APPUNTI DI FISICA
AMBIENTALE
PARTE TERZA
ENERGIA
ELETTROMAGNETICA
Prof. Ing. Riccardo Fanton
A.S. 2014-2015
1
Versione 02-2014
2
Premessa
Nella parte precedente del corso abbiamo analizzato i problemi che hanno portato alla
necessità di redigere, per gli edifici, la certificazione al fine di promuovere il risparmio
energetico e quindi di ridurre l’inquinamento che deriva dall’uso nel riscaldamento dei
combustibili fossili. Risulta chiaro che la realizzazione di edifici tecnologicamente
avanzati non elimina l’uso per il riscaldamento del gas e dei derivati dal petrolio.
Tenendo presente che i combustibili fossili hanno un orizzonte di vita che non supera
il mezzo secolo (si esauriranno indipendentemente dalla nostra volontà ….) è
opportuno fino da adesso cercare di trovare delle soluzioni alternative a questa fonte
energetica.
Da quanto detto all’inizio del corso l’energia alternativa che più si addice alla nostra
collocazione geografica risulta quella solare nelle sue forme termica e fotovoltaica.
Durante l’anno affronteremo approfonditamente il modo in cui funzionano e vanno
progettati gli impianti solari. Per farlo è necessario avere idee chiare su come viene
“fornita” l’energia solare e quindi conoscere in maniera esauriente il modello che
descrive le onde elettromagnetiche e, per quanto concerne la tecnologia fotovoltaica,
il modello corpuscolare quantistico che si applica nel fotovoltaico in alternativa a
quello ondulatorio.
Oltre a questo vedremo gli effetti dell’inquinamento elettromagnetico che l’energia
solare produce in vari ambiti della nostra vita.
MODULO N.1
1) ELETTRICITA’ E MAGNETISMO
Le onde elettromagnetiche sono prodotte da oscillazioni di cariche elettriche che,
spostandosi, generano campi elettrici e magnetici a loro volta oscillanti. Per capire il
significato della frase precedente risulta necessario rivedere, molto sinteticamente,
alcuni concetti di elettrologia studiati nel biennio accompagnandoli con nuove nozioni
relative al magnetismo.
1.1) ELETTROSTATICA
Definizione di forza elettrica (o di Coulomb): forza con la quale si attraggono o
respingono due masse dotate di una carica non nulla.
Tipo di grandezza: vettoriale.
3
Modulo della forza:
Verso: {
1
F = 4πε ∙
0
|q1 q2|
r2
[1]
𝑐𝑎𝑟𝑖𝑐ℎ𝑒 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑜 𝑠𝑡𝑒𝑠𝑠𝑜 𝑠𝑒𝑔𝑛𝑜 → 𝑎𝑡𝑡𝑟𝑎𝑡𝑡𝑖𝑣𝑜 (𝑓𝑖𝑔. 1𝑏)
𝑐𝑎𝑟𝑖𝑐ℎ𝑒 𝑑𝑖 𝑠𝑒𝑔𝑛𝑜 𝑜𝑝𝑝𝑜𝑠𝑡𝑜 → 𝑟𝑒𝑝𝑢𝑙𝑠𝑖𝑣𝑜 (𝑓𝑖𝑔. 1𝑎)
Unità di misura: C (coulomb) = As (ampere x secondi)
Figura 1 – Rappresentazione vettoriale delle forze elettriche
1.1.1) CAMPO ELETTRICO STATICO
Il concetto di CAMPO è estremamente complesso. Oggi si fa uso del concetto di
campo per evitare il concetto di azione a distanza. Se abbiamo una certa carica Q in un
punto P, per la legge di Coulomb, questa è influenzata da tutte le altre cariche che si
trovano nelle vicinanze: la forza agisce a distanza.
Questo è ciò che si pensava tra il 1832 e il 1864. Ma già nel 1864, il concetto di campo,
attraverso le equazioni di Maxwell, arriva alla sua maturità. Tali equazioni decretano
un nuovo modo di rappresentare il mondo, non più attraverso la descrizione di una
forza che agisce tra due corpi bensì attraverso la perturbazione dello spazio tra due i
due corpi, quello sorgente e quello test.
Il campo diventa interpretazione di leggi fisiche; mentre le leggi della fisica classica
seguono l’andamento dei corpi, cioè ci dicono istante per istante dove si trova il corpo,
con l’introduzione del concetto di campo, invece, le leggi fisiche non seguono più il
corpo ma descrivono, nello spazio e nel tempo, la storia del campo stesso.
Così scrive Einstein:
La definizione quantitativa, ovvero matematica del campo, si riassume nelle equazioni
che portano il nome di Maxwell [….]. la formulazione di queste equazioni
costituisce l’avvenimento più importante verificatosi in fisica dal tempo di Newton
4
e ciò non soltanto per la dovizia del loro contenuto (perché permettono di
prevedere le onde elettromagnetiche, permettono di verificare l’ottica,
l’elettromagnetismo, l’elettricità in un colpo solo ma soprattutto perché hanno fornito
un nuovo modello di legge che prima non si conosceva). Le equazioni di Maxwell
definiscono la struttura del campo elettromagnetico, sono leggi valide nell’intero
spazio (non soltanto lungo la linea di moto descritta dalla particella, come accadeva
per le leggi di Newton) e non soltanto nei punti in cui materia e cariche elettriche
sono presenti. Rammentiamo come stanno le cose in meccanica. Conoscendo
posizione e velocità di una particella in un dato istante e conoscendo le forze agenti
su di essa è possibile prevedere l’intero futuro percorso dalla particella stessa.
[…]. Nelle equazioni di Maxwell invece basta conoscere il campo in un dato istante
per poter dedurre dalle equazioni omonime in quale modo l’intero campo varierà nello
spazio e nel tempo. Le equazioni di Maxwell permettono di seguire le vicende del
campo, così come le equazioni della meccanica consentono di seguire le vicende delle
particelle materiali.
Un passo essenziale che condusse alle equazioni di Maxwell consiste nel
riconoscere il campo come qualcosa di reale, una volta creato il campo
elettromagnetico sussiste, agisce e varia in conformità alle leggi di Maxwell […]
Noi vedremo inizialmente una forma semplificata delle equazioni di Maxwell e
utilizzeremo la seguente definizione operativa di campo elettrico STATICO.
Date due cariche che esercitano una sull’altra una forza elettrica, una viene definita
carica generatrice del campo (q), l’altra carica di prova (q0). Il campo elettrico
prodotto dalla carica generatrice è l’insieme dei vettori che rappresentano, in ogni
punto dello spazio, la forza che vi subirebbe la carica di prova per unità di carica. In
formule:
Vettore campo elettrico:
⃗
⃗E = F
q
0
[2]
Nell’esempio indicato in fig.2 è rappresentata
la regione di spazio che circonda la carica
generatrice negativa in cui sono raffigurati
qualitativamente i vettori di campo calcolati
con la [2] (N.B. si tratta di una figura
bidimensionale che rappresenta la sezione
della realtà tridimensionale). Il modulo del
Figura 2 – campo vettoriale di una carica generatrice negativa
5
campo generato dalla carica q si ottiene combinando le [1] e [2] ottenendo :
q
⃗ =u
E
⃗⃗⃗r 4πε r2
0
[3]
Nella [3] si evidenzia che il verso del vettore campo è puntato dalla parte della carica
generatrice se è negativa come in fig.2 o radiale uscente se la carica generatrice è
𝟏
positiva. La costante dielettrica vale: o= 8.854 10-12 C2/Nm2. Spesso si usa k= 𝟒𝛑𝛆 =
𝟎
𝟖. 𝟗𝟗 ∙ 𝟏𝟎𝟗
𝐍𝐦𝟐
𝐂𝟐
. L’unità di misura del campo risulta dalla [2] essere N/C.
Sovrapposizione degli effetti: se in una regione dello spazio esistono due o più
cariche separate FERME, ognuna di esse produce una perturbazione dello spazio
(campo) quindi ad ogni punto sono associati più vettori che, essendo dello stesso
genere, seguono le regole dell’algebra vettoriale sommandosi e producendo così un
nuovo e unico campo (un solo vettore) per ogni punto.
Linee di forza: Linee tangenti ai vettori campo elettrico. Il verso delle linee di forza
è quello indicato localmente dai vettori di campo, quindi le linee di forza sono
“uscenti” da cariche positive ed “entranti” in cariche negative.
Figura 2a – linee di forza di un campo generato da quattro cariche elettriche
6
ESEMPIO N.1
Nel modello di Bohr dell’atomo di idrogeno, l’elettrone ruota attorno al protone su
“un’orbita” di raggio 5.29 10-11m. Si calcolino la forza di legame che agisce
sull’elettrone e la velocità di rotazione supponendo “l’orbita circolare”.
Dati: r = 5.29 10-11m; e = 1.60 10-19C; k = 8.99 109 Nm2/C2; m=9.11 10-31kg
Velocità periferica
Figura 3 - atomo di idrogeno
La forza di attrazione (di legame) esercitata dal protone vale in modulo:
e2
F = k ∙ 2 = 8.22 ∙ 10−8 N
r
N.B. la forza gravitazionale dell’elettrone attirato dalla massa del protone risulta
dell’ordine di 10-40N quindi non significativa rispetto alle forze elettriche in tutti i
problemi di natura microscopica (chimica e fisica nucleare).
La forza di legame è centripeta e quindi produce un’ accelerazione centripeta collegata
alla velocità nel modello di moto circolare dalla formula:
k∙
𝑎=
e2
2
r2 = 𝑣
𝑚
Da cui:
7
𝑟
𝑘
𝑣 = 𝑒√𝑚𝑟 = 2.18 ∙ 106 𝑚/𝑠
Che è la velocità dell’elettrone dell’atomo di idrogeno riscontrata sperimentalmente.
1.1.2) ENERGIA POTENZIALE ELETTRICA
La forza elettrica (come quella gravitazionale) è associata ad una forma di energia
potenziale. Infatti le formule matematiche della forza di Coulomb e della forza di
Newton sono concettualmente identiche quindi, se dalla forza peso si risale all’energia
potenziale gravitazionale ,con lo stesso procedimento si può arrivare alla formula
dell’energia potenziale elettrica che infatti, come ricorderete, risulta:
q q
1 2
Epe = 4πε
[4]
r
0
Dove q1 è il generatore di campo e q2 la carica che ne subisce gli effetti. L’energia
esiste, come la forza elettrica, solamente quando una seconda carica entra nel campo
prodotto dalla prima. Ricordiamo però che il campo è invece una perturbazione dello
spazio prodotto da q1 che esiste anche quando non si hanno forze perché non sono
presenti altre cariche.
Si definisce quindi una nuova grandezza fisica, il potenziale elettrico, che come il
campo esiste nello spazio circostante il generatore anche in assenza di altre cariche:
V=
Epe
Che ha come unità di misura il volt:
q2
q
= 4πε1 r
[5]
0
[V]=[J/C]
Ne deriva quindi che oltre al campo vettoriale esiste anche un campo scalare che
associa ad ogni punto dello spazio un valore di potenziale.
L’energia e il potenziale risultano collegate dalla:
Epe = q2 V
[6]
ESEMPIO N. 2
Nell’esempio n.1 abbiamo ricavato la velocità a cui ruota l’elettrone nell’atomo di
idrogeno utilizzando il modello di Bohr (fig.3). Utilizzando i dati dell’esempio 1
vogliamo calcolare :
- Il potenziale elettrico generato dal protone sull’equipotenziale costituita
“dall’orbita” dell’elettrone.
8
- L’energia totale dell’elettrone.
- L’energia di ionizzazione dell’elettrone.
Dati: r = 5.29 10-11m; e = 1.60 10-19C; k = 8.99 109 Nm2/C2; m=9.11 10-31kg;
106 m/s.
v=2.18
Il potenziale elettrico dell’equipotenziale a distanza r vale:
𝑒
𝑉 = 𝑘 = +27.2𝑉
𝑟
L’energia di legame dell’elettrone è la somma di quella cinetica e di quella potenziale
elettrica (quella gravitazionale è non significativa) e, ricordando che la carica elettrica
dell’elettrone è negativa, misura:
1
𝐸 = 𝑚𝑣 2 + 𝑒 − 𝑉 = −2.18 ∙ 10−18 𝐽 = −13.6 𝑒𝑉
2
N.B. L’elettronvolt è definito nel seguente modo: 1eV=1.60 10-19J
L’elettrone si ritiene libero quando la sua energia diventa positiva (l’energia cinetica è
maggiore del valore assoluto dell’energia potenziale elettrica) o al minimo nulla quindi
per ionizzare l’atomo è necessario fornirgli, come minimo, 13.6 eV di energia.
Linee equipotenziali - usando la stessa logica con cui si sono costruite le linee di
forza possono ora costruirsi delle superfici equipotenziali che contengano tutti i punti
di un campo
elettrico allo stesso potenziale.
Figura 4 – linee di forza ed equipotenziali
9
Lavoro di una forza elettrica: quando una forza è associata ad una forma di
energia potenziale il lavoro risulta indipendente dal percorso ma dipende solo dal
punto di partenza e da quello di arrivo secondo la formula:
L = −∆Epe = −q2 ∆V [7]
ESEMPIO N. 3
Una particella (nucleo di elio quindi 2 protoni e 2 neutroni) è in moto verso il nucleo
di un atomo d’oro (il cui nucleo è composto da 79 protoni e 118 neutroni). A causa
della forza repulsiva che esercitano i protoni dei due nuclei la particella a subisce un
rallentamento che la porta a fermarsi ad una distanza di 9.23.10-15m dal centro del
nucleo d’oro (N.B. il raggio del nucleo è minore di questa distanza) per poi rimbalzare
indietro lungo lo stesso cammino (urto elastico). Considerando non significativa la
forza gravitazionale e il movimento di rimbalzo del nucleo d’oro ( ha una massa di
molto superiore a quella del nucleo di elio) calcolare l’energia cinetica della particella
𝛼 quando è al di fuori della zona d’influenza dell’oro.
Dati: Carica particella : qa=2e, carica nucleo oro: qAu=79e, e =1.60 10-19C, r=9.23.1015
m, k= 8.99 109Nm2/C2.
Il campo elettrico generato dal nucleo dell’oro è conservativo quindi l’energia totale
di un oggetto che si muove al suo interno rimane costante. Quanto la particella alfa si
trova fuori dall’influenza del campo del nucleo d’oro (la distanza è tale che l’energia
potenziale elettrica non è significativa rispetto a quella cinetica) la sua energia totale
risulta:
𝐸𝑇𝑖 = 𝐸𝐶𝑖
Giunta alla distanza di arresto la sua velocità è nulla e quindi la sua energia è solo
potenziale elettrica e vale:
𝐸𝑇𝑓 = 𝐸𝑃𝑒 = 𝑘
2𝑒 ∙ 79𝑒
𝑟
Per il principio di conservazione dell’energia, l’energia cinetica iniziale risulta:
𝐸𝐶𝑖 = 𝑘
2𝑒 ∙ 79𝑒
= 3.94 ∙ 10−12 𝐽 = 24.6𝑀𝑒𝑉
𝑟
10
1.1.3) CIRCUITAZIONE DI UN
CAMPO ELETTRICO STATICO ( terza
equazione di Maxwell per l’elettrostatica)
In base alla [7] se all’interno di un campo
elettrico si percorre una linea chiusa e si
calcola il lavoro, essendo coincidenti il
punto di partenza e quello di arrivo, si
ottiene sempre come risultato zero (Vi=Vf
implica ∆𝑉 = 0). D’altra parte il lavoro
totale si può calcolare, suddividendo la
linea in piccoli spostamenti Δ𝑠 , con la:
𝑛
𝑛
𝑛
𝐿 = ∑ 𝐹𝑖 ∙ ∆𝑠𝑖 = 𝑞2 ∑ 𝐸⃗𝑖 ∙ ∆𝑠⃗⃗𝑖 = −𝑞2 ∑ ∆𝑉𝑖 = 0
𝑖=1
𝑖=1
𝑖=1
Tale formula prende il nome di circuitazione del campo elettrico e si indica con
Γ(E):
Γ(𝐸⃗ )= ∑𝑛𝑖=1 𝐸⃗𝑖 ∙ ∆𝑠⃗⃗𝑖 = − ∑𝑛𝑖=1 ∆𝑉𝑖 = 0
[8]
Il fatto che la circuitazione sia nulla su un qualsiasi percorso implica che la forza e
quindi il campo che la genera siano conservativi e pertanto al suo interno vale il
principio di conservazione dell’energia. Ne segue poi che per ogni singolo tratto il
modulo del campo risulta:
𝐸=
Δ𝑉
Δ𝑠
[9]
ESEMPIO N.4
Un campo elettrico (non elettrostatico) ha linee di forza circolari. L’intensità del
vettore campo elettrico è di 150 V/m e il raggio della circonferenza che si esamina è
di 4.00 cm. Calcola la circuitazione del campo lungo questa circonferenza e stabilisci
se si tratta di un campo conservativo oppure no.
Dati: E = 150 V/m, r = 0.0400 m
Si può suddividere la circonferenza in un numero grandissimo di intervalli l tali che
non ci siano differenze significative tra gli archi e le corde che li sottendono. In questa
condizione i vettori di campo, che sono tangenti alla circonferenza possono essere
considerati paralleli ai l ( angolo zero, coseno uguale ad uno) e quindi la circuitazione
del campo risulta:
11
Γ(𝐸⃗ )= ∑𝑛𝑖=1 𝐸⃗𝑖 ∙ ∆𝑙⃗𝑖 = 𝐸 ∑𝑛𝑖=1 ∆𝑙𝑖
La quantità rappresentata dalla sommatoria è pari alla lunghezza della circonferenza
quindi:
Γ(𝐸⃗ ) = 𝐸 (2𝜋𝑟) = 37.7𝑉
Essendo la circuitazione su un percorso chiuso diversa da zero significa che il lavoro
dipende dal percorso e quindi non possiede una funzione di potenziale e pertanto il
campo in esame non è conservativo. Questo è vero in generale: campi con linee di
forza chiusi non sono conservativi.
1.1.4) FLUSSO ELETTRICO
Figura 6 - flusso di un campo attraverso una superficie S
Definizione: Dato un campo elettrico 𝐸⃗ e una superficie di area S (identificata
attraverso un versore ortogonale alla stessa) il flusso del campo attraverso la superficie
(E) = ⃗E ∙ ⃗⃗⃗⃗
vale:
∅⃗⃗⃗⃗⃗⃗
uN S = EScos(α) [10]
Legge di Gauss del campo elettrico ( prima equazione di Maxwell per
l’elettrostatica).
[N.B. Non si deve confondere il flusso elettrico con quello termico anche
se il simbolo 𝚽 è lo stesso.]
Il flusso generato da una carica q attraverso una superficie ideale chiusa qualsiasi che
la contenga vale:
⃗⃗⃗⃗⃗⃗ = 𝑞
Φ(𝐸)
𝜀
0
[11]
Figura 7 - flusso attraverso una superficie sferica ideale
12
Dimostrazione della legge di Gauss per il campo elettrico
Condizioni iniziali:
Il campo elettrico è generato da una singola carica puntiforme positiva q (fig.7) .
La superficie attraverso cui si calcola il flusso del campo è una sfera di raggio r con il
centro nel punto in cui si trova q. Suddividendo la superficie sferica in una quantità
così grande di aree A da poterle considerare, senza errori significativi, piane e
tangenti alla superficie stessa si ottiene che:
Tutti i vettori di campo elettrico e i versori ortogonali alle superfici sono paralleli e
radiali.
Con queste considerazioni per ognuna delle superfici DA è possibile scrivere la [8]
con angolo pari a zero e coseno uguale ad 1ottenendo:
(𝐸 ) = 𝐸⃗ ∙ ∑
∅⃗⃗⃗⃗⃗⃗
𝑛
𝑖=1
𝑛
⃗⃗⃗⃗⃗
𝑢𝑁 ∆𝐴 = 𝐸 ∑
∆𝐴
𝑖=1
La somma di tutti i A rappresenta la superficie della sfera e vale 4r2:
𝒒
(𝐸 ) = 𝐸4pr2=
∅⃗⃗⃗⃗⃗⃗
𝟒𝝅𝜺
𝟎
𝑞
𝒓𝟐
4𝜋𝑟 2 = 𝜀
𝑜
ESEMPIO N. 5
Data una sfera di raggio R uniformemente caricata sulla sua superficie esterna da una
carica totale Q, calcola il campo elettrico all’interno della sfera e all’esterno ad una
distanza r dal centro molto maggiore di R.
Figura 8 - sfera con carica uniformemente distribuita sulla superficie
13
Per determinare il modulo del campo all’interno della sfera si calcola il flusso totale
attraverso una superficie teorica interna di raggio R 1 appena minore di R.
Suddividendo questa sfera di flusso in aree elementari A come nella dimostrazione
del teorema di Gauss si ottiene con la [10] che il flusso totale del campo all’interno
risulta:
Φ(𝐸⃗ ) = 𝐸4𝜋𝑅1
D’altra parte con il teorema di Gauss, non essendoci carica all’interno di questa
superficie, si ottiene:
Φ(𝐸⃗ ) = 0
Quindi uguagliando le due formule ed esplicitando il campo si ha:
E=0
Ne consegue che all’interno della distribuzione di carica superficiale il campo elettrico
è nullo. Questa soluzione è generalizzabile a qualsiasi forma abbia un corpo carico
superficialmente.
Utilizzando ora una superficie sferica con r>R si ripetono i passaggi visti per la
soluzione precedente solo che ora il flusso vale per il teorema di Gauss:
⃗⃗⃗⃗⃗⃗ =
Φ(𝐸)
Che uguagliato alla
𝑄
𝜀0
Φ(𝐸⃗ ) = 𝐸4𝜋𝑅 porta a:
𝐸=
𝑄
4𝜋𝜀0 𝑟 2
Che appare identica alla formula del campo di una carica puntiforme. Va però ricordato
che in questo caso la distribuzione di carica non è per niente puntiforme ma può essere
su una superficie macroscopica qualsiasi.
Ne segue che la superficie della sfera è una equipotenziale. Questo risultato è
generalizzabile cioè: la superficie esterna di un oggetto carico è la prima
equipotenziale del campo che genera ed ha la forma dell’oggetto stesso.
14
1.1.5) CAMPO ELETTRICO DI UNA LASTRA SOTTILE CARICA
Consideriamo una lastra metallica sottile (spessore non significativo rispetto alle altre
due dimensioni) di area A, sulla quale
esista una carica totale 𝑄 = ∑ 𝑒 + . Con
queste premesse si può considerare che
la carica sia distribuita uniformemente
sulle due facce esterne, mentre (visto lo
spessore
non
significativo)
sia
trascurabile la parte di essa disposta sulle
superfici laterali. Le due superfici sono
delle equipotenziali e pertanto il campo
𝐸⃗ generato sarà ortogonale alla lastra
Figura C1 - SEZIONE DI UNA LASTRA SOTTILE CARICATA
POSITIVAMENTE
stessa. Utilizzando la [10] in cui la
superficie attraverso cui calcolare il
flusso è quella della lastra stessa si ha:
(E) = 2AE
Φ⃗⃗⃗⃗⃗⃗
(ricordare che si può considerare non significativo il flusso uscente dalle aree laterali
di piccolo spessore). D’altra parte la seconda equazione di Maxwell, essendo la
superficie chiusa, porta a:
⃗⃗⃗⃗⃗⃗ =
Φ(𝐸)
𝑄
𝜀0
2𝐴𝐸 =
𝑄
𝜀0
Uguagliando i due risultati si ha:
A cui segue che il campo della lastra è costante e vale:
E=
Q
2ε0 A
[11b]
le direzioni e il verso del quale sono indicate in figura.
1.1.6) CONDENSATORE PIANO
15
Figura C2 - CAMPO DI UN CONDENSATORE
Un condensatore è un componente di circuiti elettrici atto ad accumulare al suo interno
una certa quantità di carica elettrica. Esistono vari tipi di condensatori ma a noi
