Istituto Comprensivo di San Fior Scuola Primaria “Giovanni XXIII” classe quinta A 2 Le sorgenti del Meschio e le grotte del Caglieron Fin dalla classe prima abbiamo fatto le gite per studiare l’acqua: anche questa volta abbiamo fatto un’uscita riferita ad essa. Con noi è sempre venuto il maestro Fausto, un grandissimo ambientalista appassionato di acqua e che naturalmente in questo viaggio non poteva mancare! Siamo andati, come prima tappa, a Savassa Alta alla ricerca delle sorgenti del fiume Meschio. Qui abbiamo incontrato un collaboratore del maestro che ci ha guidato insieme a lui nell’uscita. Osservando i rilievi intorno al paesello abbiamo visto gli evidenti segni del ghiacciaio e abbiamo dedotto che ci stavamo trovando di fronte a colline di tipo morenico: eravamo immersi in una valle ad “U”. Ci siamo incamminati poi lungo la stradina che attraversa Savassa Alta; la guida ci ha fatto notare che ai bordi delle porte e delle finestre c’erano dei pezzi di roccia ricavati direttamente dalla montagna, ma non si trattava soltanto di roccia, bensì anche di arenaria. Più avanti ci siamo fermati di fronte ad un’antica lavanderia proprio nel bel mezzo del borgo e abbiamo osservato la presenza di inserti di cotto tra 3 l’arenaria e il calcare; il maestro Fausto ci ha spiegato che il cotto serviva per asciugare la calce. Successivamente abbiamo visto la balaustra in legno di castagno sporgere da un’abitazione e una data sulla porta risalente al 1901. Da qui abbiamo proseguito la passeggiata lungo il sentiero che costeggia un canale fino ad arrivare alla sorgente del Meschio. Il canale portava acqua ad una centrale idroelettrica che muoveva i meccanismi di una filanda. Per vedere meglio la sorgente del fiume alcuni di noi sono saliti in un punto soprelevato, così la perfetta forma a imbuto della sorgente e le bollicine d’acqua che sono il segno del suo sgorgare erano ben riconoscibili. In questo posto rialzato Christopher ha avvistato un orbettino che abbiamo raccolto per osservarlo da vicino. Il maestro Fausto, per tranquillizzare alcuni dei nostri compagni, ha comunicato subito che non si trattava di un serpente, ma di una lucertola che nel corso della sua evoluzione ha perso le zampe; come molte lucertole, in caso di pericolo riesce a spezzare la coda lasciandola sul terreno per distrarre l’aggressore e riuscire a fuggire. È un animale di forma cilindrica, possiede una pelle liscia 4 e lucida di colore grigio argenteo ed è dotato di palpebre che si chiudono; ama i climi freschi e le zone umide dove ricerca il cibo di cui si nutre: lumache, vermi e lombrichi. Ritornando indietro verso il pullman ci siamo accorti della presenza di una grotta usata un tempo come ricovero con evidenti tracce del fenomeno del carsismo. Da qui siamo partiti per raggiungere le grotte del Caglieron a Fregona. Scendendo il maestro ci ha fatto vedere gli antichi corsi d’acqua che scorrevano per la montagna e di seguito ci ha spiegato che l’uomo, ricavando la “pietra dolza” dalle grotte come materiale per la costruzione di stipiti e architravi, ha dovuto intervenire lasciando delle colonne a sostegno della volta in modo da evitarne il crollo. Ha poi proseguito la lezione soffermandosi sul significato della parola “Caglieron”: tale lemma è di origine dialettale, da “cagliera”, il recipiente per fare la polenta. Durante la nostra passeggiata, lungo un ben delineato percorso, abbiamo osservato con attenzione come l’acqua abbia eroso gli strati di conglomerato calcareo, arenario e di marne antiche. Essendoci poi un’esposizione al sole, la proliferazione di alghe, muschi e felci è evidente; se non ci fossimo trovati di fronte a delle aperture avremmo visto sicuramente delle 5 stalattiti nel corso del nostro cammino effettuato sopra l’arenaria che si staccava dal soffitto e sulle passerelle di legno! Una volta usciti dalle grotte abbiamo visto un antico mulino ricoperto di muschio: aveva ancora la grande ruota che un tempo funzionava grazie alla forza dell’acqua del