprese le leggi che lo regolano).
Nell’età moderna si descrive l’universo come una
“macchina” costituita da corpi che sono soggetti a
un movimento incessante, a una continua interazione, regolata dalla causalità necessaria, cioè da
una rigida concatenazione di cause e di effetti,
matematicamente determinabile. Alla base dell’affermazione del meccanicismo vi è lo straordinario
sviluppo della scienza meccanica, branca della fisica, e, in particolare, della dinamica, che studia il
movimento dei corpi e le sue leggi.
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IL MECCANICISMO Percorso TemaTico
1
Finalismo
Il finalismo è una concezione che considera
l’ordine generale della natura come orientato
ad un fine e i suoi processi come azioni miranti al conseguimento di quel fine. Pertanto,
mentre la spiegazione causale spiega un
evento in base a ciò che lo precede e lo determina, la spiegazione finalistica considera
invece ciò che segue l’evento stesso, o meglio, la direzione, lo scopo in funzione del
quale quell’evento si attua. Questo secondo
tipo di spiegazione è parso efficace soprattutto in biologia, dove ogni organismo costituisce una totalità vivente nella quale ogni parte
(o “organo”) opera in funzione della totalità
stessa e cioè della vita.
Una
malgrado la diversità degli approcci dei vari scienziati e filosofi,
tendono ad assumere un carattere, allo stesso tempo, ipoteticodeduttivo (anche grazie all’impiego di strumenti matematici) e sperimentale.
L’animismo e il finalismo, che avevano caratterizzato l’idea di
natura nel pensiero rinascimentale, sono abbandonati.
L’avvento del meccanicismo, cioè dell’idea che la natura sia come una macchina il cui funzionamento si basa su pochi, fondamentali princìpi, si connette, nel XVII e XVIII secolo, alla concezione di un ordine matematico-geometrico della natura e allo sviluppo delle arti meccaniche, non più ritenute “indegne” – in quanto
servili – dagli uomini di cultura.
La riflessione sulle macchine e la nascita della visione meccanicistica del mondo sono strettamente congiunte e tali da influenzarsi reciprocamente.
nUova consIderazIone delle artI MeccanIche
Alla discussione sulle arti meccaniche, che raggiunse una intensità singolare fra il 1400 e
il 1700, appaiono legati alcuni grandi temi della cultura europea. Nelle opere degli artisti e
degli sperimentatori del Quattrocento, nei libri di macchine e nei trattati degli ingegneri e dei
tecnici del secolo XVI si fa strada una nuova considerazione del lavoro, della funzione del
sapere tecnico, del significato che hanno i processi artificiali di alterazione e trasformazione
della natura. Anche sul piano della filosofia, in ambienti assai attenti a questo tipo di problemi, emerge una valutazione delle arti ben diversa da quella tradizionale: alcuni dei procedimenti dei quali fanno uso i tecnici e gli artigiani per modificare e alterare la natura giovano
alla conoscenza effettiva della realtà naturale, valgono anzi a mostrare – come fu detto in
esplicita polemica con le filosofie tradizionali – la natura in movimento.
La difesa delle arti meccaniche dalla accusa di indegnità, il rifiuto di far coincidere la cultura con l’orizzonte delle arti liberali e le operazioni pratiche con il lavoro servile, implicavano in realtà l’abbandono della concezione della scienza come disinteressata contemplazione della verità, come ricerca che nasce solo dopo che si sono apprestate le cose necessarie alla vita. […]
Certo è, comunque, che l’idea del sapere come costruzione, l’assunzione del modello
macchina per la spiegazione e comprensione dell’universo fisico, l’immagine di Dio come
orologiaio, la tesi che l’uomo può davvero conoscere ciò che fa o costruisce e soltanto ciò
che fa o costruisce, sono tutte affermazioni strettamente connesse alla penetrazione – nel
mondo dei filosofi e degli scienziati – di quel nuovo modo di considerare la pratica e le operazioni al quale sopra si è fatto cenno.
da P. Rossi, I filosofi e le macchine, Feltrinelli, Milano 1962
L’ETÀ
DEL MECCANICISMO
L
a scienza meccanica
Se i Greci – in particolare con Archimede – avevano fissato i princìpi della statica, sono gli
scienziati del Seicento ad avere fondato la dinamica modernamente intesa.
Galileo Galilei ne ha certamente posto le basi, pur senza formularne in termini generali i princìpi. Egli ha utilizzato il principio di inerzia (cioè il primo principio della dinamica), affermando la
costanza della velocità iniziale dei corpi mobili quando non intervengano forze che la modifichi-
2
Percorso TemaTico IL MECCANICISMO
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no. Studiando il moto di caduta dei gravi ha inoltre scoperto che forze applicate ai corpi imprimono loro una variazione di velocità, cioè un’accelerazione (è il principio di accelerazione, il secondo principio della dinamica) che è direttamente proporzionale alle forze applicate.
Isaac Newton, mezzo secolo dopo, fissa stabilmente i tre princìpi della dinamica (inerzia, accelerazione, azione e reazione) e realizza una completa matematizzazione di questa parte della
fisica meccanica.
La meccanica razionale, elaborata dallo scienziato su basi matematiche, diviene una scienza
esatta del movimento riguardante ogni tipo di moto. E poiché i princìpi fondamentali del moto regolano i processi della natura in ogni sua parte – nel cosmo come sulla Terra – la meccanica
newtoniana intende fornire una spiegazione compiuta del mondo, destinata a resistere fino ai primi del Novecento, cioè fino alla teoria della relatività di Einstein.
Il modello meccanicistico si impone così nell’età moderna come la principale forma di comprensione razionale della realtà. In particolare, Isaac Newton e Robert Boyle precisano questo
modello formulando la teoria corpuscolare, secondo la quale la materia è costituita da corpuscoli, particelle in movimento inerziale che si trasmettono incessantemente il loro moto.
robert boyle
la
fIlosofIa corpUscolare o MeccanIca
Quando parlo della filosofia corpuscolare o meccanica sono lontano dall’intendere con gli
Epicurei che gli atomi, incontrandosi insieme per caso in un vuoto infinito, sono capaci da
se stessi di produrre il mondo e i suoi fenomeni. E neppure concordo con alcuni filosofi moderni secondo i quali, supposto che Dio abbia introdotto nella massa totale della materia una
determinata quantità invariabile di moto, non sarebbe stato più necessario che Egli facesse il
mondo, le varie parti della materia essendo capaci, in virtù dei loro propri movimenti autonomi, di organizzarsi da sole in un tale “sistema” (come lo chiamano). Parlo invece in favore di una filosofia che riguardi le cose puramente corporee e che, distinguendo tra la prima
origine delle cose e il successivo corso della natura, insegna, per ciò che
concerne la prima origine, non solo che Dio conferì il moto alla materia,
ma che all’inizio Egli guidò in modo tale i vari movimenti delle parti di essa da inserirle organicamente nel progetto del mondo che avrebbero dovuto formare (fornito dei princìpi seminali e delle strutture o modelli delle
creature viventi) e da stabilire quelle regole del movimento e quell’ordine
tra le cose corporee, che siamo soliti chiamare leggi della natura.
E avendo detto questo riguardo al primo punto [la prima origine delle cose], si può asserire circa il secondo [il successivo corso della natura] che
essa insegna quanto segue: una volta che l’universo è stato strutturato da
Dio e sono state determinate le leggi del movimento, sorrette tutte dal suo
incessante aiuto e dalla generale provvidenza, i fenomeni del mondo così
costituiti sono fisicamente prodotti dalle affezioni meccaniche delle parti
della materia e dalle loro reciproche operazioni secondo le leggi della
meccanica.
