i al d Liborio Stuppia l’uomo tra geni e ambiente ISBN 978-88-6927-239-4 Euro 8.00 Guaraldi Falsi miti e complesse verità sulle società multietniche Guaraldi | i quaderni della complessità | Si ringraziano: la Fondazione Fellini, il Comune di Rimini, gli Eredi Fellini. Liborio Stuppia è nato a Catania il 25 ottobre 1960. Professore Ordinario di Genetica Medica presso l’Università “G. d’Annunzio” di ChietiPescara, è Direttore del Dipartimento di Scienze Psicologiche, della Salute e del Territorio della stessa Università. È membro del Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della Vita. È autore di oltre 180 pubblicazioni scientifiche su riviste internazionali. ua r In copertina: © Il libro del sogni di Federico Fellini Dettaglio del sogno del Maggio 66, Museo della città, Rimini. 17 G Quello delle società multietniche è un chiaro esempio di tema complesso cui sono date spesso risposte semplicistiche. In questo saggio si descrivono le evidenze scientifiche che dimostrano come la sopravvivenza dell’uomo moderno, risultato di migrazioni, incroci genetici e scambi culturali, non è messa a rischio dalle società multietniche, ma dalla velocità dei cambiamenti dell’ambiente che lo circonda. i quaderni della complessità La collana I Quaderni della Complessità, nata per iniziativa di Dedalo 97 e del Complexity Education Project, in collaborazione con Aiems, intende rappresentare un momento di divulgazione e di riflessione sulla complessità e sull’approccio sistemico. Raccoglie conversazioni tenute nell’ambito delle diverse edizioni del Festival della Complessità e contributi di associazioni, enti e di quanti si riconoscono nel pensiero complesso. G ua ra ld i I Quaderni della Complessità Collana del Festival della Complessità I Quaderni della Complessità Collana del Festival della Complessità ld i Coordinamento editoriale Valerio Eletti ra Ideatore e Direttore del Festival della Complessità Fulvio Forino, Presidente Dedalo 97 ua Il Festival della Complessità, nato nel 2010 con la collaborazione dell’Aiems (Associazione Italiana di Epistemologia e Metodologia Sistemiche), è organizzato dall’Associazione Scientifica e Culturale Dedalo 97 G © 2015 Guaraldi s.r.l. Sede legale e redazione: via Novella 15, 47922 Rimini Tel. 0541.742974/742497 - Fax 0541.742305 www.guaraldi.it - [email protected] www.guaraldilab.com - [email protected] shop.guaraldilab.com Immagine di copertina tratta da: Il libro dei sogni di Federico Fellini Isbn 978-88-1701851-7 © 2007 RCS Rizzoli (per la versione cartacea) via Mecenate 91, 20138 Milano - www.rizzoli.rcslibri.corriere.it © 2011 Guaraldi s.r.l. (per le versioni digitali) Isbn | carta 978-88-6927-239-4 | pdf 978-88-6927-240-0 Liborio Stuppia ld i l’uomo tra geni e ambiente G ua ra Falsi miti e complesse verità sulle società multietniche Guaraldi ld i ra ua G Indice Introduzione 7 11 La lunga marcia dell’uomo 15 ra ld i Riprodursi, riprodursi, riprodursi! ua Stessa spiaggia, stesso mare? 24 29 Il doppio puzzle del diabete 36 Quel senso di antico che è dentro di noi… 44 Dove andiamo? 49 Bibliografia 53 G Il colore dell’ipertensione ld i ra ua G Introduzione G ua ra ld i Di fronte a problemi complessi, si forniscono spesso risposte che vorrebbero essere semplici, ma che il più delle volte sono, invece, semplicistiche. Una risposta semplicista, per sua natura, non risponde alla complessità del quesito, ma la nega in toto, impedendo, di fatto, che dall’analisi di tale complessità si possano generare ragionamenti articolati, ipotesi valide e soluzioni elaborate. La risposta semplicistica taglia corto: è sintetica e definitiva, e come tale rassicurante. Inoltre, le risposte semplicistiche hanno un vantaggio selettivo importante: per loro natura sono più facilmente trasmissibili a livello massmediatico e più rapidamente assimilabili nell’immaginario collettivo, dove tendono a “fissarsi” e diventare verità indiscutibili. Di conseguenza, mentre la divulgazione di una risposta elaborata a un quesito complesso richiede tempo ed energie, le risposte semplicistiche sono veloci da trasmettere e facili da assimilare. 