Logica e linguaggio: metateoria

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Teoria della logica del prim’ordine
Capitolo 1
1.1
Linguaggio formale
Il termine ‘linguaggio’ è generalmente usato per designare un insieme organizzato di espressioni dotate di significato che permette agli uomini di
comunicare tra loro. Le lingue naturali, come l’italiano, sono linguaggi in
questo senso. Le proprietà di una lingua naturale - i significati associati
alle sue espressioni e le regole per combinarle - sono fissate da convenzioni che derivano dal modo in cui la lingua stessa è usata nella comunità di
appartenenza. Ma il termine ‘linguaggio’ può anche essere usato in senso
diverso, per designare una lingua artificiale costruita per mezzo di stipulazioni. Un linguaggio formale è una lingua di questo tipo. Le proprietà di un
linguaggio formale non sono il risultato di un uso preesistente, ma dipendono
interamente dalle stipulazioni sulla base delle quali il linguaggio è costruito.
Un esempio di linguaggio formale che è noto a chiunque abbia un minimo di familiarità con la logica è il linguaggio della logica enunciativa. La
logica enunciativa verte su ragionamenti che dipendono da espressioni come
‘non’ o ‘se...allora...’, cioè espressioni che permettono di formare enunciati a
partire da altri enunciati. Un enunciato di una lingua naturale è una frase
dichiarativa di senso compiuto che si conforma alle regole grammaticali della
lingua. Ad esempio, ‘Se la neve è bianca allora il mare è blu’ è un enunciato
italiano, e lo stesso vale per ‘La neve è bianca’, che figura al suo interno.
Il linguaggio della logica enunciativa è costruito per stipulazione, introducendo simboli mediante i quali si intende rappresentare la forma logica degli
enunciati composti di una lingua naturale. Ad esempio, ∼ e ⊃ stanno per
‘non’ e ‘se...allora...’.
Un linguaggio formale può essere definito in modo preciso prima delimitando l’insieme delle espressioni che gli appartengono, poi specificando un
insieme di significati per queste espressioni. Per delimitare un insieme di
espressioni si fornisce un vocabolario, cioè una lista di simboli, e una serie
di regole di formazione, cioè di regole che determinano quali sequenze di
simboli del vocabolario sono formule. Nel caso del linguaggio della logica
enunciativa, ad esempio, il vocabolario è costituito dalle variabili enuncia-
1
tive, p, q..., e dai connettivi enunciativi, ∼, ⊃ .... Le regole di formazione
permettono di costruire formule, come ∼ p o p ⊃ q, a partire dai simboli del
vocabolario.
Per attribuire un significato alle espressioni di un linguaggio formale si
specifica un insieme di interpretazioni. Un’interpretazione è un’assegnazione
di significati alle formule del linguaggio congegnata in modo tale che almeno
alcune formule risultino avere un valore di verità. In base al principio di
bivalenza, che costituisce un’assunzione di fondo della logica classica, ci sono
due valori di verità reciprocamente esclusivi e unitamente esaustivi: Vero e
Falso. Questi due valori saranno indicati con 1 e 0.
Un’interpretazione è detta modello di una formula quando la formula è
vera nell’interpretazione. Analogamente, un’interpretazione è detta modello
di un insieme di formule quando tutte le formule dell’insieme sono vere
nell’interpretazione.
Un linguaggio formale è dunque una lingua artificiale costruita per stipulazione nel modo che si è detto. D’ora in poi si userà ‘linguaggio’ come
sinonimo di ‘linguaggio formale’ in questo senso.
Nota 1. Spesso si parla di ‘formule ben formate’ invece che di formule,
usando la qualificazione ‘ben formata’ per distinguere una sequenza di simboli che soddisfa le regole di formazione da una sequenza di simboli qualsiasi.
Per abbreviare ‘formula ben formata’, che risulta un po’ ingombrante, si usa
normalmente la sigla ‘fbf’. La scelta terminologica qui adottata sottintende
la stessa distinzione, in quanto ‘formula’ si applica solo a sequenze di simboli
che soddisfano le regole di formazione. In questo modo si evita di introdurre
un’espressione più lunga per poi doverla abbreviare.
Nota 2. Il termine ‘modello’ è talvolta usato come sinonimo di ‘interpretazione’ invece che nel senso più ristretto chiarito sopra.
Esercizio 1
Sia L* un linguaggio tale che: (i) i simboli L* sono a e b, (ii) ogni formula di
L* è costituita da due simboli in successione, (iii) un’interpretazione di L*
è un’assegnazione di 1 alle formule che iniziano con a e di 0 o 1 alle altre. Il
simbolo a è una formula di L*?
Esercizio 2
bb è una formula di L*?
Esercizio 3
Un’assegnazione di 1 a tutte le formule di L* è un’interpretazione di L*?
Esercizio 4
2
Esistono interpretazioni di L* che non sono modelli di aa?
1.2
Sistema formale
Un sistema formale è costituito da un linguaggio e da un apparato deduttivo
per quel linguaggio. Un apparato deduttivo per un linguaggio L può essere
definito per mezzo di due tipi di stipulazione, ciascuno dei quali prescinde
da qualsiasi riferimento a interpretazioni di L. In un caso si stabilisce che
certe formule di L sono assiomi, nell’altro si specificano regole di inferenza,
cioè regole che fissano alcune relazioni tra formule di L come relazioni di
conseguenza diretta. I due tipi di stipulazione non si escludono a vicenda: un
apparato deduttivo può contenere solo assiomi, solo regole di inferenza o sia
assiomi sia regole di inferenza. Normalmente si prendono in considerazione
sistemi formali con almeno una regola di inferenza. Quindi d’ora in poi si
userà il termine ‘sistema’ per indicare un sistema formale di questo genere.
Dato un sistema S dotato di assiomi, una dimostrazione in S di una
formula α è una sequenza di n formule, per n > 0, che termina con α e
tale che ciascuna delle formule o è un assioma o è conseguenza diretta di
altre formule che la precedono. Una sequenza può essere definita come una
successione di oggetti. Questi oggetti sono chiamati termini della sequenza.
Due sequenze sono la stessa sequenza se hanno lo stesso numero di termini
e il primo termine della prima è lo stesso del primo termine della seconda,
il secondo termine della prima è lo stesso del secondo termine della seconda
e cosı̀ via.
Una derivazione in S di una formula α da un insieme di formule Γ è una
sequenza di n formule, per n > 0, che termina con α e tale che ciascuna delle
formule o è un assioma (nel caso in cui S includa assiomi) o è conseguenza
diretta di altre formule che la precedono o fa parte di Γ. Le formule in Γ
sono le assunzioni a partire dalle quali α è derivata.
Dalle definizioni di dimostrazione e derivazione risulta che una dimostrazione di α è ipso facto una derivazione di α da un insieme qualsiasi Γ di
assunzioni. Al contrario, una derivazione di α da un insieme Γ non è una dimostrazione di α, a meno che Γ sia vuoto o nessuna delle formule in Γ figuri
nella derivazione. In una dimostrazione ciascuna formula risulta giustificata
in virtù del solo apparato deduttivo del sistema, senza assunzioni ulteriori.
Esercizio 5
Sia S* un sistema basato su L* che ha come assiomi aa e ab. La sequenza
che contiene la sola formula aa è una dimostrazione in S*?
Esercizio 6
La sequenza che contiene la sola formula aa è una derivazione in S*?
3
1.3
Sintassi e semantica
Le proprietà sintattiche di un linguaggio sono le proprietà che il linguaggio
possiede indipendentemente dal fatto che certi significati siano assegnati ai
simboli o alle formule che lo costituiscono. Solitamente si parla di “sintassi” di un linguaggio per indicare l’insieme delle proprietà sintattiche che lo
caratterizzano.
Le proprietà semantiche di un linguaggio, invece, sono le proprietà che
il linguaggio possiede in quanto certi significati sono assegnati ai simboli
o alle formule che lo costituiscono. Solitamente si parla di “semantica”
di un linguaggio per indicare l’insieme delle proprietà semantiche che lo
caratterizzano.
La distinzione tra sintassi e semantica vale anche per i sistemi. Le proprietà sintattiche di un sistema sono le proprietà sintattiche del suo linguaggio e le proprietà caratteristiche del suo apparato deduttivo. Le proprietà semantiche di un sistema sono invece quelle che dipendono dall’interpretazione
del suo linguaggio.
Le proprietà sintattiche fondamentali di un sistema S riguardano le dimostrazioni e le derivazioni che S permette di formulare. Se in S si può
costruire una dimostrazione di α, si dice che α è dimostrabile in S. In questo
caso α è un teorema di S. Allo stesso modo, se in S si può costruire una
derivazione di α da Γ, si dice che α è derivabile da Γ in S.
Le proprietà semantiche fondamentali di un sistema dipendono dalla
verità o falsità delle formule del suo linguaggio nelle varie interpretazioni.
Se ogni interpretazione è modello di α si dice che α è valida. Se ogni modello
di Γ è modello di α, si dice che α è conseguenza logica di Γ.
I sistemi sono architettati in modo tale da rappresentare in termini formali verità logiche e ragionamenti logicamente corretti. Le definizioni di
dimostrabilità e derivabilità permettono di caratterizzare in modo sintattico
un insieme di verità logiche e di ragionamenti logicamente corretti. Invece,
le definizioni di validità e di conseguenza logica permettono di caratterizzare
in modo semantico un insieme di verità logiche e di ragionamenti logicamente corretti.
Esercizio 7
Una dimostrazione può contenere una formula che non è un teorema?
Esercizio 8
In L* non ci sono formule costituite da tre simboli. Questa è una proprietà
sintattica o una proprietà semantica di L*?
Esercizio 9
In S* la formula aa è un assioma. Questa è una proprietà sintattica o una
proprietà semantica di S*?
4
Esercizio 10
aa è valida?
