Note di Geometria Algebrica
Roberto Paoletti1
1 Address:
Dipartimento di Matematica e Applicazioni, Università degli
Studi di Milano Bicocca, Via R. Cozzi 53, 20125 Milano, Italy; e-mail:
[email protected]
2
1
1
Ringrazio Paolo N. Cerea per avermi segnalato numerosi errori e Alessandro Ghigi per
alcune preziose osservazioni.
Capitolo 1
Varietà Affini
Nel seguito, K denota un campo algebricamente chiuso (quindi infinito).
Definizione 1.0.1. Sia n ≥ 1 un intero. Diremo spazio affine n-dimensionale
su K, e lo denoteremo An = AnK , l’insieme delle n-uple (x1 , . . . , xn ) con
xi ∈ K.
Osservazione 1.0.1. Insiemisticamente AnK = Kn ; la definizione pone enfasi
sul fatto che AnK è stato spogliato della struttura di spazio vettoriale di Kn .
1.1
La topologia di Zariski
Definizione 1.1.1. Un sottoinsieme Z ⊆ AnK si dice un chiuso affine se
è il luogo delle soluzioni di una collezione di equazioni polinomiali. In altre
parole, Z è un chiuso affine se esiste una collezione {Fα }α∈A ⊆ K[X1 , . . . , Xn ]
tali che
Z = (x1 , . . . , xn ) ∈ AnK : Fα (x1 , . . . , xn ) = 0 ∀ α ∈ A .
Detto altrimenti, Z è il luogo degli zeri comuni degli {Fα }. Scriveremo
Z = Z Fα } .
Osservazione 1.1.1. Non comporta perdita di generalità supporre che l’insieme {Fα }α∈A sia finito. Sia infatti I ⊆ K[X1 , . . . , Xn ] l’ideale generato
dagli Fα . Quindi, I consiste di tutti i polinomi della forma
X
F (X1 , . . . , Xn ) =
Gα (X1 , . . . , Xn ) · Fα (X1 , . . . , Xn ),
α
dove Gα (X1 , . . . , Xn ) ∈ K[X1 , . . . , Xn ] per ogni α e quasi tutti i Gα sono nulli
(quindi, la somma è finita). Chiaramente, Z è anche il luogo degli zeri comuni
3
4
CAPITOLO 1. VARIETÀ AFFINI
di tutti gli elementi di I. D’altra parte, essendo K[X1 , . . . , Xn ] un anello
Noetheriano, l’ideale I è finitamente generato. Se quindi P1 , . . . , Pk ∈ I è un
sistema di generatori, Z è il luogo degli zeri comuni dei Pj .
Esempio 1.1.1. An è un chiuso affine; infatti è il luogo degli zeri del polinomio nullo.
Esempio 1.1.2. Viceversa, l’unico sistema di equazioni polinomiali il cui
luogo nullo è An è quello dato dal solo polinomio nullo: si dimostri infatti
induttivamente che se F (X) ∈ K[X1 , . . . , Xn ] si annulla in ogni P ∈ An ,
allora F (X) = 0 (questo è vero su ogni campo infinito, falso su un campo
finito).
Esempio 1.1.3. Il sottoinsieme vuoto di An è il luogo degli zeri del polinomio
1, pertanto è un chiuso affine. Per converso, il Teorema degli Zeri di Hilbert,
che discuteremo tra poco, inverte parzialmente questo asserto.
Esempio 1.1.4. Se ϕ : Am → An è una funzione polinomiale (ossia della
forma ϕ = F1 , . . . , Fn , ove ogni Fi ∈ K[X1 , . . . , Xm ]), allora l’immagine inversa ϕ−1 (Z) ⊆ Am è un chiuso affine, per ogni chiuso affine Z ⊆ An . Infatti,
se Z è definito da equazioni polinomiali Gα (Y) = 0 (qui Y = (Y1 , . . . , Yn ))
allora ϕ−1 (Z) è definito dalle equazioni
Gα ϕ(X) = Gα F1 (X), . . . , Fn (X) = 0,
che sono ancora polinomiali.
1
Esempio 1.1.5. Un sottoinsieme finito Z = {a1 , . . . , ar } ⊆ A
Qrè un chiuso
affine; infatti, Z è il luogo degli zeri del polinomio P (X) = i=1 (X − ai ).
Viceversa, il luogo degli zeri comuni in A1 di una collezione finita di polinomi
non tutti nulli in K[X] è un sottoinsieme del luogo degli zeri di uno qualsiasi
non nullo di essi, quindi è un insieme finito (eventualmente vuoto). Pertanto:
1. i chiusi affini di A1 sono tutti e soli i sottoinsiemi finiti di A1 .
2. ogni chiuso affine di A1 è il luogo degli zeri di un singolo polinomio (il
massimo comun divisore degli Fα ).
Esempio 1.1.6. Un sottoinsieme finito di Ar è un chiuso affine, per ogni
r ≥ 1. Per esempio:
• Il punto (a, b) ∈ A2 è il luogo degli zeri comuni dei due polinomi X −
a, Y − b ∈ K[X, Y ].
1.1. LA TOPOLOGIA DI ZARISKI
5
• L’unione di due punti distinti {(a1 , b1 ), (a2 , b2 )} ⊂ A2 con a1 6= a2 è il
luogo degli zeri comuni dei polinomi (X − a1 ) (X − a2 ) e (X − a1 ) (Y −
b2 ) + (X − a2 ) (Y − b1 ). Se invece a1 = a2 allora b1 6= b2 e si possono
scambiare i ruoli di X e Y .
• L’unione di r punti distinti {(a1 , b1 ), . . . , (ar , br )} ⊂ A2Q
con ai 6= aj per
r
ogni
i=1 (X− aj ) e
luogo degli zeri
comuni
dei polinomi
Pr i 6= j è il
X
−
a
·
·
·
X
−
a
Y
−
b
X
−
a
·
·
·
X
− ar .
1
i−1
i
i+1
i=1
• La stessa costruzione si estende a dimostrare che
{(a1 , b1 , . . . , c1 ), . . . , (ar , br , . . . , cr )} ⊂ An
con ai 6= aj per ogni i 6= j è il luogo nullo dei polinomi ????? (esercizio).
Esercizio 1.1.1. Dimostrare che ogni sottoinsieme finito R = {P1 , . . . , Pr }
di An è un chiuso affine, seguendo i seguenti passi.
1. Si dimostri che se P1 , . . . , Pr ∈ An , esiste un funzionale lineare L1 :
Kn → K tale che L1 (Pj ) 6= L1 (Pk ) se j 6= k (si veda la dimostrazione
del Lemma 1.2.1).
2. Si estenda L1 a una base (L1 , . . . , Ln ) del duale (Kn )∗ .
3. Si consideri la trasformazione lineare invertibile
ϕ : Kn → Kn ,
P 7→ L1 (P ), . . . , Ln (P ) .
4. Si applichi l’esempio precedente all’immagine ϕ(R).
5. Si applichi infine l’esempio 1.1.4.
Esempio 1.1.7. Sia f (X, Y ) ∈ K[X, Y ] un polinomio di grado positivo e
sia C ⊆ A2 il luogo f (x, y) = 0. Allora C è un chiuso affine, detto curva
algebrica piana. Supponiamo che Y non compaia in f ; se t0 , . . . , tk sono le
radici distinte di f (X), allora C è l’unione disgiunta delle rette {tj } × A1 .
Analogamente se X non compare in f . Altrimenti, sia d > 0 il grado di f in
Y , cosı̀ che
f (X, Y ) = ad (X) Y d + ad−1 (X) Y d−1 + · · · + a0 (X),
ove ogni aj è un polinomio in X. Per gli infiniti valori di x tali che ad (x) 6= 0
vediamo che f (x, Y ) è un polinomio in Y di grado d > 0, quindi ammette
qualche radice yx . Pertanto, C contiene gli infiniti punti distinti (x, yx ).
6
CAPITOLO 1. VARIETÀ AFFINI
Prima di discutere il prossimo esempio, è d’uopo un riepilogo sulle proprietà dei polinomi.
Innanzitutto, ricordiamo che l’anello di polinomi in una variabile K[X] è
un dominio a ideali principali, mentre in generale K[X1 , . . . , Xr ] è un dominio
a fattorizzazione unica. Quindi, dati due polinomi F, G ∈ K[X1 , . . . , Xr ] è
ben definito il loro massimo comun divisore; se questo è 1, i due polinomi si
dicono primi tra loro.
Sia F (X, Y ) ∈ K[X, Y ] un polinomio di grado positivo. Dopo avere
eventualmente scambiato i ruoli di X e Y , possiamo supporre che X compia
in X con grado positivo d. Quindi, possiamo scrivere
F (X, Y ) = ad (Y ) X d + ad−1 (Y ) X d−1 + · · · + a0 (Y ),
(1.1)
ove aj (Y ) ∈ K[Y ] per ogni j = 0, . . . , d.