interessa capire il funzionamento del più semplice di essi: quello costituito da due
lamine metalliche identiche, piane e parallele, disposte come in figura C2. Sulla piastra
1 è disposta una carica Q+ che ripete la situazione studiata nel paragrafo precedente il
cui risultato è visualizzato in figura C1. Essa genera un campo costante le cui linee di
forza, uscenti, sono indicate in rosso nella figura C2. La piastra 2 è caricata da una
carica uguale in modulo a Q, ma di segno negativo. Essa genera un campo dello stesso
modulo della piastra uno, ma con linee di forza come quelle indicate in blu. Il valore
dei due campi è costante e vale ognuno:
E=
|Q|
2ε0 A
Se si considera un punto qualsiasi P nella zona a sinistra della piastra 1 si vede che i
due vettori, aventi lo stesso modulo e direzione ma verso opposto, sommandosi ,si
annullano; pertanto in un punto qualsiasi a sinistra della lastra 1 il campo si annulla.
Ragionando nello stesso modo per un punto qualsiasi T a destra della piastra 2 si
giunge allo stesso risultato: il campo si annulla. Ne segue che all’esterno delle due
piastre il campo non esiste (ricordare che sopra e sotto è non significativo a causa del
piccolo spessore delle piastre). Se si considera, invece, un qualsiasi punto R tra le due
piastre si nota che i due vettori di campo sono uguali sia in modulo che direzione e
verso e che pertanto tra le piastre il campo si rafforza :
16
𝑄
ε0 A
𝐸𝑐 = 2𝐸 =
[11𝑐]
Nei circuiti elettrici il simbolo di
condensatore è indicato in figura C3 per le
tipologie più comuni.
Figura C3 - Simboli circuitali di un condensatore
- DIFFERENZA DI POTENZIALE DI UN CONDENSATORE
In figura C4 è rappresentato un
condensatore con le piastre distanziate di
s e caricate con carica Q uguale in modulo
ma di segno opposto. Da quanto
precedentemente visto risulta che il
Figura C4 - DIFFERENZA DI POTENZIALE TRA LE PIASTRE
campo è diretto dall’alto verso il basso.
Una carica positiva q posta nei pressi della piastra superiore viene agganciata dal
campo e spinta dalla forza elettrica 𝐹 = 𝑞𝐸, verso il basso. Il lavoro fatto dalla forza
risulta:
[7] sappiamo che:
Semplificando si ha:
𝑄
𝐿 = 𝐹 ∙ 𝑠 = 𝐹𝑠 = 𝑞𝐸𝑠 = 𝑞𝑠 ε
0A
Dalla
𝑄
L = −q ∆V = 𝑞𝑠 ε
0A
∆V = −
𝑄𝑠
ε0 A
[11d]
dalla quale risulta che la tensione diminuisce all’aumentare della distanza dalla
piastra positiva.
- CAPACITA’ DI UN CONDENSATORE
Di solito si considera il valore assoluto della tensione e pertanto la [11d] può essere
riscritta nella forma:
𝑄=
ε0 A
𝑠
∆𝑉 = 𝐶∆𝑉
Dato che i termini frazionari del secondo membro sono delle costanti per un dato
condensatore questa quantità è una caratteristica intrinseca dello stesso è viene definita
CAPACITA’. Per un condensatore a piastre piane vale quindi:
𝐶=
ε0 A
𝑠
17
[11𝑒]
L’unità di misura della capacità è:
C
V
=F
(𝒇𝒂𝒓𝒂𝒅)
Condensatori
di tipo diverso da quello descritto hanno formule differenti per calcolare la loro
capacità ma, dato che tale valore è stampato sui pezzi, basta sapere cosa rappresenta.
Generalmente i valori di C sono dell’ordine dei F o pF.
1.2) CORRENTE ELETTRICA
Definizione: la corrente elettrica è un flusso ordinato di cariche che SI MUOVONO
NELLA STESSA DIREZIONE E VERSO .
I
Figura 9 – flusso ordinato di elettroni in un conduttore metallico prodotto da un campo elettrico esterno.
1.2.1) INTENSITA’ DELLA CORRENTE ELETTRICA
Definizione: è il valore del rapporto tra la quantità di carica (q) che attraversa una
sezione del conduttore e l’intervallo di tempo impiegato:
I=
∆q
∆t
=
dq
[C/s]=[A]
dt
[12]
Si misura in ampère : [A]=[C/s]
Verso della corrente: dato che nei conduttori metallici sono gli elettroni ( negativi)
che formano la corrente e il loro moto è diretto verso il polo positivo del campo
generatore il verso dovrebbe essere dal polo negativo verso quello positivo. Per motivi
storici però è previsto che sia il contrario cioè dal polo positivo a quello negativo
(fig.9).
1.2.2 PRIMA LEGGE DI OHM
Come ricordate dal biennio, detta R la resistenza di un
conduttore si ha:
Δ𝑉 = 𝑅𝐼
[12a]
18
Figura 10- simboli di
resistenza
1.2.3) SECONDA LEGGE DI OHM
Detto la resistività di un conduttore, A l’area della sezione trasversale dello stesso
ed l la sua lunghezza si ha:
𝑙
𝑅 = 𝜌𝐴
[]=[V/A] [12b]
1.2.4) POTENZA ELETTRICA
𝑃=
∆𝐸
∆𝑡
=
𝑑𝐸
𝑑𝑡
= 𝐼Δ𝑉 = 𝑅𝐼 2 =
Δ𝑉 2
𝑅
[W]=[J/s]=[VA] [12c]
1.2.5) EFFETTO JOULE
La potenza dissipata da una corrente a causa dei “microurti” elettrici tra gli elettroni e
gli atomi del reticolo cristallino, produce un aumento di temperatura del conduttore. In
altri termini l’energia elettrica consumata dalla resistenza al passaggio della corrente
si trasforma in energia termica. Questo processo chiamato “effetto Joule” è
quantificabile nel seguente modo:
𝑃=
∆𝐸
∆𝑡
= 𝐼Δ𝑉 = 𝑅𝐼 2 =
Δ𝑉 2
𝑅
𝑄
= ∆𝑡 = 𝑐𝑚∆𝑇/∆𝑡
[12d]
Dove Q è il calore generato, c il calore specifico del resistore, m la sua massa e T la
variazione di temperatura subita.
ESEMPIO N. 6
L’elettrone che ruota attorno al nucleo nell’atomo d’idrogeno percorre una traiettoria
chiusa ripassando periodicamente per lo stesso punto e muovendosi nella stessa
direzione. Utilizzando i valori ricavati nel esempio n.1, calcola l’intensità della
corrente elettrica prodotta dalla rotazione dell’elettrone.
r = 5.29 10-11m; e = 1.60 10-19C; m=9.11 10-31kg; v=2.18 106 m/s.
Il periodo di rotazione dell’elettrone vale:
𝑣=
Essendo q = e si ha:
I=
∆q
∆t
2𝜋𝑟
𝑇
=
ev
2πr
→
=
𝑇=
2𝜋𝑟
= ∆𝑡
𝑣
1.60∙10−19∙2.18∙106
2π∙5.29∙10−11
19
= 1.05 mA
ESEMPIO N. 7
Un parallelepipedo di platino ha le seguenti dimensioni degli spigoli : a= 2.00 cm,
b=3.00 cm, c=10.00 cm; la resistività del platino misura 10,6.10-8 m. Quanto vale la
resistenza incontrata da una corrente elettrica che percorra il parallelepipedo nei
seguenti modi:
- I) nella direzione dello spigolo più lungo
- II) nella direzione dello spigolo più corto
- III) nella direzione dello spigolo di lunghezza intermedia.
Dati: a= 2.00 cm, b=3.00 cm, c=10.00 cm, =10.6 10-8 m.
I) l’area ortogonale alla direzione della corrente in questo caso misura:
𝐴=𝑎∙𝑏
Quindi applicando la [12.b] si ha:
𝑐
10.00 ∙ 10−2
−8
𝑅=𝜌
= 10.6 ∙ 10
= 1.77 ∙ 10−5 Ω
−2
−2
𝑎∙𝑏
2.00 ∙ 10 ∙ 3.00 ∙ 10
II) l’area ortogonale alla direzione della corrente in questo secondo caso misura:
𝐴=𝑐∙𝑏
Quindi applicando la [12.b] si ha:
𝑎
2.00 ∙ 10−2
−8
𝑅=𝜌
= 10.6 ∙ 10
= 7.07 ∙ 10−7 Ω
−2
−2
𝑐∙𝑏
10.00 ∙ 10 ∙ 3.00 ∙ 10
III) l’area ortogonale alla direzione della corrente in questo caso misura:
𝐴 =𝑎∙𝑐
Quindi applicando la [12.b] si ha:
𝑏
3.00 ∙ 10−2
−8
𝑅=𝜌
= 10.6 ∙ 10
= 1.59 ∙ 10−6 Ω
−2
−2
𝑎∙𝑐
2.00 ∙ 10 ∙ 10.00 ∙ 10
Notare la variazione nell’ordine di grandezza della resistenza nei tre casi esaminati.
ESEMPIO N. 8
Quale differenza di potenziale deve esserci tra le due facce opposte del parallelepipedo
esaminato nell’esempio n.7 per generare una corrente che parta da una delle due e
raggiunga l’altra con un’intensità di 1.00 mA nei tre casi studiati?
20
Dati: RI = 1.77 10-5; RII =7.07 ∙ 10−7 Ω; RIII = 1.59 ∙ 10−6 Ω, I = 1.00 10-3A.
- Corrente parallela allo spigolo c
∆𝑉𝐼 = 𝑅𝐼 𝐼 = 1.77 ∙ 10−5 ∙ 1.00 ∙ 10−3 = 1.77 ∙ 10−8 𝑉
- Corrente parallela allo spigolo a
∆𝑉𝐼𝐼 = 𝑅𝐼𝐼 𝐼 = 7.07 ∙ 10−7 ∙ 1.00 ∙ 10−3 = 7.07 ∙ 10−10 𝑉
- Corrente parallela allo spigolo b
∆𝑉𝐼𝐼𝐼 = 𝑅𝐼𝐼𝐼 𝐼 = 1.59 ∙ 10−6 ∙ 1.00 ∙ 10−3 = 1.59 ∙ 10−9 𝑉
ESEMPIO N. 9
Calcola la potenza generata da una resistenza di 100  attraversata da una corrente
continua di 10,0 A.
Dati : R = 100 , I = 10.0 A.
Per la 12c) si ha:
𝑃 = 𝑅𝐼 2 = 100 ∙ 102 𝑊
1.2.6) CIRCUITI ELETTRICI: MAGLIE – NODI – RAMI
I circuiti elettrici sono formati da insiemi di componenti elettrici di vario tipo collegati
tra di loro da fili di materiale conduttore. Nella figura sottostante sono indicati alcuni
dei simboli che si trovano negli schemi circuitali. La maggior parte di essi non sarà
usata nel nostro corso, ma è utile avere almeno idea della loro esistenza.
Figura E1 - Componenti elettrici: simbologia
E’ importante conoscere l’esatto significato dei termini: maglia, nodo, ramo.
21
- Maglia: si intende un qualsiasi poligono formante un percorso chiuso
all’interno di un circuito elettrico. Ad esempio in figura E2 si può vedere
un’applicazione di tale definizione.
VC
VA
V
VB
V
2
Figura E2 - Circuito elettrico: maglie e nodi
- Nodo: è un punto in cui convergono tre o più fili elettrici (rami) come i punti b
ed f della figura E2.
- Rami: sono i fili elettrici, comprensivi degli utilizzatori, che congiungono due
nodi ad esempio in figura E2 ci sono tre rami: il primo dal nodo f lungo il tratto
ga per arrivare a b , ramo che contiene una pila e una resistenza; il secondo dagli
stessi nodi lungo il tratto ce; anche questo ramo contiene una pila e una
resistenza; il terzo congiunge direttamente i nodi f e b e contiene una sola
resistenza. In ogni ramo gira una sola corrente elettrica. Nel circuito che
stiamo analizzando sono presenti tre rami distinti quindi tre correnti distinte i 1,
i2, I.
Esistono due importanti regole utili per calcolare le correnti e le cadute di potenziali
nei circuiti: le leggi di Kirchhoff:
- 1^ legge di Kirchhoff (legge dei nodi)
Ricordando che la corrente elettrica è costituita da un certo numero di cariche in moto
nella stessa direzione segue che se si considera un nodo al quale convergono tre o più
rami allora:
La somma algebrica tra le correnti entranti (considerate positive) e quelle uscenti
(considerate negative) deve risultare sempre uguale a zero.
22
Ad esempio in figura E2, nel nodo b, convergono tre rami nei quali scorrono le correnti
di intensità i1, i2,I; le prime due sono entranti mentre la terza è uscente quindi si
∑ 𝐼 = 𝑖1 + 𝑖2 − 𝐼 = 0
ha:
[I]
La 1^ legge di K. può essere scritta per un dato circuito avente n nodi, n-1 volte
permettendo così di costruire più equazioni indipendenti contenenti le correnti
incognite. Come si vede però nel circuito che stiamo analizzando i nodi sono 2 e quindi
si può ottenere una sola equazione che colleghi le tre intensità ed è quindi insufficiente
per risolvere il problema. Inoltre nel circuito in figura E2 si possono ritenere come dati
iniziali noti i valori delle due tensioni V 1 e V2 e le tre resistenze di valore R1,R2 ed R3.
Risultano allora in totale sei incognite: le tre correnti e le tensioni consumate dalle tre
resistenze che indicheremo nell’ordine VA, VB e VC. In definitiva per risolvere il
circuito è necessario costruire un sistema a sei equazioni e sei incognite. Ricordando
la 1^ legge di Ohm se ne possono costruire tante quante sono le resistenze nel circuito,
in questo caso 3:
𝑉𝐴 = 𝑅1 𝑖1
{𝑉𝐵 = 𝑅2 𝑖2
𝑉𝐶 = 𝑅3 𝐼
[II]
Che con la [I] portano a quattro le equazioni utilizzabili. Per trovare le altre due è
necessario utilizzare la seconda legge di Kirchhoff la quale è un’applicazione della
circuitazione di un campo elettrico lungo un percorso chiuso: Γ(𝐸⃗ )= ∑ 𝑉𝑖 = 0
- 2^ legge
di Kirchhoff (legge delle maglie)
Fissato un verso di percorrenza (orario o antiorario), valido per tutte le maglie, si
considerano positivi i potenziali crescenti in verso concorde a quello prescelto per la
maglia e negativi quelli decrescenti, l’enunciato della legge è:
La somma algebrica dei potenziali presenti lungo i rami che costituiscono la maglia è
uguale a zero.
Anche la seconda legge di K. può essere scritta n-1 volte (n = numero di maglie) e
devono comprendere tutti i generatori
Tornando all’esempio del circuito di figura E2 si vede che il numero di maglie è tre
quindi si può scrivere la 2^ legge di K. due volte ottenendo le equazioni sufficienti a
risolvere il sistema. Fissato il verso orario come positivo per le maglie si possono
scegliere la (abfg) e la (bcef) ottenendo:
23
𝑉 − 𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 = 0
{ 1
𝑉𝐵 + 𝑉𝐶 − 𝑉2 = 0
[𝐼𝐼𝐼]
Facendo un unico sistema tra le [I], [II] e [III] si possono calcolare le sei incognite.
1.2.7) RESISTENZE IN SERIE
Dato il grande numero di incognite presenti nei circuiti elettrici complessi, per evitare
di risolvere sistemi ad un grande numero di equazioni (anche se ora esistono
programmi che li risolvono automaticamente) si è soliti suddividere il circuito
completo in sottosistemi formati da maglie e rami con determinate caratteristiche in
V
Figura E3 - Resistenze in serie
modo da ridurre il sistema che ne deriva.
Il primo caso che consideriamo è quello che corrisponde ad un ramo di una maglia che
presenta una di seguito all’altra (in serie) più resistenze localizzate. Si trova così una
resistenza equivalente teorica che produce lo stesso effetto sulla corrente di quelle reali
presenti nel ramo. Per raggiungere la formula che permette di calcolare questa
resistenza equivalente consideriamo il circuito rappresentato in figura E3. Il circuito è
composto da un’unica maglia con un generatore di tensione e tre resistenze, essendoci
un solo ramo che si chiude su se stesso (non ci sono nodi) è presente una sola corrente
elettrica. Noti i valori di V, R1, R2, R3 si hanno quattro incognite cioè la intensità di
corrente I e le cadute di potenziale V1, V2, V3. Servono quindi quattro equazioni di cui
una può essere ottenuta dalla 2^ legge di Kirchhoff:
𝑉 − 𝑉1 − 𝑉2 − 𝑉3 = 0
Mentre le altre tre si ottengono applicando la 1^ legge di Ohm ad ogni resistenza:
𝑉1 = 𝑅1 𝐼
{𝑉2 = 𝑅2 𝐼
𝑉3 = 𝑅3 𝐼
24
Sostituendole nella prima equazione si ha:
𝑉 = 𝑅1 𝐼 + 𝑅2 𝐼 + 𝑅3 𝐼
[𝐼𝑉]
D’altra parte la resistenza equivalente, RS, deve essere tale da consumare tutta la
tensione V quando è attraversata dalla corrente I cioè:
𝑉 = 𝑅𝑆 𝐼
Sostituendo la [V] nella [IV] si ha:
[𝑉]
𝑅𝑆 𝐼 = (𝑅1 + 𝑅2 + 𝑅3 )𝐼
𝑅𝑆 = 𝑅1 + 𝑅2 + 𝑅3
Semplificando I si ottiene:
Nel caso che le resistenze siano un numero N qualsiasi si può generalizzare la formula
per le resistenze in serie nel seguente modo:
N
RS = ∑ Ri
[VI]
i=1
1.2.8) RESISTENZE IN PARALLELO
Quando un circuito è composto di più rami, convergenti su due soli nodi, non contenenti il generatore, lungo ognuno dei quali è presente una sola resistenza (effettiva o
derivante da una serie) è possibile determinare una resistenza equivalente R P, che
produca lo stesso effetto nel circuito reale del blocco di rami sopradescritti. Un collegamento di questo tipo è definito in parallelo. Per raggiungere la formula che permette di calcolare questa resistenza equivalente consideriamo il circuito rappresentato in figura E4.
VAB
V
Figura E4 - Resistenze in parallelo
In questo caso il circuito è costituito da quattro rami collegati a due nodi A e B. In base
alla descrizione precedente vanno considerati in parallelo i tre rami contenenti le
25
resistenze che partono tutti dal nodo A e finiscono al nodo B mentre non risulta in
parallelo (neanche se contenesse a sua volta una resistenza) il ramo che contiene la
pila. Considerando noti i valori di V, R1, R2, R3, si hanno cinque incognite: ITOT, I1, I2
e I3 oltre alla tensione VAB che è la stessa per ogni ramo (ricorda la 2^legge di K.).
La 1^ legge di K. può essere applicata una sola volta (n=2 nodi) al nodo A, porta a:
𝐼𝑡𝑜𝑡 − 𝐼1 − 𝐼2 − 𝐼3 = 0
[𝑉𝐼𝐼]
Si può poi scrivere tre volte la 1^ legge di Ohm ottenendo:
𝐼1 =
𝑉𝐴𝐵
𝑅1
𝐼2 =
𝑉𝐴𝐵
𝑅2
𝐼3 =
𝑉𝐴𝐵
𝑅3
Che sostituite nella [VII] danno:
𝐼𝑡𝑜𝑡 =
𝑉𝐴𝐵 𝑉𝐴𝐵 𝑉𝐴𝐵
1
1
1
+
+
=( +
+ ) 𝑉𝐴𝐵
𝑅1
𝑅2
𝑅3
𝑅1 𝑅2 𝑅3
[𝑉𝐼𝐼𝐼]
La resistenza teorica equivalente deve soddisfare a sua volta la 1^ legge di Ohm
quindi:
𝑉𝐴𝐵
𝐼𝑡𝑜𝑡 =
𝑅𝑃
Sostituendo quest’ultima nella [VIII] si ottiene:
𝑉𝐴𝐵
1
1
1
=( +
+ ) 𝑉𝐴𝐵
𝑅𝑃
𝑅1 𝑅2 𝑅3
Semplificando ed esplicitando Rp si ha:
𝑅𝑃 =
1
1
1
1
( +
)
+
𝑅1 𝑅2 𝑅3
Nel caso che le resistenze i parallelo siano N si generalizza la formula nel seguente
modo:
RP =
1
1
∑N
i=1R
i
26
[IX]
1.3) MAGNETISMO
Il fenomeno del magnetismo è generato dal moto di cariche elettriche singole o in
gruppo (correnti elettriche). NON esistono cariche magnetiche.
1.3.1) LEGGE DI AMPERE
Il modulo della forza magnetica che agisce su
un tratto, lungo l, di uno dei due fili percorsi
da corrente elettrica disposti come in figura
11, vale:
𝐹1 = 𝐹2 =
𝜇0 𝐼1 𝐼2
2𝜋𝑑
𝑙
[13]
Se le correnti procedono in verso opposto le
forze sono repulsive, nel caso in cui le correnti
procedano nello stesso verso le forze magnetiche che si scambiano i fili sono attrattive.
La costante diamagnetica vale: o= 4 10-7 N/A2
Figura 11 - fili percorsi da correnti discordi
ESEMPIO N. 10
Due fili paralleli di rame, di sezione A= 3.00 mm2 e lunghezza l = 1.20 m si trovano
ad una distanza d = 0.430 m come in figura 11. Ai capi di ciascun filo viene applicata
una differenza di potenziale di 20,0 V ma con polarità invertita. Calcola il modulo della
forza magnetica che agisce sui due fili.( Cu= 1.70 10-8m)
Dati : A= 3.00 mm2, l = 1.20 m, d = 0.430 m, Cu = 1.70 10-8m, DV = 20.0 V
La resistenza di ciascuno dei due fili vale :
𝑅=𝜌
𝑙
1.20
= 1.70 ∙ 10−8
= 6.80 ∙ 10−3 Ω
𝐴
3.00 ∙ 10−6
L’intensità delle due correnti che li percorre IN SENSO OPPOSTO è:
𝐼=
Δ𝑉
20.0
=
= 2.94 ∙ 103 𝐴
𝑅
6.80 ∙ 10−3
Le forze repulsive, che si scambiano per effetto magnetico i due fili sono:
μ0 I1 I2
4π ∙ 10−7 ∙ (2.94 ∙ 103 )2
F1 = F2 =
l=
= 4.02 N
2πd
2π ∙ 0.430
27
1.3.2 VETTORE INDUZIONE MAGNETICA
Come per il campo elettrico si può considerare uno dei due generatori di forza, I1
oppure I2, come sorgente di un campo Magnetico per unità di lunghezza del filo in
cui scorre la corrente generando un vettore di modulo:
𝐹
μ0 I1
2
2πd
𝐵1 = 𝐼 2𝑙 =
[14]
Questo vettore prende il nome di induzione magnetica (anche se alcuni lo chiamano
campo magnetico nome che, in realtà, è riferito ad un'altra parte della formula). L’unità
di misura dell’induzione magnetica è:
𝑁
𝐴𝑚
=𝑇
unità chiamata: tesla
[15]
Il campo vettoriale prodotto da un filo genera linee di forza che si possono rilevare con
piccoli magneti dando luogo ad immagini del tipo evidenziato in figura 12.
Figura 12 - linee di forza del campo B di un filo
Figura 13- verso delle linee di forza
Più in generale per stabilire il verso delle linee di forza si può, idealmente, prendere
con la mano destra il filo mettendo il pollice diretto dalla parte in cui scorre la corrente
in questo caso le altre dita indicano il verso delle linee di forza come in figura 12.
Come si vede le linee di forza sono chiuse attorno alla corrente generatrice. Si può
dimostrare (vedi esempio n.4) che quando le linee di forza di un campo vettoriale
sono chiuse il campo NON è conservativo quindi la forza magnetica NON genera
energia potenziale.
28
ESEMPIO N.11
Un filo di rame è percorso da una corrente continua di 10.0 A. Calcola il valore
dell’induzione magnetica su linee di campo lontane d1= 1.00 cm, d2= 10.0 cm e d3=
1.00 m. (figura 13)
Dati: I = 10.0 A, d1= 1.00 cm, d2= 10.0 cm e d3= 1.00 m.
Applicando la [14] alle tre distanze si ha:
𝑩 =
μ0 I
2πd
Bd1= 2.00 10-3T; Bd2=2.00 10-4T; Bd3= 2.00 10-5T
Come si vede il campo decresce rapidamente già ad un metro è non significativo
rispetto al valore che ha ad un centimetro dal filo.
ESEMPIO N. 12
Consideriamo ora i due fili rappresentati in figura 14. In questo caso però le due
correnti valgono I1= 10.0 A e I2= 5.0 A mentre la distanza tra i fili è d= 6.0 cm e la
lunghezza l=1.0 m. Calcolare il valore del vettore induzione magnetica nel punto P
posto a metà distanza tra i due fili. Risolvere il problema nel caso le correnti siano
equiverse.
P
1) Come si vede le linee di campo risultano
orientate con verso opposto e quindi i moduli dei
due vettori di campo nel punto P centrale si
sommano.
Dati: I1= 10.0 A, I2= 5.0 A, d= 6.0 cm, l=1.0 m
Quindi:
Figura 14- linee di campo
𝐵𝑃 = 𝐵1 + 𝐵2
Cioè:
μ0 I1
4 ∙ 10−7 10.0
B1 =
=
= 6.7 ∙ 10−5 T
2πd/2
0.060
μ0 I2
4 ∙ 10−7 5.0
B2 =
=
= 3.3 ∙ 10−5 T
2πd/2
0.060
29
𝐵𝑃 = 𝐵1 + 𝐵2 = 1.0 ∙ 10−4 𝑇
2) quando le correnti sono equiverse i due vettori di campo hanno verso opposto
quindi i moduli non cambiano e si ha:
𝐵𝑃 = 𝐵1 − 𝐵2 = 3.4 ∙ 10−5 𝑇
1.3.3) COLLEGAMENTO VETTORIALE CAMPO -FORZA