About the Excellency and Grounds of the Mechanical Hypothesis
Mentre Newton estende il “paradigma corpuscolare” al fenomeno della luce, opponendosi alla teoria “ondulatoria” formulata del fisico olandese Christiaan Huygens, Boyle lo applica invece
alla chimica, dando un colpo definitivo all’alchimia, alla teoria antica dei “quattro elementi” (terra, acqua, aria e fuoco) e a quella rinascimentale delle “essenze” (mercurio, sale e zolfo), contribuendo in modo determinante alla fondazione della chimica moderna. Secondo Boyle, elemento deve essere considerata la particella che gli scienziati – in una data epoca e con gli strumenti di cui dispongono – non riescono a scomporre in elementi più semplici. Si può quindi parlare
di elemento solo in senso relativo (relativo, cioè, ad un’epoca) e mai in assoluto.
Grazie ai successi della meccanica razionale e della teoria corpuscolare il modello meccanicistico si impone presso gli scienziati e i filosofi: il mondo e i singoli corpi vengono descritti come “macchine”, che funzionano e operano per l’interazione infinita delle particelle da cui sono costituiti.
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IL MECCANICISMO Percorso TemaTico
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L’
idea metafisica della realtà come res extensa
Alla base del meccanicismo moderno vi è l’idea che la natura possieda una struttura quantitativa. Si tratta di una concezione della realtà fisico-naturale che trova la sua prima coerente
espressione nel concetto cartesiano di res extensa (sostanza estesa).
Per Cartesio, la proprietà essenziale che può essere colta con evidenza in tutti i corpi è l’estensione, ossia la proprietà di occupare uno spazio. Per sua natura si tratta di una proprietà quantitativa, misurabile e quindi matematicamente determinabile.
La distinzione metafisica tra res extensa e res cogitans, introdotta da Cartesio, consente al filosofo di ridurre tutti i fenomeni fisici e naturali, compresi quelli biologici, al movimento di parti
estese caratterizzate da diversa figura e grandezza: il modello meccanicistico trova in quella distinzione il proprio fondamento ontologico.
Tutti i corpi, viventi e no, sono macchine, costituite da parti estese in movimento.
cartesIo
la “MacchIna”
della natUra
L’esempio di molti corpi composti dall’artificio degli uomini mi ha molto servito, poiché
non riconosco alcuna differenza tra le macchine che fanno gli artigiani e i diversi corpi che
la natura sola compone, se non che gli effetti delle macchine dipendono soltanto dall’azione di certi tubi o molle o altri strumenti che, dovendo avere qualche proporzione con le mani di coloro che li fanno, sono sempre così grandi che le loro figure e movimenti si possono
vedere, mentre i tubi o molle che causano gli effetti dei corpi naturali sono ordinariamente
troppo piccoli per essere percepiti dai nostri sensi. Ed è certo che tutte le regole delle meccaniche appartengono alla fisica, di modo che tutte le cose artificiali sono con questo naturali. Poiché, per esempio, quando un orologio segna le ore per mezzo delle ruote di cui è
fatto, questo non gli è meno naturale che a un albero produrre i suoi frutti. Ecco perché, nello stesso modo in cui un orologiaio, vedendo un orologio che egli non ha fatto, può ordinariamente giudicare, da alcune delle sue parti che egli vede, quali sono tutte le altre che non
vede, così, considerando gli effetti e le parti sensibili dei corpi naturali, ho cercato di conoscere quali debbono essere quelle delle loro parti che non sono sensibili.
I Principi della filosofia, II, 4
In tal modo la natura è rappresentata in termini rigorosamente deterministici, poiché i suoi processi sono ricondotti a sequenze causali determinate dalle leggi del movimento.
Con Thomas Hobbes il modello meccanicistico viene esteso anche alla dimensione psichica,
nonché alla morale e alla politica. In tal modo il dualismo cartesiano di res extensa e res cogitans lascia il posto ad un materialismo che per il filosofo inglese non ha un carattere metafisico,
ma metodologico: esso non costituisce una descrizione della realtà “in se stessa”, nella sua essenza, ma un’ipotesi razionale necessaria per poter elaborare una scienza dell’uomo. In questa
prospettiva, ad esempio, lo Stato viene pensato come un corpo artificiale, una sorta di “animale
artificiale creato per mezzo dell’arte”.
Con Baruch Spinoza il meccanicismo assume invece un significato metafisico (descrivendo
la realtà così come essa è in se stessa) e un carattere del tutto originale. La “macchina” cosmica si identifica con Dio stesso, inteso come Natura Naturans, cioè causa e infinita produzione di
sé e del mondo. Il mondo, o Natura Naturata, procede secondo i princìpi di un assoluto determinismo causale e si configura come ordine matematico-geometrico, come universale e necessaria connessione di tutte le cose, che la mente umana può rappresentarsi dimostrativamente in
base al modello euclideo (per definizioni, spiegazioni, assiomi, lemmi, ecc.) e, in ultima istanza,
intuitivamente, attingendo alla Natura Naturans, collocandosi quindi dal punto di vista della sostanza divina e della infinita e necessaria concatenazione causale degli esseri, o “modi” della sostanza. La natura è, nel suo insieme, un unico e infinito individuo. Una vera e propria macchina
cosmica, che, nella sua infinita estensione, riproduce il modello dei singoli individui, anch’essi
descritti come veri e propri automi, cioè macchine regolate da processi meccanici. Ogni corpo
è determinato da altri corpi ed è composto, a sua volta, da un numero più o meno grande di corpi, che interagiscono causalmente fra loro.
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Percorso TemaTico IL MECCANICISMO
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Il determinismo meccanicistico troverà la sua più radicale affermazione in ambito scientifico
con il matematico e astronomo francese Pierre-Simon de Laplace (1749-1827), che concepisce
l’universo come un tutto unico le cui parti sono legate fra loro da nessi causali necessari. Nel Saggio filosofico sulla probabilità egli sostiene che “tutti gli avvenimenti, anche quelli che per la loro
piccolezza sembrano non ubbidire alle grandi leggi della natura, ne sono una conseguenza necessaria come lo sono le rivoluzioni del Sole”. E aggiunge che “gli avvenimenti attuali hanno con
i precedenti un legame fondato sul principio che nulla può incominciare ad essere senza una
causa che lo produca. [...] Dobbiamo dunque considerare lo stato presente dell’universo come
l’effetto del suo stato anteriore e come la causa del suo stato futuro”.
I
l mondo delle “qualità primarie”
L’affermazione della concezione quantitativa della natura e del meccanicismo determina il superamento dell’Aristotelismo (la fisica delle “essenze”, di tipo “qualitativo”) e del naturalismo rinascimentale (la visione vitalistica e finalistica della natura). Oggetto della conoscenza non è più
l’“essenza” nascosta delle cose, ma l’insieme delle loro proprietà quantitative.
La natura viene concepita come un sistema di relazioni matematiche e spaziali – cioè di relazioni funzionali tra i fenomeni – e come un ordine causale, oggettivo e necessario, misurabile e
determinabile mediante calcolo, funzionante con la regolarità di una “macchina”: essa è composta di elementi omogenei, fra loro interagenti, e i suoi processi si svolgono in base a un ordine
causale necessario.
La tesi della struttura quantitativa della natura trova la propria espressione filosofica nella distinzione tra le “qualità primarie”, oggettive, di tipo quantitativo e pertanto determinabili matematicamente, e le qualità “secondarie”, non appartenenti ai corpi ma prodotte dall’azione di questi
sul soggetto che li percepisce.