torrente Caron. L’incantevole ambiente ricco di acqua, di cascate, del torrente sul fondo delle cavità ci è piaciuto moltissimo e ci ha permesso di riflettere sulla stretta relazione che unisce l’uomo alla natura quando alla base del legame esiste un profondo rispetto. Così, soddisfatti della bella esperienza, abbiamo fatto ritorno a scuola portando con noi le immagini e le emozioni. (25 ottobre 2013: testo di Aurora, Lorenzo, Gioele, Raul, Michael) La sorgente del Meschio: un po’ di storia Il Meschio nasce alle pendici del monte Visentin a Savassa Alta, località di Vittorio Veneto. La sorgente di origine carsica è costituita da un bacino chiamato “brent”, posto a 220 metri di quota. Sul fondo del “brent” parte una condotta che risale la montagna ed è investita da una corrente d’acqua di notevole portata. 6 disegno di Lorenzo L’acqua, di solito limpida e tinta di blu, ha la caratteristica di mantenere la sua temperatura di 12° C costante in ogni stagione. Lasciata la sorgente, parte dell’acqua è destinata agli acquedotti, mentre una parte scende per una ripida cascata fino a raggiungere il lago Negrisola. Il corso del Meschio si conclude dopo aver attraversato i Comuni di Colle Umberto e Cordignano, nei pressi di Sacile, dove confluisce nella Livenza. In epoca recente il Meschio ha fornito energia idrica alle numerose piccole industrie della lana e della seta che sono state costruite lungo le sue rive e le cui strutture caratterizzano tuttora il paesaggio. Le grotte del Caglieron: le nostre conoscenze Le grotte del Caglieron si trovano nel Comune di Fregona, in provincia di Treviso, precisamente nella località Breda. Si tratta di una serie di cavità create in parte da attività di erosione naturale e in parte dall’azione umana. Erosione naturale L’erosione naturale consiste in una profonda forra incisa dal torrente Caglieron su strati alternati di conglomerato calcareo, arenario e di marne risalenti al Miocene Serravalliano. 7 Si possono ammirare numerose cascate, alte circa una decina di metri, con alla base delle grandi marmitte. Nella parte più profonda della forra si notano grandi concentrazioni calcaree che, chiudendo parte della volta, danno all’insieme l’aspetto di una grotta. Interventi dell’uomo Gli interventi artificiali sono motivati dall’estrazione dell’arenaria, denominata nel dialetto locale “piera dolza” (pietra tenera). L’attività estrattiva, che risale al 1500 e forse anche prima, forniva il materiale per la costruzione di stipiti e architravi, che si possono ritrovare in alcune abitazioni della vicina Vittorio Veneto e dintorni. Il particolare metodo di estrazione prevedeva la realizzazione di colonne inclinate a sostegno della volta che altrimenti sarebbe crollata. Ne è derivato così un insieme di suggestive cavità artificiali, sul cui fondo scorre il torrente, che sono visitabili grazie alla realizzazione di un apposito percorso attrezzato. Prealpi e colline carsiche e corsi d’acqua: lezione del maestro Fausto Come abbiamo visto durante la nostra escursione, le sorgenti del Meschio e del Caglieron sono di origine carsica. Il carsismo si verifica in rocce formate da carbonato di calcio (=calcare), solubili dall’acqua. Si tratta di un fenomeno molto diffuso nella regione calcarea del Carso (al confine tra Italia ed ex Jugoslavia). 8 In questo ambiente abbiamo una scarsa vegetazione, estesi affioramenti di roccia e uno scorrimento superficiale dell’acqua assente o poco sviluppato, la presenza di depressioni e cavità sotterranee. Le depressioni a volte sono provviste sul fondo di un inghiottitoio, attraverso il quale l’acqua penetra nel sottosuolo: sono le doline. L’acqua penetrata in profondità continua ad esercitare la sua opera di dissoluzione e scava cavità di varia ampiezza: sono le grotte, con le caratteristiche stalattiti che pendono dal soffitto e le stalagmiti che salgono dal pavimento. Perché l’acqua piovana riesce a spaccare il calcare? La pioggia riesce a spaccare il calcare perché è acida; intorno a noi nell’atmosfera c’è un gas acido: l’acido carbonico che proviene dall’anidride carbonica. Questo acido attacca il carbonato di calcio (=calcare presente nelle zone carsiche) della roccia calcarea trasformandolo in bicarbonato di calcio che è solubile. REAZIONE CHIMICA: CO2 + Anidride H2O acqua = H2CO3 acido carbonico carbonica Il processo di scioglimento del calcare in acqua con CO2 si chiama corrosione. 