Inserendo le linee di forza generate da uno dei due fili di figura 14 si ottiene
l’immagine 15
Figura 15 - campo B e forza da esso generata
Come si vede le due correnti indicate sono questa volta equiverse e quindi la forza
magnetica è attrattiva. Si osserva inoltre che la forza magnetica, che è radiale, forma
90° con il vettore induzione magnetica che è invece tangenziale, mentre la corrente
elettrica, che subisce l’effetto della forza, è a sua volta a 90° con il piano in cui si
trovano F e B. Se si conosce il valore dell’induzione magnetica la [13] nel caso più
⃗⃗⃗⃗
⃗ 𝐼 𝐼2 𝑙 × ⃗⃗⃗⃗
generale diventa:
𝐹2 = 𝑢
𝐵1 [16]
Dove ⃗⃗⃗
𝑢𝐼 indica un versore concorde con la corrente I2 . Il modulo risulta:
𝐹2 = 𝐼2 𝑙𝐵1 sin(90) = 𝐼2 𝑙𝐵1 [17]
30
La [17] vale per correnti elettriche. Ricordando che la corrente è un flusso ordinato di
cariche elettriche (elettroni) q=ne che procedono nello stesso verso in un dato
intervallo di tempo [12]:
𝐼2 =
𝑁𝑒
∆𝑡
[18]
Nel caso che si tratti di una corrente formata da una sola carica (N=1) e ricordando che
𝑙
∆𝑡
rappresenta la velocità v con cui si sposta la carica , la [16] si può scrivere:
⃗1
𝐹 = 𝑒𝑣 × 𝐵
[19]
Che prende il nome di forza di Lorentz sulle cariche in moto.
Nel caso di un filo che si piega formando una spira (figura 16 c),d),e) ) si osserva che
le linee di forza la attraversano pressoché ortogonalmente al piano che contiene il filo
Figura 16 - campi magnetici di fili in varie configurazioni geometriche
e nel caso di più spire in successione
(solenoide) fig.16 f), le linee al suo interno
risultano pressoché equidistanti indicando
l’esistenza di un campo uniforme.
(elettrocalamita) Si può dimostrare che il
campo attraversante una spira [fig.16 c) d)]
vale:
B⊥ =
Figura 17 - linee di forza di una calamita naturale
μo IR2
3
2(R2 +z2 )2
[19. b]
Dove con 𝐵⊥ si intende che il campo ha la
direzione SUD-NORD come indicato in fig.16f. Se si confrontano queste linee di forza
31
con quelle generate da una calamita naturale si osserva che sono pressoché identiche
(fig. 17) rendendo evidente che si tratta dello stesso fenomeno generato dall’
allineamento nella calamita naturale degli orbitali su cui ruotano gli elettroni del
materiale che la costituisce. N.B. Per stabilire il verso del campo indotto dalla
corrente in una spira si chiudono le dita della mano DESTRA nel verso di rotazione
della corrente in questo modo il pollice indica il verso del campo magnetico.
Figura 18- campi magnetici dei singoli atomi in un cristallo
Le frecce in figura 18 indicano schematicamente l’andamento del vettore B prodotto
dagli elettroni di un singolo atomo che, nel caso c), sono casuali e quindi implica che
non esiste un effetto macroscopico di magnetismo (l’oggetto non è una calamita
naturale). Se si riesce ad ordinarli, come nel caso a), l’oggetto diventa una calamità
permanente. Ricordando che l’aumento di temperatura produce un’agitazione
maggiore a livello atomico si capisce che esisterà un valore di temperatura
(temperatura di Curie) che, se raggiunta da un magnete naturale, scompaginerà la
sistemazione tipo a) e la riporterà ad una di tipo c) facendo scomparire le proprietà
magnetiche.
ESEMPIO N. 13
⃗ di intensità 2.0 mT, è orientato in direzione z
Un campo magnetico uniforme 𝐵
(versore +𝑘⃗ ). Un protone con energia cinetica di 6.0 MeV entra nel campo in direzione
⃗⃗⃗ . Calcolare la forza magnetica applicata sul protone e stabilire il raggio di
y (𝐽)
rotazione dello stesso. Massa del protone m = 1.67 10-27kg.
⃗ = 𝑘⃗ 2.0 𝑚𝑇, Ec = 6.0 MeV, m = 1.67 10-27kg ; e = 1.60 10-19C.
Dati: 𝐵
Il modulo della velocità del protone si ottiene dall’energia cinetica:
32
𝑣=√
2𝐸𝑐
2 ∙ 6.0 ∙ 106 ∙ 1.60 ∙ 10−19
√
=
= 3.4 ∙ 107 𝑚/𝑠
−27
𝑚
1.67 ∙ 10
𝑣 = 𝑗3.4 ∙ 107 𝑚/𝑠
Quindi
Essendo l’angolo tra le direzioni y e z di 90° per la [19] si ha:
⃗F = ev
⃗ × ⃗B = i⃗ evBsen(90) = i 1.1 ∙ 10−14 N
[19a]
Quindi una forza ortogonale alla velocità che genera un’accelerazione centripeta pari
𝐹
𝑎 = 𝑚 = 6.6 ∙ 1012 𝑚/𝑠 2
a:
Questo produce un moto curvilineo che, in qualsiasi punto della traiettoria ha la stessa
forza in modulo ortogonale alla velocità (v e B restano ortogonali e costanti in tutti i
punti) , ciò porta a descrivere un moto circolare uniforme di raggio:
𝑣2
𝑣2
𝑎=
→ 𝑟=
= 175 𝑚
𝑟
𝑎
ESEMPIO N.14
La figura 19 rappresenta schematicamente
uno spettrometro di massa. Uno ione
positivo di carica q = 1.60 10-19C dopo aver
subito un’accelerazione nella sorgente S, a
causa di un campo elettrico con differenza
di potenziale Vi= 1000 V, entra nella
camera di separazione in cui è presente un
campo magnetico uniforme:
2
1
⃗ = 𝑘⃗ 80000 𝑚𝑇.
𝐵
Figura 19- spettrometro di massa
Come nell’esempio n.13 lo ione compie
una traiettoria circolare andando a colpire una lastra fotografica che registra il punto
di collisione ad una distanza x= 1.6254 m dalla fenditura d’ingresso. Calcolare la
massa dello ione.
⃗ = 𝑘⃗ 80000 𝑚𝑇, x= 1.6254 m
Dati: q = 1.60 10-19C , Vi= 1000 V, 𝐵
Come evidenzia lo schema lo ione esce dalla sorgente in [1] con velocità pressoché
nulla ed energia potenziale elettrica massima poi, a seguito del campo elettrico
prodotto dal generatore, accelera fino al punto [2] a potenziale elettrico nullo dove
33
cessa il campo elettrico ed entra nel campo magnetico costante. Durate il tratto 1-2 la
carica si trova in un campo conservativo quindi:
𝐸𝑇𝑖 = 𝐸𝑇𝑓
Con l’energia totale iniziale tutto potenziale e pari a 𝐸𝑇𝑖 = 𝑞𝑉𝑖 mentre quella finale
1
risulta 𝐸𝑇𝑓 = 2 𝑚𝑣 2 , essendo Vf=0 si per cui:
1
2
𝑚𝑣 2 = 𝑞𝑉𝑖
𝑣=√
Segue:
2𝑞𝑉𝑖
𝑚
Dalla [19a] dell’esempio n.13 e dal fatto che si ha un moto circolare uniforme si ha
𝑣2
𝐹 = 𝑞𝑣𝐵 = 𝑚
𝑟
Sostituendo v risulta:
𝑞𝐵𝑟 = 𝑚√
2𝑞𝑉𝑖
𝑚
= √2𝑞𝑉𝑖 𝑚
Essendo r = x/2, la massa risulta:
𝑚=
𝑞𝐵2 𝑥 2
8𝑉𝑖
= 3.3863 ∙ 10−25 𝑘𝑔 = 203.93 𝑢
Figura 20 - filo in levitazione
ESEMPIO N. 15
Un filo rettilineo orizzontale di rame è percorso da una corrente continua di 50 A.
Quale intensità e che direzione deve avere un campo magnetico necessario a far
‘levitare’ il filo? La massa per unità di lunghezza del filo di rame misura 50 g/m. Dati:
I = 50 A, m/l=50 10-3kg/m
34
Dovendo ‘levitare’ cioè restare sospeso in aria la somma tra la forza peso e quella
magnetica deve risultare pari a zero :
𝐹𝑝 = 𝐹𝑀
Quindi utilizzando la [16] per la forza magnetica si ha che il verso di B deve essere in
direzione orizzontale e a 90° con il filo come indicato in figura 20:
⃗ FM = −jI l × iB
k
𝑚𝑔 = 𝐼𝑙𝐵𝑠𝑒𝑛(𝜑)
Quindi:
Dove con =90 si intende l’angolo tra il filo (la corrente) e il vettore di campo.
Esplicitando B si ha:
𝐵=
𝑚 𝑔
9.81
∙ = 50 ∙ 10−3
= 9.81 ∙ 10−3 𝑇 = 9.81 𝑚𝑇
𝑙 𝐼
50
ESEMPIO N.16
L’atomo d’idrogeno studiato nell’esempio 6 è considerabile come una spira circolare
di raggio r = 5.29 10-11m percorsa da una corrente di 1.05 mA. Calcolare il campo
magnetico al centro dell’orbita sul piano della stessa (z=0).
Dati: r = 5.29 10-11m, I = 1.05 mA.
Utilizzando la [19.b] con z=0 si ha:
B⊥ =
μo IR2
3
2(R2 + z 2 )2
μo I 4π10−7 ∙ 1.05 ∙ 10−3
=
=
= 12.5 T
2R
2 ∙ 5.29 ∙ 10−11
N.B. non si tratta di un calcolo che tiene conto della meccanica quantistica ne, quindi,
dell’effetto dello spin dell’elettrone.
1.3.4) CIRCUITAZIONE DELL’INDUZIONE MAGNETICA
Come per il campo elettrico si definisce la circuitazione del campo magnetico con una
formula analoga alla [8] :
⃗ ) = ∑𝑛𝑖=1 𝐵
⃗ 𝑖 ∙ ∆𝑙⃗𝑖 = ∑𝑛𝑖=1 𝐵𝑖 ∆𝑙𝑐𝑜𝑠(𝛼)
Γ(𝐵
[20]
Nei tre percorsi indicati in figura 21 la corrente è
circondata dalla linea L1 mentre le altre due non la
Figura 21 - circuitazione di B
35
contengono. Si può dimostrare che in questo caso la circuitazione vale:
⃗ ) = 𝜇𝑜 ∑ 𝐼
Γ(𝐵
[21]
Che è la formula di Ampère (o quarta equazione di Maxwell).
Ne consegue che la circuitazione di un campo magnetico PUO’ essere diversa da zero
e che pertanto il campo non è conservativo. Ricordiamo che conservativo significa che
esiste una funzione potenziale la quale permette di calcolare il lavoro del campo come
sua variazione tra inizio e fine del percorso e che, pertanto, partendo e tornando allo
stesso punto, qualunque sia il percorso, deve dare come risultato della differenza zero
come la [8] per il campo elettrico; dato che la [21] può dare risultati diversi da zero
Figura 22a - solenoide: situazione reale
Figura 22b - solenoide: schema teorico
significa che non esiste un potenziale
magnetico.
ESEMPIO N.17
Un solenoide, di lunghezza L=10.00 cm e composto da N=10 spire, è percorso da una
corrente I = 1.00 A e genera al suo interno un campo magnetico pressoché costante
(linee di forza parallele) mentre all’esterno il campo è non significativo come si vede
dalla figura 22a. Calcola la circuitazione del campo magnetico lungo il cammino
indicato in figura che contiene n = 5 spire e determina il valore del campo magnetico
sapendo che AD = 5.00 cm (fig.22b).
Dati: L=10.00 cm, N=10, I = 1.00 A, n = 5, AD = 5.00 cm = a.
Scomponendo il cammino ABCD nelle sue quattro parti si ha:
𝑛
⃗ ) = ∑𝐵
⃗ 𝑖 ∙ ∆𝑙⃗𝑖 = Γ(𝐵
⃗ )𝐴𝐵 + Γ(𝐵
⃗ )𝐵𝐶 + Γ(𝐵
⃗ )𝐶𝐷 + Γ(𝐵
⃗ )𝐷𝐴 = μo ∑ I
Γ(𝐵
𝑖=1
All’esterno del solenoide B è non significativo quindi:
36
⃗ )𝐵𝐶 = 0
Γ(𝐵
Per i tratti CD e AB l’angolo tra il campo e la direzione della corrente è di 90° quindi:
⃗ )𝐶𝐷 = Γ(𝐵
⃗ )𝐴𝐵 = 𝐵 ∙ 𝑏 ∙ 𝑐𝑜𝑠(90) = 0
Γ(𝐵
E pertanto la circuitazione totale vale:
⃗ ) = Γ(𝐵
⃗ )𝐷𝐴 = μo ∑ I = μo nI = 6.28 ∙ 10−6 N/A
Γ(𝐵
Per il lato DA, essendo parallelo al campo, si ha:
⃗ )𝐷𝐴 = 𝐵 ∙ 𝑎 ∙ 𝑐𝑜𝑠 (0) = 𝐵𝑎 = μo nI = 6.28 ∙ 10−6 Tm
Γ(𝐵
Quindi il campo risulta:
𝑩 = 𝛍𝐨
𝐧𝐈
𝐥
=
6.28∙10−6
0.050
= 0.126 mT
[21b]
1.3.5) FLUSSO DI B
In analogia a quanto visto per il campo elettrico
si definisce flusso del vettore induzione
magnetica B attraverso una superficie S la
quantità:
⃗⃗⃗⃗⃗⃗ = 𝐵
⃗ ∙ 𝑆 = 𝐵𝑆𝑐𝑜𝑠(𝛼) [22]
Φ(𝐵)
Unità di misura: Tm2= Wb (weber)
Figura 23- Flusso di B attraverso una superficie aperta
ESEMPIO N. 18
Una bobina, composta da 25 spire di raggio 4.0 cm, viene immersa in un campo
magnetico uniforme di intensità 0.50 10-2T diretto parallelamente all’asse della bobina
stessa. In seguito la bobina viene ruotata di 90°. Calcolare la variazione di flusso del
campo magnetico tra queste due situazioni.
Dati: n = 25; r = 4.0 cm; B = 0.50 10-2T, =90°.
37
B
B
b)
a)
Figura 24 -bobina: a) parallela b)
ortogonale al campo B
a) L’area di una delle spire della bobina vale:
𝐴 = 𝜋𝑟 2
Quindi il flusso attraverso una spira risulta (il campo è ortogonale alla spira quindi
l’angolo tra la normale all’area e il campo vale 0°):
⃗ )1 = 𝐵
⃗ ∙ 𝐴 = 𝐵𝐴 cos(0)
Φ(𝐵
Il flusso totale attraverso le n spire risulta:
⃗ )𝑇𝑎 = 𝑛𝐵𝐴 cos(0) = 6.28 ∙ 10−4 𝑊𝑏
Φ(𝐵
b) Essendo il campo magnetico parallelo alle aree delle spire (angolo 90°) si ha:
⃗ )𝑇𝑏 = 𝑛𝐵𝐴 cos(90) = 0 𝑊𝑏
Φ(𝐵
La variazione di flusso risulta:
⃗ ) = Φ(𝐵
⃗ )𝑇𝑏 − Φ(𝐵
⃗ )𝑇𝑎 = −6.28 ∙ 10−4 𝑊𝑏
∆Φ(𝐵
ESEMPIO N. 19
Una mano, tenuta stesa, è collocata in un campo magnetico uniforme la cui induzione
ha modulo B= 0.35 T. La mano ha un’area di 160 cm2 e uno spessore non significativo
rispetto all’area. Si calcoli il flusso magnetico attraverso la mano quando il campo
forma un angolo di 45° rispetto al piano su cui si trova la mano.
Dati: B= 0.35 T, A = 160 cm2,  = 45°
Il flusso risulta:
⃗) =𝐵
⃗ ∙ 𝐴 = 𝐵𝐴 cos(𝜑) = 0.35 ∙ 160 ∙ 10−4 cos(45) = 4.0 ∙ 10−3 𝑊𝑏
Φ(𝐵
38
ESEMPIO N. 20
Un solenoide lungo 62.5 cm è percorso da una corrente di 3.23 A che genera al suo
interno un campo magnetico. L’area di ogni spira del solenoide misura 30.0 cm 2 e il
flusso del campo magnetico interno attraverso il solenoide è di 4.88 10 -3 Wb.
Di quante spire è composto il solenoide?
⃗ ) = 4.88 ∙ 10−3 𝑊𝑏.
Dati : l = 62.5 cm, I = 3.23 A, A = 30.0 cm2, Φ(𝐵
Dall’esempio n.14 sappiamo che per un solenoide il campo magnetico interno vale:
𝐵 = μo
nI
l
Dall’esempio n.18 si ha che il flusso attraverso un solenoide vale:
⃗ ) = 𝑛𝐵𝐴
Φ(𝐵
Sostituendo il campo nell’equazione del flusso e ricavando n si ha:
𝑛=√
⃗ )∙𝑙
Φ(𝐵
4.88 ∙ 10−3 ∙ 0.625
=√
= 500
μo I ∙ A
4𝜋 ∙ 10−7 ∙ 3.23 ∙ 30.0 ∙ 10−4
1.3.6) FLUSSO ATTRAVERSO UNA SUPERFICIE CHIUSA
In figura 25 è rappresentata una spira percorsa
da corrente che, come visto in precedenza,
produce un campo magnetico con linee di forza
che si chiudono su se stesse. Utilizzando una
superficie teorica chiusa che avvolga la spira si
osserva che il flusso è generato da tanti vettori
entranti quanti sono quelli uscenti; pertanto la
sommatoria dei flussi ottenuti dalla [22] per
ogni elemento infinitesimo s in cui può essere
suddivisa la superficie totale darà
Figura 25 - flusso attraverso una superficie chiusa
sempre il seguente risultato:
⃗⃗𝑖 = ∑𝑛𝑖=1 𝐵𝑖 ∆𝑆𝑖 cos(𝛼𝑖 ) = 0
⃗ ) = ∑𝑛𝑖=1 ⃗⃗⃗
Φ(𝐵
𝐵𝑖 ∙ ∆𝑆
[23]
La [23] costituisce il teorema di Gauss per il magnetismo (o 2^ equazione di Maxwell
per i campi magnetici statici).
39
1.3.7) EQUAZIONI DI MAXWELL PER L’ELETTROSTATICA
Riepilogando le equazioni di Maxwell che descrivono i campi elettrico e magnetico
statici sono:
Prima equazione di Maxwell (per il campo elettrico statico: legge di Gauss
per il campo elettrico)
⃗⃗⃗⃗⃗⃗ = 𝑞
Φ(𝐸)
𝜀
0
[11]
Cosa dice: l’equazione stabilisce che il flusso del campo elettrico attraverso una
superficie chiusa qualsiasi è direttamente proporzionale alla somma algebrica delle
cariche contenute nella superficie.
Cosa significa: le linee del campo elettrico sono aperte, escono dalle cariche positive
e terminano sulle cariche negative. Le cariche elettriche che si trovano fuori dalla
superficie di prova chiusa non contribuiscono al flusso perché le loro linee di campo
intersecano due volte, entrando e uscendo, la superficie e quindi il loro contributo
totale è zero.
Quali sono le conseguenze:
- Le cariche elettriche sono le sorgenti del campo elettrico
- La carica su un conduttore in equilibrio elettrostatico si localizza sulla superficie
dello stesso qualunque sia la sua forma
- Per un qualsiasi conduttore il modulo del campo sulla sua superficie vale:
𝐸=
𝑞𝑡𝑜𝑡
𝜀𝑆
(Teorema di Coulomb)
Seconda equazione di Maxwell (per il campo magnetico statico: legge di
Gauss per il campo magnetico)
⃗)=0
Φ(𝐵
[23]
Cosa dice: l’equazione stabilisce che il flusso dell’induzione magnetica attraverso una
superficie chiusa è sempre nullo.
Cosa significa: le linee di campo sono sempre chiuse quindi non hanno un punto di
generazione e quindi non esistono “cariche magnetiche”.
Quali sono le conseguenze: non esiste un polo magnetico isolato.
40
Terza equazione di Maxwell (per il campo elettrico statico)
⃗⃗⃗⃗⃗⃗ =0
Γ(𝐸)
[8]
Cosa dice: L’equazione stabilisce che la circuitazione del campo elettrico statico
lungo una linea chiusa orientata è sempre uguale a zero.
Che cosa significa: la relazione afferma che il campo elettrostatico è conservativo, cioè
che il lavoro fatto quando una carica puntiforme si muove da un punto A ad un punto
B interno al campo è indipendente dal percorso scelto per congiungerli.
Quali sono le conseguenze: è possibile definire il potenziale elettrico.
Quarta equazione di Maxwell (per l’induzione magnetica)
⃗ ) = 𝜇𝑜 ∑ 𝐼 [21]
Γ(𝐵
Cosa dice: la circuitazione dell’induzione magnetica può essere diversa da zero e
dipende dalla somma delle correnti che attraversano la linea chiusa su cui si calcola.
Cosa significa: la possibilità che la circuitazione per alcuni percorsi sia nulla e per altri
non lo sia indica che il campo magnetico non è conservativo.
Quali sono le conseguenze: non esiste una funzione “potenziale magnetico”
1.4) L’INDUZIONE ELETTROMAGNETICA
1.4.1) LEGGE DI FARADAY-NEUMANN
La figura 26 mostra una spira
rettangolare costituita da una sbarra di
materiale conduttore che scivola su rotaie
dello stesso materiale. Un campo
magnetico uniforme è rappresentato con
verso uscente nella pagina, perpendicolarmente ad essa. Poiché l’area della
spira diminuisce a mano a mano che la
sbarra si muove verso destra, il flusso
magnetico attraverso di essa diminuisce.
Figura 26 - spira rettangolare ad area variabile
Se si fa muovere la sbarra a velocità costante la variazione di flusso risulta:
41
⃗⃗⃗⃗ = Φ(𝐵
⃗ )𝑓 − Φ(𝐵
⃗ )𝑖 = 𝐵𝐴𝑓 − 𝐵𝐴𝑖
∆Φ(𝐵)
Dalla figura 26 si vede che:
𝐴𝑖 = 𝐴𝑓 + 𝑙𝑣Δ𝑡
Quindi:
⃗⃗⃗⃗ = 𝐵𝐴𝑓 − 𝐵(𝐴𝑓 + 𝑙𝑣Δ𝑡) = −𝐵𝑙𝑣Δ𝑡
∆Φ(𝐵)
La rapidità (velocità) con cui il flusso diminuisce risulta allora:
⃗⃗⃗⃗
⃗⃗⃗⃗
∆Φ(𝐵)
𝑑Φ(𝐵)
−
= 𝐵𝑙𝑣 (= −
)
Δ𝑡
𝑑𝑡
[24]
1.4.2) CORRENTE INDOTTA
Dato che la sbarra in movimento nel campo magnetico contiene gli elettroni liberi del
legame metallico ( normalmente in moto casuale all’interno del reticolo cristallino)
essi subiscono una forza di Lorentz che li spinge a muoversi simultaneamente verso
l’alto (fig.26) :
⃗
𝐹𝐿 = 𝑁𝑒 − 𝑣 × 𝐵
Di modulo:
𝐹𝐿 = 𝑁|𝑒 − |𝑣𝐵
Quindi si ha uno spostamento ordinato di cariche pari a q= 𝑁|𝑒 − |. Ricordando la
definizione di intensità di corrente [12]:
I=
N|e− |
∆t
Si ha che nel circuito si instaura una corrente elettrica indotta in verso antiorario
(N.B. per convenzione l’intensità gira in verso opposto al moto effettivo degli
elettroni).
Per effetto della dislocazione di carica viene ad instaurarsi una differenza di potenziale
tra gli estremi della sbarra; tale differenza è definita “forza elettro-motrice” indotta e
di solito in luogo del simbolo V viene indicata con “fem”.
Sappiamo che quando una corrente percorre un conduttore essa consuma potenza sotto
forma di effetto Joule quindi per la [12d] si ha:
𝑃 = 𝐼 ∙ ∆𝑉 = 𝐼 ∙ 𝑓𝑒𝑚
42
[25]
D’altra parte una corrente in un campo magnetico genera una forza magnetica FB
diretta verso sinistra (fig.26) secondo la [16]:
⃗⃗⃗⃗
FB = u
⃗ I Il × ⃗B
𝐹𝐵 = 𝐵𝐼𝑙
Che ha modulo
Se si vuole che la sbarra si muova a velocità costante essa deve essere spinta verso
destra da una forza esterna F1 di modulo pari a FB :
F1 = FB
= BIl
Quindi la potenza dissipata per effetto joule , in definitiva quella che genera la
produzione di corrente, deriva dal lavoro di questa forza esterna:
L = ⃗F1 ∙ ∆s = F1 ∆s = BIlv∆t
quindi la potenza risulta:
Per la [25] si ha:
𝐿
𝑃 = ∆𝑡 = 𝐵𝐼𝑙𝑣
𝑓𝑒𝑚 =
𝑃
𝐼
= 𝐵𝑙𝑣
Che combinata con la [24] porta alla legge di Faraday-Neumann:
⃗⃗⃗⃗
⃗⃗⃗⃗
∆Φ(𝐵)
𝑑Φ(𝐵)
−
= 𝑓𝑒𝑚 (= −
) [26]
Δ𝑡
𝑑𝑡
In definitiva si osserva che tutte le volte che si varia il flusso di un campo magnetico
attraverso un circuito elettrico chiuso si genera una forza elettromotrice indotta a
spese dell’energia meccanica che è stata utilizzata per modificare il flusso.
In figura 26 il campo magnetico costante
aveva un flusso variabile perché cambiavano
le dimensioni della “spira rettangolare” che
costituiva il circuito elettrico; ovviamente il
flusso può cambiare anche se la spira rimane
di dimensioni costanti ma “ruota” su un asse
ortogonale al campo come in figura 27.
Figura 27- Spira rotante
43
1.4.3) LEGGE DI LENZ
Nell’esempio n. 16 abbiamo visto che quando una corrente percorre una traiettoria
chiusa (una spira) al suo interno si genera un nuovo campo magnetico. La legge di
Faraday-Neumann indica che quando attraverso una spira NON percorsa inizialmente
da corrente, meccanicamente, si fa variare il flusso di un campo magnetico esterno,
nella spira si instaura una corrente I che, per quanto appena affermato produce a sua
volta un nuovo campo magnetico che si somma vettorialmente a quello esterno. Dalla
figura 26 si vede che la corrente, quando il flusso diminuisce (vedi dimostrazione),
percorre la spira in senso antiorario quindi (ricordare la regola della mano destra) il
campo autoindotto dalla nuova corrente ha lo stesso verso di quello esterno, cioè
rafforza il campo in modo da ridurre la variazione di flusso magnetico. Questo risultato
si generalizza nell’enunciato della legge di Lenz:
La corrente indotta in una spira ha un verso tale che il campo magnetico generato
dalla corrente si oppone alla variazione di flusso che l’ha indotta.
ESEMPIO N. 21
Una spira di filo conduttore ha un’area di 1.5 10-3 m2. Essa è attraversata
perpendicolarmente da un campo magnetico variabile che inizialmente ha un modulo