Galileo Galilei rimarca con forza la profonda differenza che esiste tra le funzioni dell’intelletto
e quelle della sensibilità, precisando che l’intelletto dello scienziato individua, in ogni corpo e nei
processi della natura, caratteri strutturali, oggettivi, di ordine matematico-geometrico, che vengono “astratti” da quelli avvertiti dagli organi sensoriali. Le “qualità sensibili” differiscono da individuo a individuo e non esistono quindi nell’oggetto, ma sono puri nomi, che solo per finzione attribuiamo a caratteri dell’oggetto.
GalIleo GalIleI
QUalItà
oGGettIve e soGGettIve deI corpI
Per tanto io dico che ben sento tirarmi dalla necessità, subito che concepisco una materia
o sostanza corporea, a concepire insieme ch’ella è terminata e figurata di questa o di quella
figura, ch’ella in relazione ad altre è grande o piccola, ch’ella è in questo o quel luogo, in
questo o quel tempo, ch’ella si muove o sta ferma, ch’ella tocca o non tocca un altro corpo,
ch’ella è una, molte o poche, né per veruna imaginazione posso separarla da queste condizioni; ma ch’ella debba esser bianca o rossa, amara o dolce, sonora o muta, di grato o ingrato odore, non sento farmi forza alla mente di doverla apprendere da cotali condizioni necessariamente accompagnata: anzi, se i sensi non ci fussero scorta, forse il discorso o l’immaginazione per se stessa non v’arriverebbe già mai. Per lo che vo io pensando che questi
sapori, odori, colori, etc., per la parte del suggetto nel quale ci par che riseggano, non sieno
altro che puri nomi, ma tengano solamente lor residenza nel corpo sensitivo, sì che rimosso
l’animale, sieno levate ed annichilate tutte queste qualità.
Il Saggiatore
Dopo Galileo, numerosi filosofi (Cartesio, Pascal, Hobbes e Spinoza) ripropongono la distinzione tra le qualità “oggettive” dei corpi (figura, relazione spaziale e temporale, quantità, movimento, ecc.) e quelle meramente “soggettive” (odori, sapori, colori, suoni, ecc.). In particolare, John
Locke descrive il carattere soggettivo delle qualità secondarie (cioè sensibili) come il prodotto
dell’incontro fra le qualità primarie dei corpi esterni e i nostri organi sensoriali, cioè come trasmissione dall’esterno di un movimento che, passando attraverso i canali nervosi, giunge al cervello
e produce quelle rappresentazioni.
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IL MECCANICISMO Percorso TemaTico
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L’
universo-macchina
L’idea di un “universo-macchina” si afferma dapprima in ambito astronomico.
In questa direzione è fondamentale il contributo di Galileo, che considera i corpi celesti e quelli terrestri costituiti dalla medesima sostanza, annullando le gerarchie cosmiche dell’astronomia
aristotelico-tolemaica. Corpi terrestri e corpi celesti potranno così essere considerati come parti
omogenee di un unico universo materiale, sottoposti alle medesime leggi meccaniche.
Si deve a Keplero, scopritore delle tre leggi fondamentali che regolano il movimento dei pianeti intorno al Sole, la rappresentazione dell’universo come un “divino orologio”, un meccanismo
perfetto nel quale le orbite planetarie – descritte geometricamente come ellissi – possono essere calcolate e previste con precisione assoluta, grazie alla loro regolarità matematica, dovuta all’infinita perfezione di Dio creatore. L’analogia fra la macchina e l’universo suggerita da Keplero
nega la concezione rinascimentale di un universo simile a un divino essere animato: come tutti i
moti di un orologio sono dovuti semplicemente alle oscillazioni del pendolo, tutti i movimenti dell’universo dipendono da una semplice forza attiva materiale.
La concezione dell’universo-macchina riceve una compiuta formulazione con Cartesio, che riconduce tutti i fenomeni fisici alle tre leggi della meccanica (principio di inerzia, principio del moto rettilineo uniforme, principio di conservazione della quantità di moto). Alla base di questa concezione vi sono l’idea dell’immutabilità divina – volta a giustificare sul piano metafisico il moto
inerziale e rettilineo uniforme dei corpi cosmici e la conservazione della quantità di moto nel sistema complessivo del mondo – e l’ipotesi che, dopo l’iniziale intervento divino che ha impresso
un movimento alle particelle della materia estesa, ammassate caoticamente, l’universo abbia
proceduto autonomamente in base alle proprie leggi.
Così dal caos originario, grazie alle leggi del movimento e all’assenza del vuoto, si è venuto
formando un immenso vortice, entro cui, gradualmente, si sono costituiti i sistemi stellari e il nostro sistema solare. L’universo è quindi considerato un gigantesco meccanismo, funzionante in
base a princìpi del movimento assolutamente evidenti e a sequenze di causa-effetto necessarie,
matematicamente determinabili.
Il modello cosmologico cartesiano ha esercitato una fortissima influenza nella cultura del Seicento, pur essendo ancorato a tesi, come quella dell’inesistenza del vuoto, di cui altri scienziati (fra cui
Torricelli e Pascal) hanno dimostrato sperimentalmente l’erroneità. A determinarne il successo fu soprattutto il tentativo di realizzare una spiegazione razionale unitaria di una molteplicità di eventi.
L
a macchina del corpo
Il modello di spiegazione meccanicistico è stato applicato anche al funzionamento del corpo
umano. L’idea che il corpo potesse essere studiato come una macchina, come un “automa”, ha
costituito certamente una delle più radicali applicazioni di quel modello, perché ne derivava la
tesi che la stessa vita – degli animali come degli uomini – potesse essere considerata solo uno
specifico modo con cui la materia si è organizzata nel mondo. Questa tesi sembrava avvicinare
pericolosamente il pensiero di Cartesio al materialismo, anche se egli riteneva di avere salvaguardato lo spirito umano dal “pericolo” materialista con l’affermazione del dualismo metafisico
di res cogitans e res extensa.
Le funzioni biologiche vengono descritte come modalità di funzionamento della “macchina”,
con i suoi ingranaggi, filamenti, valvole, in base alle leggi del movimento fissate dalla meccanica razionale. La biologia viene così ridotta a capitolo della fisica e il meccanicismo viene elevato a “verità universale” (Mariarosa Macchi).
I processi vitali, scrive Cartesio, “conseguono del tutto naturalmente, nella macchina del corpo, dalla semplice disposizione dei suoi organi, né più né meno come i movimenti di un orologio
o di qualsiasi altro automa seguono dai suoi contrappesi e dalle sue ruote”. Le funzioni biologiche sono nient’altro che modalità diverse di trasmissione del movimento sulla base del meccanismo stimolo-risposta. Per esempio, la sensazione è un movimento che viene impresso negli organi sensoriali e di qui trasmesso al cervello attraverso i filamenti nervosi; la respirazione un movimento simile alla condensazione dei vapori, la digestione un movimento meccanico che consente prima di disgregare e poi di assimilare i cibi, il battito cardiaco e la circolazione del sangue gli effetti di un calore che, dilatando il sangue, sollecita il moto del cuore.
Dall’idea cartesiana della “macchina” del corpo sono conseguiti effetti di grande portata non
solo in medicina (disciplina dalla quale, grazie soprattutto all’opera degli anatomisti, Cartesio
aveva ricavato l’idea dell’“automa” corporeo), ma anche nella filosofia morale e politica.