Sia ora K(Y ) il campo delle frazioni del dominio di integrità K[Y ], ossia
il campo delle funzioni razionali in Y su K; esplicitamente, K(Y ) consiste di
tutte le frazioni p(Y )/q(Y ), con p(Y ), q(Y ) ∈ K[Y ] e q(Y ) 6= 0 (con le solite
identificazioni e operazioni). Stante (1.1), possiamo intepretare F come un
elemento di K(Y )[X].
Lemma 1.1.1. Dato che F (X, Y ) è irriducibile in K[X, Y ], tale rimane
anche in K(Y )[X].
Dim. Supponiamo che F non sia irriducibile in K(Y )[X]. Quindi esistono
`(X), λ(X) ∈ K(Y )[X] di grado positivo tali che F (X, Y ) = `(X) λ(X).
Possiamo scrivere, per certi interi l, k > 0,
l
X
Pi (Y ) i
X,
`(X) =
Qi (Y )
i=0
λ(Y ) =
k
X
Rj (Y )
j=0
Sj (Y )
Xj,
ove Pi , Qi , Rj , Sj ∈ K[Y ] e Qi 6= 0, Sj 6= 0. Moltiplichiamo allora la relazione
!
!
l
k
X
X
Pi (Y ) i
Rj (Y ) j
F (X, Y ) =
X ·
X
Q
(Y
)
S
(Y
)
i
j
j=0
i=0
per il polinomio L(Y ) =:
Q
l
L(Y ) · F (X, Y ) =
Q
k
Q
(Y
)
·
S
(Y
)
∈ K[Y ]. Otteniamo
i
j
i=0
j=0
l
X
i=0
!
Ai (Y ) X
i
·
k
X
!
Bj (Y ) X
j
j=0
Dato che K[X, Y ] è un dominio P
a fattorizzazione P
unica, esistono C(X, Y )
l
i
e D(X, Y ) fattori irriducibili di i=0 Ai (Y ) X e kj=0 Bj (Y ) X j , rispettivamente, aventi entrambi grado positivo in X. Dal momento che L(Y ) ha
1.1. LA TOPOLOGIA DI ZARISKI
7
grado zero in X, nessuno di essi divide L(Y ), quindi il loro prodotto divide
F (X, Y ). Ciò contraddice l’irriducibilità di F in K[X, Y ].
C.V.D.
Lemma 1.1.2. Siano F (X, Y ), G(X, Y ) ∈ K[X, Y ], con F irriducibile. Supponiamo che F abbia grado positivo in X. Se F non divide G in K[X, Y ],
non lo divide nemmeno in K(Y )[X].
Dim. Supponiamo per assurdo che F (X, Y ) divida G(X, Y ) in K(Y )[X].
Abbiamo quindi
!
l
X
Ai (Y ) i
G(X, Y ) =
X · F (X, Y ),
B
(Y
)
i
i=0
ove Ai (Y ), Bi (Y ) ∈ K[Y ], Bi (Y ) 6= 0. Moltiplicando per B(Y ) =:
otteniamo la relazione
!
l
X
B(Y ) · G(X, Y ) =
Ci (Y ) X i · F (X, Y )
Ql
i=0
Bi (Y ),
i=0
con Ci (Y ) ∈ K[Y ]. Quindi il polinomio irriducibile F (X, Y ) divide il prodotto a primo membro in K[X, Y ], ma chiaramente non divide B(Y ), dal
momento che per ipotesi F ha grado positivo in X. Quindi F (X, Y ) divide
G(X, Y ), assurdo.
C.V.D.
Siano ora C, D ⊂ A2 due curve piane affini, date dagli zeri dei polinomi
F (X, Y ), G(X, Y ) ∈ K[X, Y ], rispettivamente, entrambi di grado positivo.
Possiamo supporre senza perdita di generalità che F (X, Y ) e G(X, Y ) non
abbiano fattori ripetuti, cioè che nella fattorizzazione in polinomi irriducibili
distinti ciascun fattore compaia con molteplicità 1; infatti polinomi che hanno
gli stessi fattori irriducibili determinano evidentemente lo stesso luogo nullo.
Esercizio 1.1.2. Dimostrare l’ultima affermazione.
L’intersezione C ∩ D è il luogo dove sono soddisfatte le due equazioni
F (X, Y ) = G(X, Y ) = 0. Distinguiamo vari casi.
Esempio 1.1.8. Supponiamo innanzitutto che F sia irriducibile e non divida
G. Eventualmente scambiando X e Y , possiamo supporre che F abbia grado
positivo in X. Allora F rimane irriducibile in K(Y )[X], e non divide G
in K(Y )[X]. Perciò F e G sono relativamente primi nel dominio a ideali
principali K(Y )[X], quindi l’ideale generato da F e G in K(Y )[X] è tutto
8
CAPITOLO 1. VARIETÀ AFFINI
K(Y )[X]. Ne segue che esistono H, L ∈ K(Y )[X] tali che H · F + L · G = 1.
Come sopra, scriviamo esplicitamente tale relazione in termini di funzioni
razionali:
!
!
k
l
X
X
Rj (Y ) j
Ci (Y ) i
X · F (X, Y ) +
X · G(X, Y ).
1=
Di (Y )
Sj (Y )
j=0
i=0
Moltiplicando per T (Y ) =:
T (Y ) =
l
X
Q
l
i=0
Q
k
Di (Y ) ·
S
(Y
)
, ricaviamo
j=0 j
!
Ei (Y ) X i
· F (X, Y ) +
i=0
k
X
!
Uj (Y ) X j
· G(X, Y ),
j=0
con Ei , Uj ∈ K[Y ]. Sia ora (α, β) ∈ C ∩ D; allora F (α, β) = G(α, β) = 0,
quindi
!
!
l
k
X
X
T (β) =
Ei (β) αi · F (α, β) +
Uj (β) αj · G(α, β)
i=0
j=0
= 0.
Pertanto, β è una radice di T . Vi sono cosı̀ solo un numero finito di possibili
valori che β può assumere sull’intersezione C ∩ D, diciamo β1 , . . . , βr . Sia
β = βs per qualche 1 ≤ s ≤ r. La condizione F (α, βs ) = G(α, βs ) = 0
implica in particolare che α è una radice del polinomio Fs (X) = F (X, βs ).
Scriviamo
d
X
F (X, Y ) =
Fi (Y ) X i ,
i=0
ove d > 0 è il grado di F in X. Se fosse F (X, βs ) = 0, avremmo Fi (βs ) = 0
per ogni i, quindi Y − βs dividerebbe ogni Fi (Y ) e pertanto dividerebbe
F (X, Y ); questo è assurdo posto che F è irriducibile e di grado positivo in
X. Quindi, per ogni s = 1, . . . , r vi sono solo un numero finito di possibili
αsi ∈ K tali che (αsi , βs ) ∈ C ∩ D; ne segue che C ∩ D è un insieme finito
(eventualmente vuoto) di punti.
Esempio 1.1.9. Supponiamo ora che F (X, Y ) sia irriducibile e divida G(X, Y ).
Quindi, per l’ipotesi che F e G non hanno fattori ripetuti, G(X, Y ) =
F (X, Y )·H(X, Y ), ove F (X, Y ) e H(X, Y ) sono primi tra loro. Chiaramente
G(α, β) = 0 se e solo se vale almeno una delle due condizioni F (α, β) = 0,
H(α, β) = 0; pertanto, D = C ∪ D0 , ove D0 è il luogo nullo di H. Vediamo
cosı̀ che
C ∩ D = C ∩ C ∪ (C ∩ D0 ) = C ∪ (C ∩ D0 ) = C.
1.1. LA TOPOLOGIA DI ZARISKI
9
Per inciso, per l’esempio precedente C ∩D0 è un insieme finito (eventualmente
vuoto).
Q
Esempio 1.1.10. Consideriamo il caso generale. Sia F (X, Y ) = ri=1 Fi (X, Y )
la fattorizzazione di F in polinomi irrducibili distinti. Per ogni i sia Ci =
Z(Fi ). Quindi,
!
r
r
r
Y
[
[
C = Z(F ) = Z
Fi =
Z(Fi ) =
Ci .
i=1
i=1
i=1
Pertanto,
C ∩D =
r
[
!
Ci
∩D =
i=1
[
Ci ∩ D .
i
Quindi C ∩ D è un insieme finito di punti se F e G non hanno fattori irriducibili comuni (sono cioè primi tra loro); per contro ogni fattore irriducibile
comune contribuisce di una curva piana affine all’intersezione. Quindi C ∩ D
è l’unione di una certa collezione di curve algebriche piane, una per ogni
fattore irriducibile comune a F e G, e un certo insieme finito.
Esercizio 1.1.3. Procedendo per induzione, generalizzare al caso C1 ∩· · ·∩Cr
per ogni r ≥ 1.
Proposizione 1.1.1. I chiusi affini di An soddisfano gli assiomi di una
topologia.
Dim. Abbiamo già visto che il vuoto e An sono chiusi affini.