7 Liborio Stuppia G ua ra ld i Ecco quindi che, ad esempio, di fronte a una società progressivamente multietnica e ai problemi che ne derivano (questione complessa), diventa facile dare risposte semplicistiche e trasmettere messaggi di questo tipo: gli individui di diverse etnie, di diverse religioni, di diversi costumi, di diverse culture, appartengono a diverse “razze” geneticamente determinate, e in quanto tali differenti non solo per quanto riguarda i tratti somatici, ma anche per le loro capacità cognitive e le loro qualità morali. Tali “razze”, pertanto, avrebbero una limitata capacità di adattarsi alle diverse condizioni sociali e culturali di paesi diversi da quelli da cui originano. In sintesi: ognuno a casa sua. Eppure, la storia del XX secolo dovrebbe avere insegnato quali terribili conseguenze abbia prodotto la teoria delle razze umane propagandata dai regimi totalitari e la classificazione di tali razze in quelle geneticamente superiori (gli ariani) e quelle inferiori (gli ebrei). Anche in quel caso, le risposte semplicistiche (e sbagliate) gettate in pasto all’opinione pubblica permettevano di aggirare la complessità del problema. Gli ebrei, gli zingari, i portatori di handicap, i “diversi” di ogni genere non erano esseri umani, ma individui geneticamente 8 L’uomo tra geni e ambiente G ua ra ld i diversi dagli umani, programmati per essere malvagi, parassiti della società, opportunisti sfruttatori del lavoro altrui. E così, allo stesso modo in cui riteniamo moralmente accettabile condurre esperimenti scientifici prima su animali che su uomini, lo sterminio nei campi di concentramento era pratica accettabile per i “volenterosi carnefici di Hitler” in quanto operato, appunto, non su esseri umani, ma su individui appartenenti ad altre razze. Peccato che in realtà nella specie umana non esistano le razze. Esistono i razzisti ma non le razze. Se esaminiamo le caratteristiche fisiche che distinguono gli individui appartenenti alla specie umana, infatti, ci accorgiamo subito che esse sono limitate a poche specifiche differenze (colore della pelle, degli occhi e dei capelli; taglio degli occhi, del naso e delle labbra). Queste differenze non bastano a configurare una razza. Se prendiamo l’esempio dei cani, l’appartenenza a diverse razze configura la presenza di differenze che non si limitano al colore del pelo o alla forma del muso (paragonate un doberman a un bassotto e ve ne accorgerete subito, specie se provate a irritarli). Le differenze tra gli esseri umani, dunque, non riflettono diverse “razze”, ma sono fondamentalmente riconducibili 9 Liborio Stuppia G ua ra ld i alla regione geografica di origine dell’individuo o, più precisamente, della sua stirpe. Le razze, inoltre, non possono trasformarsi l’una nell’altra. Per quanto si impegni, un pechinese non diventerà mai un pastore tedesco. La storia dell’umanità, invece, è tutta un racconto di metamorfosi morfologiche e comportamentali, di adattamenti ai cambiamenti dell’ambiente, di integrazione, di mescolanza tra le diverse culture e le diverse fisionomie. Se è così (ed è così), dobbiamo chiederci innanzitutto perché a diverse aree geografiche corrispondano diversi tratti somatici. Si sono date molte risposte a questa domanda, tranne quella essenziale, e cioè che le differenze tra gli individui riflettono la diversa capacità di riprodursi degli individui stessi in diverse regioni del pianeta. In altre parole, ognuno di noi ha la conformazione fisica che ha permesso ai suoi antenati il massimo successo riproduttivo in una determinata regione del pianeta. È proprio dal concetto di riproduzione, visto in un’ottica genetica, che comincia il nostro viaggio. 