Esercizio 11
aa è conseguenza logica di bb?
1.4
Alcune distinzioni fondamentali
La teoria che si occupa dei sistemi di logica - o teoria della logica - è formulata
per mezzo di espressioni, come qualsiasi teoria. A differenza di altre teorie,
però, la teoria della logica è costituita almeno in parte da proposizioni che
vertono su questo o quel linguaggio. Quindi è opportuno distinguere tra il
linguaggio su cui verte la teoria, il linguaggio oggetto, dal linguaggio in cui è
formulata la teoria, il metalinguaggio. Se la teoria è formulata per mezzo di
espressioni italiane, come nel nostro caso, e verte su un sistema S che si basa
su un linguaggio L, allora il linguaggio oggetto è L, mentre il metalinguaggio
è una versione opportunamente modificata dell’italiano.
Analoga alla distinzione tra linguaggio oggetto e metalinguaggio è la distinzione tra dimostrazione in un sistema e dimostrazione su un sistema.
Dato un sistema S oggetto della teoria, una dimostrazione in S è una sequenza di formule del linguaggio di S - il linguaggio oggetto - che soddisfa
certi requisiti sintattici fissati dalla definizione di dimostrazione in S. Una
dimostrazione su S, invece, è un ragionamento corretto formulato nel metalinguaggio che ha come conclusione una proposizione che verte su S. Una
distinzione analoga è quella tra teorema di un sistema e teorema su un sistema. Un teorema di S è una formula del linguaggio di S dimostrabile in S.
Un teorema su S, invece, è una proposizione su S dimostrabile nella teoria
che verte su S.
Quando si dice che il metalinguaggio è una versione opportunamente
modificata dell’italiano si indende dire che nel metalinguaggio si adottano
abbreviazioni e simboli supplementari che non fanno parte dell’italiano. Una
convenzione che si adotterà per risparmiare tempo e inchiostro riguarda l’espressione ‘se e solo se’, che indica condizioni necessarie e sufficienti. Questa
espressione sarà abbreviata con ‘sse’.
Un’altra convenzione riguarda il modo di riferirsi a espressioni del linguaggio oggetto. Siccome il metalinguaggio è usato per parlare del linguaggio oggetto, le espressioni del linguaggio oggetto compaiono nel metalinguaggio. Queste espressioni non sono usate nel metalinguaggio ma menzionate.
La distinzione tra uso e menzione può essere chiarita con il seguente esempio. Nell’enunciato che segue, la parola ‘gatto’ è menzionata:
‘Gatto’ è una parola di cinque lettere
5
Aggiungendo le virgolette alla parola si crea un termine che si riferisce alla
parola stessa. Nell’enunciato che segue, invece, la parola ‘gatto’ è usata:
C’è un gatto sul tappeto
Non sempre, però, è necessario usare le virgolette per chiarire che un’espressione è menzionata. Ad esempio, invece di scrivere
‘∼’ è un connettivo
si può scrivere
∼ è un connettivo
La convenzione che si adotterà qui consiste nel trattare ogni simbolo del linguaggio oggetto come abbreviazione di un termine che si riferisce al simbolo
stesso.
Nota 1. La teoria dei sistemi di logica è chiamata anche “metateoria” della
logica. Analogamente, si può chiamare “metateorema” un teorema su un
sistema, per distinguerlo da un teorema del sistema. Qui si farà a meno del
prefisso ‘meta’, assumendo che la distinzione sia sufficientemente chiara.
Esercizio 12
Se si dimostra che ogni assioma di S* è una formula valida, si ottiene un
teorema di S* o un teorema su S*?
1.5
Simboli e nozioni di teoria degli insiemi
Buona parte dei termini e dei simboli supplementari adottati nel linguaggio
della teoria della logica fanno parte del linguaggio della teoria degli insiemi.
La nozione che la teoria degli insiemi assume come primitiva è appunto
quella di insieme, una collezione qualsiasi di oggetti che può essere pensata
a sua volta come un oggetto. Gli oggetti che costituiscono un insieme sono
i suoi elementi. La notazione
t∈A
indica che t è un elemento di A. Invece di dire che t è un elemento di A si
può dire che t appartiene ad A, o che A contiene t. Per dire che t non è un
elemento di A si usa la notazione
t∈
/A
6
L’identità di un insieme è determinata dai suoi elementi. Se per ogni oggetto
x, x ∈ A sse x ∈ B, allora A = B. Non ci possono essere insiemi diversi
i cui elementi siano gli stessi. Ovviamente vale anche l’inverso: se A = B,
allora per ogni x, x ∈ A sse x ∈ B.
Un insieme può essere rappresentato elencando i suoi elementi tra parentesi graffe. Data una collezione di oggetti x1 , ...xn , si indica con {x1 , ...xn }
l’insieme che contiene esattamente quegli oggetti. Siccome ciò che conta
per l’identità di un insieme sono i suoi elementi, l’ordine delle espressioni
all’interno delle parentesi graffe non è rilevante. Ad esempio, {1, 2} e {2, 1}
designano lo stesso insieme.
Un insieme può contenere un numero qualsiasi di elementi. L’insieme
vuoto, che si indica con ∅, è un insieme di 0 elementi, cioè un insieme al
quale nessun oggetto appartiene. Un singoletto, invece, è un insieme che
contiene un unico elemento. Usando la notazione con le parentesi graffe, il
singoletto che contiene un oggetto x come suo unico elemento si indica con
{x}.
Un insieme è finito se ha un numero finito di elementi, cioè se c’è un
numero naturale n tale che l’insieme contiene esattamente n elementi. I
numeri naturali sono 0, 1, 2, 3 e cosı̀ via. Ad esempio, l’insieme {1, 2} è
finito, perché contiene esattamente due elementi. Un insieme è infinito se
non è finito. Ad esempio, l’insieme dei numeri naturali è infinito, perché non
c’è nessun numero naturale n per il quale si può dire che l’insieme contenga
esattamente n elementi. L’insieme dei numeri naturali si indica con ω.
Un insieme infinito è numerabile se i suoi elementi possono essere associati agli elementi di ω in modo tale che ciascuno di essi sia associato a
esattamente un elemento di ω e che ciascun elemento di ω sia associato a
esattamente uno di essi. Quando c’è una relazione di questo tipo tra gli
elementi di un insieme A e gli elementi di un insieme B si dice che A è in
corrispondenza biunivoca con B. Ad esempio, l’insieme dei numeri naturali
pari è numerabile, e lo stesso vale per l’insieme dei numeri naturali dispari.
Infatti, entrambi gli insiemi sono in corrispondenza biunivoca con ω. Un insieme infinito è non numerabile se non è numerabile. Un esempio di insieme
non numerabile è l’insieme dei numeri reali, che comprende
tutti i numeri
√
1
razionali, come 2 , e tutti i numeri irrazionali, come 2.
A è sottoinsieme di B quando tutti gli elementi di A sono elementi di B,
cioè quando per ogni x, se x ∈ A allora x ∈ B. Per dire che A è sottoinsieme
di B si scrive
A⊆B
Invece di dire che A è sottoinsieme di B si può dire che B include A.
L’unione di A e B, che si indica con A ∪ B, è l’insieme di tutti gli oggetti
che sono elementi di A o di B (o di entrambi). Ad esempio, {1, 2, 3} ∪
7
{2, 3, 4} = {1, 2, 3, 4}.
Dati due oggetti x e y, una coppia ordinata hx, yi è un insieme che
contiene esattamente x e y e tale che per due oggetti qualsiasi u e v, hx, yi =
hu, vi sse x = u e y = v. Ad esempio, la coppia ordinata h1, 2i differisce
dall’insieme {1, 2}: mentre {1, 2} è identico a {2, 1}, h1, 2i è diversa da h2, 1i.
In generale, si chiama n-upla un insieme A di n elementi tale che per qualsiasi
altro insieme B di n elementi, il primo elemento di A è identico al primo
elemento di B, il secondo elemento di A è identico al secondo elemento di
B e cosı̀ via. L’idea che sta alla base della definizione di n-upla è quella
di un insieme i cui elementi sono disposti secondo un ordine. Per essere la
stessa n-upla non è sufficiente avere gli stessi elementi. Questi devono essere
disposti secondo lo stesso ordine.
Dato che una sequenza è una successione di oggetti, è un insieme ordinato
esattamente nel senso in cui una n-upla è un insieme ordinato. Una sequenza
di n termini, quindi, non è altro che una n-upla. In generale, dato un insieme
A, una sequenza finita di elementi di A è una sequenza di n termini tale che
ogni termine è un elemento di A. Una sequenza infinita di elementi di A
è invece una sequenza che ha un numero infinito di termini e tale che ogni
termine è un elemento di A. Una enumerazione di un insieme A è una
sequenza finita o numerabile tale che ogni elemento di A è un termine della
sequenza e ogni termine della sequenza è un elemento di A. Ad esempio,
le sequenze h1, 2, 2, 3i e h3, 2, 1i sono entrambe enumerazioni dell’insieme
{1, 2, 3}.
Una relazione binaria è un insieme di coppie ordinate. Un esempio di
relazione binaria è l’insieme delle coppie ordinate hn, mi tali che n = 2m,
come h2, 1i, h4, 2i, h6, 3i e cosı̀ via. Il significato dell’espressione ‘essere il
doppio di’ può essere identificata con questa relazione. Un altro esempio
è l’insieme delle coppie ordinate hn, mi tali che n > m, come h2, 1i, h3, 1i,
h7, 5i e cosı̀ via. Il significato dell’espressione ‘essere maggiore di’ può essere
identificato con questa relazione. Il dominio di una relazione binaria R è
l’insieme degli x tali che hx, yi ∈ R per qualche y. Il codominio di R è
l’insieme degli y tali che hx, yi ∈ R per qualche x. Più in generale, una
relazione n-aria è un insieme di n-uple. Quando si parla di una relazione
n-aria su un insieme A si intende dire che la relazione è un insieme di n-uple
di elementi di A. D’ora in poi si userà il termine ‘relazione’ per designare
una relazione binaria, seguendo un’abitudine consolidata.