Dimostriamo che un’unione finita di chiusi affini è un chiuso affine. Siano
n
Z1 , . . . , Zkn⊆ Ao
chiusi affini. Supponiamo che Zj sia il luogo degli zeri di
S
(j)
polinomi Fi
. Allora l’unione Z =: kj=1 Zj è il luogo degli zeri dei
i∈Ij
polinomi
Fi1 i2 ···ik (X) =:
k
Y
(j)
Fij (X)
(i1 , . . . , ik ) ∈ I1 × · · · × Ik .
j=1
(j)
Se infatti P ∈ Z allora P ∈ Zj per qualche j; quindi Fij (P ) = 0 per ogni
ij ∈ Ij e pertanto tutti i prodotti qui sopra si annullano in P . Se d’altra
parte P 6∈ Z, allora P 6∈ Zj per ogni j; quindi per ogni j = 1, . . . , k esiste
Q
(j)
(j)
ij ∈ Ij tale che Fij (P ) 6= 0. Pertanto kj=1 Fij (X) non si annulla in P .
Dimostriamo infine che l’intersezione di famiglie arbitrarie di chiusi affini
è un chiuso affine. Sia Zj ⊆ An un chiuso affine per ogni j ∈ J, dato come il
10
CAPITOLO 1. VARIETÀ AFFINI
n
o
(j)
luogo degli zeri comuni di una collezione di polinomi Rj =: Fij . Allora
S
il luogo
T degli zeri comuni dell’unione R = j Rj è chiaramente l’intersezione
Z = j Zj (dimostrare).
Q.E.D.
Definizione 1.1.2. La topologia cosı̀ determinata si dice la topologia di Zariski su An . La topologia di Zariski su un chiuso affine V ⊆ An è la topologia
indotta per restrizione.
Esercizio 1.1.4. Discutere le seguenti uguaglianze:
S T
1. Z
j Ij =
j Z(Ij );
2. Z
T
j Ij =
S
j
Z(Ij ),
ove gli Ij ⊆ K[X1 , . . . , Xn ] sono sottoinsiemi. Sono sempre vere? Sempre
false? Vere o false sotto certe ipotesi?
La topologia di Zariski è molto povera; nel caso K = C essa è ovviamente
contenuta nella topologia Euclidea di AnC , ma è molto meno fine. In particolare, come vedremo ora, la topologia di Zariski non è separata (di Hausdorff),
dal momento che qualsiasi aperto non vuoto di AnK è denso.
Teorema 1.1.1. Siano Z, F ⊆ An chiusi propri. Allora Z ∪ F 6= An .
Dim. Supponiamo Z ∪ V = An per certi chiusi affini Z, V ⊆ An e
n
dimostriamo che
almeno uno di essi è tutto A . Se Z = Z {Pα }A e
V = Z {Qβ }B , con Pα , Qβ ∈ K[X1 , . . . , Xn ], allora
An = Z ∪ F = Z {Pα · Qβ }A×B .
Quindi, ogni prodotto Pα · Qβ si annulla identicamente su An e pertanto è il
polinomio nullo (esercizio 1.1.2). Se V 6= An allora Qβ 6= 0 per qualche β.
Dal momento che K[X1 , . . . , Xn ] è un dominio di integrità abbiamo
Pα · Qβ = 0
dunque Z = An .
⇒
Pα = 0 ∀α;
C.V.D.
Corollario 1.1.1. Siano U, V ⊆ An aperti non vuoti. Allora U ∩ V 6= ∅.
1.1. LA TOPOLOGIA DI ZARISKI
11
In altre parole, ogni aperto non vuoto in An è denso.
Dim. Supponiamo U ∩ V = ∅. Sia U = Z c e V = F c , ove Z, F ⊂ An sono
chiusi propri. Allora
Z ∪ F = U c ∪ V c = (U ∩ V )c = An ,
assurdo.
C.V.D.
n
Corollario 1.1.2. Sia U ⊆ A un aperto non vuoto. Allora U è denso in
An .
Esercizio 1.1.5. Per r ≥ 1 intero, sia B ⊆ ArC una qualsiasi palla aperta di
raggio δ > 0. Dimostrare che B è densa nella topologia di Zariski (osservazione: B non è un aperto di Zariski, quindi questa non è una riformulazione
del Corollario 1.1.2).
Costruiamo ora una particolare base per la topologia di Zariski. Sia
U ⊆ An un aperto di Zariski. Quindi, Z =: An \ U è un chiuso affine,
pertanto esiste
una famiglia di polinomi {Fα }α∈A ⊆ K[X1 , . . . , Xn ] tali che
Z = Z {Fα } . In altre parole,
c
U = P ∈ An : Fα (P ) = 0 ∀ α ∈ A
= P ∈ An : ∃α ∈ A t. c. Fα (P ) 6= 0
[
=
P ∈ An : Fα (P ) 6= 0
α∈A
=
[
U Fα ,
α∈A
ove abbiamo posto
U Fα =: An \ Z(Fα ) = P ∈ An : Fα (P ) 6= 0 .
Definizione 1.1.3. Sia F ∈ K[X1 , . . . , Xn ]. Il luogo
U F =: Z(F )c = P ∈ An : F (P ) 6= 0
si dice aperto affine principale associato a F .
Quindi ogni aperto di Zariski è unione di aperti affini principali, in effetti di una collezione finita di questi. Possiamo riassumere le considerazioni
precedenti come segue:
Corollario 1.1.3. La collezione degli aperti affini principali è una base della
topologia di Zariski.
Osservazione 1.1.2. La topologia di Zariski su An induce per restrizione
una topologia su qualsiasi sottoinsieme V ⊆ An , che chiamaremo ancora ‘la
topologia di Zariski di V ’.
12
1.1.1
CAPITOLO 1. VARIETÀ AFFINI
Teorema degli Zeri e quasi compattezza
Qualsiasi chiuso affine (in particolare, An stesso) è compatto nella topologia
di Zariski. In questo contesto, per evitare fraintendimenti con la topologia
analitica nel caso K = C si usa il termine quasi-compatto: un chiuso affine di
AnC è quasi-compatto (compatto nella topologia di Zariski) ma non è compatto
nella topologia analitica, a meno che non sia un insieme finito. Per semplicità,
consideriamo prima il caso di An :
Teorema 1.1.2. An è quasi-compatto (compatto nella topologia di Zariski).
Dim. Supponiamo innanzitutto (per semplicità) che U = {Uα }α∈A sia
un ricoprimento di An mediante aperti affini principali. Quindi, per ogni α
esiste Fα ∈ K[X1 , . . . , Xn ] tale che Uα = {P ∈ An : Fα (P ) 6= 0}. Pertanto,
se I E K[X1 , . . . , Xn ] è l’ideale generato dagli Fα , si ha Z(I) = ∅. Per la
Noetherianità, possiamo estrarre
dagli Fα un insieme finito di generatori di I,
esistono cioè I = Fα1 , . . . , Fαk per certi αj (vedremo più sotto che l’ideale
T
I è tutto K[X1 , . . . , Xn ]). Allora Z(I) = kj=1 Z(Fαj ), sicchè passando ai
complementari abbiamo
k
[
An =
U Fαj .
j=1
Abbiamo dimostrato che da ogni ricoprimento di An mediante aperti affini
principali è possibile estrarre un sottoricoprimento
finito.
Supponiamo ora che V = Vβ β∈B sia un ricoprimento aperto di An mediante aperti affini arbitrari. Poichè la collezione degli aperti affini principali
è una base della topologia di Zariski, per ogni β esiste un ricoprimento
[
Uα(β)
Vβ =
α∈Aβ
di Vβ mediante aperti affini principali. Quindi,
An =
[ [
Uα(β)
β∈B α∈Aβ
è un ricoprimento aperto di An mediante aperti affini principali.
(β )
(β )
Esistono pertanto Uα11 , . . . , Uαr r , con αi ∈ Aβi , tali che
An =
r
[
i=1
Uα(βi i ) .
1.1. LA TOPOLOGIA DI ZARISKI
13
(β )
Dato che Uαi i ⊆ Vβi , si ha allora anche
n
A =
r
[
Vβi ,
i=1
ovvero abbiamo estratto da V un sottoricoprimento finito.
C.V.D.
Più in generale:
Teorema 1.1.3. Qualsiasi sottoinsieme di An è quasi-compatto (per la topologia di Zariski).
Dim. Dimostriamo innanzitutto
che ogni aperto di Zariski U ⊆ An è
S
quasi-compatto. Sia U = α Uα un ricoprimento aperto. Per ogni
S α esistono
un numero finito di polinomi Pαj ∈ K[X1 , . . . , Xn ] tali che Uα = j U Pαj , ove
U Pαj è l’aperto affine principale associato a Pαj . Abbiamo quindi
[[
U=
U Pαj .
α
j
Sia Z = U c ; passando ai complementari abbiamo
\\
c \ \
Z=
U Pαj =
Z Pαj = Z {Pαj }α,j = Z(I),
α
α
j
j
ove I =: {Pαj }α,j è l’ideale generato da tutti i Pα,j .