9 D : i sassi si muovono e diventano rotondi ? : ci saranno gocce d’acqua Il fenomeno carsico è presente in tutte le nostre Prealpi, che sono formate da tanti “buchi”. CORRUGAMENTO ALPINO: è una serie di rilievi montuosi e pieghe dovuto soprattutto alla spinta della placca africana contro quella europea. CONGLOMERATO: è un insieme di ciottoli (=sassi tondi) e sabbia legati tra loro dal calcare. I terreni intorno alle colline che portano al Caglieron ne sono un esempio. CORRUGAMENTO ALPINO CONGLOMERATO (ROCCIA SEDIMENTARIA) CARSISMO SUPERFICIALE E SOTTERRANEO ASPETTO SUPERFICIALE DEL TERRENO: forme di raccolta dell’acqua Gola carsica: profonda incisione con fianchi ripidi. 10 Valle chiusa: zona in cui c’è un corso d’acqua che viene inghiottito da una cavità e si perde nel sottosuolo. Dolina: cavità di forma circolare con uno o più punti di assorbimento idrico. Polje: bacini chiusi con versanti ripidi e fondo appiattito. NEL SOTTOSUOLO: cunicoli, gallerie, grotte, pozzi. IL CARSISMO IN SINTESI Nelle zone in cui ci sono rocce calcaree, quando l’acqua si infiltra nel disegno di Susanna terreno, si arricchisce del gas anidride carbonica. L’acqua scioglie le rocce calcaree formando doline sulla superficie e fessure. Le fessure possono allargarsi e approfondirsi dando luogo a grotte nel sottosuolo. 11 Lezione sui pesci con Roberto Loro Con il biologo Roberto abbiamo assistito attraverso audiovisivi e diapositive ad una lezione sui pesci. Già dai precedenti anni scolastici sapevamo che i pesci sono vertebrati acquatici a sangue freddo, cioè “prendono” la temperatura dall’ambiente in cui vivono; le nostre curiosità del momento sono di ampliare alcune conoscenze sui pesci e saperne di più sul loro modo di vivere, come ad esempio capire se ce ne sono che possono vivere dove non c’è acqua. Esistono pesci antichi come il celacanto di 250 milioni dai anni fa, sopra vissuto nascosto nelle profondità dei mari del Sudafrica; si pensava che questo pesce si fosse estinto alla fine del Cretaceo. Alcuni pesci ossei primitivi hanno la capacità di respirare in aria: sono i dipnoi, diffusi durante l’Era Paleozoica, nel periodo Devoniano. Queste specie africane di pesci sono in grado di sopravvivere a lunghi periodi di siccità seppellendosi nel fango del fondale e sigillandosi in una piccola buca circondata da muco protettivo. Una volta nella tana questi dipnoi respirano direttamente l’aria esterna grazie alla presenza di un organo che funge da polmone e riducono fortemente il loro metabolismo: in questo stato i pesci si limitano a consumare le proprie riserve di grasso entrando in una specie di letargo. pinne orecchie dorsale occhio caudale anale pettorali naso ventrali scaglie linea laterale bocca 12 LE PINNE Le pinne sono formate da membrane sorrette da raggi o spine ed hanno funzione propulsiva o di orientamento. La pinna caudale o coda è l’organo propulsore; la pinna dorsale e quella anale svolgono la funzione di equilibrio, cioè permettono al pesce di stare dritto; le due pinne pettorali e le due ventrali servono per la direzione, cioè per girare a destra e a sinistra, quelle pettorali servono anche per andare indietro. LE SCAGLIE Il corpo della maggior parte dei pesci ossei è ricoperto da scaglie, posizionate sopra l’epidermide, di materiale osseo incastrate una con l’altra come tegole di un tetto; il pesce le produce come noi produciamo le unghie. Hanno la funzione di difendere la pelle del pesce coprendo il suo corpo per renderlo liscio e idrodinamico; in questo le scaglie sono aiutate dal muco che il derma secerne e lascia fluire all’epidermide