Edipo a Colono 1952. Foto A. Maltese. Archivio INDA I saggi Luciano Canfora Università di Bari I drammi postumi di Sofocle e di Euripide 1. Il rilievo dell’epigrafe di Eleusi (a) è dato dalla presenza di due coreghi (sugcorhg…a). È una anomalia verificatasi, a stare alla puntuale notizia aristotelica ([b] = fr. 630 Rose), unicamente nell’anno 406/5 (arcontato di Calila) e alle Dionisie. La suddivisione del peso economico della coregia è infatti un provvedimento che si spiega con le difficoltà dell’economia di guerra nel momento più duro della guerra (tra le Arginuse ed Egospotami, quando, tra l’altro, l’intensificarsi della guerra navale costringeva Atene al continuo reintegro delle unità della flotta: operazione costosa e gravante anch’essa, come la coregia, sui ricchi). [Per gli agoni lenaici ci saranno state altre forme di agevolazioni: non, a quel che pare, il permesso di una coregia in comune, dato che lo scolio cui dobbiamo il frammento aristotelico (b) sembra distinguere: per un verso dà la notizia della synchoregìa alle Dionisie, per l’altro soggiunge che «forse ci fu una forma di agevolazione anche per l’agone lenaico»]. Dovette essere un provvedimento davvero eccezionale, dal momento che in altre situazioni difficili - per esempio al tempo della «guerra sociale» (357355) - si preferì coinvolgere più tribù nell’ambito, però, pur sempre di un’unica coregia (Demostene, Contro la legge di Leptine, 28). L’epigrafe che onora i due «sincoreghi» è stata trovata ad Eleusi. E ciò ha fatto pensare che i due fossero del demo di Eleusi: ciò è confermato, per Gnathis, un cui omonimo discendente è onorato come corego ad Eleusi dai concittadini in un’altra epigrafe eleusina (IG II2 1186). Che due cittadini i quali si accollano la stessa «liturgia» [leitourg…a è un servizio, comportante una forte spesa, reso allo Stato (trierarchie, coregie ecc.)] siano dello stesso demo è cosa molto plausibile. Meno probabile è che il testo epigrafico si riferisca a rappresentazioni tenute in Eleusi, ad una di quelle repliche "provinciali" che in tempi normali si svolgevano in vari demi. Nel momento in cui per le Dionisie si ricorreva alla collaborazione di due coreghi immaginare una proliferazione di coregie in vista di repliche nei teatri "di provincia" è poco convincente. Con gli Spartani accampati a Decelea, i Tebani a Enoe, e l’Attica costantemente esposta alla pressione militare del nemico, in un anno così duro per le finanze statali e per i possidenti (la tradizione biografica parla della rovina economica del padre di Isocrate, che era un industriale, appunto per i contributi che dovette dare alle spese di guerra), è altamente improbabile che ci fosse l’agio di dare il via anche ad agoni teatrali "provinciali"; per giunta in un momento dell’anno – l’inizio dell’estate [nei teatri ‘di provincia’ è da presumere che si dessero repliche dei drammi nuovi presentati agli agoni maggiori] – particolarmente propizio alle operazioni militari, ed in un demo, Eleusi, particolarmente esposto alle incursioni nemiche, posto tra Megara, Enoe e Decelea: talmente esposto ai pericoli «a causa della guerra», che persino le processioni dei misteri le facevano prudentemente per mare (Senofonte, Elleniche, I, 4, 20). I due «sincoreghi» del 405, che si fanno onorare nel proprio demo con questa lapide (a), hanno sostenuto le spese per due grandi autori di successo: Aristofane e Sofocle. Di Aristofane è nota la vittoria alle Lenee del 405 con le Rane (Argomento II, e). Non è escluso però, anzi è probabile, che le Rane siano state ripresentate, e con successo, anche alle Dionisie dello stesso anno. A tale replica immediata si riferiva probabilmente Dicearco, lo scolaro di Aristotele e studioso di teatro attico, quando scriveva, secondo quel che si legge nell’Argomento