Per la Noetherianità, possiamo estrarre da {Pαj }α,j una collezione finita
di generatori di I, diciamo I = Pα1 j1 , . . . , PαN jN . Ne discende cosı̀ che
Z = Z(I) =
N
\
Z Pα l j l ,
l=1
sicchè
U = Zc =
N
[
Z Pαl jl
c
=
l=1
Dal momento che per costruzione U
N
[
U Pαl jl .
l=1
Pαl jl
U=
N
[
⊆ Uαl abbiamo a maggior ragione
U αl ,
l=1
sicchè abbiamo estratto un sottoricoprimento finito da quello dato.
14
CAPITOLO 1. VARIETÀ AFFINI
S
Sia ora R ⊆ An un sottoinsieme arbitrario
e
sia
R
⊆
α Uα , ove gli
S
n
Uα ⊆ A sono aperti di Zariski. Sia U =: α Uα ; allora U è un aperto
di Zariski
SN e per quanto detto possiamo estrarre un sottoricoprimento finito
U = l=1 Uαj , che quindi sarà anche un sottoricoprimento finito di R.
C.V.D.
Possiamo interpretare algebricamente la nozione di ricoprimento aperto
di An in luce del Teorema degli Zeri di Hilbert:
Teorema 1.1.4. Dati F1 , · · · , Fk ∈ K[X1 , . . . , Xn ], siano U E K[X1 , . . . , Xn ]
l’ideale da essi generato e V ⊆ An il luogo degli zeri comuni degli Fi . Se
G ∈ K[X1 , . . . , Xn ] si annulla in ogni P ∈ V , allora per qualche intero r ≥ 1
si ha Gr ∈ U.
Prendendo G = 1 ricaviamo:
Corollario 1.1.4. Se F1 , · · · , Fk ∈ K[X1 , . . . , Xn ] non hanno zeri comuni
(cioè V = ∅), allora essi generano K[X1 , . . . , Xn ].
Osservazione 1.1.3. È cruciale che K sia algebricamente chiuso. Ad esempio, X 2 + 1 ∈ R[X] non ha radici reali, ma non genera R[X].
Prima di dare una riformulazione del Corollario, premettiamo la seguente
Definizione 1.1.4. Dati un ideale I E K[X1 , . . . , Xn ], diciamo Z(I) ⊆ An
il luogo nullo di I (ovvero degli zeri comuni degli elementi di I).
Corollario 1.1.5. Se I E K[X1 , . . . , Xn ] è un ideale tale che Z(I) = ∅,
allora I = K[X1 , . . . , Xn ].
Riassumendo:
Proposizione 1.1.2. Siano Pα ∈ K[X1 , . . . , Xn ]. Allora le seguenti condizioni sono equivalenti:
S
• An = α U Pα :
• L’ideale generato dai Pα è tutto K[X1 , . . . , Xn ];
• Esistono Gα ∈ K[X1 , . . . , Xn ] quasi tutti nulli tali che
P
α
Gα Pα = 1.
Esercizio 1.1.6. Rivisitare la dimostrazione del Teorema 1.1.2 invocando il
Teorema degli Zeri anzichè la Noetherianità.
1.1. LA TOPOLOGIA DI ZARISKI
1.1.2
15
Chiusi affini e ideali radicali
A un insieme di polinomi, o equivalentemente all’ideale I da essi generato,
abbiamo associato il chiuso affine Z(I). Tale corrispondenza non è iniettiva,
dato che ad esempio gli ideali (X) e (X 2 ) in K[X] hanno entrambi 0 ∈ A1
come spazio nullo.
La Geometria Algebrica si propone di creare un dizionario tra ideali e
‘spazi algebrici’, o tra certe classi di questi. Nel solco della geometria algebrica ‘classica’, adotteremo gli spazi, intesi insiemisticamente, come oggetti
fondamentali; per avere una buona corrispondenza tra ideali e chiusi affini
restingeremo la classe degli ideali agli ideali radicali.
Notiamo per inciso che, al contrario, in geometria algebrica moderna gli
oggetti fondamentali sono gli ideali; quindi per mantenere una buona corrispondenza si estende e raffina la classe degli spazi. Uno ’spazio’ non è specificato solo insiemisticamente (ad esempio, come luogo nullo), ma possiede una
struttura algebrica aggiuntiva, descritta dal cosiddetto fascio di struttura.
Per esempio, all’ideale (X 2 ) E K[X] si associa uno ‘spazio’ che coincide insiemisticamente con l’origine, ma è dotato di un’ opportuna struttura algebrica
nilpotente. Tale punto di vista conduce alla teoria degli schemi, che non
discuteremo. Limitamoci però a menzionare che il punto di vista moderno è
naturale nello studio di famiglie di spazi algebrici: ad esempio, si consideri
la famiglia di chiusi affini di A1 definiti dall’equazione X 2 − , ove ∈ K è un
parametro; il modo sensato di vedere lo spazio algebrico (comunque definito)
associato all’ideale X 2 deve in qualche modo avere memoria del fatto che esso
può ottenersi come limite dei chiusi affini definiti dalle equazioni X 2 = , per
→ 0, quindi consitenti di due punti. Tale memoria consiste in una struttura algebrica aggiuntiva sullo spazio (non più concepito unicamente come
insieme).
Illustriamo ora la corrispondenza biunivoca tra ideali radicali e chiusi
affini.
Definizione 1.1.5. Sia A un anello
√ (commutativo, con unità) e sia I nE A
un ideale. Il radicale di I, denotato I, è l’insieme degli a ∈ I tali che a ∈ I
per qualche intero n ≥ 1.
Esercizio 1.1.7. Dimostrare le seguenti affermazioni:
√
1. I ⊆ I;
√
2. I è un ideale di A;
p√
√
3.
I = I;
16
CAPITOLO 1. VARIETÀ AFFINI
√
4. il quoziente A/ I non possiede elementi nilpotenti 6= 0.
Esercizio 1.1.8. Dimostrare che per ogni I E K[X1 , . . . , Xn ] si ha Z
Z (I).
√ I =
√
Definizione 1.1.6. Diremo che l’ideale I è un ideale radicale se I = I.
√
In particolare, per ogni ideale I il suo radicale I è un ideale radicale.
Proposizione 1.1.3. Siano I, J E K[X1 , . . . , Xn ] ideali. Le seguenti affermazioni sono equivalenti:
1. Z(I) = Z(J);
√
√
2. I = J.
Dim. Supponiamo che valga 1. Se F ∈ I, allora F (P ) = 0 per ogni
P ∈ Z(J). Per il Teorema
degli Zeri, esiste un intero positivo r tale che
√
r
F ∈ J, quindi F ∈ J. Pertanto,
√
I ⊆ J.
√
p
Sia ora G ∈ I: esiste quindi
√ un intero positivo p tale che G ∈ I. Per
p
quanto appena visto, G ∈ J, pertanto esiste un √
intero positivo r tale che
p r
rp
(G ) ∈ J; equivalentemente, G ∈ J, quindi G ∈ J. In definitiva,
√
√
I ⊆ J.
Scambiando i ruoli di I e J otteniamo
√
√
I = J.
Viceversa, supponiamo che valga 2. Allora (vedi Esercizio 1.1.8)
√ √ Z(I) = Z
I =Z
J = Z (J) .
C.V.D.
Osservazione 1.1.4. Abbiamo in effetti dimostrato l’implicazione
√
√
√
I⊆ J ⇒
I ⊆ J.
Corollario 1.1.6. Siano I, J E K[X1 , . . . , Xn ] ideali radicali. Allora
Z I = Z J ⇔ I = J.
1.1. LA TOPOLOGIA DI ZARISKI
17
I chiusi affini sono i luoghi degli zeri degli ideali di K[X1 , . . . , Xn ]; per
l’Esercizio 1.1.8 possiamo anzi dire che i chiusi affini sono i luoghi degli zeri
degli ideali radicali di K[X1 , . . . , Xn ]. Quindi
Corollario 1.1.7. La corrispondenza α : I 7→ Z(I) è biunivoca tra la collezione degli ideali radicali di K[X1 , . . . , Xn ] e i chiusi affini di An . Inoltre α
inverte le inclusioni, cioè se I, J E K[X1 , . . . , Xn ] sono ideali radicali allora
I ⊆ J se e solo se Z(I) ⊇ Z(J).
Definizione 1.1.7. Sia C ⊆ An un sottoinsieme arbitrario. Definiamo
I(C) =: F (X1 , . . . , Xn ) ∈ K[X1 , . . . , Xn ] : F (P ) = 0, ∀ P ∈ C .
Esercizio 1.1.9. Dimostrare le seguenti affermazioni:
• I(C) è un ideale radicale;
• I(C) ⊆ I(D) se D ⊆ C;
• Z I(C) è la chiusura di C nella topologia di Zariski (ovvero il più
piccolo chiuso affine di An contenente C.
Corollario 1.1.8. La corrispondenza inversa della α è la β : V 7→ I(V ).