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Percorso TemaTico IL MECCANICISMO
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I
cartesIo
corpI coMe MacchIne
Suppongo che il corpo altro non sia se non una statua o macchina di terra che Dio forma
espressamente per renderla il più possibile a noi somigliante: dimodoché, non solo le dà
esteriormente il colorito e la forma di tutte le nostre membra, ma colloca nel suo interno tutte le parti richieste perché possa camminare, mangiare, respirare, imitare, infine, tutte quelle nostre funzioni che si può immaginare procedano dalla materia e dipendano soltanto dalla disposizione degli organi. Vediamo orologi, fontane artificiali, mulini e altre macchine siffatte che, pur essendo opera di uomini, hanno tuttavia la forza di muoversi da sé in più modi; e in questa macchina, che suppongo fatta dalle mani di Dio, non potrei – mi pare – supporre tanta varietà di movimenti e tanto artifizio da impedirvi di pensare che possano essergliene attribuiti ancor più numerosi. [...]
Vi prego poi di considerare che tutte le funzioni da me attribuite a questa macchina: digestione dei cibi, battito del cuore e delle arterie, nutrizione e crescita delle membra, respirazione, veglia e sonno, […] ritenzione o impronta di tali idee nella memoria, movimenti interni degli appetiti e delle passioni, […] vi prego, dico, di considerare che tutte queste funzioni derivano naturalmente, in questa macchina, dalla sola disposizione dei suoi organi, né
più né meno di come i movimenti di un orologio o di un altro automa derivano da quella
dei contrappesi e delle ruote; sicché, per spiegarle, non occorre concepire nella macchina
alcun’altra anima vegetativa o sensitiva, né altro principio di movimento e di vita oltre al suo
sangue e ai suoi spiriti agitati dal calore del fuoco che brucia continuamente nel suo cuore,
e che non è di natura diversa da tutti i fuochi che si trovano nei corpi inanimati.
L’uomo
Il modello del corpo vivente come macchina semovente viene ripreso da Spinoza e Hobbes,
il quale tra l’altro afferma: “Che cos’è il cuore se non una molla, i nervi se non molte corde, le articolazioni se non molte ruote?”
Per l’anatomista Marcello Malpighi (1628-1694) le parti del nostro corpo, sulla conoscenza
delle quali si basa la medicina, si identificano con “corde, filamenti, travi, fluidi scorrenti, cisterne, canali, feltre, crivelli e somiglianti macchine”.
Nel Settecento il medico e filosofo l’illuminista Julien Offroy de La Mettrie riprende queste tesi delineando il modello materialistico dell’“uomo macchina”, nel quale anche le funzioni psichiche e il pensiero sono ricondotti alle proprietà e alle leggi della sostanza materiale estesa.
JUlIen offroy
de
la MettrIe
l’UoMo
è Una MacchIna
Il corpo umano è una macchina che monta da sé le sue molle, immagine vivente del moto perpetuo. Gli alimenti conservano ciò che la febbre eccita. Senza di essi l’anima langue,
entra in furore, e muore abbattuta. [...]
Esaminiamo in particolare le molle di questa macchina umana. Tutti i movimenti vitali,
animali, naturali ed automatici vengono compiuti per effetto della loro azione. Non è forse
meccanico l’atto con il quale il corpo si ritrae, preso da terrore alla vista di un precipizio inaspettato? O quello con il quale, come si è detto, le palpebre si abbassano alla minaccia di
un colpo? O quell’altro atto con il quale la pupilla alla luce piena si contrae per salvare la
retina, mentre si dilata per vedere gli oggetti nell’oscurità? […]
Non mi diffonderò ulteriormente su tutte quelle piccole molle subalterne conosciute da tutti. Ma ce n’è un’altra più sottile, e più vermiglia, che le anima tutte: essa è la fonte di tutti i
nostri sentimenti, di tutti i piaceri, di tutte le passioni, di tutti i pensieri. Infatti il cervello ha
i suoi muscoli per pensare, come le gambe li hanno per camminare, […] mediante i quali
esercita il suo dominio su tutto il resto del corpo. Con esso si spiega tutto lo spiegabile, ivi
compresi gli effetti sorprendenti dell’immaginazione. […] Di conseguenza l’anima non è che
un principio di movimento, o una parte materiale sensibile del cervello che si può, senza tema di errore, considerare come una molla principale di tutta la macchina che ha un’eviden-
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IL MECCANICISMO Percorso TemaTico
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te influenza su tutte le altre e sembra perfino essere stata fatta per prima, in modo che le altre ne sarebbero soltanto un’emanazione. […]
Non mi inganno: il corpo umano è un orologio, ma immenso e costruito con tanto artificio e abilità, che se la ruota che segna i secondi si ferma, quella dei minuti continua a girare e continua per la sua strada; così pure la ruota dei quarti d’ora continua a muoversi, e così le altre, che continuano ad andare anche quando le prime, arrugginite o guaste da una
causa qualunque, si sono fermate.
L’uomo macchina
C
ritiche del meccanicismo
Malgrado i grandi successi conseguiti dal modello meccanicistico non mancano, nel Seicento
e nel Settecento, rilievi critici e prese di distanza da esso.
Blaise Pascal respinge l’idea che il modello matematico-geometrico della conoscenza risulti
efficace per ogni tipo di realtà. Si tratta di un modello che procede per deduzioni e dimostrazioni, valido solo per la comprensione della realtà materiale, della res extensa. Ma tale approccio
non consente di intendere altri fondamentali aspetti della realtà stessa, come quelli relativi alla
condizione dell’uomo, agli interrogativi fondamentali sull’esistenza. Per questi aspetti, vale non lo
“spirito di geometria” ma lo “spirito di finezza”, non la ragione ma il cuore.
Gottfried Wilhelm Leibniz mette in discussione alcuni aspetti fondamentali del meccanicismo
cartesiano. Sul piano della meccanica contrappone al principio cartesiano della “costanza del
movimento” (come prodotto della massa per la velocità) quello della “costanza della forza viva”
(cioè del prodotto della massa per il quadrato della velocità). Su un piano metafisico egli contesta l’idea che la materia sia solo spazio inerte, affermando invece il carattere inesteso e attivo
della realtà.
Per Leibniz, i corpi sono, sì, esteriormente estesi, ma hanno – insita – una forza, la forza viva,
cioè la capacità di produrre effetti. La forza viva è principio attivo del mutamento: non un movimento “estrinseco”, “aggiuntivo” rispetto a una materia “inerte”, come aveva ritenuto Cartesio.
L’“estensione” cartesiana, infatti, non dà ragione né del movimento, né del carattere “pieno” dei
corpi, cioè della loro “solidità” e forza di resistenza. Il corpo cartesiano è, secondo Leibniz, un
corpo “vuoto”.
George Berkeley e David Hume, muovendo da un rigoroso empirismo, mettono in discussione il concetto di “qualità primarie”. Essi, in particolare, criticano l’attribuzione – da parte di Locke – di proprietà “quantitative” ai corpi esterni, in contraddizione con la tesi secondo cui è impossibile conoscere la realtà ultima delle cose. Con il rifiuto delle “qualità primarie” i due filosofi
rendono problematico il modello meccanicistico, che ha il proprio fondamento metafisico nell’esistenza “oggettiva” di tali proprietà.
Anche in rapporto al meccanicismo Immanuel Kant apre prospettive nuove.
Anzitutto, nella Storia universale della natura e teoria del cielo (1755), egli formula un’ipotesi di
formazione del sistema solare e della nostra galassia (nota come ipotesi di Kant e Laplace) basandosi sui princìpi della meccanica newtoniana e su un rigido determinismo causale.