e quindi ad esse. Esistono quattro tipi di scaglie, diverse per forma e composizione chimica: ganoidi, cicloidi, ctenoidi e placoidi. IL MUCO E LA COLORAZIONE Il muco ricopre il pesce su tutto il corpo rendendolo viscido e gli dà il caratteristico odore. Noi abbiamo il sebo che ha le stesse proprietà del muco. Impedisce l’insorgere di infezioni e protegge dall’attacco di microrganismi parassiti quali batteri e funghi presenti nelle acque; ha inoltre la funzione di facilitare il movimento e diminuire attriti, lubrificare branchie, opercoli e scaglie. La colorazione è dovuta alla presenza nella zona sottocutanea di particolari cellule, i cromatofori, contenenti pigmento nero, giallo o rosso. La concentrazione o l’espansione dei cromatofori, determina il cambiamento della colorazione, consentendo al pesce una rapida mimetizzazione con l’ambiente, ma anche una bellezza speciale per il 13 maschio che deve attirare le femmine: ne è un esempio lo spinarello. I riflessi argentei sono invece determinati da minuti cristalli di guanina presenti tra le squame. LA VISTA La vista è abbastanza limitata: il pesce vede in modo sfocato; l’acqua infatti assorbe rapidamente la luce ed è spesso torbida. Gli occhi sono privi di palpebre ed agiscono indipendentemente. Il cristallino quasi sferico, viene allontanato o 12345910- Iride Legamento di sospensione del cristallino Cornea Cristallino 2 1 Muscolo motore 4 Retina 3 Nervo ottico 9 10 5 avvicinato alla retina e funziona come l’obiettivo di una macchina fotografica. L’OLFATTO E L’UDITO Gli odori sono percepiti mediante un paio di narici; molti pesci rilevano gli stimoli chimici mediante organo di senso o barbigli situati intorno alla bocca o su altre parti del corpo. In assenza di orecchio esterno le vibrazioni sonore sono trasmesse attraverso le ossa del cranio ad un orecchio interno che contiene tre canali semicircolari e che funge anche da organo dell’equilibrio. Il biologo ci ha spiegato che le orecchie sono come un imbuto con un buco la cui funzione è di sentire la provenienza dei suoni; sott’acqua i suoni si propagano in tutte le direzioni, quindi al pesce serve solo l’orecchio interno e non quello esterno. LA LINEA LATERALE La linea laterale è l’organo del tatto del pesce, ossia è un particolare senso intermedio tra il tatto e l’udito che gli permette di evitare ostacoli, pericoli e sostituisce la vista nelle acque profonde o torbide dove filtra poca luce. 14 Ci sono dei buchi lungo questa linea che sentono lo spostamento dell’acqua: il pesce può captare la presenza di un muro, così sa di non andare lì; può sentire la presenza delle piante e là invece non ha paura di andarci. Grazie a questo organo i pesci possono avvertire la presenza di un predatore prima che questo sia visibile, e agire di conseguenza, spesso cambiando repentinamente direzione; nello stesso modo, però, un pesce predatore può localizzare eventuali prede. LA BOCCA La forma, la grandezza e la posizione, insieme con la disposizione dei denti danno importanti indicazioni sulle abitudini alimentari dei pesci. La bocca terminale, cioè posta all’apice del muso, è tipica dei pesci predatori; la bocca superiore, rivolta verso l’alto, caratterizza i pesci che hanno rapporti con la superficie nutrendosi di piccole prede, come insetti, provenienti dall’esterno; la bocca inferiore è propria di quei pesci che si nutrono di organismi presenti sul fondo: in questo caso la bocca è sovente protrattile. LO SPINARELLO nell’arte del corteggiamento L’habitat tipico dello spinarello è costituito da acque a corrente lentissima, fresche e limpide, con fondali sabbiosi ricchi di vegetazione. Durante il periodo della riproduzione indossa un abito nuziale caratterizzato da gola e ventre rosso fuoco e occhi azzurro vivo per attirare la femmina. Il suo scopo è di farla entrare nel nido, che ha preparato con cura sul fondo con le erbe acquatiche, per deporre le uova. Il maschio esegue un’apposita danza rituale ed introduce ripetutamente il capo nell’apertura del nido finché la femmina non entra. Una volta che la femmina ha deposto le uova, la scaccia e feconda le stesse, quindi sorveglia il nido per tutto il periodo dell’incubazione e poi continua a prendersi cura degli avannotti per circa una decina di giorni. 