Dim. Dobbiamo dimostrare che se V ⊆ An è un chiuso affine e se J è
l’unico ideale radicale tale che V = Z(J), allora J = I(V ). Ma chiaramente
J ⊆ I(V ), dato che ogni F ∈ J si annulla in ogni punto di V , per definizione
di V . D’altra parte, per definizione di I(V ) ogni F ∈ I(V ) si annulla in ogni
punto di V ; per il Teorema√degli Zeri, pertanto, esiste r = rF > 0 intero tale
che F r ∈ J, onde I(V ) ⊆ J = J.
C.V.D.
1.1.3
Chiusi affini conici e ideali omogenei
Una classe importante di chiusi affini è data dai chiusi affini conici :
Definizione 1.1.8. Un chiuso affine V ⊆ An si dice conico se è l’unione di
una certa collezione di rette passanti per un dato punto P ∈ An . Dopo una
traslazione, possiamo supporre che P sia l’origine, nel qual caso V è conico
se λ P ∈ V per ogni P ∈ V e ogni λ ∈ K.
Esempio 1.1.11. L’unione degli assi coordinati in An è un chiuso affine
conico, per n ≥ 2 descritto dalle equazioni
Xi Xj = 0 i, j = 1, . . . , n, i < j.
18
CAPITOLO 1. VARIETÀ AFFINI
La controparte, a livello di ideali, della definizione 1.1.8 è la seguente:
Definizione 1.1.9. Un ideale I E K[X1 , . . . , Xn ] si dice omogeneo se contiene le componenti omogenee di ogni suo elemento, ossia se per ogni F ∈ I
e per ogni l = 0, 1, 2, . . . si ha Fl ∈ I, ove Fl denota la componente omogenea
di grado l di F .
Quindi, se I E K[X1 , . . . , Xn ] è un ideale omogeneo proprio, allora ogni
F ∈ I ha termine di grado zero nullo.
La relazione tra chiusi affini conici e ideali omogenei è precisata dalla
seguente:
Proposizione 1.1.4. Sia V ⊆ An un chiuso affine e sia
I = IV E K[X1 , . . . , Xn ]
il suo ideale radicale. Allora le due seguenti condizioni sono equivalenti:
1. V è conico.
2. I è omogeneo.
Dim. Sia V conico e sia F ∈ I. Se d è il grado
Pd di F , scriviamo F come
somma delle sue componenti omogenee: F =
k=0 Fk . Sia P ∈ V ; dal
momento che V è conico, abbiamo allora λ P ∈ V per ogni λ ∈ K, quindi
0 = F λP) =
d
X
d
X
Fk λ P =
λk Fk (P ).
k=0
k=0
Intepretando F λ P ) come un polinomio in λ, questo deve essere il polinomio
nullo, quindi avere tutti i coefficienti identicamente nulli. Pertanto,
F ∈ I, P ∈ V
⇒ Fk (P ) = 0,
k = 1, 2, . . .
sicchè
F ∈I
⇒
Fk ∈ I,
k = 1, 2, . . . ;
quindi I è omogeneo.
Viceversa, supponiamo che I sia omogeneo e sia P ∈ V . Se λ ∈ K, per
ogni F ∈ I abbiamo allora
F (λ P ) =
d
X
k=0
Fk λ P =
d
X
k=0
k
λ Fk (P ) =
d
X
λk 0 = 0,
k=0
dal momento che, essendo I omogeneo, si ha anche Fk ∈ I e quindi Fk (P ) = 0.
Pertanto, λ P ∈ Z(I) = V , ossia V è conico.
C.V.D.
1.1. LA TOPOLOGIA DI ZARISKI
19
Esercizio 1.1.10. Dimostrare che un ideale I E K[X1 , . . . , Xn ] è omogeneo
se e solo se è generato da una collezione finita di polinomi omogenei; quindi un
chiuso affine conico è sempre descrivibile da una collezione finita di equazioni
omogenee.
Esempio 1.1.12. L’unione V degli assi coordinati in A2 è descritta dalla
singola equazione XY = 0. Se F ∈ IV , allora per il Teorema degli Zeri XY
divide F k per qualche k ≥ 1, pertanto XY divide F . Ne segue che I è l’ideale
generato da XY .
Esercizio 1.1.11. Sia F (X1 , . . . , Xr ) ∈ K[X1 , . . . , Xr ] omogeneo. Supponiamo F = G H con G, H ∈ K[X1 , . . . , Xr ]. Allora G e H sono omogenei.
Esempio 1.1.13. Più in generale, ci aspettiamo geometricamente che un
chiuso affine conico in A2 sia l’unione di una collezione finita di rette passante
per l’origine. In effetti, sia F (X, Y ) un polinomio omogeneo di grado d. Dato
che i fattori irriducibili di un polinomio omogeneo sono ancora omogenei
(Esercizio 1.1.11), possiamo supporre senza perdita di generalità che F non
abbia fattori ripetuti; in particolare, X d e Y d compaiono con coefficienti in
F non nulli. Supponiamo senza perdita di generalità che F sia monico in X,
ossia che il coefficiente di X d sia 1. Scriviamo
d−i
d
d
X
X
X
i d−i
d
F (X, Y ) =
ai X Y
=Y
ai
Y
i=0
i=0
Pd
i
) è monico di grado d; siano
e definiamo P (T ) =:
i=0 ai T . Allora P (T
Qd
λ1 , . . . , λd le radici di P (T ), cosı̀ che P (T ) = i=1 (T − λi ). Ricaviamo
d
F (X, Y ) = Y P
X
Y
d
Y
=
(X − λi Y ).
i=1
S
In particolare, i λi sono tutti distinti per le ipotesi su F e Z(F ) = di=1 Li ,
ove Li ⊂ A2 è la retta X − λi Y = 0. Il caso di un sottoinsieme conico di A2
definito da più equazioni polinomiali omogenee è lasciato come esercizio.
Esempio 1.1.14. Il chiuso affine S = Z (X 2 + Y 2 − Z 2 ) interseca il piano
Z = 1 nel ‘cerchio ’definito dall’equazione X 2 + Y 2 = 1 (in particolare, non
è un insieme finito di rette).
Portiamo ora un esempio di un chiuso affine che può essere definito insiemisticamente da due equazioni, ma il cui ideale non può essere generato
da due polinomi.
20
CAPITOLO 1. VARIETÀ AFFINI
Esempio 1.1.15. In A3 , insiemisticamente l’unione W degli assi coordinati
è descritta dalle equazioni
XY = 0, (X − Y )Z = 0.
Naturalmente W è anche definito dalle equazioni
XY = 0, Y Z = 0,
XZ = 0.
Affermo che l’ideale radicale I = IW è precisamente l’ideale (XY, Y Z, ZX).
Sia infatti F (X, Y, Z) ∈ I e scriviamo
F (X, Y, Z) = F1 (X, Y ) + Z F2 (X, Y, Z),
cosı̀ che F1 (X, Y ) = F (X, Y, 0).
Allora F1 (X, Y ) si annulla sul luogo XY = 0 del piano XY , quindi per
il Teorema degli Zeri XY divide F1k per qualche intero k ≥ 1. Ne discende
chiaramente che XY divide F1 , ossia F1 (X, Y ) = XY F3 (X, Y ) per qualche
F3 ∈ K[X, Y ].
Scriviamo ora
F2 (X, Y, Z) = F4 (Y, Z) + X F5 (X, Y, Z),
quindi
h
i
F (X, Y, Z) = XY F3 (X, Y ) + Z F4 (Y, Z) + X F5 (X, Y, Z) .
Nel piano Y Z (ossia X = 0), sul luogo Y Z = 0 abbiamo
Z F4 (Y, Z) = 0
quindi Y |F4 e pertanto F4 = Y F6 (Y, Z). In definitiva, abbiamo
h
i
F (X, Y, Z) = XY F3 (X, Y ) + Z F4 (Y, Z) + X F5 (X, Y, Z)
h
i
= XY F3 (X, Y ) + Z Y F6 (Y, Z) + X F5 (X, Y, Z)
= XY F3 (X, Y ) + ZY F6 (Y, Z) + ZX F5 (X, Y, Z).
Quindi,
(XY, Y Z, ZX) ⊆ I ⊆ (XY, Y Z, ZX),
ossia I = (XY, Y Z, ZX).
Ci possiamo chiedere se tre è il numero minimo di generatori: è possibile
trovare polinomi F, G ∈ K[X, Y, Z] tali che I = (F, G)?
1.1. LA TOPOLOGIA DI ZARISKI
21
Siano Fi , Gj le componenti omogenee di F e G, rispettivamente. Dato
che W è conico (equivalentemente, I è omogeneo) Fi , Gj ∈ I per ogni i, j.
Si ha F0 = G0 = 0 perchè I è proprio. Se F1 6= 0, sia Π = Z(F1 ) ⊆ A3
il piano passante per l’origine determinato dall’equazione F1 = 0. Siccome
F1 ∈ (F, G), abbiamo
(F1 ) ⊆ (F, G) ⇒ Z(F1 ) ⊇ W = Z(F, G),
ossia Π contiene gli assi coordinati, assurdo. Quindi F1 = 0 e analogamente
G1 = 0. Pertanto, F = F2 + · · · , G = G2 + · · · , ove · · · denota la somma di
polinomi omogenei di grado ≥ 3.