IMManUel Kant
“dateMI
la MaterIa ed Io vI costrUIrò Un Mondo”
Tra tutti i problemi delle scienze naturali, nessuno è stato risolto con maggior chiarezza e
certezza di quelli che riguardano la vera costituzione dell’universo, le leggi del moto e il
meccanismo del corso dei pianeti. Testimone ne sia la filosofia naturale di Newton, che, in
questo campo, ha aperto orizzonti finora mai raggiunti in nessun altro ramo delle scienze naturali. Affermo dunque che, tra tutti i fenomeni della natura di cui ricercasi la causa prima,
gli unici che ci lasciano sperare di comprenderli fino in fondo sono: l’origine del sistema del
mondo, la formazione dei corpi celesti e le cause dei loro movimenti. […]
Proprio qui, a mio parere, con consapevolezza e senza presunzione alcuna, si può dire
“Datemi la materia ed io vi costruirò un mondo”. Datemi, cioè, la materia ed io v’insegnerò
come deve nascere un mondo. Se esiste, infatti, una materia dotata di forza d’attrazione non
è affatto difficile definire le cause che hanno condotto all’assestamento del sistema del mon8
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do, considerato nelle sue linee generali. Sappiamo quale importanza ha, per un corpo, il
prendere una forma rotonda; comprendiamo perché è necessario che delle sfere sospese, liberamente mosse, prendano un moto circolare intorno al centro, verso cui sono attirate; possiamo quindi riportarci alle cause meccaniche più semplici per studiare la reciproca posizione delle orbite, la loro concordanza di direzione, l’eccentricità etc., con la piena certezza di
venirne a capo, perché bastano a ciò i ragionamenti più semplici ed evidenti. […]
Per farla breve, io mi sono guardato con il massimo scrupolo da ogni invenzione arbitraria. Dopo aver disgregato il mondo nel più semplice caos, non ho fatto intervenire, per lo
sviluppo del grande ordine della natura, che due forze egualmente semplici, egualmente primitive e generali: l’attrazione e la repulsione. Per ambedue mi sono attenuto alla filosofia naturale del Newton. La prima è una legge naturale oggi dimostrata senza più dubbi. La seconda, alla quale la filosofia naturalistica newtoniana non poté dare, forse, il medesimo grado
di evidenza della prima, l’applico solo in quei casi in cui la sua funzione è indiscutibile, come nella dissoluzione massima della materia, per esempio nei vapori. Su basi tanto semplici ho dunque imbastito tutto il sistema, servendomi dei mezzi più naturali, senza giungere
ad altre conseguenze tranne quelle che debbono attrarre da sé l’attenzione di chi legge.
Storia generale della natura e teoria del cielo
In seguito, nella Critica della facoltà di giudizio del 1790, pur riconfermando la validità del meccanicismo per la conoscenza della natura inanimata, svolge, sia pure su un piano “soggettivo”,
una serie di considerazioni sul “finalismo” che cercano di conciliare il determinismo causale e il
meccanicismo con l’idea di libertà morale. Egli, inoltre, dichiara l’inadeguatezza del determinismo meccanicistico a intendere la realtà degli esseri viventi, “sia pure di un solo filo d’erba”.
Per il filosofo, infatti, l’essere vivente è una totalità che da un lato è l’effetto del funzionamento
delle sue parti, che ne sono la causa efficiente, e dall’altro è la causa (nel senso di causa finale)
di quelle parti, in quanto è il fine che dà ragione e fondamento al loro operare.
Kant non mette in discussione il meccanicismo come concezione scientifica e filosofica, ma
propone una visione unitaria nella quale il meccanicismo possa coesistere col finalismo, la dimensione della necessità e del determinismo causale con quella della libertà e della finalità che
pare caratterizzare gli organismi viventi.
L
a critica idealistico-romantica
È soprattutto con il Romanticismo e l’Idealismo che si riaffermano nella filosofia della natura il
finalismo e la centralità del tutto rispetto alle parti.
Il Romanticismo critica il matematismo della scienza illuministica e newtoniana, che rappresenta la natura solo come un’arida e astratta sequenza di relazioni matematico-funzionali, o addirittura come un “cadavere disseccato” e privo di vita. Considera, invece, la Natura come il “divino”
stesso calato nella realtà, come un organismo vivente in cui il Tutto è la ragion d’essere delle parti. I Romantici sottolineano la difficoltà del meccanicismo nello spiegare fenomeni – come quelli
della vita – che sfuggono alla “calcolabilità” matematica e all’analisi dell’intelletto. Questa critica
viene sostenuta in particolare da Friedrich Wilhelm Joseph Schelling, il quale rappresenta la
natura come spirito inconscio che, attraverso una serie ascendente di forme di organizzazione,
tende verso la coscienza.
Georg Wilhelm Friedrich Hegel riprende e sviluppa la critica di Schelling. Egli distingue nei
fenomeni naturali tre diversi livelli di organizzazione, cui corrispondono altrettanti momenti della
conoscenza della natura: la meccanica, la fisica dei corpi e la fisica organica. La meccanica corrisponde al livello inferiore della realtà, alla pura esteriorità spazio-temporale dei fenomeni. La fisica dei corpi studia invece la materia sul piano qualitativo, considerando le proprietà che la caratterizzano. A un livello superiore si collocano gli organismi viventi (piante, animali, esseri umani) studiati dalla fisica organica, nei quali la natura manifesta apertamente il carattere finalistico
dei suoi processi.
Gli scienziati accuseranno la concezione romantica di essere “prescientifica”, mentre il veemente sviluppo della cultura tecnico-scientifica nell’Ottocento (che per taluni interpreti è responsabile di una vera e propria “scissione” tra filosofia e scienza) condurrà a un rapido accantonamento delle posizioni idealistico-romantiche, che verranno riprese solo da alcuni indirizzi filosofici del Novecento.
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MERITI
E LIMITI
DEL MECCANICISMO
Il meccanicismo ha lasciato un’impronta profonda nell’immagine della natura e dell’uomo prodotta dalla cultura moderna.
A suo merito principale può essere ascritta la svolta operata rispetto al naturalismo rinascimentale. Questo considerava la realtà come un organismo vivente, finalisticamente regolato e
animato da forze occulte; pertanto non era in grado di operare una distinzione tra mente e corpo, tra psichico e fisico. Il dualismo cartesiano consentiva invece di escludere qualunque caratteristica psichica dalla natura materiale e di considerare questa solo da un punto di vista
quantitativo.
Rifiutati l’antropomorfismo e il finalismo, si apriva dunque lo spazio per la matematizzazione
della natura e per il progetto di una scienza unificata basato su alcune semplici premesse: una
materia inerte, le leggi matematiche del movimento e l’idea della costanza e regolarità della natura. Obiettivo di tale scienza era ottenere a tutti i livelli della realtà fenomenica la stessa evidenza e certezza conseguita nell’indagine fisica.
Tra le principali conseguenze di questo impianto vi era la rottura tra l’esperienza quotidiana e
la scienza, poiché il meccanicismo – sulla base della distinzione tra qualità primarie e qualità secondarie – si occupava solo degli aspetti quantitativi della realtà e dichiarava soggettivi e non
inerenti alla realtà, quindi trascurabili per la scienza, i caratteri sensibili (colore, sapore, consistenza, ecc.) con cui le cose si presentano al soggetto.
Questo riduzionismo (cioè la considerazione della realtà unicamente dal punto di vista quantitativo) ha consentito alla scienza grandi progressi, portandola però ad escludere, in nome della precisione e della chiarezza, quegli aspetti qualitativi della realtà che per l’esperienza comune sono essenziali e ad ignorare la complessità e la specificità dei fenomeni in nome dell’astrazione semplificante.