Una funzione è una relazione che associa a ogni elemento del dominio
esattamente un elemento del codominio. In altri termini, una funzione F
è una relazione tale che per ogni x nel dominio di F c’è esattamente un y
tale che hx, yi ∈ F . Ad esempio, la relazione che associa a ogni numero
naturale il suo doppio è una funzione, mentre la relazione che associa a ogni
numero naturale un numero maggiore non è una funzione. Gli elementi del
dominio di una funzione F sono chiamati argomenti, mentre gli elementi
del suo codominio sono chiamati valori. Si indica con F (x) il valore che F
8
associa all’argomento x. Una funzione può non avere singoli oggetti come
argomenti. Una funzione a n argomenti, dove n > 1, è una funzione il cui
dominio è un insieme di n-uple.
Una operazione n-aria su un insieme A è una funzione a n argomenti
che associa n-uple di elementi di A a elementi di A. Ad esempio, l’addizione
è un’operazione binaria su ω, poiché è una funzione a due argomenti che
associa coppie di elementi di ω a elementi di ω. Appartengono a questa
funzione coppie ordinate come hh1, 2i, 3i, hh2, 2i, 4i, hh2, 3i, 5i e cosı̀ via.
Esercizio 13
È possibile che un insieme non sia sottoinsieme di se stesso?
Esercizio 14
È possibile che un insieme non includa ∅ come sottoinsieme?
Esercizio 15
Perché ha senso usare l’articolo determinativo quando si parla dell’insieme
vuoto, mentre non ha senso quando si parla di un singoletto?
Esercizio 16
L’insieme degli argomenti di una funzione e il dominio di una funzione sono
la stessa cosa?
Esercizio 17
Un’interpretazione di L* è una funzione. Quali sono i suoi argomenti e i
suoi valori?
Esercizio 18
Sia F una funzione che ha come dominio A e come codominio B. Se si
assume che per ogni x, y ∈ A, se x 6= y allora F (x) 6= F (y), si ottiene che A
è in corrispondenza biunivoca con B. Perché?
Esercizio 19
Se A è in corrispondenza biunivoca con B e B è in corrispondenza biunivoca
con C, A è in corrispondenza biunivoca con C?
9
Soluzioni
1 No.
2 Si.
3 Si.
4 No.
5 Si.
6 Si.
7 No. Data una formula qualsiasi α che figura in una dimostrazione, se α è
un assioma allora è un teorema, perchè la sequenza che contiene solo
α è una dimostrazione di α. Se α consegue da altre formule che la
precedono allora è un teorema, poichè una sequenza che include sia
quelle formule sia α è una dimostrazione di α.
8 Sintattica.
9 Sintattica.
10 Si.
11 Si.
12 Un teorema su S*.
13 No. Dato un insieme A, per nessun x è possibile che x ∈ A e x ∈
/ A.
14 No. Dato un insieme A, per nessun x è possibile che x ∈ ∅ e x ∈
/ A, per
il semplice fatto che non c’è nessun x tale che x ∈ ∅.
15 Esistono tanti singoletti, uno per ogni oggetto distinto, ma un solo insieme vuoto. Supponiamo che A e B siano vuoti. In questo caso A
è sottoinsieme di qualsiasi insieme, e lo stesso vale per B. Quindi,
A ⊆ B e B ⊆ A. Ne consegue che A = B.
16 No. I due insiemi coincidono solo nel caso in cui la funzione sia a un
solo argomento.
17 Gli argomenti sono le formule di L*, i valori sono 1 e 0.
18 Il fatto che F sia una funzione comporta che a ogni elemento di A sia
associato esattamente un elemento di B. Il fatto che F assegni valori
distinti a argomenti distinti comporta che a ogni elemento di B sia
associato esattamente un elemento di A, cioè l’unico argomento al
quale l’elemento di B è assegnato da F come valore.
10
19 Si. Sia x un elemento di A. Sicome A è in corrispondenza biunivoca con
B, x può essere associato a un unico elemento y di B. Ma siccome
B è in corrispondenza biunivoca con C, y può essere associato a un
unico elemento z di C. Quindi, x può essere associato a z come unico
elemento di C. Lo stesso ragionamento vale nella direzione opposta.
11
Capitolo 2
2.1
Il linguaggio L: vocabolario e regole di formazione
Questo capitolo presenta un linguaggio di logica predicativa chiamato L. I
simboli di L sono i seguenti:
∼
⊃
(
)
∀
a, b, c...
x, y, z...
P, Q, R...
f1 , f2 , f3 ...
I simboli ∼ e ⊃ si trovano in qualsiasi linguaggio di logica enunciativa. Lo
stesso vale per ( e ), che servono a comporre i simboli di L in modo non
ambiguo. ∀ è il quantificatore universale. Le lettere minuscole sono o costanti individuali, a, b, c..., o variabili individuali, x, y, z.... Per abbreviare,
le costanti individuali saranno chiamate semplicemente ‘costanti’ e le variabili individuali semplicemente ‘variabili’. Le lettere maiuscole P, Q, R...
sono costanti predicative, ciascuna delle quali ammette un qualche numero
n di posti. Le lettere f1 , f2 , f3 ... sono simboli di funzione, anche in questo
caso ciascuna con un qualche numero n di posti. L’insieme delle costanti è
numerabile. Lo stesso vale per le variabili, le costanti predicative e i simboli
di funzione.
I simboli del vocabolario di un linguaggio di logica predicativa, cosı̀ come
i simboli di un linguaggio di logica enunciativa o di qualsiasi qualsiasi altro
linguaggio, possono essere ripartiti in due categorie, le costanti logiche e le
espressioni non-logiche. Nel caso di L le costanti logiche sono ∼, ⊃, (, ), ∀
e le variabili, mentre le espressioni non-logiche sono le costanti, le costanti
12
predicative e i simboli di funzione.
Le regole di formazione di L richiedono innanzitutto che si definisca
un insieme di termini come il più piccolo insieme che contiene tutte le
costanti, tutte le variabili e tale che se t1 , ...tn appartengono all’insieme,
un simbolo di funzione a n posti seguito da t1 , ...tn appartiene all’insieme.
Successivamente, si definiscono le formule di L.
Definizione 1
1 Se P è una costante predicativa a n posti e t1 , ...tn sono termini, allora
P t1 , ...tn è una formula;
2 se α è una formula, allora ∼ α è una formula;
3 se α e β sono formule, allora α ⊃ β è una formula;
4 se α è una formula e x è una variabile, allora ∀xα è una formula.
D’ora in poi si userà l’espressione ‘Dn’ per indicare la definizione n per qualsiasi n. D1 caratterizza l’insieme delle formule di L per via induttiva. Una
definizione induttiva di un insieme A è una definizione in cui si costruisce
A mediante un procedimento che si articola in due fasi. Per prima cosa
si stabilisce che certi oggetti sono elementi di A. Poi si specificano alcune
operazioni che, applicate a elementi di A, producono elementi di A, cioè tali
che il risultato della loro applicazione a ciascuno degli elementi iniziali di
A, al risultato della loro applicazione a ciascuno degli elementi iniziali di
A e cosı̀ via, è ancora un elemento di A. In questo modo risultano essere
elementi di A gli elementi iniziali più tutti quelli che si ottengono a partire
da essi iterando un numero qualsiasi di volte le operazioni specificate. A è
costruito come il più piccolo insieme contenente gli elementi iniziali e chiuso
sotto le operazioni specificate, cioè tale che se un certo oggetto appartiene
all’insieme, anche il risultato dell’applicazione a quell’oggetto di una delle
operazioni specificate appartiene all’insieme. Una definizione induttiva si
divide quindi in due parti, chiamate base dell’induzione e passo induttivo.
La prima fissa gli elementi iniziali dell’insieme, la seconda specifica le operazioni che permettono di ottenere altri elementi a partire da questi. Un
esempio piuttosto semplice di definizione induttiva è il seguente: (i) 0 è un
numero naturale, (ii) se n è un numero naturale allora n + 1 è un numero
naturale, (iii) nient’altro è un numero naturale. In questo caso l’insieme
definito è ω. La base dell’induzione, (i), stabilisce che 0 è un elemento di
ω. Il passo induttivo, (ii) specifica un’operazione, quella di sommare 1, che
applicata a un elemento qualsiasi di ω dà come risultato un altro elemento
di ω. La clausola (iii) assicura che ω non contenga altri elementi. Il caso delle formule di L è analogo. Gli elementi iniziali dell’insieme sono le
formule introdotte da D1.1, che costituisce la base dell’induzione. Queste
possono essere chiamate formule atomiche, in quanto non sono composte
13
da altre formule. Le operazioni mediante le quali l’insieme delle formule di
L è costruito a partire dalle formule atomiche sono le regole di formazione
specificate in D1.2-D1.4, che costituiscono il passo induttivo. Una clausola
finale analoga a (iii) è data per scontata. D’ora in poi le definizioni induttive
saranno formulate omettendo clausole di questo tipo.
In una formula ∀xα costruita sulla base di D1.4, α costituisce l’ambito del
quantificatore. Ad esempio, nella formula ∀x ∼ P x l’ambito del quantificatore è ∼ P x. Siccome ∀xα è una formula per qualsiasi α, in ∀xα l’ambito del
quantificatore può non contenere x o altre variabili. Ad esempio, ∀x ∼ P y
è una formula, e lo stesso vale per ∀x ∼ P a. Un’occorrenza di una variabile in una formula è vincolata quando la variabile segue direttamente un
quantificatore oppure è nell’ambito di un quantificatore seguito direttamente dalla variabile stessa. Un’occorrenza di una variabile in una formula è
libera altrimenti. Se tutte le occorrenze di una variabile in una formula sono
vincolate, si dice semplicemente che la variabile è vincolata nella formula.