di 0.50 T. Dopo 0.10 s il campo magnetico misura 0.70 T. Calcolare la forza
elettromotrice indotta nella spira dalla variazione del flusso magnetico.
Dati: A = 1.5 10-3 m2, Bi = 0.50 T, Bf = 0.70 T, t = 0.10 s.
Essendo il campo ortogonale alla spira l’angolo tra il versore normale all’area e il
campo vale zero quindi per la definizione di flusso si ha:
⃗)=𝐵
⃗ ∙ 𝐴 = 𝐵𝐴𝑐𝑜𝑠 (0) = 𝐵𝐴
Φ(𝐵
segue :
Φ𝑖 = 𝐵𝑖 𝐴
𝑒
Φ𝑓 = 𝐵𝑓 𝐴
E per la legge di Faraday – Neumann :
⃗⃗⃗⃗
𝐵𝑖 𝐴 − 𝐵𝑓 𝐴 (0.50 − 0.70)1.5 ∙ 10−3
∆Φ(𝐵)
𝑓𝑒𝑚 = −
=
=
= −3.0 ∙ 10−3 𝑉
Δ𝑡
Δ𝑡
0.10
44
ESEMPIO N. 22
Una spira rettangolare (vedi fig. 27) ha i lati lunghi rispettivamente l = 5.0 cm e a =
10.0 cm. Essa è immersa in un campo magnetico costante di modulo B = 0,80 T
inizialmente diretto ortogonalmente alla superficie delimitata dalla spira stessa. La
spira ruota sull’asse dei lati lunghi percorrendo un angolo di 40° in 0.10 s. Calcola la
tensione indotta. Sapendo che il filo che costituisce la spira è in rame ( 𝜌𝐶𝑢 = 1,72 ∙
10−8 Ω𝑚) e che la sua sezione ha un raggio di 1,0 mm, calcola l’intensità della corrente
indotta e la potenza elettrica generata dalla variazione di flusso magnetico prodotto
dalla rotazione.
Dati: l = 5.0 cm e a = 10.0 cm, B = 0,80 T, a= 40°, t= 0.10 s, 𝜌𝐶𝑢 = 1.72 ∙ 10−8 Ω𝑚,
r = 1,0 mm.
L’area della spira misura:
𝐴 = 𝑙 ∙ 𝑎 = 50 ∙ 10−4 𝑚2
I flussi iniziale e finale sono:
Φ𝑖 = 𝐵𝐴𝑐𝑜𝑠(0)
Φ𝑓 = 𝐵𝐴𝑐𝑜𝑠(45)
Quindi applicando la legge di F.-N. si ha:
𝑓𝑒𝑚 = −
𝐵𝐴𝑐𝑜𝑠 (45) − 𝐵𝐴𝑐𝑜𝑠(0)
= 9.4 ∙ 10−3 𝑉
Δ𝑡
La resistenza elettrica del filo, per la seconda legge di Ohm [12b], vale:
𝑅 = 𝜌𝑐𝑢
2(𝑙 + 𝑎)
= 1.7 ∙ 10−3 Ω
2
𝜋𝑟
per la prima legge di Ohm, l’intensità della corrente misura:
𝐼=
𝑓𝑒𝑚
= 9.4 𝐴
𝑅
E la potenza generata risulta:
𝑃 = 𝐼 ∙ 𝑓𝑒𝑚 = 8.8 ∙ 10−2 𝑊
ESEMPIO N. 23
Una bobina piana (solenoide) di filo conduttore ha un’area di 2.0 10-2m2 ed è costituita
da N=100 spire. Inizialmente la bobina ha la sua superficie trasversale perpendicolare
45
ad un campo magnetico, di modulo 0.20 T, uniforme e costante. La bobina viene fatta
ruotare di un angolo di 45° in un intervallo di tempo di 0.10 s. Si calcoli la fem indotta.
Dati: A = 2.0 10-2m2, N=100 spire, B = 0.20 T, a=45°, t = 0.10 s.
Per ogni spira della bobina si ha la stessa variazione di flusso e quindi
complessivamente si otterrà una variazione pari a N volte quella di una cioè:
per una spira
Φ𝑖 = 𝐵𝐴𝑐𝑜𝑠 (0)
Φ𝑓 = 𝐵𝐴𝑐𝑜𝑠(45)
Per tutta la bobina:
𝑓𝑒𝑚 = −𝑵
𝐵𝐴𝑐𝑜𝑠 (45) − 𝐵𝐴𝑐𝑜𝑠(0)
= 1.2 𝑉
Δ𝑡
1.4.4) INDUTTANZA
Quando abbiamo ricavato la formula [26] ( 𝑓𝑒𝑚 = −
⃗⃗⃗⃗
∆Φ(𝐵)
Δ𝑡
), abbiamo considerato
l’effetto prodotto su un circuito da un campo magnetico esterno. Ma un circuito in cui
gira una corrente elettrica è, a sua volta, un elemento che produce un campo magnetico
come visto per una spira (esempio n.16). A tale circuito, quando è attraversato dalla
corrente, si concatena un flusso del campo magnetico indotto. Ad esempio se in un
solenoide di lunghezza l, sezione di area S, costituito da N spire circola una corrente I,
al suo interno si produce un campo magnetico di intensità:
𝐵 = μo
NI
l
Al suo interno si stabilisce un flusso pari a:
2
N
I
⃗ ) = 𝐵𝑆𝑁 = μ
Φ(𝐵
o l S
[27]
Come si vede il flusso del campo autoindotto, nel caso del solenoide, è direttamente
proporzionale alla corrente I tramite dei valori che dipendono sia dalla geometria del
circuito, tramite N,S,l sia dal materiale, μo , in cui è immerso. Questo vale per circuiti
qualsiasi e per ognuno di essi è definito un coefficiente, indicato dal simbolo L,
chiamato induttanza e la [27] si generalizza nella:
⃗ ) = 𝐿𝐼 [28]
Φ(𝐵
46
L’unità di misura dell’induttanza risulta:
𝐻=
𝑊𝑏
𝐴
(𝐡𝐞𝐧𝐫𝐲)
Nel caso di corrente variabile si ha una tensione autoindotta che per la [26] vale:
𝑓𝑒𝑚 = −
⃗⃗⃗⃗
∆Φ(𝐵)
Δ𝐿𝐼
Δ𝐼
𝑑𝐼
=−
= −𝐿 = −𝐿
Δ𝑡
Δ𝑡
Δ𝑡
𝑑𝑡
[29]
1.5) CENNI SULLA CORRENTE ALTERNATA
Si consideri la spira quadrata immersa in un campo magnetico costante B indicata in
figura 28. Essa è collegata a due anelli [A] e [B] (collettori) che strisciano con
continuità su due spazzole (+ e -). Come si nota la spira ruota attorno ad un asse
ortogonale al campo magnetico, come in figura 27, producendo una variazione di
flusso magnetico attraverso la sua area S. Per produrre tale rotazione si usa energia
MECCANICA che genera una velocità angolare =costante. Ne segue che l’angolo di
rotazione è variabile nel tempo secondo la formula:
𝛼 = 𝜔𝑡
Quindi il flusso risulta:
⃗)=𝐵
⃗ ∙ ⃗⃗⃗⃗⃗
Φ(𝐵
𝑢𝑁 𝑆 = 𝐵𝑆𝑐𝑜𝑠(𝛼 ) = 𝐵𝑆𝑐𝑜𝑠 (𝜔𝑡 )
A
B
Figura 28 - generatore di corrente alternata
47
[30]
Applicando la legge di Faraday [26] (con le derivate) si ha:
𝑓𝑒𝑚 = −
⃗⃗⃗⃗
𝑑Φ(𝐵)
= 𝜔𝐵𝑆𝑠𝑒𝑛(𝜔𝑡 )
𝑑𝑡
[31]
Il risultato indica che la differenza di potenziale (fem) tra le spazzole con cui sono
collegati i collettori varia sinusoidalmente cambiando il segno ogni mezzo periodo e
generando su un circuito di resistenza R, collegato ESTERNAMENTE ad esse, una
corrente alternata di intensità:
i=
fem ωBS
=
sen(ωt) = IM sen(ωt)
R
R
[32]
Figura 29 - centrale elettrica
In figura 29 è schematizzata una centrale termica a petrolio in cui è evidenziata la
modalità di trasformazione dell’energia termica nell’energia meccanica necessaria per
far ruotare “le spire” all’interno dell’alternatore (in realtà la struttura interna è più
complessa di quella indicata in figura 29) e produrre l’energia elettrica usata nelle
nostre case. Ne segue che la corrente che utilizziamo normalmente è alternata.
1.5.1) IMPEDENZA
Nei circuiti funzionanti con corrente alternata sono presenti, generalmente, almeno tre
tipi di utilizzatori: le resistenze ohmiche R, i condensatori di capacità C, e i solenoidi
di induttanze L. L’insieme di queste tipologie di utilizzatori consuma la forza
elettromotrice, fem, prodotta dal generatore come nei circuiti in corrente continua.
L’effetto combinato di queste tre tipologie di “carico” dà luogo ad una funzione
matematica che varia al cambiare dei collegamenti tra condensatori, resistenze e
48
solenoidi (serie, paralleli, maglie multiple ecc.). Il loro effetto complessivo prende il
nome di IMPEDENZA e viene indicata con il simbolo Z. Quindi: Z=f(R,C,L) [unità
di misura ]. Al fine di rendere chiara la simbologia relativa alle correnti alternate
useremo le convenzioni sui simboli stabilite dalla Commissione Elettrotecnica
Internazionale (C.E.I.):
- Con le lettere minuscole si indicano i valori ISTANTANEI delle grandezze
sinusoidali (es. i intensità istantanea della corrente, v tensione istantanea).
- Con le lettere maiuscole contrassegnate dall’indice M si indicano i valori
MASSIMI delle grandezze sinusoidali (es. IM valore di picco della intensità).
- Con le lettere maiuscole NON contrassegnate da alcun indice si indicano i valori
EFFICACI delle grandezze sinusoidali.
1.5.2) CIRCUITO OHMICO
Figura 30 - Circuito Ohmico
In figura 30A è rappresentato un circuito alimentato da un generatore di corrente
alternata, del tipo visto in figura 28, che produce una fem variabile v di valore massimo
VM. L’unico elemento che provoca un consumo significativo di tensione è una
resistenza ohmica indicata con R. In questo caso l’impedenza del circuito coincide con
R, cioè:
Z=R
La [31], scritta con la simbologia C.E.I., diventa:
𝑓𝑒𝑚 = −
⃗⃗⃗⃗
𝑑Φ(𝐵)
= 𝜔𝐵𝑆𝑠𝑒𝑛(𝜔𝑡 ) = 𝑉𝑀 𝑠𝑒𝑛(𝜔𝑡 ) = v
𝑑𝑡
49
[𝟑𝟑]
Applicando la legge di Ohm si ha:
i=
v
= IM sen(ωt)
R
[34]
con IM che dipende dalle caratteristiche del generatore, nel nostro caso:
𝐼𝑀 =
𝑉𝑀
𝑅
[35]
In figura 30B è rappresentato l’andamento dei grafici di i e v nel tempo, come si vede
sono in fase.
1.5.3) POTENZA ELETTRICA IN CORRENTE ALTERNATA
Ricordiamo che per la corrente continua la potenza è data dalla [12c]:
𝑃 = 𝐼2𝑅
Nel caso della corrente alternata in un circuito ohmico diventa:
𝑝 = 𝑖2𝑅
[36]
con la i data dalla [34]. Come si vede la potenza istantanea p varia nel tempo rimanendo
sempre positiva per effetto del quadrato di i. Il valore medio di tale potenza vale:
2
𝐼𝑀
< 𝑃 >= 𝑅
2
[37]
Si può anche scrivere:
2
𝐼𝑀
𝐼𝑀 2
𝐼𝑀 𝐼𝑀
= ( ) = ( )( )
2
√2
√2 √2
La [37] diventa:
< 𝑃 >= (
𝐼𝑀
√2
)(
𝐼
𝑉
√
√
𝐼𝑀
√2
)𝑅
La quantità ( 𝑀2) 𝑅 è uguale, per la [35], a ( 𝑀2 ) quindi:
< 𝑃 >= (
𝐼𝑀
√2
)(
𝑉𝑀
√2
)
[38]
Le due quantità tra parentesi nella [38] vengono definite CORRENTE e TENSIONE
EFFICACI cioè:
50
𝐼
- corrente efficace
𝐼 = ( 𝑀2)
[39]
- tensione efficace
𝑉 = ( 2)
[40]
√
𝑉𝑀
√
Con questa simbologia la potenza media risulta:
< 𝑃 >= 𝐼𝑉 = 𝐼 2 𝑅
[41]
Cioè nella stessa forma di quella usata per le correnti continue. Come si vede la
tensione e la corrente efficaci di una corrente alternata sono quei valori che, in caso
di corrente continua, produrrebbero gli stessi effetti nel circuito.
1.5.4) CIRCUITO INDUTTIVO
Figura 31- Circuito induttivo
Nel circuito rappresentato in figura 31 è presente un solenoide con induttività L e
resistenza ohmica dei fili non significativa. Il generatore fornisce una tensione efficace
V che dipende dalle sue caratteristiche costruttive. Nel caso precedente si è visto che
per effetto dell’impedenza Z, dovuta solo alla resistenza ohmica R, la corrente i
risultava in fase con la tensione v come evidenziato in figura 30B. Ora, per effetto
dell’induttanza L della bobina, sappiamo che a causa di i si crea all’interno del
solenoide una tensione indotta, per la [29], pari a:
v=L
di
dt
[42]
mentre il generatore produce una tensione (per la [31] scritta con i simboli C.E.I.):
v = VM sen(ωt)
51
[43]
che sostituita nella [42] dà:
di VM
=
sen(ωt)
dt
L
[44]
La formula indica che la derivata dell’intensità istantanea deve essere pari alla quantità
VM
L
sen(ωt). Si può facilmente verificare che la funzione che ha questo risultato come
derivata è la seguente (tra un po’ vedrete come si ottiene con gli integrali ….):
𝑖=−
𝑉𝑀
cos(𝜔𝑡 )
𝜔𝐿
[45]
Introduciamo la quantità XL chiamata reattanza induttiva definita da:
𝑋𝐿 = 𝜔𝐿
[46]
Che si misura in ohm (W) e tenendo conto che:
−cos(𝜔𝑡 ) = 𝑠𝑒𝑛(𝜔𝑡 − 90°)
La [45] diventa:
𝑖=
𝑉𝑀
sen(𝜔𝑡 − 90°)
𝑋𝐿
[47]
In figura 30B è evidenziato che la corrente i è in ritardo di /2=90° rispetto alla
tensione v. Il valore di IM in questo caso risulta:
𝐼𝑀 =
𝑉𝑀
𝑋𝐿
[48]
E tenendo conto delle [39] e [40] si ottiene la formula con i valori efficaci:
𝐼=
𝑉
𝑋𝐿
[49]
ESEMPIO N. 24
Il circuito della figura 31 contiene un induttore di 3.60 mH. La tensione efficace del
generatore è di 25.0 V. Si calcoli l’intensità della corrente efficace nel circuito
quando la frequenza del generatore è a) 1.00 102 Hz; b) 5.00 103 Hz.
Dati: L =3.60 10-3H; V=25.0 V; 𝜐1 = 1.00 ∙ 102 𝐻𝑧; 𝜐2 = 5.00 ∙ 103 𝐻𝑧.
La reattanza induttiva è data dalla [46]:
𝑋𝐿 = 𝜔𝐿
52
Dove la pulsazione vale:
𝜔 = 2𝜋𝜐
𝑎) 2.26 Ω
𝑋𝐿 = 𝜔𝐿 = 2𝜋𝜐𝐿 = {
𝑏) 113 Ω
Quindi, per le due frequenze, si ha:
Per la [49] e per le due reattanze risulta:
𝐼=
𝑉
𝑎) 11.1 𝐴
={
𝑏) 0.221𝐴
𝑋𝐿
1.5.5) CIRCUITO CAPACITIVO
Figura 32 - Circuito capacitivo
Un condensatore di capacità C inserito in un circuito con resistenza ohmica non
significativa in cui scorre corrente alternata si carica e si scarica per effetto del
cambiamento continuo di verso della corrente generando, nei semiperiodi di carica, un
campo elettrico aggiuntivo a quello prodotto dal generatore di corrente alternata.
Questa aggiunta al campo che genera il movimento delle cariche le accelera
ulteriormente facendo sì che la i risulti in anticipo rispetto alla v del generatore. Per
la legge delle maglie di Kirchhoff la tensione ai capi del condensatore risulta pari a
quella prodotta dal generatore quindi:
𝑣 = 𝑉𝑀 𝑠𝑒𝑛 (𝜔𝑡)
Dalla definizione di capacità sappiamo che:
𝑞 = 𝐶𝑣 = 𝐶𝑉𝑀 𝑠𝑒𝑛 (𝜔𝑡)
Per la definizione di intensità di corrente [12] si ha:
𝑖=
𝑑𝑞
= 𝜔𝐶𝑉𝑀 cos(𝜔𝑡)
𝑑𝑡
53
Ricordando che
cos(𝜔𝑡 ) = 𝑠𝑒𝑛(𝜔𝑡 + 90°)
e definendo reattanza capacitiva la quantità:
1
𝑋𝐶 = 𝜔𝐶
𝑉
L’intensità diventa:
𝑖 = 𝑋𝑀 𝑠𝑒𝑛(𝜔𝑡 + 90°)
[50]
𝐶
Che dimostra che la corrente è in anticipo di 90° rispetto alla tensione (fig.32B).
ESEMPIO N. 25
Il circuito della figura 32A contiene un condensatore di capacità 1.50 mF, il generatore
produce una tensione efficace di 25.0 V. Calcolare l’intensità della corrente efficace
nel circuito quando la frequenza del generatore è: a) 1.00 102Hz; b) 5.00 103Hz.
Dati: C=1.50 10-6F; V=25.0 V; 𝜐1 = 1.00 ∙ 102 𝐻𝑧; 𝜐2 = 5.00 ∙ 103 𝐻𝑧.
1
𝑋𝐶 = 𝜔𝐶
La reattanza capacitiva è la quantità:
𝜔 = 2𝜋𝜐
Dove la pulsazione vale:
Quindi, nei due casi si ha:
𝑋𝐶 =
1
1
𝑎) 1060 Ω
=
={
𝑏) 21.2 Ω
𝜔𝐶 2𝜋𝜐𝐶
e per le due reattanze risulta:
𝐼=
𝑉
𝑎) 0.0236 𝐴
={
𝑏) 1.18 𝐴
𝑋𝐶
Come si può vedere confrontando i risultati dell’esempio 24 con questi quando
l’impedenza induttiva è bassa si ottiene una corrente alta, mentre se l’impedenza
capacitiva è bassa si ottiene una corrente alta.
1.5.6) CIRCUITO RCL IN SERIE
Un circuito che contiene sullo steso ramo,
quindi in serie, resistenze ohmiche R,
capacità C e induttanze L una maglia che
può essere studiata con la legge di ohm per i
circuiti in corrente alternata:
Figura 33 - circuito RCL
𝑉 = 𝑍𝐼 [51]
54
Dove Z è l’impedenza complessiva del circuito che, si può dimostrare, vale in questo
caso:
𝑍 = √𝑅 2 + (𝜔𝐿 −
1 2
)
𝜔𝐶
[52]
Il termine tra parentesi rappresenta l’effetto sia dei condensatori sia delle bobine e,
aumentando l’impedenza rispetto al valore della resistenza ohmica, riduce la corrente
a parità di tensione. Si dice che un circuito RCL è in risonanza quando questo effetto
viene eliminato, quindi il termine tra parentesi vale zero il che si ottiene quando:
𝜔=
In questo caso si ha:
1
√𝐶𝐿
[53]
Z=R
1.5.7) FATTORE DI POTENZA
La potenza media risulta con i valori efficaci:
< 𝑃 >= 𝐼𝑉 = 𝐼 2 𝑅
Per la [51] l’ultimo termine può essere riscritto nella forma:
<𝑃 >=
𝑉
𝐼𝑅
𝑍
Dato che R e Z sono caratteristiche del circuito, si definisce fattore di potenza la
quantità:
𝑅
cos(𝜙) = 𝑍
[54]
Ottenendo la potenza media nella forma che di solito si usa:
< 𝑃 > = 𝐼𝑉𝑐𝑜𝑠(𝜙) [55]
ESEMPIO N. 26
Il circuito della figura 33 contiene un resistore da 148 , un condensatore da 1.50F
e un induttore da 35,7 mH. Il generatore ha una frequenza di 512 Hz e una tensione
efficace di 35,0 V. Si calcolino: a) il consumo di tensione efficace su ciascun elemento
del circuito; b) la potenza elettrica consumata dal circuito.
Dati: R = 148 , C = 1.50F, L = 35,7 mH, n = 512 Hz, V = 35.0 V.
55
Calcolo le reattanze:
𝑋𝐶 =
1
1
=
= 207 Ω
𝜔𝐶 2𝜋𝜐𝐶
𝑋𝐿 = 𝜔𝐿 = 2𝜋𝜐𝐿 = 115 Ω
Calcolo l’impedenza del circuito con la [52]:
𝑍 = √𝑅 2 + (𝜔𝐿 −
1 2
) = 174 Ω
𝜔𝐶
L’intensità della corrente efficace che gira nell’unico ramo che costituisce il circuito
𝐼=
vale per la [51]:
𝑉
𝑍
= 0.201 𝐴
Le tensioni efficaci su ogni elemento del circuito risultano:
𝑉𝑅 = 𝐼𝑅 = 29.7 𝑉
𝑉𝐶 = 𝐼𝑋𝐶 = 41.6 𝑉
𝑉𝐿 = 𝐼𝑋𝐿 = 23.1 𝑉
È importante notare che la somma delle tensioni sui tre componenti è diversa dal valore
della tensione efficace del generatore perché esiste uno sfasamento tra le tre tensioni
come visto nell’analisi dei circuiti con i singoli componenti. Questo indica la necessità
di considerare la somma delle tensioni in modo più complesso cosa che esula dalle
esigenze di questo corso.
Per calcolare la potenza consumata dal circuito è necessario trovare il fattore di potenza
con la [54]:
cos(𝜙 ) =
Poi con la [55] si ha:
𝑅 148
=
= 0.851
𝑍 174
(31.7°)
< 𝑃 > = 𝐼𝑉𝑐𝑜𝑠(𝜙 ) = 6.0 𝑊
56
MODULO N.2
2) ONDE ELETTROMAGNETICHE
La descrizione fatta nel modulo 1 dei campi e delle loro proprietà può apparire come
un semplice modello matematico utile per descrivere le interazioni tra particelle. Infatti
i campi sono sempre stati associati alle particelle: il campo elettrico alla carica elettrica,
quello magnetico alle cariche elettriche in moto (o alla corrente elettrica). Lo studio
degli effetti del campo elettrico partiva dal concetto che le sorgenti utilizzate come
generatori elettrici fossero ferme e che quindi il campo elettrico da esse prodotto
restasse costante nel tempo in ogni punto dello spazio. Abbiamo poi studiato i campi
magnetici statici e tutto ciò ci ha portato alle equazioni di Maxwell.
2.1) TEOREMA DI FARADAY-NEUMANN-LENZ
Le equazioni di Maxwell per l’elettrostatica sono (c.f.r.1.3.7):
Prima equazione di Maxwell (per il campo elettrico statico: legge di Gauss
per il campo elettrico)
⃗⃗⃗⃗⃗⃗ = 𝒒
𝚽(𝑬)
𝜺
[11]
𝟎
Seconda equazione di Maxwell (per il campo magnetico statico: legge di
Gauss per il campo magnetico)
⃗⃗ ) = 𝟎
𝚽(𝑩
[23]
Terza equazione di Maxwell (per il campo elettrico statico)
⃗⃗⃗⃗⃗⃗ = ∑𝒏𝒊=𝟏 𝑬
⃗ 𝒊 ∙ ∆𝒔⃗⃗𝒊 = − ∑𝒏𝒊=𝟏 ∆𝑽𝒊 = 𝟎
𝚪(𝑬)
[8]
Quarta equazione di Maxwell (per l’induzione magnetica)
⃗⃗ ) = 𝝁𝒐 ∑ 𝑰 [21]
𝚪(𝑩
Studiando l’induzione elettromagnetica al capitolo 1.3) abbiamo però trovato che il
campo elettrico che causa una corrente indotta, detto campo elettrico indotto, è
generato da un campo magnetico che varia nel tempo. Quindi un campo magnetico
variabile dà origine a un campo elettrico indotto con linee di campo chiuse (vedi
esempio n.4) su se stesse e poste su un piano perpendicolare al campo magnetico. Se
si applica la [8] al percorso chiuso della corrente indotta si trova che la circuitazione è
diversa da zero e pertanto la terza equazione di Maxwell si modifica per la
−
⃗⃗⃗⃗
∆Φ(𝐵)
Δ𝑡
= 𝑓𝑒𝑚 (= −
⃗⃗⃗⃗
𝑑Φ(𝐵)
𝑑𝑡
57
) [26]
nel seguente modo:
⃗⃗⃗
⃗⃗⃗
⃗⃗⃗⃗⃗⃗ = ∑𝑛𝑖=1 𝐸
⃗ 𝑖 ∙ ∆𝑠⃗⃗𝑖 = 𝑓𝑒𝑚 = − ∆Φ(𝐵) = − 𝑑Φ(𝐵)
Γ(𝐸)
Δ𝑡
𝑑𝑡
In definitiva la [8] diventa:
⃗⃗⃗⃗⃗⃗ = −
𝚪(𝑬)
⃗⃗⃗⃗
∆𝚽(𝑩)
𝚫𝒕
= (−
⃗⃗⃗⃗
𝒅𝚽(𝑩)
𝒅𝒕
)
[𝟓𝟔]
Che prende il nome di teorema di Faraday-Neumann-Lenz . Questa nuova
formulazione della circuitazione del campo elettrico comporta che il suo valore
dipende dal valore assunto dal campo magnetico al secondo membro nel seguente
modo:
- nel caso dell’elettrostatica (B=0) e delle correnti continue (B= costante) con
circuiti fissi la variazione del flusso di campo magnetico è zero e la circuitazione
di quello elettrico vale a sua volta zero come trovato a suo tempo e quindi il
campo elettrico è conservativo.
- nel caso di campo magnetico variabile in funzione del tempo oppure di circuiti
in movimento il secondo membro della [56] può essere diverso da zero questo
implica che lo è anche la circuitazione di quello elettrico che pertanto non è
conservativo ( il lavoro dipende dal percorso e/o dal tempo) ne consegue che il
potenziale del campo elettrico non può essere definito.
Come per il campo elettrico cariche non sono le uniche sorgenti così le correnti
elettriche non solo le sole sorgenti del campo magnetico.
Infatti nel teorema di Faraday-Neumann-Lenz si afferma che un campo magnetico
variabile nel tempo può generare un campo elettrico variabile nel tempo.
Allora, per simmetria, anche un campo elettrico variabile nel tempo deve poter
generare un campo magnetico variabile nel tempo (ipotesi di Maxwell).
Per sostenere l'ipotesi di Maxwell consideriamo un condensatore che si sta caricando.
Figura 34 - Corrente di spostamento
58
Consideriamo ora il percorso P della figura 34A. Attraverso questo percorso la
circuitazione di B [21] deve essere diversa da zero perché la superficie S1 è attraversata
da una corrente.
Per lo stesso percorso ora consideriamo la superficie S2 concatenata al percorso, ma
scavalcando un'armatura del condensatore, non attraversata da alcuna corrente.
Allora otteniamo il paradosso per cui per due diverse superfici concatenate allo stesso
percorso si hanno due diversi valori della circuitazione.
La soluzione sta nell'assumere un'altra possibilità come sorgente del campo magnetico:
non solo le correnti elettriche, ma anche la derivata del flusso del campo elettrico
attraverso la superficie concatenata al percorso come accade nella circuitazione del
campo elettrico.
Quindi il teorema di Ampere è in generale:
⃗⃗⃗⃗
⃗⃗ ) = 𝝁𝒐 ∑ 𝒊 + 𝝁𝒐 𝝐𝒐 𝚫𝚽(𝐄) [57]
𝚪(𝑩
𝚫𝒕
Così sorgente del campo magnetico può essere anche un campo elettrico variabile
nel tempo.
Questo campo magnetico sarà anch'esso variabile nel tempo e, per il teorema di
Faraday-Neumann-Lenz, genererà un campo elettrico variabile nel tempo. I campi