15 PESCI D’ACQUA DOLCE: alcune curiosità sugli animali minacciati d’estinzione Storione Lo storione è un vero e proprio fossile vivente la cui origine risale a ben 200 milioni di anni fa. È preda dell’uomo che ne pratica largamente la pesca: per la sua carne molto pregiata e soprattutto per le sue uova di colore nerastro che, opportunamente salate, costituiscono il famoso caviale, ma anche per la vescica gassosa, utilizzata nella preparazione della colla di pesce. Anguilla squame liberate dal muco L’anguilla è un pesce notturno, vive sotto i sassi o sotto il fango durante il giorno. Fa una lunga migrazione a ottobre-novembre nel mare dei Sargassi (golfo del Messico) dove si riproduce: depone le uova una sola volta nella vita e poi muore; i piccoli hanno la dimensione di una foglia di salice, non assomigliano alle anguille. I piccoli devono poi risalire, come tornano a “san Fior”? Nuotano, prendono la corrente del Golfo: corrente di acqua calda che li trasporta fino a Cortellazzo e diventano anguille. Lampreda La lampreda è un pesce primitivo, non ha branchie. Durante lo stadio larvale ha occhi rudimentali e bocca priva di denti, circondata da un labbro a forma semicircolare; allo stadio adulto si sviluppano gli occhi e i denti, mentre l’intestino degenera perché non serve più. La lampreda si ciba di sangue dei pesci che succhia attaccandosi con la bocca a ventosa alla loro pelle. 16 Scazzone Lo scazzone, detto “marson” è un pesce che non sa nuotare perché vive in acque tanto correnti, limpide, fresche e ben ossigenate con fondali rocciosi, sabbiosi o di ghiaia e sassi. La sua caratteristica è di costruirsi una specie di ancora per non farsi trasportare dalla corrente, così la sua testa rispetto al corpo è grande; vivendo poi in mezzo ai sassi non necessita neanche di tanto movimento. Depone le uova sotto i sassi: le femmine hanno il corpo dello stesso colore dei sassi. Il maschio le sorveglia attentamente sino alla schiusa, muove le pinne affinché queste non muoiano e dà loro ossigeno. Osservazioni Gli animali hanno bisogno di un certo tipo di ambiente: ad esempio lo scazzone necessita di un fiume dove ci siano sassi grossi. Nel Piave questo pesce non c’è più perché gli scavatori tolgono i sassi. Le anguille hanno tanta strada da fare, lo storione viene ucciso per il caviale… Se l’habitat viene tolto, i pesci muoiono. Posso salvare il pesce mantenendo l’acqua pulita, mantenendo le piante, ad esempio la carpa depone uova che sono adesive: si attaccano alla vegetazione e nel giro di un paio di giorni si schiudono, quindi posso rispettare e conservare la casetta di ogni pesce. (2 dicembre 2013: appunti di Michael, Giorgia, Chiara, Gioele, Melissa, Lorenzo, Anna) Visita all’incubatoio di Savassa Bassa Quel giorno, 25 marzo tutti erano in fermento per la gita che dopo tanti rinvii si era concretizzata. 17 Ogni alunno, provvisto di zainetto per l’uscita, è entrato in classe: si è tolto il grembiule e si è messo in fila; io ero con Ilie e tutti ci siamo avviati verso il pulmino parcheggiato accanto all’ingresso della scuola. Mi sono seduto vicino a Raul nell’intento di giocare a carte, tuttavia in seguito le abbiamo rimesse nello zaino. Subito tutti hanno scattato foto a raffica, ma io raramente scattavo le foto perché preferivo prendere appunti. In pulmino il maestro Fausto parlava delle lamprede, pesci cartilaginei che in Europa sono scomparsi, ma che nel Meschio ci sono ancora, poi delle trote che per riprodursi hanno bisogno di acqua pulita e infine del paesaggio: le colline su cui sorge Colle Umberto che sono di origine morenica. Finalmente dopo qualche decina di minuti di viaggio siamo arrivati a Vittorio Veneto, più precisamente a Savassa Bassa. Lì ci aspettava un