Analogamente, se tutte le occorrenze di una variabile in una formula sono
libere, si dice semplicemente che la variabile è libera nella formula. Cosı̀, in
∀x ∼ P x entrambe le occorrenze di x sono vincolate, quindi x è vincolata
in ∀x ∼ P x. Invece, in ∀x ∼ P y l’occorrenza di y è libera, quindi y è libera
in ∀x ∼ P y.
Una formula che contiene occorrenze libere di variabili è aperta. Una
formula che non è aperta è chiusa. Ad esempio, P x è una formula aperta,
mentre ∀xP x è una formula chiusa. Le formule chiuse si chiamano enunciati,
perché corrispondono a enunciati delle lingue naturali. Un enunciato ∀xα
ottenuto mediante D1.4 aggiungendo ∀x a una formula aperta α è anche
detto chiusura di α.
La distinzione tra aperto e chiuso può essere applicata anche ai termini.
Un termine aperto è un termine che contiene variabili. Un termine chiuso è
un termine che non è aperto. Ad esempio, f1 x è un termine aperto, mentre
a è un termine chiuso.
Nota 1. La definizione induttiva di un insieme A può essere considerata
come una definizione del predicato che si applica a tutti gli elementi di A e
solo agli elementi di A, o della proprietà che appartiene a tutti gli elementi
di A e solo agli elementi di A. Cosı̀, D1 può essere considerata come una definizione del predicato ‘formula di L’, o della proprietà di essere una formula
di L. In questo senso, definire un predicato o una proprietà per induzione
significa fornire una definizione induttiva dell’insieme che contiene esattamente le cose a cui si applica il predicato o che possiedono la proprietà.
Nota 2. La definizione induttiva di un insieme A è costituita da due parti
ciascuna delle quali menziona lo stesso insieme A. Questo conferisce un’apparenza di circolarità alla definizione. Ma si tratta solo di apparenza. Una
14
definizione induttiva può essere trasformata in una definizione non circolare
del tipo consueto. Ad esempio, la definizione di ω fornita sopra può essere
trasformata nella definizione seguente: ω è il più piccolo insieme N tale che
0 ∈ N e se x ∈ N allora x + 1 ∈ N .
Nota 3. I simboli P , t1 , ...tn , α e β che compaiono in D1 sono variabili
metalinguistiche, cioè simboli che variano su simboli di L. Ad esempio, ∼ α
non è una formula di L, ma un’espressione del metalinguaggio che serve per
parlare di tutte le formule di L come ∼ P a, ∼ ∀P x e cosı̀ via. D1.2 potrebbe essere riformulata nel modo seguente: se α è una formula di L, allora
la sequenza di simboli di L che consiste nel simbolo ∼ seguito da α è una
formula di L.
Esercizio 1
Sia A l’insieme di tutte le costanti di L e B l’insieme di tutte le variabili di
L. L’insieme A ∪ B è numerabile?
Esercizio 2
L’insieme dei termini di L è numerabile?
Esercizio 3
Formulare una definizione induttiva di ‘termine di L’.
Esercizio 4
La variabile y è vincolata nella formula ∀xP x ⊃ ∀yP y?
Esercizio 5
Una variabile può essere vincolata in una formula atomica?
2.2
Nozioni semantiche di base
La sintassi di un linguaggio di logica predicativa è più complessa di quella di
un linguaggio di logica enunciativa. In un linguaggio di logica enunciativa le
formule atomiche sono variabili enunciative, e le altre formule sono costruite
a partire da queste per mezzo di connettivi enunciativi. Un linguaggio di logica predicativa è dotato di un apparato simbolico più ricco, che permette di
rappresentare la struttura interna degli enunciati. Questo apparato impone
una maggiore complessità a livello semantico. Nel caso di un linguaggio di
logica enunciativa un’interpretazione consiste in un’assegnazione di valori di
verità alle variabili enunciative, quindi per ottenere una definizione di verità
per il linguaggio è sufficiente indicare il modo in cui le condizioni di verità
delle formule complesse dipendono da quelle delle formule più semplici al
loro interno. Si ottiene cosı̀ una semantica rigorosamente composizionale,
15
cioè tale che il valore di verità di ogni enunciato risulta determinato dai
significati assegnati alle unità sintattiche più semplici a partire dalle quali è
costruito mediante le regole di formazione. Ad esempio, il valore di verità di
p ⊃ q può essere calcolato sulla base del significato di ⊃ e dei valori di verità
assegnati a p e q. Nel caso di un linguaggio di logica predicativa, invece, la
faccenda è più complicata. Le formule atomiche non sono unità sintattiche
alle quali ha senso attribuire valori di verità. P x è una formula atomica di
L, ma non è traducibile con qualche espressione delle lingue naturali alla
quale siamo disposti ad attribuire verità o falsità. Si può dire che ‘Moby
Dick è bianca’ è vero, ma non che ‘x è bianca’ è vero. Di conseguenza, in
questo caso non è possibile specificare le condizioni di verità delle formule complesse in termini di quelle delle formule più semplici al loro interno.
∀xP x è una formula di L alla quale ha senso assegnare un valore di verità: si
può certamente dire che l’enunciato ‘Ogni cosa è bianca’ è falso. Ma l’unica
formula che figura come costituente di ∀xP x è P x, alla quale non ha senso
assegnare un valore di verità.
Alfred Tarski (1902-1983) ha escogitato un metodo che permette di venire a capo di questo problema. Per definire la verità per gli enunciati di
un linguaggio di logica predicativa, Tarski propone di adottare una nozione
semantica più ampia, cioè una nozione che possa essere definita induttivamente per tutte le formule del linguaggio. Sulla base di una definizione di
questo tipo è possibile poi ottenere una definizione di verità che valga per
gli enunciati. La nozione più ampia è quella di soddisfacimento da parte di
un’assegnazione di valori alle variabili. L’idea che sta dietro questa nozione
è semplice e plausibile. Il motivo per cui non ha senso attribuire valori di
verità alle formule che non sono enunciati è che non è fissata una denotazione per le variabili libere che compaiono in queste formule. La differenza tra
‘Moby Dick è bianca’ e ‘x è bianca’ è che nel secondo caso non c’è un oggetto
denotato del quale possiamo chiederci se possiede il colore bianco. Ma se
supponiamo che ci sia un tale oggetto, allora da quella supposizione possiamo ricavare un valore di verità da attribuire all’espressione ‘x è bianca’. Ad
esempio, immaginare che x denoti Moby Dick significa immaginare un caso
in cui l’espressione è vera, mentre immaginare che denoti la Pantera Rosa
significa immaginare un caso in cui l’espressione è falsa. In altri termini, ‘x
è bianca’ è vera relativamente alla supposizione che x si riferisca a Moby
Dick, falsa relativamente alla supposizione che x si riferisca alla Pantera Rosa. Il soddisfacimento di una formula da parte di un’assegnazione di valori
alle variabili consiste in questo. P x è soddisfatta da un’assegnazione in base
alla quale x denota a un certo oggetto quando P x è vera relativamente alla
supposizione che x denoti quell’oggetto. Quindi, P x è soddisfatta da tutte
le assegnazioni quando è vera per qualsiasi oggetto che possa essere scelto
come denotazione di x. La verità di ∀xP x può essere definita in termini di
soddisfacimento di P x da parte di tutte le assegnazioni.
Il metodo di Tarski consente di definire le condizioni di verità degli enun16
ciati quantificati in termini del significato di unità sintattiche più semplici
che figurano al loro interno. Infatti, la verità o falsità di un enunciato quantificato risulta determinata dalle condizioni di soddisfacimento della formula
che costituisce l’ambito del quantificatore. Tuttavia, questo di per sé non
implica che una semantica fondata sul metodo di Tarski sia rigorosamente composizionale. Se un enunciato e è costruito mediante una regola di
formazione mettendo insieme due espressioni più semplici e0 e e00 , il requisito della composizionalità richiede che il valore di verità di e si ottenga
dalla combinazione del significato di e0 con il significato di e00 . Quindi, se
un enunciato ∀xα è ottenuto aggiungendo ∀x a α, come prescrive la regola
D1.4, il requisito della composizionalità richiede non solo che il significato
di α contribuisca a determinare il valore di verità di ∀xα, ma che il valore
di verità di ∀xα si ottenga combinando questo significato con quello di ∀x.
La seconda condizione è più forte della prima, in quanto implica la prima
ma non ne è implicata.
Certamente, si può abbandonare del tutto l’idea che la semantica di un
linguaggio come L debba soddisfare il requisito della composizionalità, e sostenere che ∀x, cosı̀ come ∀, è un’espressione priva di significato. Usando un
termine un po’ desueto, si può asserire che ∀x, cosı̀ come ∀, è un’espressione
sincategorematica, cioè un’espressione che non ha significato presa isolatamente, ma che contribuisce insieme ad altre espressioni a generare unità
sintattiche complesse dotate di significato. Quindi, un enunciato ∀xα risulta composto da due parti di cui solo una, α, è dotata di significato. Questa
è un’opzione teorica compatibile con il metodo di Tarski. Ma non è l’unica.