delle Rane (e): «Tale fu l’apprezzamento per questo dramma, a causa della parabasi, che fu rimesso in scena» (fr. 84 Wehrli2). La notizia di Dicearco è preziosa. La parabasi delle Rane è infatti un appello alla pacificazione civile ed alla riabilitazione degli àtimoi, tenuti ancora, dopo sei anni, in condizione di minorità politica per aver prestato servizio sotto i Quattrocento (411 a.C.): «Io dico che non ci debbono essere più àtimoi in città», proclama Aristofane nella serissima parabasi (v. 692), appassionato appello di grande efficacia, largamente dedicato a questa richiesta. Dell’Argomento delle Rane vi è anche una redazione dovuta a Tommaso Magistro (d), lo studioso vissuto tra il 1275 e il 1346, esperto di teatro attico e maestro di Demetrio Triclinio, nella quale la citazione da Dicearco si presenta in forma più ampia ed il riferimento al contenuto politico della parabasi è esplicito: «A tal punto fu apprezzato [il dramma] a causa della parabasi, nella quale cerca di riconciliare éntimoi e àtimoi, cittadini ed esuli, che fu rimesso in scena, come dice Dicearco» (Wehrli, editore di Dicearco, preferisce questa parafrasi). È evidente che la richiesta di amnistia avanzata da Aristofane dev’essere stata apprezzata. Pochi mesi dopo, nell’estate, persa l’intera flotta, gli Ateniesi varavano, su iniziativa di Patrocleide (Andocide, Sui misteri, 77), appunto la riabilitazione degli àtimoi, nello sforzo di garantirsi il massimo di coesione civica nel momento del più grave pericolo [perciò non ha senso la modifica kat£basin (= la scena della discesa di Dioniso e Xantia nell’Ade) in luogo di par£basin proposta da Henri Weil nel testo dell’Argomento]. Per tutte queste ragioni, l’ipotesi più plausibile è che la replica delle Rane, proprio perché dovuta all’attualissimo contenuto della parabasi, sia avvenuta poco dopo la prima rappresentazione: e dunque con tutta probabilità – come opinarono i più tra gli studiosi, dal Droysen al Fraenkel – alle Dionisie subito successive (marzo-aprile del 405). È facile arguire che ben poco dovettero impegnarsi Gnathis e Anaxandrides per sostenere le spese di questa replica (il coro sarà stato il medesimo di due mesi prima). Evidentemente è a questa replica che si riferisce l’epigrafe quando attribuisce ai due «sincoreghi» il merito di aver contribuito alla vittoria di Aristofane [il quale può aver figurato come didascalo nella replica alle Dionisie; alle Lenee il didascalo delle Rane era stato Filonide]. 2. Essi portarono alla vittoria anche Sofocle. Vittoria postuma, giacché le Rane (Lenee 405) già presentano Sofocle nell’Ade [la presenza di Sofocle nell’Ade è, nelle Rane, un aggiustamento dell’ultimo momento: la morte del tragediografo dev’essere sopraggiunta quando tutto era ormai pronto, e non si poteva non tenerne conto in una commedia incentrata sul recupero di poeti tragici dall’Ade]. Sofocle è morto quando erano in via di allestimento (o forse erano già quasi pronti) i drammi da lui destinati agli agoni del 405. Come vedremo, tra di essi vi era anche l’Edipo a Colono. Che del resto Sofocle, ormai novantenne, attendesse fino all’ultimo all’allestimento di una tragedia risultata poi vincitrice, è notizia ben documentata nelle fonti. A cominciare dal bene informato Diodoro (f), il quale – rifacendosi, pare, ad Apollodoro di Atene – dà notizia, nell’anno 406/5, della morte di Sofocle, e precisa che il tragediografo morì, appena presentata la sua «ultima tragedia», «per la straordinaria gioia di aver vinto» (XIII, 103, 4) [con qualche ricamo in più la notizia ricorre anche in Valerio Massimo (IX, 12, ext. 5) e Plinio (Nat. Hist., VII, 180)]. La notizia va lievemente rettificata: Sofocle non poté assistere agli agoni del 405 (dato che in una commedia presentata a quegli agoni, le Rane, figura