quindi si autosostengono e possono avere un'esistenza indipendente dalle sorgenti
tangibili (cariche e correnti).
La parte aggiunta nella [57] rispetto alla [21] è chiamata corrente di spostamento.
2.2) EQUAZIONI DI MAXWELL PER L’ELETTRODINAMICA
Prima equazione di Maxwell
(legge di Gauss per il campo elettrico)
⃗⃗⃗⃗⃗⃗ = 𝒒
𝚽(𝑬)
𝜺
[11]
𝟎
Seconda equazione di Maxwell (legge di Gauss per il campo magnetico)
⃗⃗ ) = 𝟎
𝚽(𝑩
[23]
Terza equazione di Maxwell (legge di Faraday-Neumann-Lenz)
⃗⃗⃗⃗⃗⃗ = −
𝚪(𝑬)
⃗⃗⃗⃗
∆𝚽(𝑩)
𝚫𝒕
= (−
⃗⃗⃗⃗
𝒅𝚽(𝑩)
𝒅𝒕
)
[𝟓𝟔]
Quarta equazione di Maxwell (teorema di Ampére)
⃗⃗⃗⃗
⃗⃗ ) = 𝝁𝒐 ∑ 𝒊 + 𝝁𝒐 𝝐𝒐 𝚫𝚽(𝐄) [57]
𝚪(𝑩
𝚫𝒕
59
2.3) GENERAZIONE DI ONDE ELETTROMAGNETICHE
Consideriamo un generatore (= alimentatore, f.e.m.,....) che produce una corrente
aternata ( vedi capitolo 1.4).
Il valore della f.e.m. (o ΔV) sarà quindi variabile nel tempo; lo si collega ad
un’antenna (ovvero, due pezzi di conduttore, un dipolo) ottenendo i seguenti effetti:
Figura 35 - campo statico all'istante t=0
Figura 36 - campo in oscillazione tra l'istante t=0 e t= T/4
Figura 37 - campo in oscillazione all'istante T/4
Figura 38 - campo in oscillazione all'istante T/2
Figura 39 - campo in oscillazione all'istante 3T/4
Figura 40 - Campi magnetici prodotti dalla variazione di E
La lettura delle figure da 35 a 39 è la seguente:
Al tempo t=0 (fig.35):
•Il generatore eroga la ΔVmax massima e si genera nel punto P un campo E.
60
Figura 40B - LINEE DI FORZA DEL CAMPO
ELETTROMAGNETICO DEL DIPOLO DI Fig.40
Al tempo t1>0 (fig.36):
•Il generatore eroga una ΔV inferiore a quella
massima
•In P ho un E minore di quello che avevo a t=0
•In Q si rileva il campo E che a t=0 era in P. Il
campo si e’ ‘spostato’ durante questo
intervallo di tempo.
Al tempo t= T/4 (fig.37):
• ΔV = 0
•In P il campo elettrico e’ E = 0
•I vettori di campo E che erano in P e Q si
sono ulteriormente spostati avanti.
Le figure 38 e 39 evidenziano invece la progressione nel tempo dell’evolversi del
campo ad una distanza crescente, nello spazio, dalla sorgente di energia costituita
dall’antenna.
Ricordando la quarta legge di Maxwell [57]:
⃗⃗⃗⃗
ΔΦ(E)
⃗ ) = 𝜇𝑜 ∑ 𝑖 + 𝜇𝑜 𝜖𝑜
Γ(𝐵
Δ𝑡
Si osserva che nei punti P e Q ecc. non sono presenti correnti e quindi la formula si
riduce a:
⃗⃗⃗⃗
⃗ ) = 𝜇𝑜 𝜖𝑜 ΔΦ(E)
Γ(𝐵
Δ𝑡
[58]
Ora, ad esempio per il punto P si può
considerare una qualsiasi superficie
orizzontale che lo contenga e calcolare il
flusso del campo elettrico attraverso di essa
il che, dato che il campo è variabile, porterà
ad un valore di circuitazione del campo
magnetico diversa da zero indicando che in P
Figura 41 - Campo elettromagnetico all'istante t=1.5T
( e in ogni altro punto sulla linea di
propagazione) si otterrà un vettore campo
magnetico ortogonale a quello elettrico come indicato in figura 40.Il campo elettrico
prodotto da un’antenna collegata a un generatore a Corrente Alternata (c.a.) si propaga,
allontanandosi dall’antenna, in modo analogo a un’onda che si propaga su una corda
,come indicato in figura 41. A suo tempo abbiamo visto che questo tipo di onde hanno
un’equazione del tipo:
𝑦 = 𝐴𝑠𝑒𝑛(𝑘𝑥 − 𝜔𝑡 )
61
[59]
Dove:
-
A = ampiezza dell’onda,
- 𝜔=
- 𝑘=
2𝜋
𝑇
2𝜋
𝜆
= 2𝜋𝜈 pulsazione con T periodo e n frequenza della sorgente,
𝑐
numero d’onda con 𝜆 = 𝑐𝑇 = 𝜈 lunghezza d’onda e c velocità dell’onda.
Per le due onde, quella del campo elettrico e quella del campo magnetico, nell’esempio
in esame, trattandosi di onde polarizzate si può scrivere:
𝐸𝑧 = 𝐸𝑚𝑎𝑥 𝑠𝑒𝑛(𝑘𝑥 − 𝜔𝑡 )
[60]
𝐵𝑦 = 𝐵𝑚𝑎𝑥 s 𝑒𝑛(𝑘𝑥 − 𝜔𝑡 )
[61]
La velocità di propagazione si può calcolare con l’analisi dimensionale del mezzo di
in cui si propagano osservando che gli unici parametri del vuoto (nel quale le onde in
esame transitano contrariamente a quelle meccaniche) sono solamente due :
𝐴2 𝑠 2
- costante dielettrica del vuoto
𝜖0 = 8.854 ∙ 10−12 𝑁𝑚2
- costante diamagnetica del vuoto
𝜇0 = 4𝜋 ∙ 10−7 𝐴2
𝑁
ipotizzando che la velocità dell’onda sia in funzione di essi si ha:
𝑐 = 𝛼𝜀0𝑎 𝜇𝑜𝑏
1
Inserendo le unità di misura si ottiene :
𝑎 = 𝑏 = −2
Quindi la velocità risulta:
𝑐=𝛼
Sperimentalmente si trova che =1 pertanto:
𝒄=
1
√𝜇0 𝜖0
𝟏
√ 𝝁 𝟎 𝝐𝟎
= 𝟐. 𝟗𝟗𝟖 ∙
𝟏𝟎𝟖 𝒎
𝒔
[𝟔𝟐]
Che è l’effettiva velocità della luce.
2.3.1) PROPAGAZIONE DELLEONDE ELETTROMAGNETICHE
Dobbiamo ancora determinare quale sia il collegamento tra i valori del campo elettrico
e di quello magnetico che devono necessariamente essere collegati visto le equazioni
di Maxwell tre e quattro. Per farlo consideriamo la figura n.42 nella quale è indicata
una superficie di base infinitesima dx e altezza h sul piano yx e contenente un punto
P.
62
E
dx
h
E+dE
P
Figura 42 - circuitazione di E e flusso di B
Il modulo del vettore induzione magnetica in P all’istante t vale:
𝐵 = 𝐵𝑚𝑎𝑥 s 𝑒𝑛(𝑘𝑥 − 𝜔𝑡 )
[61]
Il flusso istantaneo di tale vettore attraverso la superficie A= hdx risulta:
⃗⃗⃗⃗ = 𝐵 ∙ 𝐴 = ℎ ∙ 𝑑𝑥 ∙ 𝐵 = ℎ ∙ 𝑑𝑥 ∙ 𝐵𝑚𝑎𝑥 s 𝑒𝑛(𝑘𝑥 − 𝜔𝑡 )
Φ(𝐵)
[63]
La formula di Faraday – Neumann – Lenz (3^ di Maxwell) collega la variazione di
flusso dell’induzione magnetica alla circuitazione del campo indotto sul perimetro
della superficie attraverso la quale si calcola tale flusso:
⃗⃗⃗⃗⃗⃗ = (−
Γ(𝐸)
⃗⃗⃗
𝑑Φ(𝐵)
𝑑𝑡
) [56]
La derivata tra parentesi risulta:
−
⃗⃗⃗⃗
𝑑Φ(𝐵)
𝑑𝐵
= −ℎ ∙ 𝑑𝑥
[64]
𝑑𝑡
𝑑𝑡
D’altra parte la circuitazione del campo elettrico è:
𝑛
⃗⃗⃗⃗⃗⃗ = ∑ 𝐸
⃗ 𝑖 ∙ ∆𝑠⃗ 𝑖
Γ(𝐸)
𝑖=1
Dove per i due lati orizzontali, dx, che sono perpendicolari al vettore di campo E si
ottiene zero, mentre per i due verticali dove il campo varia in modo infinitesimo da E
ad E+dE si ottiene:
63
𝑛
⃗⃗⃗⃗⃗⃗ = ∑ 𝐸
⃗ 𝑖 ∙ ∆𝑠⃗⃗𝑖 = (𝐸 + 𝑑𝐸)ℎ − 𝐸ℎ = ℎ ∙ 𝑑𝐸
Γ(𝐸)
[65]
𝑖=1
Sostituendo la [64] e la [65] nella [56] si ha:
ℎ ∙ 𝑑𝐸 = −ℎ ∙ 𝑑𝑥
𝑑𝐵
𝑑𝑡
[66]
che semplificando h e dividendo per dx diventa:
𝑑𝐸
𝑑𝐵
=−
𝑑𝑥
𝑑𝑡
[67]
Derivando la E= 𝐸𝑚𝑎𝑥 𝑠𝑒𝑛(𝑘𝑥 − 𝜔𝑡 ) rispetto a x e la B= 𝐵𝑚𝑎𝑥 s 𝑒𝑛(𝑘𝑥 − 𝜔𝑡 )
rispetto a t si ottiene:
𝑘𝐸𝑚𝑎𝑥 𝑐𝑜𝑠(𝑘𝑥 − 𝜔𝑡 ) = −(−𝜔𝐵𝑚𝑎𝑥 cos(𝑘𝑥 − 𝜔𝑡 ))
che, semplificando, diventa:
𝑘𝐸𝑚𝑎𝑥 = 𝜔𝐵𝑚𝑎𝑥
Emax ω
=
Bmax k
𝝎
Ricordando che : 𝒌 =
𝟐𝝅𝝂
𝟐𝝅𝝂
𝒄
[68]
= 𝒄 si ha:
Emax
= c [69]
Bmax
Quindi il valore di Emax è c volte il valore di Bmax.
64
2.4) FENOMENI ONDULATORI
A questo punto dato che il modello ondulatorio descrive in modo corretto la
propagazione dei campi elettromagnetici risulta che si può estendere quanto visto per
le onde meccaniche anche alle onde elettromagnetiche e pertanto esse fanno:
-
interferenza
riflessione
rifrazione
diffrazione.
2.4.1) INTERFERENZA
Le onde elettromagnetiche si presentano in natura con frequenze variabili come
indicato nella seguente figura (approfondiremo la cosa più avanti):
Figura 43 - Spettro elettromagnetico
Pertanto esse propagandosi da una sorgente (ad esempio una lampadina) procedono
occupando le stesse posizioni nello spazio e facendo interferenza, la quale può essere
costruttiva, distruttiva o incoerente (come il suono…) vedi fig.44 e 45.
Ciò significa che viviamo continuamente immersi in “minestroni” di onde di vario
tipo: visibile, ultravioletti, infrarossi, onde radio ecc.
65
Figura 44 - Interferenza di onde con la stessa frequenza
Figura 45 - Interferenza di onde con frequenza diversa
Il fatto che possediamo come sensore, atto a rilevarle, l’occhio implica che siamo
abituati a “percepire” gli effetti solo delle onde sulle frequenze del visibile. Il motivo
di questo fenomeno è legato al fatto che la cornea possiede quattro tipi recettori
nervosi che, quando ricevono l’energia luminosa, si attivano solamente se i raggi che
li colpiscono possiedono l’energia collegata ad un dato intervallo di frequenze e delle
relative lunghezze d’onda:
- cono del “rosso”: si attiva solo per luci a cavallo della lunghezza d’onda di 650
nm;
- cono del “verde”: si attiva solo per onde a cavallo della lunghezza d’onda di 550
nm;
- coni del “blu”: si attivano per valori a cavallo dei 350 nm.
Con “attivano” si intende, semplificando, che l’energia ricevuta è sufficiente a
dissociare una molecola organica che contengono, provocando così una polarizzazione
al loro interno (una micro-pila) che genera una “corrente elettrica” lungo il nervo
ottico. Essendo i filamenti che lo compongono collegati a delle aree neuroniche del
cervello, quando il neurone di riferimento riceve il segnale elettrico esso ce lo fa
interpretare come un tipo preciso di colore (è la stessa procedura con cui si accendono
i pixel sullo schermo del computer…). Nel caso si attivino neuroni adiacenti a coni di
tipo diverso il cervello media i valori facendoci “vedere” il risultato dell’interferenza
dei tre segnali cioè i colori compresi tra i tre fondamentali che sono quindi il rosso, il
verde e il blu.
Il quarto recettore, chiamato bastoncello, si attiva su tutte le lunghezze d’onda del
visibile per valori di energia estremamente più bassi di quelli dei coni e, ovviamente,
il segnale che invia non determina i “colori” ma solamente la presenza o l’assenza di
luce dando luogo alle varie tonalità di grigio (come la visione in bianco e nero dei
vecchi film).
Come si vede i “colori” non sono una realtà fisica ma semplicemente
un’interpretazione sensoriale dovuta al nostro funzionamento neurologico ( infatti
66
molti animali non sanno cosa siano). Il bianco è il risultato dell’interferenza di tutti i
colori (per l’occhio dei tre colori fondamentali legati ai coni) mentre il nero è assenza
di colore. Come si vede dall’immagine n.46 nella quale tre lampade monocromatiche,
che emanano rispettivamente luce rossa, verde e blu, generano parziale
sovrapposizione nella zona centrale dove interferiscono i tre colori fondamentali
producendo luce bianca mentre le tre zone in cui i colori interferiscono a coppie si ha
il giallo, l’azzurro e l’indaco.
Figura 46 - interferenza di
luci monocromatiche
Nel caso di onde di tipo diverso da quelle del visibile, per esempio
le onde radio, l’interferenza di onde inviate da due stazioni, che
trasmettono “canzoni” diverse ma su frequenze portanti vicine,
produce un’interferenza incoerente che genera solo la ricezione di
suoni indistinti (in realtà sono le onde elettromagnetiche che sono
distorte dall’interferenza prima di venir trasformate in suoni
incoerenti…).
Fenomeni di interferenza sono anche quelli che possono produrre su macchinari medici
le onde dei telefonini e causare quindi un errore nel loro funzionamento; questo spiega
il motivo per cui negli ospedali è vietato usarli.
2.4.2) RIFLESSIONE
La riflessione è il fenomeno che descrive cosa succede ad un’onda quando incontra un
mezzo che non le permette di entrare. Abbiamo studiato che in questo caso l’onda
“rimbalza” sulla superficie di separazione in una direzione simmetrica a quella di
arrivo rispetto alla normale al piano d’urto (vedi fig.47 e 48).
Figura 47 - modello a raggi di un'onda che urta
obliquamente un piano levigato
Figura 48 - raggio luminoso riflesso da un piano levigato
67
Si parla di dispersione quando il piano di separazione ha una superficie scabra che
invia i raggi riflessi in direzioni diverse essendo diverse le normali locali nel punto
d’incidenza dell’onda (vedi immagini 49 e 50)
Figura 49 - onda diffusa il raggio riflesso non si vede Figura 50 - diffusione su un piano scabro
perchè si è separato in un numero grandissimo di piccoli
raggi diretti in modo casuale
In figura 51 è riportato lo schema a
raggi che ricorda la legge fondamentale della riflessione relativa ai due
angoli:
𝜃1 = 𝜃1′
[70]
2.4.3) RIFRAZIONE
Figura 51 - legge della riflessione
Quando un’onda in tutto o in parte passa da un mezzo ad
un altro si parla di fenomeno della rifrazione. Anche in
questo caso abbiamo già analizzato il fenomeno per le
onde meccaniche. Nella figura 52 è rappresentato il caso
in cui un’onda luminosa, arrivando dall’aria colpisce la
superficie di un vetro. Il vetro è un materiale
“trasparente” per la luce visibile e, pertanto, una grande
percentuale dell’energia incidente entra nel vetro
formando il raggio rifratto. Si vede che però una parte
dell’energia iniziale viene comunque riflessa nell’aria.
(Su questo torneremo più avanti) Sappiamo che la
velocità di un onda cambia al cambiare delle proprietà
fisico-chimiche del mezzo e che questa diminuisce
Figura 52 - onda in parte riflessa e in parte rifratta
tra l’aria e un solido. Di conseguenza cambiando la
velocità di propagazione si ha una variazione anche della lunghezza d’onda per tener
68
conto della quale l’angolo del raggio rifratto deve essere diverso da quello dell’angolo
incidente secondo la legge di Snell ( rivedetevi la dimostrazione nel modulo relativo
𝑠𝑒𝑛(𝜃1 )
alle onde meccaniche):
𝑠𝑒𝑛(𝜃2
𝑉
1
=
)
𝑉
2
[71]
Nella figura 53 sono evidenziati i
seguenti fenomeni:
1) raggio incidente
2) raggio riflesso sulla superficie
superiore
3) raggio rifratto sulla superficie
esterna superiore
4) raggio riflesso sulla superficie
inferiore
Figura 53 - doppia rifrazione e doppia riflessione
5) raggio rifratto sulla superficie
interna superiore.
Il rapporto tra la velocità della luce nel vuoto e quella in un mezzo è chiamato indice
di rifrazione ed è una caratteristica ottica di ogni materiale trasparente:
𝑛=
𝑐
𝑉
[72]
Ricavando V e sostituendo nella [71] con gli indici corretti si ha:
𝑠𝑒𝑛(𝜃1 ) 𝑉1 𝑛2
=
=
𝑠𝑒𝑛(𝜃2 ) 𝑉2 𝑛1
[73]
Per concludere con gli effetti della rifrazione
osserviamo come in figura 54 si evidenzi che le
onde monocromatiche, quindi di diversa
frequenza, si propagano in un solido con velocità
diverse. Infatti mentre nell’aria procedono lungo lo
stesso raggio, dando luogo al fenomeno di
interferenza precedentemente discusso (la somma
dei colori genera il bianco), nel vetro del prisma
Figura 54 - rifrazione della luce attraverso un
prisma
esse, per rifrazione, deviano di angoli crescenti
(quindi angoli di rifrazione decrescenti) con la
frequenza provocando la separazione delle onde singole generando così l’arcobaleno.
69
Come si vede (fino a quattro cifre significative)
nell’aria la velocità della luce è pari a quella che ha
nel vuoto.
ESEMPIO 28
Figura 55 - Indice di rifrazione di alcune
sostanze
Un fascio di luce di lunghezza d’onda di 550 nm, che
si propaga in aria incide su una lastra di materiale
trasparente. Il fascio incidente forma un angolo di
40.0° con la normale ed il raggio rifratto forma un
angolo di 26.0° con la normale.
A) Trovare l’indice di rifrazione del materiale.
B) Determinare la velocità della luce nel materiale.
C) Calcolare la lunghezza d’onda della luce nel
materiale.(vedi figura 52)
Dati: l1=550 nm; q1=40.0°; q2=26.0°;n1=1.00
A) dalla [73] si ha:
𝑛2 = 𝑛1
𝑠𝑒𝑛(𝜗1 )
= 1.47
𝑠𝑒𝑛(𝜗2 )
B) dalla [72] otteniamo:
v2 =
𝑐
= 2.04 ∙ 108 𝑚/𝑠
𝑛2
C) ricordando (sempre dalla [73]) che :
𝑉1 𝜐 𝜆1 𝑛2
=
=
𝑉2 𝜐 𝜆2 𝑛1
Segue
𝑛
𝜆2 = 𝑛1 𝜆1 = 374 𝑛𝑚
2
70
2.4.4) DIFFRAZIONE.
Consideriamo un’onda piana che si propaghi in un ambiente contenente due
ostacoli, AB e DC, posti come in fig.56 a). Quando incontra gli ostacoli nei tratti AB
e CD essa viene riflessa. Nel tratto compreso tra B e C l’onda prosegue nella seconda
parte dell’ambiente ma, allo stesso tempo, cambia forma come è evidenziato
nell’immagine di un’esperienza reale rappresentata in fig.56 b). L’onda va ad occupare
anche le parti di piano dietro agli ostacoli.
Figura 56
Questo effetto, caratteristico solo dei
fenomeni ondulatori, prende il nome di
diffrazione. Il principio di Huygens, (rivedi)
applicato in fig.56 a) ai cinque punti
evidenziati tra B e C, permette di prevedere
correttamente la forma dell’onda dopo gli
ostacoli. Nel caso in esame l’effetto di
diffrazione è poco accentuato in quanto la
larghezza della fenditura BC è molto più
grande della lunghezza d’onda. Se, viceversa,
si ha un’apertura più piccola della lunghezza
d’onda l’effetto della diffrazione diventa
dominante come è evidenziato nella fig. 57.
Mentre, nel caso precedente, l’onda rimaneva
prevalentemente piana e l’effetto diffrattivo si manifestata
solo tenuemente ai lati del foro, ora l’onda è diventata
circolare e presenta delle frange d’interferenza distruttiva che
danno luogo ad una distribuzione dell’energia
completamente diversa da quella dell’onda iniziale come è
evidenziato dal diagramma d’intensità rappresento in fig.57
71
Fig.57
b). Risulta che, in corrispondenza delle frange d’interferenza distruttiva, dove
l’ampiezza è nulla, non si ha nessuna energia, mentre dove si ha interferenza
costruttiva si ottengono dei picchi d’intensità decrescenti dal centro verso l’esterno. In
fig. 57 c) è riprodotta l’immagine di un esperimento di questo tipo in cui, però, essendo
la lunghezza d’onda dello stesso ordine della fenditura, non si notano le frange
d’interferenza distruttiva. In conclusione è evidente che l’onda, oltre la fenditura, è
diventata circolare. Questo fenomeno è d’importanza fondamentale nello studio
dell’ottica fisica.
2.5) CENNI DI OTTICA FISICA
2.5.1) ESPERIMENTO DI YOUNG
Nella figura n.58 è rappresentato, in parte tramite uno schema e in parte tramite una
fotografia di un esperimento reale, il risultato di un’esperienza di Young eseguita
inviando onde su uno schermo con due fenditure con apertura dell’ordine di grandezza
della lunghezza dell’onda incidente. Come si vede, in corrispondenza delle frange
d’interferenza costruttiva, si ottengono una serie di massimi d’illuminazione
intervallati da zone oscure in corrispondenza delle frange distruttive. Si nota che i
massimi sono equispaziati e dello stesso ordine d’intensità. Esaminiamo ora
l’esperienza di Young da un punto di vista quantitativo.
- La luce utilizzata è monocromatica ottenuta da un raggio laser.
In fig.59 il punto P rappresenta una posizione qualsiasi sullo schermo C, posto alle
distanze r1 e r2 rispettivamente dalle fenditure S1 e S2.
Si traccia ora una linea da S2 fino ad intersecare il
raggio r1 in modo che le distanze PS2 e Pb siano uguali.
L’esperimento è condotto in modo che la distanza tra i
due schermi, D, sia molto maggiore della distanza d tra
le due fenditure, d:
D  d
[74]
In queste condizioni, entro la precisione di
alcune cifre significative, si può ritenere che S2b sia
perpendicolare sia a r1 che a r2 o, in altri termini, che i
due raggi siano paralleli. Ne segue che gli angoli S1S2b
e PaO sono congruenti e pari a  .
Figura 58– Frange d’interferenza di Young
72
I due raggi provenienti dalle sorgenti S1 e S2,
arrivando da uno stesso fronte dell’onda piana
incidente, sono in fase quando attraversano le
fenditure, ma essendo i due raggi r1 e r2 di
lunghezza diversa possono contenere un numero
diverso di lunghezze d’onda e quindi giungere in
P sfasati. La differenza di cammino ottico1 è
data dalla lunghezza del segmento:
S1b  d sen
Fig.59
[75]
il numero di lunghezze d’onda che contiene determina il tipo di interferenza che si avrà
nel punto P.
- Massimi. Affinché in P vi sia un massimo d’illuminazione (interferenza costruttiva)
nel segmento S1b devono essere contenute un numero intero di lunghezze d’onda cioè:
S1b  m
con
m=0,1,2,3….
[76]
sostituendo il risultato della [75] nella [76] si ha:
d sen  m
con
m=0,1,2,3….
[77] (massimi)
E’ importante notare che per ogni massimo al di sopra di O in fig.59 ne corrisponde
uno simmetrico al di sotto di O. Il massimo centrale corrisponde a m=0.
- Minimi. Affinché in P si formi un minimo S1b deve contenere un numero dispari di
mezze lunghezze d'onda in modo che, dove arriva un massimo di un raggio, arrivi anche
un valore sfasato di p, cioè un valore in modulo identico ma di segno opposto; in
questo modo si ottiene un’interferenza distruttiva. Per avere un numero dispari di
mezze lunghezze d’onda, anziché per m, bisogna moltiplicare l/2 per il valore:
(2m+1) con m =0,1,2,3….. [78]
si vede che la [78] dà solo interi dispari (1,3,5,7,….). Pertanto l’equazione che
determina i valori dei minimi risulta:
d sen  (2m  1)
1