Un’altra opzione si ispira a una tesi sulla quantificazione che risale a
Gottlob Frege (1848-1925). L’idea di Frege è che le espressioni quantificate,
come ‘ogni cosa’, designino funzioni di tipo particolare, le “funzioni di secondo livello”. I significati dei predicati sono per Frege “funzioni di primo
livello”, che associano valori di verità a oggetti. Ad esempio, il significato
di ‘bianco’ è una funzione B che associa 1 a Moby Dick e 0 alla Pantera
Rosa. Una funzione di secondo livello, invece, è una funzione che prende
come argomenti funzioni di primo livello. Il significato di ‘ogni cosa’ è per
Frege una funzione di secondo livello O che associa valori di verità a funzioni
di primo livello. Per ogni funzione di primo livello F , O(F ) = 1 se F (x) = 1
per ogni x, O(F ) = 0 altrimenti. In questo modo il valore di verità di ‘Ogni
cosa è bianca’ risulta determinato dalla combinazione dei significati delle sue
parti, poiché si ottiene applicando O a B: O(B) = 1 se e solo se B(x) = 1
per ogni x. In base all’idea di Frege, dunque, un eunciato ∀xα è composto
da una parte che esprime una funzione di secondo livello e una parte che
esprime una funzione di primo livello, e il suo valore di verità risulta dalla
combinazione delle due funzioni. Ovviamente, le due funzioni devono essere
definite in modo tale che il risultato sia 1 esattamente nei casi in cui α è
soddisfatta da tutte le assegnazioni.
Sebbene questa seconda opzione possa sembrare più attraente della pri17
ma, non è affatto chiaro come possa essere tradotta in una semantica rigorosamente composizionale che si conformi alla regola D1.4. Per rendersene
conto basta riflettere sulla formula ∀xP x. Si può essere tentati di dire che
∀x designa la funzione di secondo livello O e che P x designa una funzione di
primo livello che associa 1 a tutti gli oggetti di un certo insieme. Ma questa
via non è praticabile. Data una variabile y diversa da x, ∀x e ∀y designano
la stessa funzione? Da un lato, sembra che la risposta debba per forza essere
affermativa. Se due funzioni associano gli stessi valori agli stessi argomenti,
come si presume che sia in questo caso, allora sono la stessa funzione, cioè
O. Dall’altro, tuttavia, una risposta affermativa appare inaccettabile. Se
∀x e ∀y hanno lo stesso significato, allora il significato di ∀y si deve poter
combinare con quello di altre espressioni nello stesso modo in cui si combina
il significato di ∀x. Ma ∀yP x non ha lo stesso significato di ∀xP x. Di fatto
∀yP x non è nemmeno un enunciato, quindi non è suscettibile di attribuzioni
di verità. Considerazioni analoghe valgono per P x e P y. Quindi, si deve
scartare l’ipotesi che ∀x designi O e P x designi la funzione di primo livello.
Forse si può sostenere che non è ∀x ma ∀ l’espressione che designa O,
cosı̀ come non è P x ma P l’espressione che designa la funzione di primo livello. Le variabili possono essere considerate espressioni sincategorematiche
che - qualora certe condizioni sintattiche siano soddisfatte - contribuiscono a formare enunciati rendendo possibile la combinazione di due funzioni.
In altri termini, ∀xP x è un’espressione in cui la doppia occorrenza della x
rende possibile la combinazione del significato di ∀ con quello di P , mentre
∀yP x è un’espressione in cui non c’è combinazione, quindi continua a valere
solo il significato di P . Questo secondo modo di intendere la tesi di Frege
non solo permette di assumere in modo coerente che ci sia un’unica funzione di secondo livello che si può combinare con diverse funzioni di primo
livello negli enunciati quantificati, ma permette pure di spiegare con facilità
come le funzioni di primo livello contribuiscano a determinare il valore di
verità degli enunciati non quantificati. Ad esempio, il valore di verità di P a
può essere spiegato dicendo che si ottiene applicando la funzione di primo
livello designata da P alla denotazione di a. Si noti, però, che in questo
caso si deve accettare il fatto che ∀ e P non siano espressioni direttamente
combinabili. L’ausilio di espressioni sincategorematiche diventa necessario
per la formazione degli enunciati, proprio come nel caso della prima opzione. Quindi si torna al punto di partenza: la semantica non è rigorosamente
composizionale.
In sostanza, il metodo di Tarski permette di definire la verità per gli enunciati di un linguaggio di logica predicativa superando le difficoltà semantiche
generate dall’apparato simbolico della quantificazione. La definizione che si
ottiene, tuttavia, non garantisce la composizionalità, almeno non nel senso
rigoroso in cui una definizione di verità per gli enunciati di un linguaggio
di logica enunciativa garantisce la composizionalità. Nelle sezioni seguenti
sarà presentata una semantica per L che si fonda sul metodo di Tarski.
18
2.3
Struttura
Per interpretare L si specifica innanzitutto un dominio, cioè un insieme che
costituisce l’universo di discorso. Poi si definisce in termini del domino una
funzione che assegna significati alle costanti, alle lettere predicative e ai
simboli di funzione. Una interpretazione di questo tipo si chiama struttura.
Una struttura è definita più precisamente come una coppia ordinata hD, Ii,
dove D è un insieme non vuoto e I è una funzione che assegna a ciascuna
costante un elemento di D, a ciascuna costante predicativa a n posti una
relazione n-aria su D e a ciascun simbolo di funzione a n posti una operazione
n-aria su D.
Il requisito minimo che si impone sul dominio è che contenga almeno
un elemento. Quindi, D può essere tanto un insieme finito quanto un insieme infinito. Nel primo caso la struttura si dice finita, nel secondo si dice
infinita. Un dominio infinito può essere tanto numerabile quanto non numerabile. Nel primo caso la struttura si dice numerabile, nel secondo si dice
non numerabile.
2.4
Soddisfacimento
Data una struttura hD, Ii, si chiama assegnazione di valori alle variabili una
funzione che associa a ciascuna variabile un elemento del dominio. Assumendo che υ sia una tale funzione, la denotazione di un termine t nella
struttura relativamente a υ, in simboli [t]υ , è definita come segue:
Definizione 2
1 se t è una costante, allora [t]υ = I(t);
2 se t è una variabile allora [t]υ = υ(t);
3 se t ha la forma f t1 , ...tn , dove f è un simbolo di funzione a n posti e
t1 , ...tn sono termini, allora [t]υ = I(f )([t1 ]υ , ...[tn ]υ ).
D2 ha lo scopo di fissare la denotazione dei termini relativamente a υ. D2.1
è banale: υ lascia invariata la denotazione assegnata alle costanti nella struttura. Le costanti sono simboli la cui denotazione non varia al variare delle
assegnazioni. D2.2 si limita a enunciare che la denotazione di una variabile
relativamente a υ è l’oggetto che υ associa alla variabile. D2.3 specifica la
denotazione di un termine composto che include un simbolo di funzione in
base al valore assegnato al simbolo di funzione nella struttura e alla denotazione delle costanti o delle variabili che contiene. Sulla base di D2 si può
definire per via induttiva la relazione di soddisfacimento di una formula da
parte di υ:
Definizione 3
19
1 υ soddisfa una formula atomica P t1 , ...tn sse h[t1 ]υ , ...[tn ]υ i ∈ I(P );
2 υ soddisfa ∼ α sse υ non soddisfa α;
3 υ soddisfa α ⊃ β sse υ non soddisfa α o υ soddisfa β;
4 υ soddisfa ∀xα sse qualsiasi assegnazione υ 0 tale che [y]υ0 = [y]υ per ogni
y 6= x soddisfa α.
D3.1 definisce il soddisfacimento di una formula atomica da parte di υ. D3.2
e D3.3 estendono la definizione alle formule contenenti ∼ e ⊃. D2.4 è la
clausola cruciale. Per capirla occorre tenere presente che υ assegna oggetti
del dominio a tutte le variabili, mentre la sola variabile rilevante nel caso di
∀xα è x. Quindi, tutto ciò che conta ai fini del soddisfacimento di ∀xα è che
α risulti soddisfatta per qualsiasi valore di x. Questo equivale a dire che α
deve risultare soddisfatta da qualsiasi υ 0 che differisce da υ al massimo per
il valore di x.
Quando una formula α è tale che almeno in una struttura c’è almeno
un’assegnazione che la soddisfa, si dice che α è soddisfacibile. Allo stesso
modo, quando un insieme di formule Γ è tale che almeno in una struttura
c’è almeno un’assegnazione che soddisfa tutte le formule che contiene, si dice
che Γ è soddisfacibile.
Da D3 risulta che la questione se un’assegnazione υ soddisfi o meno una
formula α dipende esclusivamente dai valori che υ assegna alle variabili libere
in α. Il seguente teorema enuncia questo fatto:
Teorema 1 Se υ e υ 0 sono tali che υ(x) = υ 0 (x) per ogni variabile x libera
in α, allora υ soddisfa α sse υ 0 soddisfa α.
D’ora in poi si userà l’espressione ‘Tn’ per indicare il teorema n per qualsiasi
n. T1 può essere dimostrato per via induttiva. In generale, una dimostrazione induttiva è una dimostrazione basata sulla costruzione per induzione di
un insieme A, cioè l’insieme delle cose per cui vale il risultato da dimostrare.
Quindi una dimostrazione induttiva si articola in due parti, come una definizione induttiva. La base dell’induzione consiste nella dimostrazione che il
risultato vale per certi elementi di A. Gli elementi in questione sono scelti
in modo tale da permettere di dimostrare che il risultato vale nel caso più
semplice. Il passo induttivo consiste nella dimostrazione che se il risultato
vale per certi elementi di A, allora vale pure per altri elementi di A. Quindi,
si assume che il risultato valga per certi elementi di A e si mostra che sulla
base di questa assunzione si può concludere che vale anche per certi altri
elementi di A. L’assunzione si chiama ipotesi di induzione. Nel caso specifico della dimostrazione di T1 l’insieme costruito è quello delle formule di L,
e il meccanismo induttivo che permette di costruirlo fa leva sulla complessità di queste formule, cioè sul numero di connettivi e di quantificatori che
contengono. Una formula di complessità n è una formula in cui n simboli
20
sono connettivi o quantificatori. Dunque, per prima cosa si dimostra che
il condizionale vale per una formula qualsiasi di complessità n = 0. Poi si
assume come ipotesi di induzione che il condizionale valga per una formula
qualsiasi di complessità n, e se ne ricava la conclusione che vale anche per
una formula qualsiasi di complessità n + 1.