già nell’Ade); dunque non ha assistito alla vittoria della sua «ultima tragedia». Che sia «morto di gioia» è l’elemento leggendario «Sofocle non potè assistere agli agoni del 405; dunque non ha assistito alla vittoria della sua ultima tragedia» costruito sul dato della rappresentazione avvenuta quasi in articulo mortis. Dunque negli agoni tragici del 405 (alle Dionisie, se si tien conto del fr. 630 di Aristotele), venne rappresentata, col sostegno di Gnathis e Anaxandrides «sincoreghi», una trilogia di Sofocle, o, come si esprime Diodoro, «la sua ultima tragedia». Non si può che pensare all’Edipo a Colono (lo suggerisce anche l’espressione «la sua ultima tragedia»). La conferma viene da un celebre passo del Cato maior di Cicerone (g), secondo cui l’Edipo a Colono era la tragedia che Sofocle, vecchissimo e trascinato in tribunale dai figli che tentavano di interdirlo, «in manibus habebat» (§ 22). E infatti dell’Edipo a Colono sappiamo dall’Argomento II che fu messo in scena postumo dal nipote di Sofocle, Sofocle il Giovane (e). [L’aneddoto della tentata interdizione si ritrova in varie fonti, tra cui Plutarco (Se si addica al vecchio far politica, 3 = Moralia, 785A). È stata riconosciuta una fonte comune a Cicerone e Plutarco, di origine peripatetica (Wuilleumier, edizione «Belles Lettres» del Cato Maior, Paris 1961, p. 50). È degno di nota che alla base dell’importante notizia possa trovarsi erudizione peripatetica]. Ma l’Argomento II dell’Edipo a Colono dà anche una indicazione cronologica («sotto l’arcontato di Micone» [= 402/1]) che sembra in contrasto con tale conclusione. Ecco la notizia: «L’Edipo a Colono lo mise in scena, dopo la morte del nonno, il nipote Sofocle, sotto l’arcontato di Micone [la forma del nome è invece Micione in Diodoro (XVI, 17). Micone anche nel Marmor Parium (§ 65)], il quale è il quarto arconte a partire da Callia [406/5], durante il cui arcontato i più dicono che Sofocle sia morto». Dice «quarto» e non quinto, perché omette, nel computo, Pitodoro, secondo il costume attico di saltare l’arconte eletto durante il governo dei Trenta [Senofonte, Elleniche, II, 3, 1: «Gli Ateniesi non ne fanno il nome perché fu eletto durante l’oligarchia, ma chiamano l’anno anarchia»; così designa infatti il 404/3 il cronografo di Diodoro (XIV, 3, 1)]. Ciò denota la provenienza della notizia da una fonte attica (forse attidografica). Quale data preferire? Tra il documento epigrafico e la notizia di possibile origine attidografica dovrebbe prevalere il primo. Oltre tutto, la scrittura dell’epigrafe è quella in uso prima della riforma dell’alfabeto introdotta sotto l’arcontato di Euclide [403/2] (Köhler, commento ad IG II1 1280 b). Ciò porta ad escludere la data del 401: una epigrafe che dev’essere anteriore al 403 non può dar notizia di una vittoria del 401. Dall’Argomento (e) si apprende, tra l’altro, che fu Sofocle il Giovane a mettere in scena l’Edipo a Colono: dunque il Sofocle che ™d…dasken nel 405 (come si esprime l’epigrafe in onore di Gnathis e Anaxandrides) sarà appunto il nipote. È del resto alquanto inverosimile che gli eredi di Sofocle si siano tenuti in serbo per anni delle tragedie del grande congiunto, bell’e pronte, senza portarle in teatro. Non solo. Poiché non ci sono ragioni per respingere la notizia secondo cui Sofocle ha lavorato sino all’ultimo intorno a tragedie da portare in scena (Cicerone, tradizione diodorea), non si vede cosa mai potrebbe essere stato rappresentato di lui negli agoni del 405 se proprio l’Edipo a Colono (che «in manibus habebat et proxime scripserat») fu riservato, dagli eredi, agli agoni del 401. Ed è difficile, d’altra parte, pensare che il novantenne Sofocle avesse pronte non solo le tragedie per gli agoni del 405 ma anche, in numero sufficiente, per altri agoni. La conclusione più sensata è che l’Edipo a Colono sia andato in scena, con il sostegno coregico di Gnathis e Anaxandrides, appunto nel 405. (Il legame con Eleusi del piissimo Sofocle, per una tragedia come l’Edipo a Colono, che celebra un culto locale dell’Attica, sembra molto plausibile). Quella dell’arcontato di Micone (o Micione) sarà stata una replica. 