Si tratta di aspetti che oggi vengono invece ritenuti essenziali. Attualmente, infatti, in quasi tutti gli ambiti della scienza si è venuto affermando un nuovo paradigma della complessità. Ai concetti di misurabilità, regolarità, costanza, certezza, prevedibilità e invariabilità delle leggi, tale paradigma contrappone le nozioni di incommensurabilità, instabilità, relatività, incertezza, imponderabilità e mette in evidenza quale sia l’intreccio e la complessità delle relazioni tra i fenomeni.
D’altra parte, i sintomi delle difficoltà del meccanicismo e dei suoi limiti esplicativi erano già
emersi nell’ambito della scienza moderna e proprio grazie ad alcuni dei suoi maggiori esponenti, come Newton.
Ricordiamo, infatti, che la sua legge della gravitazione universale venne aspramente criticata
dai meccanicisti del suo tempo, in quanto prevedeva un’azione attrattiva a distanza tra i corpi celesti che non rientrava affatto nei canoni fissati dal modello meccanicistico, secondo il quale la
comunicazione del movimento poteva avvenire solo per contatto tra i corpi. La soluzione allora
data a questa difficoltà consistette nell’attribuire una forza attrattiva alla materia, come se si trattasse di una proprietà innata: ma questo era evidentemente più un ripiego che non una vera e
propria soluzione.
Estranea al meccanicismo era anche la nozione di energia che, a partire dalla seconda metà
dell’Ottocento, ha avuto crescente importanza in fisica con la teoria dei campi e, poi, con la teoria di Einstein.
Proprio con le teorie della relatività di Einstein e con la fisica dei “quanti” sviluppate all’inizio
del secolo scorso, la concezione meccanicistica è stata abbandonata, insieme al rigido determinismo nello studio delle relazioni tra i fenomeni. Contestualmente a questa svolta, sia la filosofia che la scienza hanno messo in discussione l’assoluta certezza e invariabilità delle leggi
scientifiche.
Questa rivoluzione concettuale, se ha posto in crisi il meccanicismo come modello interpretativo universale della realtà fisica, non implica tuttavia il superamento dei princìpi fondamentali della scienza moderna. Nella metodologia scientifica operano ancora princìpi e strategie
affermatesi con il meccanicismo e tuttora irrinunciabili, come la matematizzazione e la ricerca di spiegazioni di tipo causale. Al tempo stesso riaffiorano qua e là tendenze di tipo riduzionistico e, soprattutto, quell’ideale di una scienza unificata, fondata su un modello unico e
onnicomprensivo di spiegazione, che era stato celebrato da Cartesio e altri filosofi e scienziati e che proprio l’enorme complessità degli sviluppi scientifici della nostra epoca ha indotto molti ad abbandonare.
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laboratorio
TesTi
TESTO 1
per la discussione e l’approfondimenTo
LA FILOSOFIA MECCANICA
PAOLO ROSSI
Come tutti gli ismi anche il termine meccanicismo ha finito per assumere un significato
molto vago. Usando questo termine in riferimento allo sviluppo della scienza moderna pensiamo al significato di ordigno o macchina presente nel termine greco mechané? a una visione del mondo che considera l’universo come una grande macchina ed eventualmente gli esseri umani come, macchine? oppure intendiamo riferirci al fatto che gli eventi naturali che
costituiscono il mondo possono venir descritti e interpretati mediante i concetti e i metodi di
quel ramo della scienza che viene detto meccanica e che è la scienza dei movimenti? E. J.
Dijksterhuis, che si è posto queste domande, ritiene che la meccanica, come parte della fisica, si fosse pienamente emancipata, nel Seicento, dalla sua origine pratica e dal suo legame
con le macchine. La meccanica, in altri termini, si sviluppa come un settore indipendente
della fisica matematica che tratta del moto e che trova nella teoria delle macchine solo una
delle sue molte applicazione pratiche. Da questo punto di vista, se la meccanica avesse lasciato cadere il suo nome storico e si fosse chiamata cinetica o studio dei moti e se si parlasse di matematizzazione anziché di meccanizzazione della natura, si potrebbero evitare molti equivoci e fraintendimenti.
Ma è sempre difficile risolvere i problemi storici sul piano dei fraintendimenti o su quello
degli equivoci linguistici. Quando si considerano i testi del Seicento scritti da sostenitori (o
dagli avversari) della filosofia corpuscolare o della filosofia meccanica, si ha quasi sempre
l’impressione che entrambi i significati ai quali Dijksterhuis faceva riferimento siano presenti, spesso combinati o mescolati insieme, nella nuova visione meccanica del mondo. Tale visione è fondata su tre presupposti: 1) la natura non è la manifestazione di un principio vivente, ma è un sistema di materia in movimento retto da leggi; 2) tali leggi sono determinabili
con precisione matematica; 3) un numero assai ridotto di tali leggi è sufficiente a spiegare
l’universo. Sulla base di questi presupposti spiegare un fenomeno vuol dire costruire un modello meccanico che “sostituisce” il fenomeno reale che si intende analizzare. Questa ricostruzione è tanto più “vera” (tanto più adeguata al mondo “reale”) quanto più il modello sarà stato costruito solo mediante elementi quantitativi e tali da poter essere ricondotti alle formulazioni della geometria.
Nella filosofia meccanica la realtà viene dunque ricondotta ad una relazione di corpi o particelle materiali in movimento e tale relazione appare interpretabile mediante le leggi del moto individuate dalla statica e dalla dinamica. L’analisi viene ricondotta alle condizioni più semplici e viene realizzata mediante un processo di astrazione da ogni elemento sensibile e qualitativo. Fatti appaiono alla scienza solo quegli elementi del mondo reale che vengono raggiunti in base a precisi criteri di carattere teorico. L’interpretazione dell’esperienza avviene sulla base di tesi prestabilite: la resistenza dell’aria, l’attrito, i differenti comportamenti dei singoli corpi, gli aspetti qualitativi del mondo reale vengono interpretati come irrilevanti per il discorso
della filosofia naturale o come circostanze disturbanti delle quali non si tiene (e non si deve tenere) conto nella spiegazione del mondo. I fenomeni nella loro particolarità e nella loro immediata concretezza, il mondo delle cose “curiose e strane” al quale si era volto con tanto appassionato interesse il naturalismo rinascimentale, non esercita più alcun fascino sui sostenitori
della filosofia meccanica.
Il mondo immediato dell’esperienza quotidiana non è reale. Reali sono la materia e i movimenti (che avvengono secondo leggi) dei corpuscoli che costituiscono la materia. Il mondo reale è contesto di dati quantitativi e misurabili, di spazio e di movimenti e relazioni nello spazio.
