RELAZIONE PIERO CIPRIANO Tra le varie forme di contenzione vi è anche la contenzione diagnostica. Già con la diagnosi si può ingabbiare una persona e alla luce della diagnosi fare le perizie, dare l’incapacità di intendere e di volere, dare farmaci a vita. Ma l’oggetto principale di studio è la contenzione meccanica. Ho la sfortuna/opportunità di essere uno psichiatra che lavora a porte chiuse dove si lega anche in modo consistente. Come strategia di sopravvivenza ho adottato negli anni quella di raccontare come sopravvivo in questo posto e come cerco di non legare. In merito a ciò ho pubblicato un paio di libri con i quali sono diventato esperto di contenzione pur non applicandola. Quando si parla di contenzione ci si riferisce alla forma meccanica la quale è la forma più estrema, violenta, brutale, anti terapeutica di legare una persona a letto. Dico anti terapeutica, perché non permette più di recuperare il rapporto terapeutico con il paziente. Quello che ho notato è che anche chi non lega non riesce più ad essere molto terapeutico. Cosa diversa dalla contenzione meccanica, è quella fisica che non sempre assume una valenza di violenza e di lesione della vita. A volte non si sa come fare con una persona aggressiva che sta per picchiarti, quindi le blocchi i polsi, l’abbracci, come si fa con i figli quando si agitano. Pur essendo un modo estremo non impedisce di iniziare una relazione terapeutica. La contenzione chimica prevede la somministrazione di farmaci, tranquillanti e sedativi ma ciò non vuol dire che somministrandoli la si pratichi. Esistono stati di agitazione, ansia, rabbia che possono attenuati con dei farmaci. La contenzione chimica è un annichilimento, ridurre la persona allo stato agonico, è l’uso anestetico, atalassizzante dei farmaci, cioè ridurre la persona al clinostatismo, allettandola così come si fa con la contenzione meccanica. La contenzione chimica e l’abuso dei farmaci a vita sono quelli che determinano un’altra forma di contenzione, la contenzione elettrica, il ritorno in auge dell’elettroshock utilizzato quando i farmaci non fanno più effetto. Un’altra contenzione è quella ambientale, la quale prevede due forme dipendenti dalla struttura in cui sono ricoverati i pazienti. Ho potuto visitare gli SPDC di Trieste e Merano le cui strutture sembravano ostelli, residence, luoghi accoglienti che posso tradurre come una forma di contenzione ambientale buona, totalmente diversa dalla contenzione ambientale bunker, con porte chiuse, telecamere, sbarre, divieto di entrare ai parenti. Per ultima c’è la contenzione relazionale che in realtà è un ossimoro, perché in realtà si parla di relazione, la forma di cui noi nuovi tecnici della salute mentale dovremmo essere esperti cioè una modalità di ascolto empatico, caldo, affettivo, porsi in relazione “io-tu” e non “io-esso” con quella persona, non oggettivarla. Dopo questa premessa sulle varie forme di contenzione, passiamo al DOVE si effettua la contenzione meccanica. Generalmente si immagina che si effettui nelle zone della psichiatria, invece no, perché è un fenomeno ubiquitario, si fa dappertutto, residenze per anziani, case di cure private e soprattutto nell’ospedale non c’è un solo reparto che sia esente da questa pratica. Citando Basaglia “non pensiate di aver risolto i problemi della psichiatria inserendola nella medicina, perché c’è un nuovo manicomio da cui dobbiamo agire che si chiama medicina, che si chiama ospedale”, aveva ragione perché spesso l’ospedale diventa un manicomio. La contenzione è come un fantasma, uno spettro, perché c’è ma non si vede, queste fasce escono e rientrano senza che si dica. Quindi non è descritta nei libri di psichiatria, non si insegna agli studenti, agli infermieri, ma la si apprende sul campo. Quando un giovane tirocinante, un giovane medico va in un reparto o in un SPDC e c’è una persona anziana che sta per cadere o è aggressiva, i colleghi più anziani fanno vedere come si fa, preferibilmente si prende il paziente in cinque, uno per ogni arto e uno per la testa. Questa pratica assomiglia ad una tortura e per sopravvivere negli anni ci si convince che sia giusta e che lo si faccia per tutelare la persona, sono in pochi a rigettare questa pratica. Ed è proprio vero che è un fantasma perché non è contemplata nemmeno nella nostra legge sanitaria, infatti nella legge 180 non è affatto nominata. Però ciò non vuol dire che pur non essendo nominata non la si possa applicare. Il massimo grado di coercizione della legge 180 è il TSO che vuol dire obbligo a curarsi se una persona ha un grado di disturbo psichico di cui non è consapevole e quindi non accetta le cure ma altra cosa è legarlo a letto. È incostituzionale la contenzione se facciamo attenzione agli articoli 13 e 32 della Costituzione. L’art. 13 afferma che “è impossibile limitare