1

  m  
2 
2
con
m=0,1,2,3…. [79] (minimi)
Per cammino ottico s’intende la strada percorsa da un raggio di luce in un mezzo.
73
Operando nelle condizioni imposte dalla [74] i valori dell’angolo  risultano molto
piccoli (   5 ) di conseguenza, senza perdere di precisione si può operare la
semplificazione:
[80]
sen  
che permette di scrivere la [77] e la [79] nel seguente modo:

m
d
[81]
1
2d


  m  
[82]
(massimi)
(minimi)
che portano alla determinazione degli angoli di inclinazione sotto i quali si vedono i
massimi e i minimi d’interferenza.
Sempre dalla fig.59 si nota che:
tan  
che per angoli piccoli dà:

y
D
[83]
y
D
[84]
sostituendo la [84] nelle [81] e [82] si ottengono le distanze tra i centri delle frange e
il centro del massimo centrale:
y
mD
d
1  D

y  m  
2 d

y1 
Per m=1 si ottiene dalla [85]:
per m=2 si ha:
e di conseguenza:
y2 
D
d
85]
[86]
(massimi)
(minimi)
[87]
2D
 2 y1
d
ym  my1
[88]
il che significa che i massimi sono tutti alla stessa distanza l’uno dall’altro 2.
2
Con un’analoga dimostrazione si trova che anche i minimi sono equispaziati.
74
2.5.2) DIFFRAZIONE DA UNA SINGOLA FENDITURA.
Nella descrizione delle figure d’interferenza prodotte nell’esperienza di Young
si è formulata l’ipotesi che le due fenditure avessero dimensioni dell’ordine di
grandezza della lunghezza d’onda della luce utilizzata 3. Questo fatto ha permesso di
considerare le due sorgenti di luce come se avessero spessore infinitesimo e di
conseguenza emettevano luce con la stessa intensità in tutte le direzioni, il che ha
portato a frange d’interferenza tutte della stessa intensità.
In realtà anche nei laboratori più specializzati è estremamente difficile4 ottenere
fenditure dell’ordine dei micrometri e perciò, molto spesso, si lavora con fenditure
che da un punto di vista macroscopico sono “piccole”, ma che rispetto alle lunghezze
d’onda delle luci impiegate sono enormi.
Consideriamo ora
cosa avviene quando un
fascio di luce monocromatica attraversa una sola
fenditura di larghez-za ‘a’
molto maggiore della
lunghezza dell’onda della
luce stessa.
Fig.60
Nella fig.60c) è rappresentata una fenditura di
dimensioni ‘a’ che è
investita da un’onda piana
monocromatica.
Dietro
allo schermo, distante L
dalla fenditura, è indicato il
diagramma delle inten-sità
che dovrebbe risultare in
base all’im-magine di un
esperimento reale riportata
in fig.61a, dove si nota una
intensa banda centrale
Fig.61
Vedi le dimensioni delle fenditure e le lunghezze d’onda rappresentate nello schema di fig.58
Sempre in fig.58 si vede che l’immagine d’interferenza presenta una maggiore intensità nelle frange centrali rispetto a
quelle laterali il che significa che le due fenditure non rispettano completamente la condizione   d .
3
4
75
chiara intervallata da zone scure e da altre bande chiare. In figura 60a) è rappresentato
un ingrandimento della fenditura con indicati i raggi uscenti da una serie di punti
considerati come sorgenti secondarie in accordo con il principio di Huygens.
Analizzando lo schema 60c) si vede che deve esistere un angolo  ampio in modo
tale che, l’inclinazione dei raggi, produca una differenza di cammino tale da causare
l’interferenza distruttiva. Nello schema di fig.60a) si vede che la differenza di
cammino tra il primo raggio e l’ultimo indicato nella figura vale:
r  a sen
[89]
Si può formulare l’ipotesi che per l’angolo in esame questa differenza di cammino
valga esattamente la lunghezza d’onda l cioè che:
  a sen
[90]
Si supponga di aver suddiviso la fenditura con 100 punti equispaziati considerati come
sorgenti; in questo caso, come abbiamo appena visto, il primo e l’ultimo punto
emanano raggi in fase tra loro che danno interferenza costruttiva. Se immaginiamo di
suddividere la fenditura in due regioni con i punti da 1 a 50 nella parte superiore e le
sorgenti da 51 a 100 nella regione inferiore notiamo che la differenza di cammino del
51° punto, che si trova ad a/2, è sfasato di:
r51 
a

sen1 
2
2
[91]
cioè che le onde provenienti dalle sorgenti 1 e 51 fanno interferenza distruttiva e quindi
si eliminano. Lo stesso vale per le sorgenti 2 e 52, 3 e 53 e così via; in altri termini i
raggi che provengono da sorgenti che distano a/2 si elidono per interferenza distruttiva.
Questo ragionamento può essere ripetuto per un qualsiasi numero di punti e
porta in ogni caso a dire che la somma degli effetti nel punto individuato sullo schermo
dall’angolo  corrisponde ad un’onda nulla cioè a una frangia d’interferenza
distruttiva. Per determinare la posizione del secondo minimo si può ripetere il
ragionamento osservando che deve esistere un angolo per cui vale la relazione:
a sen2  2
[92]
se si divide la fenditura in quattro zone uguali, due per la regione superiore e due per
quella inferiore, si ottiene che la luce che arriva dal punto posto in a/4 è sfasata di l/2
rispetto al primo punto mentre, quella che arriva dalla sorgente a 3a/4, è sfasato l/2
distano a/4.
76
Si può quindi generalizzare l’equazione che permette di determinare gli zeri
della figura di diffrazione nel seguente modo:
a sen  m
m  1,2,3...
[93]5
Se la distanza L è molto grande rispetto alla metà della larghezza del massimo centrale
y (c.f.r. fig.60c) allora gli angoli  risultano piccoli (<5°) quindi è possibile
approssimare la [93] nel seguente modo:
Inoltre risulta:
sen   
m
a
tan    
y
L
[94]
[95]
che combinata con la [94] dà:
y
mL
a
[96]
determina la posizione dei minimi rispetto al punto centrale dello schermo.
L’andamento dell’intensità della fig.61 è chiamata figura di diffrazione di
Fraunhofer di una singola fenditura: è la figura che si osserva quando lo schermo è
molto lontano dalla fenditura e la larghezza della fenditura non è maggiore di un
piccolo numero di lunghezze d’onda della luce utilizzata. Se si osserva la figura di
diffrazione ponendo lo schermo vicino alla fenditura l’immagine cambia e prende il
nome di figura di diffrazione di Fresnel: questo schema è molto complesso da
analizzare e, per noi, ha poco interesse pratico e quindi lo trascureremo.
5
N.B. Spesso capita di confondere la [77] per la doppia fenditura con la [93] per la singola fenditura. Per evitarlo è
importante rilevare che, in questo caso, i valori di ‘m’ sono gli interi escluso lo zero mentre nelle formule
precedentemente trovate per la doppia fenditura partivano da zero. Inoltre la distanza inserita nella formula è la larghezza
della fenditura ‘a’ mentre nel caso precedente era la distanza tra le fenditure ‘d’.
77
2.5.3) DIFFRAZIONE DA UN’APERTURA CIRCOLARE .
Consideriamo ora la diffrazione da un’apertura
circolare di diametro d. La figura n.62 mostra l’immagine
di una sorgente puntiforme luminosa lontana che si forma
dopo aver attraversato un piccolo foro di diametro d su
uno schermo posto a notevole distanza dal foro stesso.
(c.f.r.fig.62).
Confrontando questa fotografia con quella
rappresentata in fig.61 è evidente che si tratta di un Figura 62
fenomeno di diffrazione nel quale, in questo caso,
l’apertura è un cerchio mentre nel precedente era una fenditura.
Ricordiamo che per la fenditura le dimensioni delle frange sono determinate da
i parametri ‘a’ e ,nella relazione:
sen 