Dimensione, forma, stato di movimento dei corpuscoli (per alcuni anche l’impenetrabilità della materia) sono le sole proprietà riconosciute insieme come reali e come princìpi esplicativi
della realtà. La tesi della distinzione fra le qualità oggettive e soggettive dei corpi è variamente
presente in Bacone e Galilei, in Descartes e Pascal, in Hobbes e Gassendi e Mersenne. Essa costituisce uno dei fondamentali presupposti teorici del meccanicismo e assumerà, nella filosofia
di John Locke (1632-1704), la forma della celebre distinzione fra qualità primarie e qualità secondarie. [...] Per questa via, proprio mentre si eliminava dalla visione scientifica del mondo
ogni forma di antropomorfismo, si realizzava il tentativo di allargare il metodo della filosofia
meccanica dal mondo dei fenomeni naturali a quello dei fenomeni fisiologici e psicologici. Fi© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS
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siologia e psicologia tendono a diventare scienze “naturali” interpretabili con gli stessi metodi
e sulla base degli stessi presupposti teorici che hanno mostrato la loro straordinaria fecondità
nella fisica e nella meccanica. Le teorie della percezione appaiono fondate sull’ipotesi di particelle che, attraverso porosità, penetrano negli organi di senso producendo dei moti che vengono trasmessi dai nervi al cervello.
da P. Rossi, La filosofia meccanica,
in AA.VV., Dalla rivoluzione scientifica all’età dei lumi, I, TEA, Milano 2000
TESTO 2
LA FILOSOFIA DEL MECCANICISMO
RICHARD S. WESTFALL
Non fu un solo uomo a creare la filosofia meccanicista. In tutti i circoli scientifici dell’Europa occidentale, durante la prima metà del secolo XVII, possiamo osservare un movimento apparentemente spontaneo in direzione di una concezione meccanicista della natura, per reazione contro il naturalismo rinascimentale. Suggerita da Galileo e Keplero, essa assunse dimensioni reali negli scritti di uomini quali Mersenne, Gassendi e Hobbes, per non parlare di filosofi
meno conosciuti. Tuttavia, Cartesio (1596-1650) esercitò a favore della filosofia meccanicista
della natura un’influenza maggiore di qualunque altra persona, e, nonostante gli eccessi, diede
alla sua enunciazione un rigore filosofico di cui aveva grande necessità e che non conseguì altrove.
Con il famoso dualismo cartesiano, egli diede alla reazione contro il naturalismo rinascimentale una giustificazione metafisica. […] Nel naturalismo rinascimentale, mente e materia, spirito e corpo non erano considerati entità separate; la realtà fondamentale di ciascun corpo era il
suo principio attivo, che condivideva, almeno in certa misura, le caratteristiche della mente o
spirito. […] L’effetto del dualismo cartesiano, al contrario, fu di sradicare ogni traccia della natura psichica da quella materiale con precisione chirurgica, assegnando alla seconda un campo inerte che conosceva soltanto i colpi brutali dei blocchi morti di materia. Era una concezione della natura di una freddezza impressionante, ma ammirevolmente adatta agli scopi della
scienza moderna. Solamente pochi seguirono fino in fondo il rigore della metafisica cartesiana,
ma praticamente tutti gli scienziati importanti della seconda metà del secolo accettarono come
certo il dualismo tra corpo e spirito. Era nata la natura fisica della scienza moderna. […]
Nei saggi su La dioptrique (1637) e Les météores (1637), nei Principia philosophiae (1644),
Cartesio espose i particolari della sua filosofia meccanicista. Una delle sue pietre angolari era
il principio d’inerzia. La filosofia meccanicista sottolineava che tutti i fenomeni della natura sono prodotti da particelle di materia in moto – che essi devono essere prodotti in questo modo
poiché la realtà fisica contiene solamente particelle di materia in moto. Cos’è che produce il
moto? Poiché la materia per definizione è sostanza inerte, consapevolmente privata di princìpi
attivi, è ovvio che la materia non può essere la causa del proprio moto. Nel secolo XVII, tutti
concordavano sul fatto che l’origine del moto era in Dio. All’inizio, Egli aveva creato la materia e l’aveva dotata di moto. Cosa la tiene in moto? La decisione stessa con cui la concezione
meccanicista della natura rifiutò i princìpi attivi significava che la sua vitalità come filosofia della natura dipendeva dal principio d’inerzia. Non è necessario nulla per tenere in moto la materia; il moto è uno stato, e come ogni altro stato in cui si trova la materia, continuerà fino a quando qualcosa dall’esterno non interverrà a mutarlo. Con l’urto si può trasferire il moto da un corpo all’altro, ma il moto stesso rimane indistruttibile. […]
L’analisi dell’urto ad opera di Cartesio fu il punto di partenza degli studi successivi, che furono più proficui. Nel frattempo, le sue leggi del moto fornirono il modello di ogni azione dinamica; in un universo meccanico privo di princìpi attivi, i corpi potevano agire l’uno sull’altro
solamente per mezzo dell’urto.
Non è un caso che gli uomini che edificarono i due principali sistemi meccanicisti della natura, Cartesio e Gassendi, diedero anche un contributo decisivo alla formulazione del concetto di inerzia. […]
Le filosofie precedenti avevano considerato la natura in termini organici. Cartesio rovesciò la
situazione, considerando meccanici anche i fenomeni organici. Nel suo universo l’uomo era
unico: l’unico essere vivente che fosse sia anima sia corpo. Tuttavia, anche nel caso dell’uomo
l’anima non veniva considerata la sede della vita e tutte le funzioni organiche erano definite in
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termini esclusivamente meccanicisti. Il cuore diventò un bollitore, il suo calore era analogo al
calore della fermentazione (in sé un processo meccanico per Cartesio), la sua azione consisteva nel bollire e espandere le gocce di sangue che venivano immesse in esso dalle vene ed
espulse dalla pressione della vaporizzazione. Altri animali, privi di anima razionale, non erano
che macchine complesse. Se fossero esistiti automi, asseriva Cartesio, “dotati degli organi e della forma esteriore di una scimmia o di qualche altro animale privo di ragione, noi non avremmo avuto alcun mezzo per stabilire che non fossero della medesima natura di quegli animali”.
Molte spiegazioni cartesiane dei fenomeni sono così diverse da quelle che noi crediamo corrette che spesso vorremmo riderne. Dobbiamo invece cercare di comprendere quanto cercava
di fare ed in che modo ciò si inserisce nel corso della rivoluzione scientifica. La pietra angolare dell’intero edificio della sua filosofia della natura era l’asserzione che la realtà fisica non è in
alcun modo simile alle apparenze dei sensi. Come Copernico aveva respinto la visione del senso comune di una Terra immobile, e Galileo quella del moto, così Cartesio generalizzò la reinterpretazione dell’esperienza quotidiana. Non intendeva condurre quel tipo di indagine scientifica cui siamo abituati. Piuttosto, il suo fine era metafisico: propose un nuovo quadro della realtà dietro l’esperienza. Per quanto troviamo malaccorte ed incredibili le sue spiegazioni, dobbiamo rammentare che tutto il corso della scienza moderna è scaturito non da un ritorno alla
precedente filosofia della natura ma della strada che egli intraprese.
Di certo il secolo XVII trovò irresistibile il fascino della filosofia meccanicista della natura.
[…]
Nel secolo XVII, la filosofia meccanicista definì la struttura in cui fu condotto quasi tutto il lavoro scientifico creativo. Le questioni venivano formulate con il suo linguaggio e con esso si articolavano le risposte. Poiché i meccanismi del pensiero seicentesco erano relativamente primitivi, le aree scientifiche con cui erano incompatibili furono probabilmente più frustrate che incoraggiate dalla sua influenza. La ricerca dei meccanismi basilari, o forse la presunzione di immaginarli, distoglieva di continuo l’attenzione da indagini potenzialmente fruttuose e ostacolò
l’accettazione di più d’una scoperta. Soprattutto, la richiesta di spiegazioni meccaniciste ostacolò l’altra corrente fondamentale della scienza seicentesca, la convinzione pitagorica che la
natura potesse essere descritta in termini matematici esatti. Nonostante il suo rifiuto di una filosofia qualitativa della natura, la filosofia meccanicista, nella sua forma originale, costituì un
ostacolo alla matematizzazione completa della natura; e l’incompatibilità delle due posizioni
della scienza seicentesca non si risolse fino all’opera di Isaac Newton.
da R. S. Westfall, La rivoluzione scientifica del XVII secolo,
Il Mulino, Bologna 1984
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aTTiviTà
per la discussione e l’approfondimenTo
1 Prendi posizione
Del meccanicismo:
z valuti positivamente…
z critichi…
z manterresti ancora…
2 Il paradigma del meccanicismo
Sulla base delle tue conoscenze scientifiche o di ulteriori ricerche, esplicita e illustra i rapporti tra il modello meccanico-corpuscolare e la scienza del XVII secolo indicati nel brano di Thomas Khun.