Supponiamo ora
XY = A12 (X, Y, Z) F (X, Y, Z) + B12 (X, Y, Z) G(X, Y, Z);
passando alle componenti omogenee di grado due a entrambi i membri dobbiamo avere
XY = a12 F2 (X, Y, Z) + b12 G2 (X, Y, Z),
ove a12 = A(0, 0, 0), b12 = B(0, 0, 0) ∈ K. Analogamente avremo
Y Z = a23 F2 (X, Y, Z) + b23 G2 (X, Y, Z),
XZ = a13 F2 (X, Y, Z) + b13 G2 (X, Y, Z).
Ne segue che F2 e G2 generano il sottospazio vettoriale 3-dimensionale di
K2 [X, Y, Z] generato da XY, Y Z, XZ, assurdo (K2 [X, Y, Z] è lo spazio dei
polinomi di grado ≤ 2).
Quindi, l’ideale di W non può essere generato da due equazioni.
1.1.4
Noetherianità e componenti irriducibili
Conseguenza immediata della Noetherianità di K[X1 , . . . , Xn ] è che ogni
catena decrescente di chiusi affini è stazionaria (in altri termini, An è
uno spazio topologico Noetheriano):
Proposizione 1.1.5. Sia C1 ⊇ C2 ⊇ C3 ⊇ · · · una catena di chiusi affini in
An . Allora esiste N > 0 intero tale che CN = CN +1 = · · · .
Dim. La catena decresente di chiusi affini Cj determina una catena
crescente di ideali radicali associati:
I(C1 ) ⊆ I(C2 ) ⊆ · · · .
Dal momento che K[X1 , . . . , Xn ] è un anello Noetheriano, tale catena è stazionaria, quindi esiste
N > 0 intero tale che I(CN ) = I(CN +1 ) = · · · ; dato
che Cj = Z I(Cj ) , concludiamo che CN = CN +1 = · · · .
C.V.D.
22
CAPITOLO 1. VARIETÀ AFFINI
Osservazione 1.1.5. La stessa affermazione non vale sostituendo ⊇ con ⊆;
per esempio, sia FN =: {0, 1, 2, . . . , N } ⊆ A1 , o sia CN ⊆ A2 l’unione delle
rette Y − k X = 0 per 0 ≤ k ≤ N . Ciò naturalmente corrisponde al fatto
che l’anello K[X1 , . . . , Xn ] è Noetheriano, ma non Artiniano.
Corollario 1.1.9. Se F 6= ∅ è una collezione arbitraria di chiusi affini, esiste
un elemento minimale di F.
La dimostrazione è lasciata per esercizio.
Abbiamo visto, come conseguenza del fatto che K[X1 , . . . , Xn ] è un dominio di integrità, che non esistono due sottoinsiemi chiusi affini propri di An
la cui unione sia tutto An .
Questà non è una proprietà generale dei chiusi affini, anche se connessi;
per esempio, il luogo XY = 0 in A2 è l’unione delle rette X = 0 e Y = 0.
Definizione 1.1.10. Un chiuso affine C ⊆ An si dice irriducibile se non
esistono chiusi affini A, B ⊆ An propriamente contenuti in C tali che C =
A ∪ B.
Proposizione 1.1.6. Ogni chiuso affine di An può scriversi in modo unico
(a meno di un riordinamento) come unione finita non ridondante di chiusi
affini irriducibili.
Dim. Dimostriamo innanzitutto che ogni chiuso affine è esprimibile come
unione finita di chiusi affini irriducibili. Sia F la famiglia di tutti i chiusi
affini che non sono unione finita di chiusi affini irriducibili e supponiamo, per
assurdo, che F sia non vuota. Per il Corollario 1.1.9, F contiene un elemento
C ⊆ An minimale in F rispetto all’inclusione. Dal momento che C non è
unione finita di chiusi affini irriducibili, in particolare C non è irriducibile; per
definizione, esistono chiusi affini A, B propriamente contenuti in C tali che
C = A ∪ B. Per la minimalità di C, abbiamo A, B 6∈ F; quindi sia A che B
possono essere espressi come unioni finite A = A1 ∪· · ·∪Ar e B = B1 ∪· · ·∪Bs
di chiusi affini irriducibili. Ma allora C = A1 ∪ · · · ∪ Ar ∪ B1 ∪ · · · ∪ Bs è pure
unione finita di chiusi affini irriducibili, assurdo.
Supponiamo ora di poter esprimere il chiuso affine C come unione finita
non ridondante di chiusi affini irriducibili nei due modi C = C1 ∪ · · · ∪ Cr e
C = C10 ∪ · · · ∪ Cs0 . Per ogni j = 1, . . . , r, abbiamo allora
Cj =
s
[
(Cj ∩ Ci0 ) .
i=1
Ogni Cj ∩ Ci0 è un chiuso affine; essendo Cj irriducibile, deve essere Cj =
Cj ∩ Ci0 , quindi Cj ⊆ Ci0 , per qualche i = 1, . . . , s. Analogamente, invertendo
1.1. LA TOPOLOGIA DI ZARISKI
23
i ruoli, avremo Ci0 ⊆ Ck per qualche k = 1, . . . , r, ossia Cj ⊆ Ci0 ⊆ Ck . Ma
per la supposta non ridondanza delle unioni deve allora essere Cj = Ck e
quindi Cj = Ci0 . Pertanto, ogni Cj è uguale a qualche Ci0 e analogamente,
per simmetria del ragionamento, ogni Ci0 è uguale a qualche Cj . Quindi, a
meno di un riordinamento, i Cj e i Ci0 sono gli stessi chiusi affini irriducibili.
Abbiamo cosı̀ anche stabilito l’unicità della decomposizione.
C.V.D.
Esempio 1.1.16. Sia C ⊆ A2 la curva piana affine definita dall’equazione
F (X, Y ) = 0, ove F non ha fattori ripetuti. Allora C è irriducibile se e solo
se il polinomio F è primo.
Se infatti F non è primo, abbiamo F (X, Y ) = G(X, Y ) · H(X, Y ), ove
G e H sono relativamente primi; poniamo A = Z(G), B = Z(H), cosı̀ che
C = A ∪ B. Ora A e B sono curve piane che si intersecano in un numero
finito di punti, quindi A B e B A; pertanto, C non è irriducibile.
Supponiamo, viceversa, che F sia primo. Sia C = A ∪ B, con A e B curve
piane affini. Sia G il polinomio che definisce A e H il polinomio che definisce
B, sicchè G H si annulla su C. Per il Teorema degli Zeri, F divide Gk H k per
qualche intero positivo k. Dato che F è primo, F |Gk o F |H k , ovvero F |G o
F |H (le due eventualità non si escludono). Nel primo caso, C ⊆ A, mentre
nel secondo C ⊆ B. Quindi, C = A o C = B se C = A ∪ B. Pertanto, C
è irriducibile. Conclusione analoga si ottiene osservando che per il Teorema
degli zeri deve essere G H|F k per qualche k.
Più in generale, si ha:
Proposizione 1.1.7. Il chiuso affine C ⊆ An è irriducibile se e solo se il
suo ideale I(C) è primo.
Dim. Se C non è irriducibile allora C = A ∪ B ove A, B ⊆ An sono chiusi
affini propriamente contenuti in C. Siano P ∈ A \ B e Q ∈ B \ A. Per
definizione di chiuso affine, possiamo trovare F ∈ I(A) tale che F (Q) 6= 0 e
G ∈ I(B) tale che G(Q) 6= 0. Allora F, G 6∈ I(C), dal momento che F e G
non si annullano identicamente su C, ma F · G ∈ I(C); quindi I(C) non è
primo.
Supponiamo che C sia irriducibile. Se F, G ∈ K[X1 , . . . , Xn ] e F · G ∈
I(C), allora A =: Z(F ) e G =: Z(G) sono chiusi affini e C = (C∩A)∪(C∩B).
Essendo C irriducibile, deve essere C = C ∩ A o C = C ∩ B (o entrambe). Se
C = C ∩ A, allora C ⊆ A; quindi F (P ) = 0 per ogni P ∈ C, ossia F ∈ I(C).
Analogamente, se C = C ∩ B allora G ∈ I(C). Pertanto, I(C) è un ideale
primo.
C.V.D.
24
CAPITOLO 1. VARIETÀ AFFINI
Esercizio 1.1.12. Si dimostri che se C ⊆ A2 è definita dal polinomio senza
fattori ripetuti F , allora I(C) è l’ideale principale generato da F .