la libertà di una persona se non con autorizzazione giudiziaria” e mai gli operatori che legano una persona chiedono l’autorizzazione al massimo mettono il paziente in TSO. L’art.32 tutela la salute come diritto fondamentale dell’individuo, ma che diritto è se una persona entra in luogo di cura e si ritrova legata a letto. Quindi per trovare una legge che regolamenti l’utilizzo della contenzione, bisogna fare riferimento alla legge sui manicomi, legge 36/1904, al cui art.60 si diceva che” nei manicomi debbono essere aboliti o ridotti ai casi eccezionali, i mezzi di coercizione degli infermi”. Nei casi in cui si può utilizzare la contenzione, essa è ammessa per via dell’ambivalenza del codice penale, il quale non nomina mai questa pratica però ha degli articoli che la rendono possibile e degli articoli che la ostacolano. Quelli che rappresentano un deterrente a questa pratica sono gli articoli 605 che chi lega può essere incriminato per sequestro di persona, chi lega può essere accusato di delitto di violenza privata ma d’altra parte ci sono articoli di segno opposto che pur non nominandola, la rendono possibile. Quello centrale a cui tutti si appellano è l’art.54 del Codice Penale “stato di necessita” secondo il quale “non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona”. Però, per mia esperienza, lo stato di necessità non c’è quasi mai perché nella maggior parte delle volte si tratta solo di una persona che minaccia, non vuole prendere la terapia. Poi c’è l’art.52 del CP che prevede la legittima difesa, l’art.591 “abbandono di persone minori o incapaci”, art.593 per non incorrere nell’omissione di soccorso. Dal luogo in cui si effettua la contenzione passiamo al conoscere quante persone vengono legate in Italia. Questo dato non può confermarlo nessuno, tantomeno coloro che ci lavorano. Quanto si lega in psichiatria? Possiamo fare delle inferenze solo per quanto riguarda gli SPDC, sui 323 servizi di diagnosi e cura l’80% sono a porte chiuse e sono attrezzati per la contenzione. Ma rispetto al dato quantitativo, credo che, l’unica ricerca che ha fornito dati precisi è stata effettuata dagli SPDC del Lazio che hanno raccolto i dati delle contenzioni del primo quadrimestre 2005-2007-2009-2011. Ad esempio, nei primi quattro mesi del 2007, emergeva che su 3000 pazienti ricoverati circa 300 erano stati legati, quindi circa 1 su 10; moltiplicando personalmente il dato per tre, ho ricavato le contenzioni dell’intero anno pari a circa 1700. Emerse che queste contenzioni venivano effettuate per rischi di fuga, aggressività, autolesionismo, agitazione. Nei 2/3 dei casi il paziente venne posto in TSO, soprattutto maschi che femmine, soprattutto single che coniugati, nel 22% dei casi c’era l’uso/abuso di sostanze. In questo momento ci sono circa 320 persone legate negli SPDC d’Italia. Quindi non è assolutamente un’extrema ratio ma una modalità abbastanza stereotipa di gestire le emergenze psichiatriche. Allora è vero che “il matto è da legare” non c’è altra cosa da fare. Per concludere, parto da considerazioni personali. Nel mio SPDC fino al 2000, diretto dal dottore di dipartimento Renato Piccione che aveva un’idea diversa di contenzione, non si legava e chi lo faceva doveva relazionare in modo dettagliato il motivo di questa cosa; andato in pensione il direttore si è verificata una escalatione di contenzioni, infatti si sono verificate 52 contenzioni nel 2010, per circa 4433 ore, per fortuna calato a 400 ore nell’ultimo anno. Facendo riferimento ad un antesignano della no restraint, John Conolly che dirigeva un intero manicomio in Scozia senza fasce e senza farmaci, perché ancora non c’erano, secondo il quale “se si permette che mani e piedi vangano legati a discrezione dei sorveglianti, in breve, si avrà nel paziente un totale processo di regressione e si darà l’avvio a ogni genere di trascuratezza e tirannia”. Altri esempi di no restraint sono Trieste, Gorizia, Arezzo e venendo ai tempi moderni esistono ancora in Italia circa 20-30 SPDC dove si fa a meno delle fasce, tra cui San Severo. Per non legare ci si rifà a ragioni giuridiche, con tutti gli articoli citati e a ragioni economiche. Questo conflitto tra etica ed economia si risolve legando perché gli operatori sono pochi e le fasce sono facili all’utilizzo e si evita di instaurare una relazione interpersonale con il paziente. Alla fine tutto si ricollega a ragioni etiche, deontologiche e culturali: chi vuole legare lega, chi non vuole non lo fa. Concludo così: 51 anni fa disse Basaglia “ la distruzione del manicomio è un fatto urgentemente necessario, se non semplicemente ovvio”. Oggi, visto che le fasce sono il lascito più evidente del manicomio, dobbiamo riformulare la citazione: “la distruzione delle fasce è un fatto urgentemente necessario, se non semplicemente ovvio”.