10 Riprodursi, riprodursi, riprodursi! G ua ra ld i Per qualsiasi specie vivente sulla Terra la riproduzione è un momento essenziale, in quanto permette la sopravvivenza della specie stessa attraverso la produzione di una prole quanto più numerosa e vitale possibile. La riproduzione è, pertanto, il fine ultimo della attività dei nostri geni. Mediante la riproduzione, il nostro dna sopravvive attraverso le generazioni, mescolandosi con quello del partner dell’altro sesso che ha contribuito alla riproduzione stessa. Avere una prole numerosa e vitale è stato pertanto per millenni l’obiettivo principale delle specie che hanno popolato la terra. Non è però sufficiente avere molti figli per tramandare il proprio dna. Questi figli, infatti, devono essere in grado di sopravvivere, crescere e riprodursi a loro volta. Perché ciò avvenga, è necessario che siano trasmesse alla prole le caratteristiche che più avvantaggiano questo processo. Tali caratteristiche, però, non sono vantaggiose “a priori”, ma solo in 11 Liborio Stuppia G ua ra ld i rapporto all’ambiente in cui l’individuo si colloca. L’insieme delle capacità che permettono a un uomo di riprodursi con successo è definita come “fitness riproduttiva”. La fitness riproduttiva può essere definita come il successo riproduttivo di un individuo, o di un certo genotipo (l’assetto genetico dell’individuo), e si misura per mezzo del numero medio dei figli in grado, a loro volta, di riprodursi. Nell’ambito di una determinata specie, ogni individuo è dotato di capacità riproduttive legate al particolare assetto genetico di cui è portatore. Il concetto di selezione naturale, pertanto, va interpretato come presenza di varianti genetiche che aumentano la fitness riproduttiva del soggetto, incrementando le possibilità di essere trasmesse alle nuove generazioni. Possiamo identificare due tipi di selezione naturale: 1) la selezione positiva (Darwiniana), che prevede l’aumento nella popolazione di varianti geniche che aumentano la fitness riproduttiva; 2) la selezione di purificazione, che prevede la morte o la ridotta fitness riproduttiva dei portatori di varianti svantaggiose, che pertanto si riducono o scompaiono nella popolazione. 12 L’uomo tra geni e ambiente G ua ra ld i La selezione positiva e quella di purificazione, peraltro, non agiscono direttamente sui geni, ma sulle caratteristiche fisiche, biochimiche o comportamentali che derivano da uno specifico assetto genico. In altre parole, diversi assetti genici producono diverse caratteristiche individuali (“fenotipi”) che si riveleranno essere più o meno adatti a permettere la riproduzione e la sopravvivenza in un dato ambiente. Le caratteristiche positive e i geni che le determinano verranno trasmesse di generazione in generazione, mentre quelle negative si estingueranno, facendo scomparire gli assetti genetici che le producono. Ognuno di noi, pertanto, è stato generato e vive perché nella sua specie, nel suo gruppo etnico, nella sua famiglia, sono state selezionate nei millenni varianti geniche che favorivano la riproduzione. Nel corso di questi millenni, il genoma umano è stato sottoposto a forti pressioni ambientali, ed ha dovuto sviluppare una capacità di adattamento che gli permettesse di sopravvivere in ambienti che mutavano; ma mentre per lungo tempo i cambiamenti ambientali erano solo legati allo spostamento dell’uomo da una regione geografica all’altra, negli ultimi secoli l’attività umana ha determinato 13 Liborio Stuppia G ua ra ld i il fatto che l’ambiente di una stessa area geografica possa mutare a velocità vertiginosa. L’industrializzazione ha portato al fenomeno dell’inquinamento dell’aria e delle acque, mutando profondamente l’ambiente in cui gli individui si trovano a vivere. L’ambiente ostile contro il quale i nostri geni hanno dovuto