Base. Assumiamo che n = 0 e che υ e υ 0 siano tali che υ(x) = υ 0 (x)
per ogni variabile x libera in α. In questo caso α è una formula atomica
P t1 , ...tm . Sia I(P ) la relazione m-aria che I assegna a P . υ soddisfa α sse
h[t1 ]υ , ...[tm ]υ i ∈ I(P ) e υ 0 soddisfa α sse h[t1 ]υ0 , ...[tm ]υ0 i ∈ I(P ). Ma si può
dimostrare che per ogni i compreso tra 1 e m, [ti ]υ = [ti ]υ0 . Supponiamo
che ti sia una costante. Allora è ovvio che [ti ]υ = [ti ]υ0 . Supponiamo che ti
sia una variabile. Allora ti è libera in α. Quindi, [ti ]υ = [ti ]υ0 . Supponiamo
infine che ti sia costituito da un simbolo di funzione f e da termini. Se
ciascuno dei termini è una costante o una variabile allora [ti ]υ = [ti ]υ0 per
quanto precede. Se invece ci sono simboli di funzione tra i termini, siccome
le funzioni assegnate da I a questi simboli sono le stesse per υ e υ 0 , anche
i valori per gli stessi argomenti sono gli stessi. Questo vale anche per la
funzione assegnata da I a f . Quindi, υ soddisfa α sse υ 0 soddisfa α.
Passo. Assumiamo come ipotesi di induzione che il condizionale valga
per ogni formula di complessità n. Assumiamo poi che α sia una formula di
complessità n + 1 e che υ e υ 0 siano tali che υ(x) = υ 0 (x) per ogni variabile
x libera in α. I casi possibili sono tre.
Caso 1: α ha la forma ∼ β. Siccome β ha complessità n, per ipotesi di
induzione υ soddisfa β sse υ 0 soddisfa β. Quindi, υ non soddisfa α sse υ 0
non soddisfa α. Questo significa che υ soddisfa α sse υ 0 soddisfa α.
Caso 2: α ha la forma β ⊃ γ. Siccome β e γ hanno al massimo complessità n, per ipotesi di induzione υ soddisfa β sse υ 0 soddisfa β, e υ soddisfa
γ sse υ 0 soddisfa γ. Quindi, se υ non soddisfa β o soddisfa γ, lo stesso vale
per υ 0 , e viceversa. Questo significa che υ soddisfa α sse υ 0 soddisfa α.
Caso 3: α ha la forma ∀xβ. Assumiamo che υ soddisfi α. Dato un
oggetto qualsiasi o tale che o ∈ D, sia υ∗ un’assegnazione che differisce da υ
al massimo in quanto associa o a x, cioè un’assegnazione che associa o a x
ma per il resto è uguale a υ. Dall’assunzione che υ soddisfa α risulta che υ∗
soddisfa β. Sia υ 0 ∗ un’assegnazione che differisce da υ 0 al massimo in quanto
associa o a x. Siccome υ e υ 0 concordano sui valori delle variabili libere in α e
l’unica variabile libera che β può avere in più di α è x, υ∗ e υ 0 ∗ concordano
sui valori delle variabili libere in β. Per ipotesi di induzione, essendo β
una formula di complessità n, ne risulta che υ 0 ∗ soddisfa β. Quindi, per
ogni oggetto in D, un’assegnazione che differisce da υ 0 al massimo in quanto
associa l’oggetto a x soddisfa β. Questo significa che υ 0 soddisfa α. Con un
ragionamento analogo nella direzione opposta si dimostra che se υ 0 soddisfa
α allora υ soddisfa α.
21
2.5
Verità
Dalla definizione di soddisfacimento si può ricavare una definizione di verità
per gli enunciati. Dato un enunciato α e una struttura S, sia [α]S il valore
di verità che α ha in S. Allora,
Definizione 4 [α]S = 1 sse ogni assegnazione in S soddisfa α.
Definizione 5 [α]S = 0 sse nessuna assegnazione in S soddisfa α.
Data una struttura S, un enunciato è soddisfatto da tutte le assegnazioni in
S o non è soddisfatto da nessuna. Questo si deve al fatto che un enunciato non contiene variabili libere. Infatti, sono le variabili libere che possono
rendere una formula soddisfatta da alcune assegnazioni ma non da altre. Da
T1 risulta che se due assegnazioni υ e υ 0 differiscono rispetto al soddisfacimento di una formula α, allora α contiene qualche variabile libera x tale
che υ(x) 6= υ 0 (x). Nel caso in cui α sia un enunciato, quindi, se un’assegnazione qualsiasi soddisfa α allora tutte le altre soddisfano α. Inversamente,
se un’assegnazione qualsiasi non soddisfa α allora nessuna delle altre soddisfa α. Di conseguenza, [α]S = 1 o [α]S = 0, come prescrive il principio di
bivalenza.
Anche una formula aperta, come un enunciato, può essere soddisfatta da
tutte le assegnazioni in una struttura, o non essere soddisfatta da nessuna.
Ad esempio, in una struttura che assegna a P l’intero dominio P x è soddisfatta da tutte le assegnazioni, mentre ∼ P x non è soddisfatta da nessuna.
Il motivo per cui formule aperte come queste non sono chiamate vere o false
è che non corrispondono a espressioni di una lingua naturale alle quali ha
senso attribuire verità o falsità.
Si noti, tuttavia, che per ciascuna formula aperta soddisfatta da tutte
le assegnazioni in una struttura L contiene un enunciato corrispondente che
risulta vero nella struttura. Data una formula aperta α, se α è soddisfatta
da tutte le assegnazioni in S e ∀xα è la chiusura di α, allora [∀xα]S = 1. Vale
anche l’inverso: se [∀xα]S = 1 allora α è soddisfatta da tutte le assegnazioni
in S. Il caso della falsità è analogo.
Esercizio 6
Sia hD, Ii una struttura in cui D contiene Moby Dick e la Pantera Rosa, e I
assegna a P il singoletto che contiene Moby Dick. L’enunciato ∀xP x è vero
nella struttura?
Esercizio 7
Fornire un esempio di struttura in cui l’enunciato ∀xP x è vero.
Esercizio 8
22
Spiegare perché in qualsiasi struttura, se una formula aperta α è soddisfatta
da tutte le assegnazioni, la sua chiusura ∀xα è vera.
2.6
Validità e conseguenza logica
Nel capitolo 1 si è visto che validità e conseguenza logica possono essere
definite in termini di verità. Le definizioni che seguono sono in termini di
soddisfacimento, quindi valgono indistintamente per tutte le formule.
Definizione 6 Una formula α è valida sse è soddisfatta da tutte le assegnazioni in tutte le strutture.
Definizione 7 Una formula α è conseguenza logica di un insieme di formule Γ sse in ogni struttura, ogni assegnazione che soddisfa tutte le formule
in Γ soddisfa α.
Per dire che α è valida si scrive
|= α
Per dire che α è conseguenza logica di Γ si scrive
Γ |= α
Se Γ contiene le formule β1 , ...βn e si vogliono elencare queste formule, invece
di scrivere {β1 , ...βn } si scrive semplicemente β1 , ...βn . Allo stesso modo, se
Γ contiene solo una formula β, invece di scrivere {β} si scrive semplicemente
β.
Nel caso degli enunciati, D6 e D7 coincidono con le definizioni di validità
e conseguenza logica fornite nel capitolo 1. Se un enunciato α è soddisfatto
da tutte le assegnazioni in tutte le strutture allora ogni struttura è modello
di α, e viceversa. Se un enunciato α e un insieme di enunciati Γ sono tali
che, in ogni struttura, ogni assegnazione che soddisfa tutti gli enunciati in
Γ soddisfa α, allora ogni modello di Γ è modello di α, e viceversa.
L’idea alla base di D6 è che un enunciato valido di L esprima la forma
logica di un insieme di enunciati veri di una lingua naturale. Se |= α, c’è un
insieme di enunciati italiani veri che hanno in comune la forma logica rappresentata dai simboli che compongono α. Ad esempio, ∀x(P x ⊃ P x) esprime
la forma logica di enunciati come ‘Ogni cosa bianca è bianca’. Questa forma è individuata sulla base di una distinzione tra le espressioni italiane che
corrispondono a costanti logiche, come ‘ogni cosa’, e quelle che corrisponono
a espressioni non logiche, come ‘bianco’. L’enunciato ‘Ogni cosa bianca è
bianca’ è vero in virtù della sua forma, almeno nel senso ovvio che qualsiasi
enunciato della stessa forma è vero. Un enunciato che è vero in virtù della
23
sua forma è una verità logica. Dunque l’insieme degli enunciati validi di L
fornisce una caratterizzazione di un insieme di verità logiche, cioè di tutti
gli enunciati delle lingue naturali che sono veri in virtù di qualche forma
esprimibile in L.
Il caso della conseguenza logica è analogo. Un argomento è un insieme di
enunciati di una lingua naturale in cui uno in particolare, la conclusione, è
inferito dagli altri, le premesse. D7 si fonda sull’idea che se α è un enunciato
di L, Γ è un insieme di enunciati di L e Γ |= α, c’è un insieme di argomenti
logicamente corretti che hanno in comune la forma rappresentata dai simboli
contenuti in α e Γ. Ad esempio, ∀x(P x ⊃ Qx), P a |= Qa. Questo rende
conto della correttezza del seguente argomento:
Ogni balena è bianca;
Moby Dick è una balena;
Quindi, Moby Dick è bianca.
Questo argomento è corretto in virtù della sua forma, almeno nel senso ovvio
che qualsiasi argomento della stessa forma è corretto. Quindi, la relazione
di conseguenza logica tra enunciati di L fornisce una caratterizzazione di un
insieme di argomenti logicamente corretti, cioè tutti gli argomenti che sono
corretti in virtù di qualche forma esprimibile in L.