Esercizio 1.1.13. Più in generale, una ipersuperficie S ⊆ An è il luogo
nullo Z(F ) di un singolo polinomio F ∈ K[X1 , . . . , Xn ], o equivalentemente
dell’ideale principale (F ) da esso generato. Chiaramente, senza perdita di
generalità, nella determinazione di S possiamo supporre che F non abbia
fattori ripetuti. Dimostrare:
1. Se F non ha fattori ripetuti, allora I(S) = (F );
Q
2. Supponiamo che F non abbia fattori ripetuti e sia F = ri=1 Fi la sua
fattorizzazione in irriducibili. Per ogni i = 1, . . . , r sia Si =: Z(Fi ).
Allora gli Si sono le componeni irriducili di S.
T
3. I(S) = ri=1 (Fi ).
Esempio 1.1.17. Sia
R =: Z X 2 + Y 2 + Z 2 , X 2 − Y 2 − Z 2 + 1 ⊆ A3 .
Quindi
2 X 2 + 1 = X 2 + Y 2 + Z 2 + X 2 − Y 2 − Z 2 + 1 ∈ I(X).
√
Pertanto, su R abbiamo x = ±i/ 2 e y 2 + z 2 = 1/2. Dato che il ‘cerchio’
C =: Z (Y 2 + Z 2 − 1/2) nel piano Y Z è irriducibile (dimostrare), si conclude
facilmente che
[ i
i
√
R=
×C
−√
×C
2
2
è la decomposizione in componenti irriducibili (completare l’argomento).
Esempio 1.1.18. Sia
S =: Z Y 2 − XZ, Z 2 − Y 3 ⊆ A3 .
Si ha allora
(XY − Z) Z = XY Z − Z 2 ∈ I(S),
quindi su S vale z = 0 o z = xy.
Se z = 0, otteniamo y = 0 mentre x è arbitrario. Quindi l’asse X è
contenuto in S.
Ove z = xy, y 2 − x2 y = 0, ossia y (y − x2 ) = 0; quindi y = 0 o y = x2 .
1.1. LA TOPOLOGIA DI ZARISKI
25
Ove z = xy, y = 0, abbiamo anche z = 0; quindi riotteniamo l’asse x.
Ove z = xy, y = x2 , abbiamo z = x3 . Pertanto, (x, y, z) = (x, x2 , x3 ).
Quindi
[
S =: (x, 0, 0) : x ∈ K
x, x2 , x3 : x ∈ K
è la decomposizione in componenti irriducibili, che risultano entrambe isomorfe a A1 (si veda oltre per la nozione di isomorfismo). La prima componente è S1 = Z(Y, Z), la seconda S2 = Z (Y − X 2 , Z − X 3 ).
Possiamo trasporre algebricamente il risultato della Proposizione 1.1.6.
Premettiamo:
Lemma 1.1.3. Siano I1 , . . . , Ik E K[X1 , . . . , Xn ] ideali. Allora
!
k
k
[
\
Z(Ii ) = Z
Ii .
i=1
i=1
Sk
Z(Ii ), ossia p ∈ Z(Ij ) per qualche
T j. Allora F (p) = 0,
Tk
k
∀ F ∈ Ij ⇒ F (p) = 0 ∀ F ∈ i=1 Ii ⊆ Ij ⇒ p ∈ Z
i=1 Ii .
Tk
S
Quindi, ki=1 Z(Ii ) ⊆ Z
i=1 Ii .
Sk
Sia p 6∈ i=1 Z(Ii ), ossia p 6∈ Z(Ii ) per ogni i. Quindi per ogni i esiste
Qk
Qk
Fi ∈ Ii tale che Fi (p) 6= 0. Sia F =:
i=1 Ii ⊆
i=1 Fi ; allora F (p) 6= 0 e F ∈
Tk
Tk
i=1 Ii .
i=1 Ii . Pertanto, p 6∈ Z
T
S
k
I
.
Concludiamo allora ki=1 Z(Ii ) ⊇ Z
i
i=1
C.V.D.
Dim. Sia p ∈
i=1
Corollario 1.1.10. Ogni ideale radicale I E K[X1 , . . . , Xn ] è esprimibile in modo unico (a meno dell’ordinamento) come intersezione finita non
ridondante di ideali primi.
Dim. Sia V = Z(I), cosı̀ che I = I(V ); allora V può esprimersi in modo
unico S
(a meno dell’ordinamente) come unione di componenti irriducibili Wi ,
V = ri=1 Wi . Per ogni i, sia Pi E K[X1 , . . . ,T
Xn ] l’ideale radicale di Pi .
Allora Pi è primo, e quindi l’intersezione P =: ri=1 Pi è un ideale radicale
(infatti, xr ∈ P ⇒ xr ∈ S
Pi ∀ i ⇒ x ∈ Pi ∀iT⇒ x ∈ P ).
D’altra parte, V = ri=1 Z(Pi ) = Z ( ri=1 Pi ) = Z(P ), quindi P = I
(essendo entrambi ideali radicali con lo stesso luogo nullo); pertanto I è
intersezione di ideali primi.
Se fosse Pi ⊆ Pj per qualche i 6= j, avremmo Wi ⊇ Wj , contro l’ipotesi
che l’intersezione sia nonridondante. Quindi anche l’intersezione dei Pi è non
ridondante.
26
CAPITOLO 1. VARIETÀ AFFINI
T
Se poi I = sj=1 Qj è un’intersezione non ridondante,
Ss ove anche i Qj sono
primi, avremmo anche l’unione non ridondante V = j=1 Tj , ove Tj = Z(Qj )
è irriducibile per ogni j. Perciò i Tj sono i Wi , a meno dell’ordinamento, e
quindi i corrispondenti ideali radicali Qj sono, a meno dell’ordinamento, i Pi .
C.V.D.
Esercizio 1.1.14. Si enunci e dimostri l’asserto analogo per arbitrarie Kalgebre finitamente generate.
1.1.5
Prodotti Cartesiani
Siano V ⊆ Al e W ⊆ Ak due chiusi affini. Identificando Al+k con Al × Ak nel
modo standard, possiamo vedere V × W ⊆ Al × Ak come un sottoinsieme di
Al+k .
Esercizio 1.1.15. Dimostrare che se V è definito da equazioni polinomiali
Fi (X) = 0 e W da equazioni polinomiali Gj (Y ) = 0, allora con la precedente identificazione V × W ⊆ Al × Ak è il luogo nullo in Al+k dei polinomi
Fi (X) e Gj (Y ), al variare di i e j, visti in modo naturale come elementi di
K[X1 , . . . , Xl , Y1 , . . . , Yk ].
Quindi, V × W è un chiuso affine di Al+k .
Proposizione 1.1.8. Supponiamo che V e W siano irriducibili. Allora tale
è anche V × W .
Dim. Premettiamo la seguente osservazione. Per ogni v ∈ V , il luogo
Wv =: {v} × W = (v, w) : w ∈ W ⊆ V × W
è un chiuso di Zariski: se W è definito dalle equazioni Gj (Y1 , . . . , Yk ) = 0 per
opportuni Gj ∈ K[Y1 , . . . , Yk ], allora Wv ⊆ Al+k è definito dalle equazioni
Xi − vi = 0, Gj (Y1 , . . . , Yk ) = 0 (qui vi sono le coordinate di v e Xi sono le
coordinate lineari su Al , sicchè vi = Xi (v)).
Inoltre la mappa αv : w ∈ W 7→ (v, w) ∈ Wv è ovviamente un omeomorfismo per la topologia di Zariski, con inversa la mappa βv : (v, w) 7→
w.
Se infatti R ⊆ Wv è un chiuso di Zariski, definito come il luogo nullo in
Wv di polinomi
Ri (X1 , . . . , Xl , Y1 , . . . , Yk ) ∈ K[X1 , . . . , Xl , Y1 , . . . , Yk ],
allora αv−1 (R) è il luogo nullo comune in V dei polinomi
Ri (v1 , . . . , vl , Y1 , . . . , Yl ) ∈ K[Y1 , . . . , Yk ].
1.1. LA TOPOLOGIA DI ZARISKI
27
Viceversa, se C ⊆ W è un chiuso di Zariski, definito come il luogo nullo in
W di polinomi
Si (Y1 , . . . , Yk ) ∈ K[Y1 , . . . , Yl ],
allora βv−1 (C) è il luogo nullo comune in Wv dei polinomi
Si (Y1 , . . . , Yk ) ∈ K[X1 , . . . , Xl , Y1 , . . . , Yk ].
In particolare, Wv è irriducibile per ogni v ∈ V .
Siano ora Z1 , Z2 ⊆ V × W chiusi di Zariski tali che V × W = Z1 ∪ Z2 ;
vogliamo dimostrare che necessariamente V × W = Z1 o V × W = Z2 .
Per ogni v ∈ V abbiamo
Wv = Wv ∩ Z1 ∪ Wv ∩ Z2 .
Dal momento che Wv è irriducibile, deve essere Wv = Wv ∩Z1 o Wv = Wv ∩Z2 ;
equivalentemente, Wv ⊆ Z1 o Wv ⊆ Z2 .
Definiamo ora per j = 1, 2
Vj =: v ∈ V : (v, w) ∈ Zj ∀ w ∈ W = v ∈ V : Wv ⊆ Zj .
