La Critica della Ragion Pratica

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CAPITOLO 6
La critica della ragion pratica
La Critica della Ragion Pratica (CRPr) è mossa dal convincimento dell’esistenza di una legge etica assoluta
che Kant vuole constatare. La morale risulta incondizionata presupponendo una ragion pratica pura cioè
capace di svincolarsi dalle inclinazioni sensibili e di guidare la condotta in modo stabile. La morale
incondizionata presuppone la libertà dell’agire e la validità e universalità della legge. L’equazione moralità =
incondizionatezza = libertà = universalità e necessità è legata agli attributi dati dal filosofo alla legge morale:
categoricità, formalità, disinteresse e autonomia. La morale di gioca all’interno di una tensione bipolare tra
ragione e sensibilità. Se l’uomo fosse sensibilità è ovvio che essa non esisterebbe, perché l’individuo agirebbe
sempre per istinto. Se l’uomo fosse pura ragione l’individuo sarebbe sempre in quella che Kant chiama “santità”
etica. L’agire morale si concretizza in una lotta tra ragione e gli impulsi egoistici. Nella CRPr il tema dominante
è la polemica contro il fanatismo morale, che è la velleità di trasgredire i limiti della condotta umana. La
CRPr è divisa in Dottrina degli elementi e Dottrina del Metodo. La prima tratta degli elementi della morale e si
divide in un’Analitica, che e l’esposizione della regola della verita (etica) e in una Dialettica, che e
l’esposizione e la soluzione dell’antinomia propria della ragion pratica. La Dottrina del metodo tratta del modo
in cui le leggi morali possono «accedere» all’animo umano. Kant distingue i «principi pratici» che regolano la
nostra volontà in «massime» e «imperativi». La massima e una prescrizione di valore puramente soggettivo,
cioè valida esclusivamente per l’individuo chela fa propria. L’imperativo e una prescrizione di valore
oggettivo, Gli imperativi si dividono a loro volta in imperativi ipotetici e imperativo categorico. Gli imperativi
ipotetici prescrivono dei mezzi in vista di determinati fini e hanno la forma del “se … devi”. Questi imperativi
si specificano a loro volta in regole dell’abilita, che illustrano le norme tecniche per raggiungere un certo scopo
e in consigli della prudenza, che forniscono i mezzi per ottenere il benessere o la felicita. L’imperativo
categorico ordina invece, il dovere in modo incondizionato e solo lui può essere la legge morale in quanto ha
valore universale e necessario. Kant si chiede cosa comanda l’imperativo categorico e risponde a se stesso che
esso consiste nell’elevare a legge l’esigenza stessa di una legge. Esso si concretizza nella prescrizione di agire
secondo una massima che può valere per tutti. L’imperativo categorico è quel comando che prescrive di
tener sempre presenti gli altri e ci ricorda che un comportamento risulta morale se la sua massima appare
universalizzabile. Nella Fondazione della metafisica dei costumi Kant riporta altre 2 formule. La prima porta ad
agire rispettando la dignità umana che è in te e negli altri. La morale istituisce un regno dei fini ossia una
comunità ideale di libere persone che vivono secondo le leggi della morale e si riconoscono dignità a vicenda.
La terza formula sottolinea l’autonomia della volontà, chiarendo come il comando morale non sia un
imperativo esterno e schiavizzante, ma i frutto spontaneo della volontà razionale la quale fa si che noi
obbedendo ad essa obbediamo a noi stessi.
La legge non ci dice che cosa dobbiamo fare né prescrive contenuti concreti. Essa è una legge formale
universale che afferma che quando agisci tieni presente gli altri e rispetta la dignità umana che è in te e
nel passato. Sta a noi tradurre in concreto la parola della legge in ogni situazione. Se la legge morale ordinasse
di agire in vista di un fine o di un utile si ridurrebbe ad una serie di imperativi ipotetici e verrebbe compromessa
in quanto sarebbero gli oggetti a dare la legge alla volontà, inoltre sarebbe soggettiva e particolare. Il cuore
della moralità kantiana risiede nel dovere-per-il-dovere, ossia nello sforzo di attuare la legge della
ragione solo per ossequio ad essa. Il rigorismo kantiano sta nel escludere dall’etica le emozioni e i
sentimenti che possono sviare la morale e inquinare la purezza. L’unico sentimento è il rispetto per la legge
che mette a tacere tutti gli altri sentimenti egoistici. Il dovere per il dovere nel rispetto della legge: solo se la
morale implica una partecipazione interiore è corretta, altrimenti si scadrebbe nella legalità ipocrita. Kant
sostiene che non è morale ciò che si fa ma l’intenzione con cui lo si fa in quanto solo la volontà è l’unica cosa
incondizionatamente buona al mondo. Il dovere e la volontà buona innalzano l’uomo al di sopra del mondo
fenomenico fino al mondo intellegibile e noumenico dove vige la libertà. La vita morale è la costituzione di una
natura sovrasensibile nella quale la legislazione morale prende il sopravvento sulla legislazione naturale. Però
l’uomo non può partecipare al mondo noumenico se non in quello fenomenico e in virtù di quello. La
noumenicità dell’uomo esiste solo in relazione alla sua fenomenicità.
© Federico Ferranti
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