esperto, il pescatore Mario, che ci ha mostrato una casa, la sua, fatta interamente di pietra proveniente dalle grotte del Caglieron e in seguito ci ha fatto entrare nell’incubatoio: una stanzetta di fronte alla casa gestita dai volontari dell’A.P.S. Meschio che ha sede in un’antica fonderia di origini medievali e che sfrutta il salto dell’acqua per l’approvvigionamento idrico. Il Meschio attraversa Vittorio Veneto e rappresenta l’originario asse su cui si è sviluppata l’economia industriale e manifatturiera della città. La presenza di numerosi opifici ed annesse derivazioni idrauliche ne sono un esempio. Per accedere all’incubatoio ci siamo puliti le scarpe in una vaschetta contenente della calce e subito davanti a noi abbiamo 18 visto tredici vasche tenenti ciascuna dai dieci ai dodicimila avannotti: i piccoli delle trote. Mario ci ha spiegato che il periodo della riproduzione per la trota marmorata è uova di trota novembre, mentre per la trota fario è dicembre. La femmina arriva in un posto che trova buono e fa la tana, la pulisce con la pancia e depone le uova, poi arriva il maschio a fecondarle. Su mille uova “fatte” nel fiume solo l’1% resiste ai predatori di uova. In media una femmina di tre etti produce seme di trota duecento uova, una femmina di quattrocinque chili ne produce suppergiù duemila-tremila all’anno. Per la schiusa ci vogliono circa sessanta giorni: se l’acqua è calda quindi con meno ossigeno sono necessari però più giorni, se invece è fredda ha più ossigeno e gli avannotti sono spinti ad uscire. Dopo la schiusa i piccoli stanno fermi perché si devono difendere dai predatori. Nell’incubatoio infatti gli avannotti sono tutti ammucchiati e sono caratterizzati dalla presenza di una vescichetta: il sacco vitellino, una riserva di cibo che li svezza fino a quando non troveranno da soli il loro alimento. In questo incubatoio artificiale le uova giungono fecondate e con una penna d’oca i pescatori le stendono delicatamente sulle griglie di stabulazione. Quando gli avannotti raggiungono una lunghezza di due-tre centimetri vengono liberati nel Meschio, diventano trotelle e poi trote adulte. Mario ha proseguito la sua spiegazione facendoci vedere alcune schede che rappresentano le diverse trote proprio perché specie endemiche della nostra zona: la fario dai colori molto accesi con livrea puntinata nera e rossa, la marmorata trota marmorata 19 caratterizzata da una coloritura più frazionata somigliante a piastre di marmo, qualche esemplare di ibrido con predominanza marmorata e ibrido con predominanza fario, e la trota iridea. ibrido con predominanza fario Successivamente prima di uscire da quel luogo per la merenda, Mario ci ha riferito che quando si va a pescare è necessario tenere la mano bagnata o possedere uno straccio umido prima di toccare i pesci perché altrimenti le trote si scottano: è come se sulla nostra testa venisse versata dell’acqua molto calda. Consumati i nostri panini con i piedi che poggiavano sopra una sorta di cerchio che serviva un tempo per riporre i secchi contenenti gli indumenti da lavare, abbiamo proseguito il percorso fra le ortiche arrivando sulla sponda del Meschio, proprio nel punto in cui si poteva osservare l’acqua di derivazione per le case. Abbiamo ammirato quel meraviglioso spettacolo della natura e siamo ritornati a scuola. Questa giornata è stata bella, ma sarebbe stata più divertente se fosse durata tutto il giorno. (25 marzo 2014: testo di Lorenzo con gli appunti di Raul, Mubina, Giorgia, Gaia) Ringraziamenti Gli alunni della 5^A della Scuola Primaria di San Fior ringraziano: - il Dirigente Scolastico per l’adesione al progetto; - i genitori degli alunni che hanno accolto favorevolmente il progetto; - il maestro Fausto Pozzobon (Legambiente Piavenire) per la conduzione del progetto e il lavoro sul campo; - il biologo Loro Roberto per la lezione sui pesci; - i docenti della Scuola Primaria di San Fior per la disponibilità nel reperire materiali utili alla realizzazione del progetto.