a
con m=1
[93]
Nel caso dell’apertura circolare i parametri che intervengono sono il diametro
‘d’ e , perciò l’equazione che definisce le dimensioni della frangia centrale risulta:
sen  1,22

d
[97]
Il fattore 1,22 deriva dal calcolo matematico d’integrazione di tutte le sorgenti
secondarie in cui si può suddividere l’intera apertura circolare al posto dei tratti x
usati nella fenditura.
78
2.5.4) RISOLUZIONE – CRITERIO DI
RAYLEIGH
Fig. 63
Il fatto che le immagini fornite attraverso
aperture circolari sono figure di diffrazione è
importante quando si vogliono distinguere due
oggetti puntiformi lontani separati da una
piccola distanza angolare a (c.f.r. fig.63). La
figura 64 mostra le immagini visive e le
corrispondenti distribuzioni d’intensità per due oggetti lontani con piccole distanze
Fig.64
angolari. In a) gli oggetti non sono risolubili, cioè la figura di diffrazione non è
distinguibile da quella dovuta ad un solo oggetto puntiforme. In b) essi sono appena
risolubili mentre in c) sono completamente risolubili.
Nella figura 64b) la distanza angolare tra le due sorgenti puntiformi è tale che il
massimo della figura di diffrazione di una sorgente coincide con il primo minimo
della figura di diffrazione dell’altra. Questa condizione si dice criterio di
Rayleigh.
Utilizziamo questo criterio per ricavare la distanza angolare minima necessaria perché
due oggetti siano risolubili; in base alla [97], scritta nell’ipotesi che gli angoli siano
piccoli, si ha:
R  1,22
79

d
[98]
Quando si adopera una lente per distinguere oggetti con piccola distanza angolare tra
loro, è importante rendere il più piccolo possibile il disco centrale della figura di
diffrazione. Questo fenomeno lo si può ottenere (vedi eq.[98]) aumentando il diametro
della lente oppure usando lunghezze d’onda più corte. Per ridurre gli effetti della
diffrazione nei microscopi, si usa la luce ultravioletta che permette, a causa della sua
più corta lunghezza d’onda, di esaminare più dettagli che non sarebbero distinguibili
operando con lo stesso microscopio con luce visibile. Nel microscopio elettronico i
fasci di elettroni6 utilizzati al posto della luce possono avere una lunghezza d’onda
efficace di 4 pm cioè dell’ordine di 105 volte più corta di quella della luce visibile, e
questo permette di esaminare in dettaglio oggetti piccoli come i virus. Se si osservasse
un virus con il miglior microscopio ottico la sua struttura non sarebbe distinguibile a
causa della diffrazione.
ESEMPIO 29 – Risoluzione dell’occhio umano.
Il diametro della pupilla di un occhio normale, di giorno, ha una dimensione di 5.00
mm. Considerando il valore medio della lunghezza d’onda della luce visibile=550
nm, si vuol determinare qual è la distanza minima di due oggetti puntiformi che
permetta di risolverli a 100 m di distanza dalla pupilla.
Dati: d=5,00 10-3m; =550 10-9m; L=100 m.
Usando l’equazione [98] si ha che l’angolo limite per i raggi provenienti dalle due
sorgenti (fig.65) deve essere:
R  1,22

d
 1,22
550  109
 1,34  10 4 rad
3
5,00  10
se gli oggetti sono distanti tra loro y e sono lontani dalla pupilla L=100 m essi saranno
distinti, secondo il criterio di Rayleigh se
tan R 
y
 y  L tan R
L
ed essendo l’angolo piccolo si può scrivere:
y  LR  100  1,34  104  1,34  102 m  1,34cm
6
Vedremo in meccanica quantistica che in certe condizioni gli elettroni si comportano come onde.
80
ESEMPIO 30 – Limiti alla risoluzione dovuti alla morfologia dell’occhio.
Sappiamo che la distanza tra i recettori (coni) sulla
Fig.65
retina è dell’ordine di 1mm nella fovea centralis, dove
queste cellule sensibili al colore sono più dense, e da
3 a 5 mm fuori da questa regione. Verificare se la
risoluzione degli oggetti analizzati nell’esempio n.29 è limitata dal fatto che, perché
siano visti come due oggetti distinti , le immagini delle sorgenti devono colpire sulla
retina due coni non adiacenti. Il diametro dell’occhio vale mediamente 2.5 cm.
R  1,34  102 rad; L1  2,5  102 m.
Utilizzando l’angolo limite trovato nell’esempio precedente si considera la parte destra
della fig.65 dove si vede che:
y1  R L1  1,34  104 2,5  102  3,4  106  3,4 m
quindi nella zona centrale dove i coni non adiacenti distano 2 m gli oggetti sono
distinguibili mentre nelle zone più esterne dove due coni non adiacenti distano da 6 a
8 m non lo sono.
2.5.5) RETICOLI DI DIFFRAZIONE.
Nella parte conclusiva del cap.2.5.2) abbiamo visto che il metodo di calcolo delle
frange di diffrazione prodotta da una serie di N fenditure si calcola con la stessa
procedura vista per una fenditura. Infatti quando abbiamo suddiviso la singola
fenditura in N tratti x, si è fatta l’ipotesi che questi si comportassero come N sorgenti
puntiformi cioè come N fenditure. Un reticolo di diffrazione è in generale costruito
con un numero di fenditure che può essere dell’ordine di 10 4 . Per renderci conto del
fatto che l’interferenza di due fenditure ha la stessa figura di diffrazione di un reticolo
con più fenditure, in fig.66, sono riportate due fotografie nelle quali si vede l’immagine
prodotta da due fenditure nella parte a) e quella prodotta da cinque fenditure nella parte
b).
81
Fig.66
Si vede che nella distribuzione con N=5, tra i massimi principali appaiono tre massimi
secondari. Quello che non risulta chiaro è che i massimi principali per N=5 sono più
stretti di quelli dovuti a N=2 (foto 66a). Ciò è dovuto al fatto la foto 66b) è stata
sovraesposta per vedere i massimi secondari che sono di bassissima intensità.
All’aumentare del numero N i massimi principali diventano strettissimi e i massimi
secondari, anche se aumentano di numero, diventano così deboli in intensità da
risultare otticamente invisibili. Questo porta a parlare di spettri a righe (fig.67)
ottenuti con l’osservazione attraverso reticoli di diffrazione tramite spettroscopio.
Figura 67- spettro a RIGHE
82
In fig.68 è rappresentata una parte di un reticolo a N fenditure distanziate di ‘d’ (la
distanza tra le fenditure viene tecnicamente chiamata ‘passo’) e investito da una serie
di raggi luminosi che vengono diffratti verso un punto P su uno schermo C non indicato
in figura. L’angolo  di inclinazione permette di individuare la differenza di cammino
ottico tra due di questi raggi ottenendo:
r  d sen
[99]
I massimi, cioè le righe dello spettro, sono ottenuti quando la differenza di cammino
fino allo stesso punto è pari ad un numero intero
FIG.68
di lunghezze d’onda, cioè:
r  m
[100]
combinando le due equazioni si ottiene:
d sen  m
m  0,1,2,3...
[101]
che permette di trovare i vari ordini (numeri m)
delle righe spettrali. Molte volte viene fornito, per
definire il reticolo, il numero di fenditure al cm che
generalmente viene indicato con D e la formula [101] viene scritta nella forma:
  arcsenmD
[102]
2.5.6) CENNI DI SPETTROSCOPIA.
I reticoli di diffrazione sono utilizzati per misurare le lunghezze d’onda della luce
emessa da oggetti di cui si vuole analizzare la struttura chimica.
Sappiamo che la luce è prodotta dalla transizione degli elettroni tra l’orbitale in cui si
trovano nello stato eccitato e gli orbitali a energia minore in cui ritornano dopo
l’eccitazione (fig.78, pag.92).
L’energia che l’atomo ‘perde’ quando gli elettroni scendono in orbitali meno energetici
è pari a quella trasmessa sotto forma d’onda e, visto che l’energia è collegata anche
alla lunghezza d’onda7, è possibile risalire a quali transizioni sono avvenute misurando
la lunghezza d’onda della luce trasmessa da queste sostanze.
Ogni atomo ha una sua ‘carta d’identità’ spettroscopica che è legata alla sua struttura
elettronica (vedi fig.67). Ricordando che i valori di energia compresi tra gli orbitali di
7
In meccanica quantistica troveremo le formule che costituiscono questi collegamenti.
83
tipo s, p, d ecc. sono caratteristici di un particolare elemento, le possibili transizioni
sono proprio tra questi possibili livelli e di conseguenza sono teoricamente note.
Quando si osserva una sostanza sconosciuta e si trova che la lunghezza d’onda
corrisponde all’energia che si ha in uno dei salti permessi ad esempio per il sodio,
allora si può dire che in quella sostanza è presente sicuramente il sodio. Procedendo in
questo modo è possibile trovare tutti i componenti chimici di una sostanza. Per
esempio la relazione sperimentale trovata da Balmer tra le frequenze di tutte le righe
dell’idrogeno nella parte visibile dello spettro è:

c

1 1 
 R  2 

4 m 
1
[103]
dove R è la costante sperimentale di Rydberg che vale R =109677,58 1/cm, e m è un
intero a partire da 3, cioè:
m=3,4,5,6….
Quindi se analizzando uno spettro risultano i valori di lunghezza d’onda che
soddisfano l’equazione [103] siamo sicuri che l’atomo che ha emesso quella luce è
l’idrogeno.
Per determinare in labora-torio le lunghezze d’onda si usano spettroscopi a reticolo;
Fig. 69
in fig.69 è disegnato lo schema
di funzionamento di un semplice spettroscopio a reticolo,
utilizzato per osservare lo
spettro di una sorgente
luminosa che può essere per
esempio una lampada ad
idrogeno, di conseguenza ci si
aspetta di trovare le righe
Fig.70
84
spettrali evidenziate nella foto di fig.67. In fig.70 è invece rappresentata una figura
reale dello spettroscopio schematizzato precedentemente.
Ovviamente queste righe si presenteranno per particolari angoli  e tramite la
[101], noto il valore del passo ‘d’ per il reticolo utilizzato, si possono calcolare i valori
delle corrispondenti lunghezze d’onda. Infatti la luce proveniente dalla sorgente S
viene concentrata dalla lente L1 sulla fenditura S1, posta nel piano focale della lente L2.
Il fascio parallelo di luce emergente dal collimatore C arriva sul reticolo G. I raggi
paralleli corrispondenti ad un particolare massimo d’interferenza , che si ha ad un
angolo  , incidono sulla lente L3 e vengono focalizzati sul piano F-F’. L’immagine
che si forma su questo piano viene esaminata mediante un sistema di lenti E, che
ingrandisce le immagini, detto oculare.
Dalla parte opposta rispetto alla posizione centrale si forma una figura
d’interferenza simmetrica, come indicato dalle linee tratteggiate. Ruotando il
telescopio T secondo angoli diversi si può osservare l’intero spettro.
In realtà gli strumenti utilizzati nei laboratori industriali sono più complessi di
quello appena descritto. Essi impiegano metodi di registrazione fotografica o
fotoelettrica e si dicono spettrografi, però la logica dei risultati ottenuti risponde
sempre alla teoria che abbiamo esposto nei capitoli precedenti. Oltre ai reticoli a
fenditure esistono anche reticoli che funzionano a interferenza. Per questi la figura di
diffrazione è prodotta dallo sfasamento causato dalla differenza di cammino ottico che
i raggi percorrono a seconda che colpiscano le creste o le gole del reticolo8.
L’analisi spettrale della luce si può eseguire anche se al posto del reticolo G di fig.
70 si utilizza un prisma. In uno spettroscopio a prisma ciascuna lunghezza d’onda
viene deviata secondo un particolare angolo  , determinato dall’indice di rifrazione
del materiale del prisma per quella lunghezza d’onda.
Gli strumenti a prisma sono meno precisi di quelli a reticolo perché, generalmente,
il valore con cui è noto l’indice di rifrazione del prisma per la lunghezza d’onda in
esame è definito con poche cifre significative.
8
Un reticolo di questo tipo può essere anche un comune CD in quanto la sua parte leggibile dal drive è costituita da
microsolchi a profondità variabile che danno informazioni in base al fatto che producano creste chiare (1) o scure (0)
quando vengono percorse dalla testina laser.
85
2.5.7) POTERE RISOLUTIVO DI UN RETICOLO.
Per distinguere onde luminose con  molto vicine, i massimi principali formati dal
reticolo per queste lunghezze d’onda devono essere i più stretti possibile. In altri
termini il reticolo deve avere un grande potere risolutivo R, definito come:
R
 

[104]
In questa definizione <> è il valore medio di due righe spettrali che possono essere
risolte e  è la differenza tra le loro lunghezze d’onda. Tanto più piccolo è e tanto
più vicine sono le righe che possono essere risolte; quindi tanto più grande è il potere
risolutivo del reticolo. Applicando il criterio di Rayleigh si può dimostrare che per un
reticolo vale la relazione:
R  Nm
[105]
dove N è il numero totale di fenditure presenti nel reticolo e m il numero d’ordine dello
spettro.
Combinando la [104] con la [105] si ottiene:
R

 Nm

[106]
che è la relazione cercata, essa collega i dati del reticolo alla possibilità di risolvere
due righe.
2.6 INTENSITA’ DI UN’ONDA ELETTROMAGNETICA
Rivediamo brevemente alcuni concetti utilizzati per le onde meccaniche.
- Densità di energia D: Definiamo la densità di energia, per ogni tipo d’onda, come
l’energia contenuta in un volume n-dimensionale. Quindi per un’onda su una corda,
che è monodimensionale, la densità di energia sarà misurata in J/m; per le onde
sulla superficie dell’acqua, che sono bidimensionali, l’unità di misura di D sarà
J/m2, mentre per le onde acustiche ed elettromagnetiche, che sono tridimensionali,
sarà in J/m3.
- Intensità di un’onda I: Definiamo come intensità l’energia che attraversa,
nell’unità di tempo, un’unità di area perpendicolare alla direzione di propagazione
dell’onda. Dobbiamo di nuovo fare attenzione nel precisare il concetto di area, che
dipenderà dal tipo di onda in esame. Per le onde su una corda non c’è alcuna area;
l’intensità è l’energia che passa attraverso un punto della corda nell’unità di tempo.
Per le onde sull’acqua l’intensità è l’energia che passa attraverso una linea di
86
lunghezza unitaria nell’unità di tempo. Per le onde tridimensionali l’intensità è
l’energia che passa per unità di tempo attraverso un’area unitaria, perpendicolare
alla direzione di propagazione dell’onda.
In generale è molto difficile calcolare la densità di energia in un’onda di forma
qualsiasi. Però, per un’onda armonica, la densità di energia media D è sempre
proporzionale al quadrato dell’ampiezza A:
D
 E 
 bA2
Vol
[107]
dove il coefficiente b è diverso per ogni tipo di onda e può dipendere dalla lunghezza
d’onda, mentre <E> è l’energia media
contenuta nel volume, Vol ,considerato.
Per densità di energia media s’intende la
densità media su una regione delle
dimensioni di una lunghezza d’onda.
L’intensità
quantità:
I
è,
per
 E 
St
definizione,
la
[108]
Fig. 71
Dato che la potenza è definita come:
W
 E 
t
la [108] può anche essere scritta nella forma:
I
W
S
[109]
Possiamo ottenere altre forme della [108], infatti, dalla [107] si ha anche:
 E  DVol  bA2Vol
[110]
Per trovare l’energia che fa a tempo ad attraversare la sezione S nell’intervallo Dt,
calcoliamo:
x  ct
Vol  Sx  Sct
sostituendo nella [110] si ottiene:
 E  DSct  bA2 Sct
87
[111]
che inserita nella [108], nel primo caso, dà:
I
DSct
 Dc
St
[112]
Mentre se si usa l’ultima parte della [110] otteniamo:
I  b  A2 c
[113]
Le [108],[109],[112] e [113] sono tutte forme diverse della definizione d’intensità di
un’onda.
Ricordiamo che le funzioni d’onda, che descrivono l’evolversi nello spazio del
campo elettrico e di quello magnetico, sono:
𝐸𝑧 = 𝐸𝑚𝑎𝑥 𝑠𝑒𝑛(𝑘𝑥 − 𝜔𝑡 )
[60]
𝐵𝑦 = 𝐵𝑚𝑎𝑥 s 𝑒𝑛(𝑘𝑥 − 𝜔𝑡 )
[61]
Per esse i valori di b trovati valgono rispettivamente:
𝑏𝑧 =
1
𝜀
2 0
;
𝑏𝑦 =
1
2𝜇0
[114]
Ne segue che relative densità di energia sono:
𝐷𝑧 =
1
1 2
2
𝜀0 𝐸𝑚𝑎𝑥
𝑒 𝐷𝑦 =
𝐵
2
2𝜇0 𝑚𝑎𝑥
La densità totale di energia dell’onda risulta:
1
1 2
2
𝐷 = 𝐷𝑧 + 𝐷𝑦 = 𝜀0 𝐸𝑚𝑎𝑥
+
𝐵
2
2𝜇0 𝑚𝑎𝑥
Ricordando la
𝐸𝑚𝑎𝑥
𝐵𝑚𝑎𝑥
= 𝑐 [69] la [115] diventa:
1
1
2
2
𝐷 = 𝜀0 𝐸𝑚𝑎𝑥
+
𝐸𝑚𝑎𝑥
2
2
2𝜇0 𝑐
Che per la [62] 𝑐 =
1
√𝜇0 𝜖0
diventa:
2
𝐷 = 𝜀0 𝐸𝑚𝑎𝑥
=
2
𝐵𝑚𝑎𝑥
𝜇0
88
[116]
[115]
La [116] determina il valore massimo della densità di energia. Essendo le onde
elettromagnetiche sinusoidali è più utile la densità media di energia calcolata
considerando i valori efficaci delle ampiezze dei campi:
𝐸0 =
𝐸𝑚𝑎𝑥
√2
𝑒
𝐵0 =
𝜀0 𝐸02
𝐵𝑜2
=
𝜇0
𝐵𝑚𝑎𝑥
[117]
√2
La densità media risulta quindi:
< 𝐷 >=
[118]
Combinando le [109], [112] e [118] si ottiene per l’intensità:
𝑊
𝐵𝑜2
2
𝐼=
= 𝑐𝜀0 𝐸0 = 𝑐
𝑆
𝜇0
[119]
E per le onde sferiche:
𝑊
𝐵𝑜2
2
𝐼=
= 𝑐𝜀0 𝐸0 = 𝑐
4𝜋𝑟 2
𝜇0
[120]
ESEMPIO N.31
Una lampadina di potenza 100 W illumina una superficie che si trova ad una distanza
di 3.00 m dalla sua posizione. Calcola l’intensità dell’onda diretta , le ampiezze efficaci
del campo elettrico e dell’induzione magnetica. Assumi che il 5% della potenza
elettrica dissipata nel filamento venga trasformata in luce.
Dati: W = 100 W, r = 3.00 m; 0 = 8.854 10-12 C2/Nm2; 0 = 4 10-7N/A2; c=2.998
108 m/s.
L’intensità risulta:
𝐼=
0.05𝑊
4𝜋𝑟 2
= 0.0442 𝑊/𝑚2
Le due ampiezze si ricavano dalla [120]:
𝐸0 = √
𝐵𝑜 = √
𝐼
𝑁
= 4.00
𝑐𝜀𝑜
𝐶
𝜇0 𝐼
= 0.768 ∙ 10−8 𝑇
𝑐
89
2.7 ) POLARIZZAZIONE
Le onde armoniche descritte fino a questo momento sono state rappresentate con le
oscillazioni giacenti tutte sullo stesso piano, ad esempio quella rappresentata in
Figura 72 - onda polarizzata linearmente lungo l'asse z
Figura 73 - onda polarizzata su un piano formante 60° con y
figura 72 è polarizzata con il campo elettrico parallelo all’asse z mentre quella in figura
73 è ancora polarizzata, ma con il campo
Figura 74 – onda non polarizzata in un dato punto x.
elettrico che oscilla su un piano inclinato di 60°
rispetto alla direzione dell’asse y. In generale le
onde elettromagnetiche non sono polarizzate e
l’orientamento istantaneo del vettore di campo è
casuale come rappresentato in fig.74.
Un materiale che assorbe tutte le onde che non
siano polarizzate su un piano specifico si chiama
polarizzatore. Detta IN l’intensità dell’onda
non polarizzata l’intensità I0 dopo il polarizzatore sarà :
I0=IN/2
Esso è composto, ad esempio, da molecole lunghe e sottili, che permettono lo
spostamento di elettroni solo lungo una direzione (parallela al lato ‘lungo’ delle
molecole). Conseguenza:
- Assorbono le onde che hanno la direzione del campo E parallelo alle molecole
- Trasmettono le onde che hanno direzione del campo E perpendicolare alle molecole
Legge di Malus
Un’onda già polarizzata linearmente, passante in un polarizzatore che abbia il piano di
polarizzazione che forma un angolo θ con la direzione di polarizzazione dell’onda,
viene trasmessa con intensità:
𝐼 = 𝐼0 𝑐𝑜𝑠 2 (𝜃)
[121]
Di conseguenza il fascio di luce trasmessa è polarizzato nella direzione del
polarizzatore (fig.75).
90
pertanto si ha:
• Se θ = 0° ο 180°