Esercizio 9
La formula P x ⊃ P x è valida?
Esercizio 10
La formula P x è valida?
Esercizio 11
Spiegare perché valgono i seguenti due teoremi:
Teorema 2 Se Γ |= α, allora Γ ∪ ∆ |= α
Teorema 3 Se |= α, allora Γ |= α
24
Soluzioni
1 Si. Il seguente ragionamento aiuta a chiarire questo punto. A e B sono
entrambi numerabili, quindi sono in corrispondenza biunivoca con altri
insiemi numerabili. A è in corrispondenza biunivoca con l’insieme dei
numeri naturali pari: data una enumerazione di A, basta associare
la prima costante a 0, la seconda a 2, la terza a 4 e cosı̀ via. Allo
stesso modo, B è in corrispondenza biunivoca con l’insieme dei numeri
naturali dispari. Data una enumerazione di B, basta associare la prima
variabile a 1, la seconda a 3, la terza a 5 e cosı̀ via. Siccome l’unione
dell’insieme dei numeri pari e l’insieme dei numeri dispari è ω, A ∪ B è
in corrispondenza biunivoca con ω. Per rendersene conto basta pensare
che le costanti e le variabili in A e B restino associate agli stessi numeri:
la prima costante a 0, la prima variabile a 1, la seconda costante a 2 e
cosı̀ via.
2 Si. Abbiamo appena visto che si possono raggruppare le costanti e le
variabili in un unico insieme numerabile. Data un’enumerazione dell’insieme cosı̀ ottenuto, si assegni il numero 10 al primo simbolo, 100
al secondo, 1000 al terzo e cosı̀ via. Data un’enumerazione dell’insieme dei simboli di funzione, si assegni 1 al primo, 11 al secondo, 111
al terzo e cosı̀ via. In questo modo a ogni termine corrisponderà un
numero. L’insieme dei numeri risultanti è un sottoinsieme infinito di
ω che è in corrispondenza biunivoca con ω.
3 Base. Tutte le costanti e le variabili sono termini di L.
Passo. Se t1 , ...tn sono termini di L, allora un simbolo di funzione a n
posti seguito da t1 , ...tn è un termine di L.
4 Si.
5 No. Le formule atomiche non contengono quantificatori.
6 No.
7 Come nell’esercizio 5, ma con D che contiene Moby Dick come suo unico
elemento.
8 Supponiamo che α sia soddisfatta da tutte le assegnazioni. Allora per
qualsiasi assegnazione υ, α è soddisfatta da tutte le assegnazioni che
differiscono da υ al massimo per il valore di x. Di conseguenza, ∀xα è
soddisfatta da υ. Siccome υ è un’assegnazione qualsiasi, ∀xα è vera.
9 Si.
10 No.
25
11 T2 vale perché in una struttura non ci possono essere assegnazioni che
soddisfano Γ ∪ ∆ ma non soddisfano Γ (al massimo può valere il contrario). Quindi, ogni assegnazione che soddisfa Γ ∪ ∆ soddisfa Γ. Pertanto, se ogni assegnazione che soddisfa Γ soddisfa α, allora ogni assegnazione che soddisfa Γ ∪ ∆ soddisfa α.
T3 vale perché in ogni struttura, se α è soddisfatta in generale da tutte
le assegnazioni, è soddisfatta in particolare da quelle che soddisfano
Γ. Un caso interessante è quello in cui Γ = ∅. Normalmente si assume
che ∅ sia soddisfatto da tutte le assegnazioni in tutte le strutture. Infatti, non esiste una struttura in cui un’assegnazione può mancare di
soddisfare qualche formula in ∅, non essendoci formule in ∅. Quindi,
|= α sse ∅ |= α.
26
Capitolo 3
3.1
Il sistema S
Questo capitolo presenta un apparato deduttivo per L, specificando un insieme di assiomi e una regola di inferenza. Il sistema cosı̀ ottenuto si chiama
S. Gli assiomi di S sono le formule di L che esemplificano i seguenti schemi:
A1 α ⊃ (β ⊃ α)
A2 (α ⊃ (β ⊃ γ)) ⊃ ((α ⊃ β) ⊃ (α ⊃ γ))
A3 (∼ α ⊃∼ β) ⊃ (β ⊃ α)
A4 ∀xα ⊃ α(t/x), se t è sostituibile a x in α
A5 α ⊃ ∀xα, se x non è libera in α
A6 ∀x(α ⊃ β) ⊃ (∀xα ⊃ ∀xβ)
A7 ∀xα, se α è un assioma
Gli assiomi di S sono divisi in due gruppi. Il primo è costituito dalle formule
di L che esemplificano gli schemi A1-A3. Questi schemi valgono per qualsiasi
sistema di logica enunciativa. Il secondo è costituito dalle formule di L che
esemplificano gli schemi A4-A7. Questi sono gli schemi caratteristici di S,
poiché vertono sulla quantificazione.
A4 richiede qualche chiarimento. Data una formula α, un termine t e
una variabile x, α(t/x) è la formula che si ottiene sostituendo t a x in α
per tutte le occorrenze libere di x, qualora ce ne siano. Ad esempio, se α è
∀xP x ⊃ P x, allora α(a/x) è ∀xP x ⊃ P a. I casi in cui t è sostituibile a x
sono quattro: (i) x non è libera in α; (ii) x è libera in α e t non contiene
variabili; (iii) x è libera in α e t è una variabile che occorre libera in α(t/x)
dove x occorre libera in α; (iv) x occorre libera in α, t contiene variabili e
dove t sostituisce occorrenze libere di x in α tutte le occorrenze di variabili
in t restano libere. Nel caso (i) α(t/x) = α. Un esempio del caso (ii) è
quello considerato in cui t è a. Un esempio del caso (iii) è il seguente: y è
sostituibile a x in ∀xP x ⊃ P x, poiché y occorre libera in ∀xP x ⊃ P y dove
27
x occorre libera in ∀xP x ⊃ P x. Un esempio del caso (iv) è il seguente: f (z)
è sostituibile a x in ∀xP x ⊃ P x, perché z resta libera in ∀xP x ⊃ P f (z).
La regola di inferenza di S è il Modus Ponens:
MP Date due formule α e β, β è conseguenza diretta di α e α ⊃ β.
Esercizio 1
La sequenza di simboli α ⊃ (β ⊃ α) è un assioma di S?
Esercizio 2
La sequenza di simboli P a ⊃ (P a ⊃ P a) è un assioma di S?
Esercizio 3
Spiegare perché MP preserva il soddisfacimento, cioè perché vale quanto
segue per qualsiasi assegnazione υ:
Teorema 4 Se υ soddisfa sia α ⊃ β sia α, allora υ soddisfa β.
3.2
Dimostrabilità e derivabilità in S
L’apparato deduttivo di S permette di definire una dimostrazione in S nel
modo illustrato nel capitolo 1:
Definizione 8 Una dimostrazione di α è una sequenza finita di formule
che termina con α ciascuna delle quali o esemplifica A1-A7 o è ricavata per
mezzo di MP da altre formule che la precedono.
Un esempio di dimostrazione è il seguente:
1
2
3
4
5
P x ⊃ ((P x ⊃ P x) ⊃ P x)
(P x ⊃ ((P x ⊃ P x) ⊃ P x)) ⊃ ((P x ⊃ (P x ⊃ P x)) ⊃ (P x ⊃ P x))
(P x ⊃ (P x ⊃ P x)) ⊃ (P x ⊃ P x)
P x ⊃ (P x ⊃ P x)
Px ⊃ Px
A1
A2
1,2 MP
A1
3,4 MP
Questa dimostrazione è una sequenza di cinque formule. Per rendere esplicito l’ordine delle formule nella sequenza la dimostrazione si scrive in verticale.
Il numero a sinistra di ciascuna formula indica la posizione che la formula occupa nella sequenza, quindi può essere usato per riferirsi alla formula stessa.
L’annotazione a destra di ciascuna formula indica il modo in cui la formula
è stata ricavata, quindi costituisce una giustificazione della presenza della
formula nella sequenza. Ad esempio, l’annotazione nella prima riga indica
che la formula esemplifica A1.
La dimostrabilità in S di una formula α si esprime con la notazione
28
`α
Una formula dimostrabile in S è un teorema di S. Cosı̀, P x ⊃ P x è un
teorema di S, e può essere indicato con
` Px ⊃ Px
Come risulta chiaro dalla dimostrazione di P x ⊃ P x, per qualsiasi formula
α vale quanto segue:
Teorema 5 ` α ⊃ α
Anche una derivazione in S può essere definita sulla base dell’apparato
deduttivo di S nel modo illustrato nel capitolo 1:
Definizione 9 Una derivazione di α da Γ è una sequenza finita di formule
che termina con α ciascuna delle quali o esemplifica A1-A7 o è ricavata per
mezzo di MP da altre formule che la precedono o appartiene a Γ.