3. Postuma è anche l’ultima delle ben poche (cinque in tutto) vittorie di Euripide (Suda, voce Euripide [h]): «La quinta vittoria la ottenne dopo la morte: il dramma lo presentò suo nipote Euripide». Lo scolio al v. 67 delle Rane (i) precisa: «Le didascalie riferiscono che, morto Euripide, suo figlio, che si chiamava anche lui Euripide, presentò alle Dionisie (™n ¥stei) Ifigenia in Aulide, Alcmeone, Baccanti». Poiché neanche nel caso di Euripide si ritiene pensabile che avesse scorte di tragedie tali da consentirgli di essere presente ad una serie di agoni postumi, si è concordi nel ritenere che le tre tragedie presentate postume, di cui parla lo scolio, siano appunto quelle che ottennero la vittoria postuma ricordata dalla Suda. [È irrilevante, qui, l’oscillazione figlio/nipote presente nelle fonti]. Ma in quale anno? Difficilmente saranno le Dionisie del 406, giacché Euripide è morto lontano da Atene poco prima di quegli agoni (Sofocle si veste a lutto, all’improvvisa notizia di quella morte, nel «proagone» che precede di pochi giorni le Dionisie del 406 [Vita anonima di Euripide = Testimonio 54 Radt dei Fragmenta Sophoclis]: e non può trattarsi che delle Dionisie del 406, dato che Euripide è morto nell’anno di Antigene [dal giugno 407 al giugno 406: Marmor Parium, § 63]). Euripide è morto in Macedonia, dove si era ritirato da tempo, abbandonata la scena ateniese; ed è chiaro che Euripide il Giovane non poteva intromettersi con tragedie postume dell’illustre congiunto in un agone (le Dionisie del 406) per il quale erano già da tempo al lavoro i concorrenti ammessi al concorso dall’arconte al principio dell’anno. Se dunque le Dionisie del 406 sono da escludere, lo sono anche quelle del 405, alle quali – come s’è ora visto – risultò vincitore Sofocle. Nella primavera del 404 non vi furono agoni (le Dionisie si sarebbero dovute celebrare nel marzo-aprile, mentre Atene capitolava per fame). Se ne ricava che dunque la trilogia euripidea messa in scena da Euripide il Giovane dovette risultare vincitrice nelle Dionisie del 403, celebrate sotto il governo dei Dieci, subentrati ai Trenta dopo la morte di Crizia e la sconfitta degli oligarchi a Munichia. Questa conclusione, in sé plausibile, è coerente con vari altri dati. Un successo postumo di Euripide negli stessi agoni del 405 in cui trionfavano le Rane, commedia quanto altre mai distruttiva nei confronti di Euripide, è difficile da immaginare. Mettere in scena drammi di Euripide, da tempo lontano e in rotta col pubblico ateniese (tra l’altro trovare i coreghi, ecc.), era assai meno facile che mettere in scena – come fece Sofocle il Giovane nelle Dionisie del 405, all’indomani della morte del nonno – drammi, peraltro già in lizza, del drammaturgo prediletto dal pubblico. Se, come pare, la rappresentazione postuma e vincente degli ultimi drammi di Euripide ha avuto luogo davvero sotto l’oligarchia, questo è, per concludere, uno dei tratti significativi della produzione drammaturgica euripidea: risultare accetta agli spregiatori e critici dell’Atene democratica. Testimoni a) IG Il/III2 3090 (Eleusi, Museo), ed. J. Kirchner b) Aristotele, fr. 630 Rose c) Argomento II delle Rane d) Redazione di Tommaso Magistro dell'Argomento delle Rane e) Argomento dell'Edipo a Colono f) Diodoro XIII, 103 g) Cicerone, Cato maior, 22 h) Suda, voce Euripide i) Scolio ad Aristofane, Rane, 67 Edipo a Colono 1936. Il Coro di Eumenidi. Archivio INDA