• Se θ = 90° ο 270° 
Figura 75 - polarizzatore e suo funzionamento
Ι = Ι0
Ι=0
Spesso nelle analisi si utilizzano polarizzatori accoppiati. Il primo dei due continua ad
essere definito polarizzatore il secondo
analizzatore. La procedura risulta (fig.76):
- Si polarizza un fascio con un filtro polarizzatore;
- La luce polarizzata, passa attraverso un
secondo filtro polarizzatore (chiamato
analizzatore).
ESEMPIO N.32
Nell’esperimento di polarizzazione mostrato
in figura 76, l’intensità del fascio è dopo il
polarizzatore I1=0.500I0 e dopo l’analizzatore I2=0.200I0. Determinare l’angolo
compreso tra l’asse di trasmissione dello
analizzatore e quello del polarizzatore.
Dati: I1=0.500I0; I2=0.200I0
Figura 76 - Dispositivo polarizzatore analizzatore
La legge di Malus per la seconda polarizzazione risulta:
𝐼2 = 𝐼1 𝑐𝑜𝑠 2 (𝜃)
Da cui:
𝐼2
𝜃 = 𝑎𝑟𝑐𝑜𝑠 (√ ) = 50.8°
𝐼1
ESEMPIO N.33
Ti trovi in piedi a 1.5 m di distanza da una lampadina di 150 W.
1). Se la pupilla del tuo occhio è un cerchio di 5.0 mm di diametro, quanta energia
luminosa entra in essa ogni secondo ? (Assumi che il 5% della potenza della lampadina
sia convertito in luce)
2. Ripeti il punto (1) per un raggio laser di 1.0 mm di diametro con una potenza di
0.50 mW (n.b. questa è già la potenza della luce laser).
Dati: r=1.5 m; W = 150 W; d=5.0 mm ; %= 5%; dl=1.0 mm; WL= 0.50 mW; Dt=1s
1) la potenza effettiva della luce risulta:
𝑊1 = 𝜂𝑊 = 7.5𝑊
L’intensità che arriva alla pupilla è:
91
𝑊1
= 0.265 𝑊/𝑚2
2
4𝜋𝑟
L’energia che entra nella pupilla vale:
𝑑2
𝐸1 = 𝐼𝐴1 Δ𝑡 = 𝐼𝜋 Δ𝑡 = 5.2 𝜂𝐽
4
2) il diametro del raggio laser è più piccolo del foro della pupilla ed essendo il raggio
laser un’onda piana che quindi non smorza con la distanza si ha:
𝐼=
𝐸2 = 𝑊𝐿 Δ𝑡 = 0.50 𝑚𝐽
Come si vede il laser invia mille volte più energia della lampadina.
2.8) SPETTRO ELETTROMAGNETICO
Dopo aver analizzato il modello matematico che si utilizza per descrivere la
trasmissione di energia elettromagnetica vedremo ora quali sono i principali campi in
cui essa viene utilizzata come premessa per comprendere poi il suo impatto ambientale.
Nella figura 77 sono evidenziate le suddivisioni dello spettro elettromagnetico.
Figura 77 - suddivisione dello spettro elettromagnetico
Lo spettro delle onde elettromagnetiche,
o semplicemente
spettro, è l'intervallo di tutte le
possibili radiazioni elettromagnetiche. La figura mostra tutte le
possibili radiazioni dalle più brevi
ed energetiche, i raggi gamma, alle
più lunghe, le onde radio. Secondo
la descrizione quantistica della
radiazione, ad un'onda elettro-
Figura 78 - emissione e assorbimento di fotoni
92
magnetica è associato un valore preciso di energia, il quale dipende dalla frequenza di
oscillazione dell'onda, secondo la nota 9 relazione di Planck: E=hn. Esiste un limite
fisico alle lunghezze d'onda possibili: il limite superiore è dato dalle dimensioni dello
Universo, cioè non possono esistere radiazioni con lunghezza d'onda maggiori
dell'universo, il limite inferiore è invece rappresentato dalla lunghezza di Planck. Nella
seguente tabella è riportata la suddivisione dello spettro in termini di frequenza e
lunghezza d’onda.
Tipo di radiazione elettromagnetica
Frequenza
Lunghezza d'onda
LF
30 kHz – 300 kHz
10 km – 1 km
MF
300 kHz – 3 MHz
1 km – 100 m
HF
3 MHz – 30 MHz
100 m – 10 m
VHF
30 MHz – 300 MHz 10 m – 1 m
UHF
300 MHz – 3 GHz
1 m – 10 cm
Microonde
3 GHz – 300 GHz
10 cm – 1 mm
Infrarossi
300 GHz – 428 THz 1 mm – 700 nm
Luce visibile
428 THz – 749 THz 700 nm – 400 nm
Ultravioletti
749 THz – 30 PHz
400 nm – 10 nm
Raggi X
30 PHz – 300 EHz
10 nm – 1 pm
Raggi gamma
> 300 EHz
< 1 pm
N.B. questa suddivisione è meno dettagliata di quella indicata in fig.77
Analizziamo ora il significato della suddivisione dello spettro.
- Onde Radio
Le frequenze inferiori a 3 GHz vengono chiamate genericamente onde radio. Sono le
frequenze generalmente utilizzate nelle telecomunicazioni di tecnologia più datata
come la radiofonia e la televisione, ma anche nella più recente telefonia mobile e nelle
comunicazioni senza fili.
Le onde VHF e UHF si propagano praticamente senza assorbimento nell'atmosfera. Le
frequenze HF invece sono riflesse dalla ionosfera e per questo sono utilizzate dai
radioamatori per le comunicazioni su grande distanza.
Le onde radio sono generate e captate da antenne le cui dimensioni sono dello stesso
ordine di grandezza della lunghezza d'onda da emettere o rivelare.
9
In questo capitolo si fa riferimento a concetti di meccanica quantistica che vedremo dettagliatamente più avanti. Al
momento basta ricordare la seguente proprietà dei campi elettromagnetici: la generazione e l’assorbimento di energia si
descrive con il modello a fotoni E=hn mentre il trasporto di energia si descrive con il modello ondulatorio.
93
Il contenuto di informazione trasportabile da una onda elettromagnetica è tanto
maggiore quanto maggiore è la frequenza di oscillazione dell'onda. La generazione di
onde radio di frequenze via via più alte è una tendenza naturale delle
telecomunicazioni, che ha comportato una crescente complessità tecnologica.
Generare un segnale alternato di qualche kHz è facile anche con dispositivi conosciuti
all'inizio del XX secolo. A mano a mano che cresce la frequenza la complessità dei
dispositivi elettronici aumenta.
- Microonde
Anche se ufficialmente le microonde sono al di sopra dei 3 GHz, nel linguaggio
comune frequenze superiori a 1 GHz vengono dette microonde. La differenza
sostanziale tra le microonde e le onde radio è la maggior frequenza propria e quindi un
diverso meccanismo di interazione con la materia. Secondo la meccanica quantistica,
infatti, onde elettromagnetiche a diversa frequenza (e quindi di diversa energia),
vengono assorbite eccitando più stati energetici del materiale attraverso cui passano.
Le onde radio attraversano inalterate la maggior parte della materia perché la piccola
energia da esse trasportata può eccitare esclusivamente gli spin nucleari, i cui stati
energetici sono separati soltanto in presenza di campo magnetico. Le microonde invece
eccitano gli stati rotazionali della materia: un tipico forno a microonde, che opera alla
frequenza di 2.45 GHz, è in grado di fare ruotare le molecole d'acqua contenute
all'interno dei cibi. Questa rotazione,
smorzata
“dall'attrito”
col
mezzo
circostante, permette di riscaldare in modo
efficiente gli alimenti. Le microonde hanno
trovato il primo utilizzo nel campo
militare, infatti il Radar è stata la prima
grossa applicazione delle microonde. Non
è un caso che il primo forno a microonde
Figura 79 - Klystron
sia stato fabbricato nel 1947 proprio dalla
Raytheon, una delle principali ditte che produce Radar. Molte molecole atmosferiche,
oltre all'acqua, possiedono frequenze di risonanza nello spettro delle microonde: la
propagazione delle microonde nell'atmosfera è quindi fortemente influenzata da tale
fattore. Per questo gli enti che sfruttano le microonde per le telecomunicazioni civili
devono solitamente scegliere opportune frequenze dello spettro, dette "finestre", in
modo che il segnale trasmesso non venga assorbito dall'atmosfera. La generazione di
microonde era inizialmente ottenuta mediante tubi a vuoto, tuttora utilizzati in
applicazioni che richiedano elevata potenza di trasmissione. Esempi di tali generatori
sono i magnetron ed i klystron. Attualmente per applicazioni di bassa potenza esistono
vari tipi di dispositivi a stato solido.
94
- Infrarosso
L'infrarosso trae il suo nome dal fatto che rappresenta le frequenze di valore minore a
quella del rosso (ma superiore alle microonde). In realtà l'intervallo comprende
radiazioni che hanno un comportamento molto differente. La parte vicina allo spettro
visibile detta NIR (near infrared) ha un comportamento simile alla luce, mentre la parte
bassa FIR (far infrared) ha un comportamento simile alle microonde (vedi fig.77).
Mentre le microonde possono nella parte bassa dello spettro essere ancora prodotte da
circuiti elettrici oscillanti, per l'infrarosso a frequenze più elevate ciò non è più
possibile.
L'energia trasportata dalle radiazioni infrarosse è in grado di eccitare gli stati
vibrazionali della materia. Poiché questi sono particolarmente rilevanti nella materia
allo stato solido, la maggior parte della radiazione infrarossa passa inalterata attraverso
l'atmosfera e soltanto una piccola parte di essa è assorbita dalle molecole atmosferiche.
L'effetto serra è un caso particolare in cui la radiazione infrarossa emanata dagli oggetti
al suolo, riscaldati dal sole, non riesce a sfuggire nello spazio perché vi è una
concentrazione troppo elevata di determinate molecole in atmosfera, in particolare
dell'anidride carbonica.
Figura 80 - Distribuzione spettrale di Plank del corpo nero
La sorgente più semplice e naturale di infrarossi sono i corpi caldi, infatti tutti i corpi
emettono naturalmente onde elettromagnetiche con un spettro caratteristico che
dipende essenzialmente dalla loro temperatura, la cosiddetta radiazione di corpo nero.
La curva di emissione a campana molto stretta che ha un'ampiezza massima ad una
lunghezza d'onda:
95
Dove T è la temperatura espressa in K, mentre la lunghezza d'onda è data in m. Si nota
in figura 80 che più la temperatura aumenta più il massimo di intensità si sposta nel
campo del visibile, si vede però che anche a basse temperature si ha emissione di IR.
Infrarossi come la luce visibile possono essere prodotti ed assorbiti da fenomeni più
squisitamente legati alla quantizzazione dei livelli energetici degli atomi. In genere tali
effetti sono più caratteristici della parte dello spettro a più alta frequenza fino ai raggi
X, ma alle frequenze degli infrarossi si hanno i primi salti energetici. Una particolarità
degli infrarossi è che alcune sostanze, che nel visibile appaiono scure come il silicio o
il germanio, sono per gran parte della banda infrarossa assolutamente trasparenti. Il
coefficiente di assorbimento di tali materiali, semiconduttori, varia di molti ordini di
grandezza in un piccolissimo intervallo di frequenze che cade nella parte alta degli
infrarossi, il cosiddetto vicino infrarosso (NIR). Per dare un’idea: 7 mm di Silicio
dimezzano l'ampiezza di infrarossi di 1030 nm, per avere lo stesso effetto con onde di
826 nm sono sufficienti 1400 nm di Silicio, mentre a 620 nm sono sufficienti appena
70nm di Silicio.
La generazione di infrarossi nella regione
NIR a spettro molto stretto viene fatta
mediante dispositivi a stato solido quali
i LED (fig.81) ed i Laser.
L' effetto degli infrarossi sul corpo umano è
l'assorbimento di tali radiazioni da parte dei
tessuti che si scaldano. Il fenomeno può
Figura 81 - lampade a LED
avere effetti negativi per particolari organi
come l'occhio: la cornea oculare è infatti un tessuto dotato di scarsissima irrorazione
sanguigna; pertanto non è in grado di dissipare efficacemente il calore che può essere
trasmesso da una radiazione infrarossa ad elevata potenza come quella di un laser.
L'esposizione frequente a sorgenti IR ad elevata potenza è infatti spesso correlata
all'insorgenza di cataratta.
- Luce visibile
La regione visibile dello spettro elettromagnetico è l'unico intervallo di frequenze a cui
l'occhio umano è sensibile. A radiazioni visibili di diversa lunghezza d'onda (e quindi
frequenza) corrispondono tutti i diversi colori dell'arcobaleno. Vi è una quasi perfetta
coincidenza tra la sensibilità dell'occhio umano e la radiazione emessa dal sole. Infatti
la radiazione di corpo nero del sole è quella di un corpo alla temperatura di 5700 K e
tale temperatura ha un picco ad una lunghezza d'onda di 550 nm (il colore giallo-verde
dello spettro visibile). L'occhio umano ha la massima sensibilità a tale lunghezza
d'onda e questa sensibilità diminuisce rapidamente sia per lunghezze d'onda più corte
(violetto), sia per quelle più lunghe (rosso). La luce visibile è in grado di eccitare gli
96
stati energetici elettronici. Se un oggetto è colorato ciò è dovuto essenzialmente al fatto
che gli atomi o le molecole della superficie dell'oggetto possono assorbire una parte
(certe lunghezze d'onda) della luce che li investe portando gli elettroni a livelli
energetici più alti. Il colore specifico che l'oggetto assume dipende dal materiale
superficiale ed è determinato dalle regole di addizione e sottrazione dei colori: è infatti
la luce non assorbita che, rimbalzando sull'oggetto, arriva all'occhio umano, che in
seguito decodifica e assegna il colore all'oggetto.
- Ultravioletto
Nella parte successiva dello spettro ci sono gli Ultravioletti indicati con l'acronimo
UV. Le frequenze al di sopra del visibile manifestano molto chiaramente il carattere
quantistico della radiazione elettromagnetica. La radiazione UV ha energia sufficiente
a spezzare i legami molecolari e ionizzare parzialmente gli atomi. Gli effetti dannosi
sul corpo umano di tali radiazioni sono ben noti in quanto tali radiazioni non solo
provocano bruciature, ma possono causare danni irreparabili ai tessuti del corpo
umano. Il sole emette, principalmente luce visibile, ma anche una certa quantità di UV.
Gli UV rappresentano una percentuale minima della radiazione totale emessa dal sole;
tuttavia se non avessimo lo schermo naturale dell'atmosfera e dei gas come l'ozono la
quantità di radiazione che arriverebbe non sarebbe compatibile con la vita umana.
Una parte della radiazione ultravioletta è essenziale in alcuni processi biologici, quale
la produzione di Vitamina D, inoltre viene utilizzata con successo in alcune terapie
antibatteriche quali la sterilizzazione.
Il coefficiente di assorbimento degli UV è molto grande per quasi tutti i materiali, ad
esempio il vetro di buona qualità, che è molto trasparente nel visibile, negli UV è
estremamente assorbente: lo spessore del parabrezza di una autovettura è sufficiente
ad eliminare praticamente tutta la radiazione UV del sole. Solo il quarzo ha un
coefficiente di assorbimento più piccolo per la parte dello spettro UV a più bassa
frequenza. A lunghezze d'onda inferiori a 200 nm il quarzo, ma anche l'aria ( a causa
dell'ossigeno presente) assorbono fortemente gli UV.
Gli UV sono molto utilizzati nella microlettronica, proprio a causa della lunghezza
d'onda estremamente piccola, ma trovano applicazioni anche in alcune tecniche
diagnostiche.
Gli UV nella parte bassa dello spettro (400-300 nm) sono prodotti mediante scariche
elettriche in gas a bassa pressione posti in tubi di quarzo. Nella parte più alta dello
spettro invece sono generati con tecniche simili a quelle usate per i raggi X.
97
- Raggi X
I raggi X sono stati scoperti solo alla fine del XIX secolo (differentemente dagli
ultravioletti noti già dal secolo precedente).
La ragione è che la loro produzione non è semplice. Infatti vengono principalmente
prodotti bombardando dei bersagli metallici con elettroni ad alta energia che viaggiano
in un vuoto spinto. I raggi X prodotti dipendono sia dall'energia degli elettroni
incidenti, ma anche dal bersaglio. Infatti la componente continua della radiazione ha
una intensità tanto maggiore quanto maggiore è il numero atomico del bersaglio, ma
l'energia dei raggi X non eccede quella degli elettroni incidenti. La componente
continua è dovuta alla radiazione di decelerazione degli elettroni. Vi è inoltre una
componente discreta dovuta al fatto che nell'urto vengono strappati gli elettroni più
profondi del bersaglio e nel ristabilirsi della condizione di equilibrio (cioè la
transizione degli elettroni esterni nei livelli profondi liberati c.f.r. fig.78) vengono
emessi raggi X con la frequenza corrispondente alla differenza di energia tra i due
livelli. Quindi se usiamo Ferro riusciamo a produrre righe di raggi X tra 0.17 nm e 0.19
nm (4 righe), mentre se usiamo Molibdeno avremo raggi X tra 0.063 nm e 0.071 nm.
Attualmente mediante radiazione di sincrotone si riescono a produrre con notevole
intensità e controllabilità sia raggi X che radiazione UV.
Le utilizzazioni più importanti dei Raggi X, fin dalla loro scoperta, sono state in
radiografia e cristallografia. In radiografia si sfrutta l'assorbimento diverso dei vari
tessuti profondi del corpo umano. In cristallografia si sfrutta il fatto che i raggi X hanno
una lunghezza d'onda paragonabile alla distanza tra gli atomi di un reticolo cristallino
e quindi l'immagine di diffrazione
permette di conoscere la struttura
atomica dei solidi.
Il corpo umano è abbastanza trasparente
ai raggi X, pur tuttavia nell'attraversare il
corpo umano questi raggi ionizzano gli
atomi presenti danneggiando in maniera
irreversibile anche i tessuti profondi.
Sono quindi classificati tra le radiazioni
ionizzanti dannose allo organismo. Il
Figura 82 - Non solo il corpo umano è trasparente ai raggi X...
danno provocato dai raggi X è peggiore
di quello degli UV in quanto agisce a
maggiore profondità e i raggi X hanno una energia per fotone maggiore. Schermi
metallici spessi sono una buona protezione per radiazioni di tale tipo.
98
- Raggi gamma
I raggi gamma rappresentano le lunghezze d'onda più brevi dello spettro delle onde
elettromagnetiche. I raggi gamma sono prodotti da reazioni che avvengono all'interno
del nucleo atomico. Il potere penetrante dei raggi gamma è in genere molto maggiore
di quello dei raggi X. Per questo per la protezione di tali radiazione si usano materiali
ad alta massa atomica (tipo il piombo); tanto per dare una idea se 1 cm di piombo
dimezza i raggi gamma è necessario uno spessore di 6 cm di cemento per produrre lo
stesso effetto. I raggi gamma vengono prodotti nel decadimento di isotopi radioattivi,
non esistono altri metodi sulla terra per produrre tali radiazioni. Gli effetti sulla materia
vivente dei raggi gamma sono molto peggiori di quelli prodotti dai raggi X a parità di
intensità a causa della maggiore energia dei fotoni. Infatti la perdita di energia dei raggi
gamma può avvenire in maniera più distruttiva per i tessuti che la semplice
ionizzazione.
Bibliografia
- M. Alonso, J. Finn, Elementi di fisica per l’Università, Volume II: campi e onde; - N. Faletti, Trasmissione e distribuzione dell’energia elettrica;
- Pauling – Wilson , introduzione alla meccanica quantistica
- Feynman , La fisica di Feynman
- Melissinos – Lobkowicz , Fisica per scienze e ingegneria
Fonti da internet
- Roberto Cirio, Onde elettromagnetiche
- Roberto Capone, lezioni di fisica: elettromagnetismo
- M.Martinelli, Fisica generale: onde elettromagnetiche
- Commission of the European communities, Proposal for a council recommendation
on the limitation of exposure of the general pubblic to electromagnetic fields 0 Hz –
300 GHz, Bruxelles, 1998
99
INDICE
PAG.
1) ELETTRICITA’ E MAGNETISMO
3
3
1.1) ELETTROSTATICA
1.1.1) CAMPO ELETTRICO STATICO
4
1.1.2) ENERGIA POTENZIALE ELETTRICA
8
1.1.3) CIRCUITAZIONE
11
1.1.4) FLUSSO ELETTRICO
12
1.1.5) CAMPO ELETTRICO DI UNA LASTRA SOTTILE CARICA 15
1.1.6) CONDENSATORE PIANO
16
18
1.2) CORRENTE ELETTRICA
1.2.1) INTENSITA’ DELLA CORRENTE ELETTRICA
18
1.2.2) PRIMA LEGGE DI OHM
18
1.2.3) SECONDA LEGGE DI OHM
19
1.2.4) POTENZA ELETTRICA
19
1.2.5) EFFETTO JOULE
19
1.2.6) CIRCUITI ELETTRICI: MAGLIE-NODI-RAMI
21
1.2.7) RESISTENZE IN SERIE
24
1.2.8) RESISTENZE IN PARALLELO
25
27
1.3) MAGNETISMO
1.3.1)LEGGE DI AMPERE
27
1.3.2) VETTORE INDUZIONE MAGNETICA
28
1.3.3) COLLEGAMENTO VETTORIALE CAMPO-FORZA
30
1.3.4) CIRCUITAZIONE DELL’INDUZIONE MAGNETICA
35
1.3.5) FLUSSO DI B
37
1.3.6) FLUSSO ATTRAVERSO UNA SUPERFICIE CHIUSA
39
1.3.7) EQUAZIONI DI MAXWELL PER L’ELETTROSTATICA
40
41
1.4) L’INDUZIONE ELETTROMAGNETICA
1.4.1) LEGGE DI FARADAY-NEUMANN
41
1.4.2) CORRENTE INDOTTA
42
1.4.3) LEGGE DI LENZ
44
1.4.4) INDUTTANZA
46
47
1.5) CENNI SULLA CORRENTE ALTERNATA
1.5.1) IMPEDENZA
48
1.5.2) CIRCUITO OHMICO
49
1.5.3) POTENZA IN CORRENTE ALTERNATA
50
1.5.4) CIRCUITO INDUTTIVO
51
1.5.5) CIRCUITO CAPACITIVO
53
1.5.6) CIRCUITO RCL IN SERIE
54
1.5.7) FATTORE DI POTENZA
55
MODULO N.1
100
MODULO N.2
2) ONDE ELETTROMAGNETICHE
2.1) TEOREMA DI FARADAY-NEUMANN-LENZ
2.2) EQUAZIONI DI MAXWELL PER L’ELETTRODINAMICA
2.3) GENERAZIONE DI ONDE ELETTROMAGNETICHE
2.3.1) PROPAGAZIONE DELLE ONDE ELETTROMAGNETICHE
2.4) FENOMENI ONDULATORI
2.4.1) INTERFERENZA
2.4.2) RIFLESSIONE
2.4.3) RIFRAZIONE
2.4.4) DIFFRAZIONE
2.5) CENNI DI OTTICA FISICA
2.5.1) ESPERIMENTO DI YOUNG
2.5.2) DIFFRAZIONE DA UNA SINGOLA FENDITURA
2.5.3) DIFFRAZIONE DA UN’APERTURA CIRCOLARE
2.5.4) RISOLUZIONE – CRITERIO DI RAYLEIGH
2.5.5) RETICOLI DI DIFFRAZIONE
2.5.6) CENNI DI SPETTROSCOPIA
2.5.7) POTERE RISOLUTIVO DI UN RETICOLO
2.6) INTENSITA’ DI UN’ONDA ELETTROMAGNETICA
2.7) POLARIZZAZIONE
2.8) SPETTRO ELETTROMAGNETICO
BIBLIOGRAFIA
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