combattere per non soccombere e potersi trasmettere, pertanto, altro non è che il nostro pianeta, la Terra, con le sue variabilità naturali e quelle indotte dall’uomo. Su questo pianeta, nel corso dei millenni, i nostri antenati, spinti da diversi tipi di necessità, si sono progressivamente spostati, in un lento ma continuo movimento, che li ha portati a scoprire, spesso a loro spese, che la Terra non è un ambiente sempre uguale a se stesso… 14 La lunga marcia dell’uomo G ua ra ld i La maggior parte delle differenze somatiche tra gli uomini sono tipiche delle regioni geografiche da cui questi uomini provengono. Tutti sappiamo che le popolazioni dell’Africa sono prevalentemente scure di pelle, a differenza di quelle europee o asiatiche. Il colore scuro della pelle nelle popolazioni umane è fortemente legato alla latitudine da cui queste popolazioni derivano, essendo fortemente rappresentato, oltre che in Africa, anche in Australia e nella parte settentrionale dell’America del Sud. Sappiamo anche che esiste un alto numero di individui di pelle nera nell’America del Nord, ma che questo deriva, come vedremo in seguito, dalla immigrazione forzata di milioni di africani in America a seguito del commercio degli schiavi. L’immigrazione, stavolta spontanea, spiega anche la presenza di un numero progressivamente maggiore di individui di pelle scura in Europa. Gli uomini, dunque, si spostano, volontariamente 15 Liborio Stuppia G ua ra ld i o quando costretti, e spostandosi portano con sé delle caratteristiche morfologiche e genetiche che vengono messe alla prova dal nuovo ambiente in cui si trovano a vivere. Questo fenomeno è mirabilmente descritto da Luca Cavalli Sforza nel suo testo “Geni, popoli e lingue”, laddove afferma: “L’espansione moderna dell’uomo dall’Africa agli altri quattro continenti ha comportato un adattamento alle condizioni ecologiche, soprattutto di clima, molto diverse da quelle del continente di origine (a eccezione della Australia e di altre regioni tropicali). L’adattamento è stato sia culturale sia biologico”1. L’uomo moderno, quindi, nasce in Africa, ed è scuro di pelle. Successivamente, i discendenti di questi primi uomini si spostano dall’Africa, muovendosi in parte verso il Nord Europa, in parte verso le regioni orientali dell’Asia. Durante questa lunga marcia, però, i loro tratti somatici mutano. Man mano che ci si sposta al nord o verso oriente, la pelle si schiarisce, i capelli e gli occhi nel Nord Europa diventano anche essi chiari, in 1. Luca Cavalli Sforza: “Geni, popoli e lingue”. Piccola Biblioteca Adelphi, 1996. 16 L’uomo tra geni e ambiente G ua ra ld i oriente la forma degli occhi assume un taglio più lungo e obliquo (è stato ipotizzato che tale taglio degli occhi abbia rappresentato un vantaggio per i portatori in quanto capace di proteggere gli occhi dal vento freddo e dal riflesso accecante della neve durante le migrazioni che hanno attraversato le gelide pianure siberiane). Da cosa deriva questa metamorfosi? Per anni ci è stato spiegato che il colore scuro della pelle è vantaggioso in quanto protettivo nelle regioni in cui il sole batte più forte. Vero, sicuramente, ma attraverso quale meccanismo? Si è ipotizzato che la pelle scura proteggesse dalle lesioni della pelle e dai tumori causati dal sole. Si è anche supposto che il colore scuro permettesse una migliore mimetizzazione durante la caccia. L’ipotesi scientificamente più verosimile, tuttavia, è un’altra. La pelle scura funge da filtro contro i danni indotti dai raggi uv ai folati, in particolare all’acido folico2. L’acido folico è una vitamina (vitamina B9) la cui carenza è responsabile di importanti deficit della capacità 2. David C. Borradale, Michael G. Kimlin: “Folate degradation due to ultraviolet radiation: possible implications for human health and nutrition”. Nutrition Reviews, 70: 414-422, 2012. 17