Ecco un esempio di derivazione in S:
1
2
3
Pa
Pa ⊃ Pb
Pb
1,2 MP
Come una dimostrazione, una derivazione si scrive in verticale con numerazione progressiva sulla sinistra e annotazioni sulla destra. L’unica differenza
consiste nel fatto che una derivazione può contenere assunzioni, cioè formule
che fanno parte dell’insieme di partenza. In questo caso le prime due formule
sono assunzioni, dunque non richiedono annotazione. La derivabilità in S di
α da Γ si indica con
Γ`α
Quindi, la derivabilità in S di P b da {P a, P a ⊃ P b} si esprime cosı̀:
P a, P a ⊃ P b ` P b
Come nel caso del simbolo |=, anche in questo caso non è necessario usare le
parentesi graffe per indicare l’insieme di formule a sinistra del simbolo. In
generale, si può sempre derivare una formula β da due formule α e α ⊃ β in
virtù della regola MP. Quindi, per due formule qualsiasi α e β vale quanto
segue:
Teorema 6 α, α ⊃ β ` β
29
D8 e D9 hanno qualcosa in comune con D6 e D7. L’idea alla base della
definizione di teorema è la stessa che ispira la definizione di validità, cioè che
un enunciato dimostrabile esprima la forma logica di un insieme di enunciati
veri di una lingua naturale. Se ` α, allora c’è un insieme di enunciati italiani
veri che hanno in comune la forma logica rappresentata dai simboli che
compongono α. Un esempio di teorema di S è ∀x(P x ⊃ P x), che esprime
la forma logica di enunciati come ‘Ogni cosa bianca è bianca’. Per rendersi
conto che ` ∀x(P x ⊃ P x) è sufficiente riconoscere il seguente teorema su S:
Teorema 7 Se ` α allora ` ∀xα
T7 si dimostra per induzione sulla lunghezza della dimostrazione, cioè sul
numero di formule che contiene. Una dimostrazione di lunghezza n è una
sequenza di n formule. Mentre nel caso della complessità di una formula il
punto di partenza è una formula di complessità 0, cioè una formula atomica,
in questo caso il punto di partenza è una dimostrazione di complessità 1,
cioè una dimostrazione costituita da una sola formula. Infatti, non ci sono
dimostrazioni di lunghezza 0.
Base. Assumiamo che ci sia una dimostrazione di α di lunghezza 1. In
questo caso α è un assioma. Quindi, per A7 anche ∀xα è un assioma. Questo
implica che ` ∀xα.
Passo. Assumiamo che il condizionale valga per tutte le dimostrazioni
di lunghezza n e che ci sia una dimostrazione di α di lunghezza n + 1. In
questo caso o α è un assioma o α è ottenuta per MP da due formule che la
precedono. Se α è un assioma allora ` ∀xα, per lo stesso motivo di prima.
Se α è ottenuta per MP, siano β e β ⊃ α le due formule dalle quali è ricavata.
Entrambe queste formule sono teoremi, e la loro dimostrazione deve avere
lunghezza inferiore a n + 1. Quindi, per ipotesi di induzione si ottiene
1 ` ∀xβ
2 ` ∀x(β ⊃ α)
Da A6 risulta pure che
3 ` ∀x(β ⊃ α) ⊃ (∀xβ ⊃ ∀xα)
Da 2 e 3, in virtù della regola MP, si ottiene
4 ` ∀xβ ⊃ ∀xα
Da 1 e 4, sempre in virtù della regola MP, si ottiene
5 ` ∀xα
Questo completa la dimostrazione. Ora risulta chiaro che ` ∀x(P x ⊃ P x),
30
data la dimostrazione di P x ⊃ P x fornita sopra. In generale, l’insieme degli
enunciati che sono teoremi di S fornisce una caratterizzazione di un insieme
di verità logiche, cioè di tutti gli enunciati delle lingue naturali che sono veri
in virtù di qualche forma esprimibile in L.
Il caso della derivabilità è analogo. La definizione di derivazione si fonda
sull’idea che se un enunciato α è derivabile da un insieme di enunciati Γ,
allora c’è un insieme di argomenti logicamente corretti che hanno in comune
la forma logica rappresentata dai simboli contenuti in α e Γ. Ad esempio,
∀x(P x ⊃ Qx), P a ` Qa. Ecco la derivazione:
1
2
3
4
5
∀x(P x ⊃ Qx)
Pa
∀x(P x ⊃ Qx) ⊃ (P a ⊃ Qa)
P a ⊃ Qa
Qa
A4
MP 1,3
MP 2,4
Questa relazione rende conto della correttezza del ragionamento considerato
nel capitolo 2. In generale, la relazione di derivabilità in S fornisce una
caratterizzazione di un insieme di argomenti logicamente corretti, cioè tutti
gli argomenti che sono corretti in virtù di qualche forma esprimibile in L.
Esercizio 3
Spiegare perchè valgono i seguenti teoremi su S:
Teorema 8 α ` α
Teorema 9 Se Γ ` α, allora Γ ∪ ∆ ` α
Teorema 10 Se α, β ` γ e α, γ ` δ, allora α, β ` δ
Teorema 11 Se Γ ` α e Γ ` α ⊃ β, allora Γ ` β
Teorema 12 Se ` α, allora Γ ` α
Teorema 13 Se Γ ` α sse c’è un sottoinsieme finito ∆ di Γ tale che ∆ ` α
3.3
Coerenza
Una proprietà che può essere definita in termini di S è la coerenza. Dire che
un insieme di enunciati è coerente significa dire che non genera contraddizioni. A livello informale è abbastanza chiaro che cosa sia una contraddizione.
Due enunciati si contraddicono quando non possono essere né entrambi veri né entrambi falsi, perché uno dice che le cose stanno in un certo modo
mentre l’altro dice che non stanno in quel modo. Ad esempio, gli enunciati
‘La neve è bianca’ e ‘La neve non è bianca’ si contraddicono. Se il primo
31
è vero allora il secondo deve essere falso, e viceversa. La contraddittorietà
cosı̀ intesa è una relazione semantica. In L, tuttavia, la contraddittorietà
può essere espressa in modo sintattico, in termini della relazione tra una formula α e la sua negazione ∼ α. Lo stesso vale per qualsiasi linguaggio che
contenga, per ogni formula α, qualche formula α∗ che esprime la negazione
di α.
Dato un sistema S, la coerenza di un insieme di formule può essere
definita in modo sintattico come segue:
Definizione 10 Un insieme di formule Γ è coerente in S sse per nessuna
formula β si dà il caso che Γ `S β e Γ `S ∼ β. Altrimenti, Γ è incoerente
in S.
Qui il simbolo `S indica la dimostrabilità in S. In generale, il simbolo ` sarà
accompagnato da un indice ogni volta che si parlerà di sistemi senza dare
per scontato S. Nel caso in cui si presupponga S, D10 può essere riformulata
come segue: Γ è coerente sse per nessuna formula β si dà il caso che Γ ` β
e Γ `∼ β. Altrimenti, Γ è incoerente.
La coerenza può anche essere attribuita a un intero sistema, invece che
a un insieme di formule del suo linguaggio:
Definizione 11 Un sistema S è coerente sse per nessuna formula β del
linguaggio di S, `S β e `S ∼ β.
Nota 1. A volte il termine ‘coerente’ è usato per qualificare un sistema in
cui non tutte le formule sono teoremi. Questo uso del termine può risultare poco ovvio. Ma in realtà la coerenza cosı̀ intesa equivale alla proprietà
definita in D11, date certe assunzioni. Si consideri il seguente condizionale:
se S è coerente allora c’è almeno una formula che non è teorema di S. Questo condizionale è facilmente dimostrato se si assume che il linguaggio di S
contenga per ogni formula α qualche formula α∗ che esprime la negazione
di α. Supponiamo infatti che S sia coerente. Allora non c’è nessuna formula
α tale che `S α e `S α∗. Ma siccome c’è qualche formula β tale che `S β o
`S β∗, allora c’è qualche formula β tale che β∗ non è teorema di S o β non
è teorema di S. Ora si consideri il condizionale inverso: se c’è almeno una
formula che non è teorema di S allora S è coerente. Questo condizionale è
facilmente dimostrato se si assume che in S qualsiasi formula sia derivabile
da {α, α∗}. Supponiamo infatti che S non sia coerente. Allora per qualche
formula α, `S α e `S α∗. Ma {α, α∗} permette di derivare qualsiasi formula,
pertanto qualsiasi formula è teorema di S. Dunque, un sistema che soddisfa
entrambi i requisiti considerati è coerente se e solo se almeno una formula
non è teorema. Siccome questi requisiti sono normalmente soddisfatti, si
assume di solito che le due definizioni siano equivalenti.
32
Soluzioni
1 No. La sequenza di simboli α ⊃ (β ⊃ α) non può essere un assioma di S,
perché non è una formula di L. Si tratta piuttosto di uno schema di
assioma.
2 Si.
3 Assumiamo che α ⊃ β sia soddisfatta da υ. Allora o α non è soddisfatta
da υ o β è soddisfatta da υ. Assumiamo ora che α sia soddisfatta da
υ. Ne consegue che β è soddisfatta da υ.
4 T8. Data una formula α, la sequenza che contiene α come unico termine
è una derivazione di α dall’insieme {α}.
T9. Se c’è una sequenza di formule che è una derivazione di α da Γ,
quella stessa sequenza di formule è anche una derivazione di α da un
insieme qualsiasi di cui Γ è sottoinsieme. Quindi è una derivazione di
α da Γ ∪ ∆.
T10. Sia d una derivazione di γ da α e β e sia d0 una derivazione di δ
da α e γ. Se si tolgono a d0 le assunzioni α e γ e si aggiunge la parte
rimanente di d0 a d, si ottiene una derivazione che include α e β come
assunzioni e termina con δ.
T11. Se Γ ` α e Γ ` α ⊃ β allora si può costruire una derivazione da
Γ che contiene α e α ⊃ β e che termina con β. Infatti, β può essere
ricavata dalle altre due formule applicando MP. Quindi, Γ ` β.
T12. Ogni dimostrazione di una formula α è una derivazione di α da
qualsiasi insieme di formule. Si noti che, come nel caso di T3, anche
in questo caso se Γ = ∅ allora ` α sse Γ ` α.
T13. Per definizione, una derivazione è una sequenza finita di formule.
Quindi, se c’è una derivazione di α da Γ, allora c’è una derivazione di α
da un sottoinsieme finito ∆ di Γ. Inversamente, se c’è una derivazione
di α da un sottoinsieme finito ∆ di Γ, allora c’è una derivazione di α
da Γ, poiché c’è una derivazione di α da qualsiasi insieme che includa
∆ come sottoinsieme.
33
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