La nuova spiegazione meccanico-corpuscolare accettata nel XVII secolo si dimostrò immensamente feconda per molte scienze, sbarazzandole da problemi per i quali non si sarebbero
potute trovare soluzioni accettabili e suggerendone altri che li sostituissero. Nella dinamica,
per esempio, le tre leggi del movimento di Newton, più che un prodotto di nuovi esperimenti, sono un tentativo di reinterpretare osservazioni note in termini di movimenti e di interazioni di corpuscoli neutri primitivi. Consideriamo un solo esempio concreto. Poiché dei corpuscoli neutri potrebbero agire gli uni sugli altri soltanto per contatto, l’immagine meccanicocorpuscolare della natura diresse l’attenzione degli scienziati verso un soggetto di studio assolutamente nuovo, l’alterazione dei movimenti delle particelle dovuta a collisioni. Descartes
impostò il problema e ne dette una prima soluzione provvisoria. Huyghens, Wren e Wallis gli
fecero fare un ulteriore passo avanti, in parte facendo esperimenti di collisione fra pendoli,
ma principalmente applicando al nuovo problema proprietà del moto precedentemente note. E Newton incorporò i loro risultati nelle sue leggi del moto. L’“azione” e la “reazione”
eguali della terza legge sono i mutamenti delle rispettive quantità di moto che si verificano in
due corpi in collisione. Il medesimo mutamento di moto fornisce la definizione di forza dinamica implicita nella seconda legge. In questo, come in molti altri casi del XVII secolo, il paradigma corpuscolare produsse al tempo stesso un nuovo problema e gran parte della sua soluzione.
da T. S. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino 1968
3 Meccanicista oppure no?
Raccontando il “sogno di d’Alembert” (il personaggio che parla nel brano), Diderot espone una concezione
meccanicistica oppure no?
Motiva la tua risposta.
D’Alembert – Io sono dunque così, perché era necessario che fossi così. Cambiate il tutto, e
necessariamente cambiate anche me; ma il tutto cambia senza posa... L’uomo è solo un effetto comune; il mostro, un effetto raro; entrambi sono ugualmente naturali, ugualmente necessari, ugualmente sottoposti all’ordine universale e generale... E cosa v’è di sorprendente,
in ciò?... Tutti gli esseri circolano gli uni negli altri, e per conseguenza tutte le specie... tutto è
un flusso perpetuo... Ogni animale è più o meno uomo; ogni minerale più o meno pianta;
ogni pianta più o meno animale. Non c’è nulla di perfettamente distinto in natura.... Ogni cosa è più o meno una qualunque altra cosa, più o meno terra, più o meno acqua, più o meno
aria, più o meno fuoco; più o meno d’un regno o d’un altro... dunque, nulla appartiene all’essenza di un essere particolare... No, senza dubbio, poiché non v’è nessuna qualità di cui
non sia partecipe anche un altro essere... è solo la proporzione più o meno grande di tale
qualità che ce la fa attribuire a un essere piuttosto che a un altro... E voi parlate di individui,
poveri filosofi! Lasciate perdere, e rispondete alla mia domanda: vi è, in natura, un atomo per14
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fettamente identico a un altro?... No [...]. Ammettete che tutto si attiene alla natura e che un
vuoto, nella catena, è impossibile? Cosa intendete, dunque, quando dite “individui”? Non ce
ne sono, no, non ce ne sono... Non v’è che un unico grande individuo, il tutto. E in questo
tutto, come in una macchina, come in un animale qualunque, vi è una parte che chiamate
così o così; ma se chiamaste tale parte “individuo”, fareste uso d’un concetto altrettanto falso che se, in un uccello, deste il nome d’“individuo” a un’ala o a una piuma... E parlate di essenze, poveri filosofi! lasciatele perdere. Guardate la massa generale, oppure, se avete l’immaginazione troppo corta, guardate la vostra origine e la vostra fine... Oh, Archita! tu che hai
misurato il globo, cosa sei? un pugno di cenere... Cos’è un essere?... La somma d’un certo numero di tendenze... Posso forse essere qualcosa d’altro che una tendenza?... No, poiché mi
dirigo a un termine... E la vita?... Un seguito di azioni e reazioni. Vivo, agisco e reagisco come massa... morto, agisco e reagisco come molecole... Non muoio, dunque?... No, senza
dubbio, in questo senso non muoio, né io, né nessuno... Nascere, vivere e morire è cambiare di forma... E che importa, questa o quella forma? Ognuna ha la felicità e l’infelicità che le
è propria. Dall’elefante alla pulce, dalla pulce alla molecola sensibile vivente, origine del tutto, non un punto nell’intera natura che non goda e non soffra.
da D. Diderot, Il sogno di D’Alembert,
trad. di P. Campioli, Rizzoli, Milano 1996
4 Il meccanicismo è contro la religione?
Kant, nel passo che segue, sostiene che il meccanicismo non è incompatibile con la religione. E tu che cosa
ne pensi? Era possibile far convivere il modello meccanicista della scienza con la fede religiosa oppure no?
Ho scelto un argomento, che, sia per le difficoltà che di per se stesso comporta, sia per quanto riguarda la religione, può suscitare dannosi pregiudizi in una gran parte dei lettori. Scoprire il sistema, mediante il quale le grandi membra del creato si congiungono per tutta l’estensione dell’infinito, dedurre dallo stato primitivo della natura, col solo aiuto delle leggi della
meccanica, la formazione dei corpi celesti e l’origine dei loro movimenti, è un’impresa che
sembra di gran lunga superare le possibilità della ragione umana. La religione, d’altra parte,
temendo che l’indiscreta curiosità di simili speculazioni si risolva in un’apologia dell’ateismo,
minaccia tuoni e fulmini all’audace che osi attribuire alla natura abbandonata a se stessa fatti e fenomeni in cui vede, e con ragione, la mano diretta dell’Essere supremo.
Mi rendo conto di queste difficoltà, ma non mi scoraggio. […]
Ma guardiamo un po’ come queste ragioni, che sembrano tanto pericolose in mano al nemico,
siano invece d’estrema potenza se usate come armi per combatterlo. La materia si forma per le
sue sole leggi generali, è vero, ma naturalmente o – se si vuol dir così – per l’impulso d’un meccanismo cieco, produce effetti così utili e belli, che rivelano l’opera d’un Ente superiore.
da I. Kant, Storia generale della natura e teoria del cielo,
a cura di A. Cozzi, O. Barjes, Roma 1958
5 Descrizione matematica e causalità fisica
Lo storico della scienza Richard S. Westfall individua un motivo di tensione interno alla scienza moderna, tra
due istanze diverse: la descrizione matematica di tradizione pitagorica e la ricerca della causa fisica sollecitata dal meccanicismo.
Leggi attentamente il passo sotto riportato ed elabora un commento che spieghi e giustifichi la tesi espressa.
Il tipo di descrizione matematica che le leggi di Keplero rappresentano era importante per la
scienza del XVII secolo. La filosofia meccanicista, con il suo interesse esclusivo per la causalità fisica, era in contraddizione con la tradizione pitagorica di descrizione matematica. La
massima conquista della scienza seicentesca, il lavoro di Isaac Newton, consistette nella soluzione di tale tensione.
da R. S. Westfall, La rivoluzione scientifica del XVII secolo,
Il Mulino, Bologna 1984
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