Abbiamo quindi V = V1 ∪ V2 . Se sapessimo che i Vj sono chiusi di Zariski,
l’irriducibilità di V implicherebbe V = V1 o V = V2 ; nel primo caso, avremmo
V × W = Z1 , nel secondo V × W = Z2 .
Rimane quindi da dimostrare che i Vj sono chiusi di Zariski.
Ora per ogni w ∈ V sia
Vjw =: v ∈ V : (v, w) ∈ Zj .
Sia Vw =: V × {w}; come sopra, si verifica che Vw è un chiuso di Zariski
omeomorfo a V , mediante la γw : (v, w) 7→ v. Allora
Vjw = γw Vw ∩ Zj
è un chiuso di Zariski di V . Pertanto
Vj = v ∈ V : (v, w) ∈ Zj ∀ w ∈ W
\ =
v ∈ V : (v, w) ∈ Zj
w∈W
=
\
Vjw
w∈W
è anch’esso un chiuso di Zariski.
C.V.D.
Esercizio 1.1.16. Generalizzare al prodotto Cartesiano di un numero finito
arbitrario di chiusi affini.
28
1.2
CAPITOLO 1. VARIETÀ AFFINI
Funzioni regolari
Definizione 1.2.1. Sia V ⊆ An un chiuso affine. Una funzione f : V → K
si dice regolare se è la restrizione a V di un polinomio F ∈ K[X1 , . . . , Xn ].
In altre parole, f (P ) = F (P ), per ogni P ∈ V .
Lemma 1.2.1. Le funzioni regolari sul chiuso affine V ⊆ An separano i
punti di V . Più precisamente, per ogni P1 , . . . , Pr ∈ V e λ1 , . . . , λr ∈ K
esiste f : V → K regolare tale che f (Pi ) = λi .
P
Dim. Identifichiamo An con Kn e denotiamo con X · Y = ni=1 xi yi il
prodotto scalare standard di X, Y ∈ Kn . Affermo che esiste A ∈ Kn tale che
A · Pj 6= A · Pk se j 6= k. In effetti, se j 6= k la condizione A · (Pj − Pk ) = 0
determina un iperpiano
Hjk = Z X · (Pj − Pk ) ⊆ An .
Essendo irriducibile, An non può essere
Sn unione di una collezione finita di sotn
toinsiemi chiusi propri, quindi A 6= j,k=1 Hjk ; (più prosaicamente, P (X) =:
Qr
i=1 X · (Pj − Pk ) 6= 0, quindi il suo luogo nullo è contenuto propriamente
in An ). Sia allora
n
[
A ∈ An \
Hjk ,
j,k=1
cosı̀ che A · Pj 6= A · Pk se j 6= k.
Chiaramente il polinomio
F (X) =
n
X
i=1
λi
Y A · (X − Pj )
j6=i
A · (Pi − Pj )
,
soddisfa F (Pi ) = λi per ogni i = 1, . . . , r, quindi basta porre f = F |V .
C.V.
Lemma 1.2.2. Una funzione regolare f : V → K ∼
= A1 è continua per la
topologia di Zariski.
Dim. Sia C ⊆ A1 un chiuso affine, ossia il luogo nullo di un polinomio
P ∈ K[X]. Allora f −1 (C) è il luogo nullo della funzione P ◦ f : V → A1 . Sia
F ∈ K[X1 , . . . , Xn ] un’estensione di f ; allora chiaramente
f −1 (C) = ZV (P ◦ f ) = V ∩ Z P ◦ F .
Ora P ◦ F : An → A1 è una composizione di funzioni
polinomiali, quindi
è una funzione polinomiale. Pertanto, Z P ◦ F ⊆ An è un chiuso affine,
sicchè f −1 (C) è Zariski-chiuso in C.
C.V.D.
1.2. FUNZIONI REGOLARI
29
Proposizione 1.2.1. Sia V un chiuso affine irriducibile. Sia f : V → K
una funzione regolare tale che f (P ) = 0 per ogni P ∈ U , ove U ⊆ V è un
aperto non vuoto di V . Allora f = 0, ossia f (P ) = 0 per ogni P ∈ V .
Dim. Sia T ⊆ V il luogo ove f 6= 0. Allora T è aperto in V , per definizione
di topologia di Zariski e di funzione regolare. Inoltre, per ipotesi, T ∩ U = ∅.
Ma essendo V irriducibile, ogni sottoinsieme aperto non vuoto di V è denso,
quindi T = ∅.
C.V.D.
Corollario 1.2.1. Sia V un chiuso affine irriducibile. Siano f, g : V → K
funzioni regolari tali che f (P ) = g(P ) per ogni P ∈ U , ove U ⊆ V è un
aperto non vuoto di V . Allora f = g.
Dim. Si applichi la Proposizione a f − g.
C.V.D.
Data la struttura di anello di K, la collezione delle funzioni regolari su
V forma un anello O(V ) (esercizio); per definizione, abbiamo un morfismo
suriettivo di anelli K[X1 , . . . , Xn ] → O(V ), il cui nucleo è l’ideale radicale
I(V ) di tutti i polinomi identicamente nulli su V . Quindi
O(V ) ∼
= K[X1 , . . . , Xn ]/I(V ).
Pertanto:
Corollario 1.2.2. Per ogni chiuso affine V ⊆ An l’anello O(V ) è Noetheriano.
Corollario 1.2.3. Il chiuso affine V ⊆ An è irriducibile se e solo se l’anello
O(V ) delle funzioni regolari su V è un dominio di integrità.
Il campo K è isomorfo in modo naturale al sottoanello delle funzioni costanti V → K. Chiamiamo V : K → O(V ) l’inclusione di K in O(V );
scrivendo λ = V (λ), identifichiamo λ ∈ K con la funzione costante uguale a λ. Quindi O(V ) è una K-algebra e la restrizione di funzioni regolari
K[X1 , . . . , Xn ] → O(V ) è un epimorfismo di K-algebre. Più precisamente:
Proposizione 1.2.2. Sia A un anello. Le seguenti affermazioni sono equivalenti:
1. Esiste un chiuso affine V ⊆ An tale che A ∼
= O(V ).
2. A è una K-algebra commutativa finitamente generata senza elementi
nilpotenti (6= 0).
30
CAPITOLO 1. VARIETÀ AFFINI
Prop. Valga 1. Allora A ∼
= K[X1 , . . . , Xn ]/I(V ) è una K-algebra commutativa finitamente generata, perchè quoziente di K[X1 , . . . , Xn ], senza
elementi nilpotenti, perchè I(V ) è un ideale radicale.
Valga 2. Allora A è un quoziente di K[X1 , . . . , Xn ], in quanto K-algebra
commutativa finitamente generata; sia p : K[X1 , . . . , Xn ] → A la proiezione.
Allora ker(p) E K[X1 , . . . , Xn ] è un ideale radicale, dal momento che A non
ha nilpotenti. Se C = Z ker(p) , abbiamo cosı̀ I(C) = ker(p) e quindi
A∼
= O(C).
C.V.D.
Osservazione 1.2.1. Sia V ⊆ An un chiuso affine. Un sottoinsieme W ⊆ V
è Zariski-chiuso (ossia, chiuso per la topologia di Zariski) se e solo se esistono
funzioni regolari fi ∈ O(V ) tali che W = Z {fi }) (il luogo nullo comune in V
delle fi ). Basta infatti segliere una famiglia di generatori dell’ideale radicale
di W , Fi ∈ I(W ) (si noti che W stesso è Zariski-chiuso in An : esercizio) e
porre fi = Fi |V .
Il Teorema degli Zeri si applica anche agli anelli O(V ). Per vederlo,
premettiamo qualche osservazione e terminologia.
Innanzitutto, se R ⊆ O(V ) diremo ZV (R) il luogo nullo di R, ovvero
l’insieme dei P ∈ V tali che f (P ) = 0 per ogni f ∈ R.
Inoltre, vi è una corrispondenza biunivoca tra gli ideali di O(V ) e gli
ideali di K[X1 , . . . , Xn ] contenenti I(V ), data da J 7→ Je =: π −1 (J); qui
π : K[X1 , . . . , Xn ] → O(V ) ∼
= K[X1 , . . . , Xn ]/I
è la proiezione (ossia la mappa di restrizione a V , F 7→ F |V ). Questa corrispondenza porta ideali radicali in ideali radicali (esercizio). Chiaramente,
e In effetti,
essendo I ⊆ Je =: π −1 (J), vale anche V = Z(I) ⊇ Z(J).
Lemma 1.2.3. ZV (J) = Z Je .
Dim. sia J = (g1 , . . . , gk ), l’ideale generato da g1 . . . , gk ∈ O(V ); allora
f ∈ J se e solo se esistono p1 , . . . , pk ∈ O(V ) tali che
f=
k
X
j=1
pj gj .
1.2. FUNZIONI REGOLARI
31
Siano G1 , . . . , Gk ∈ K[X1 , . . . , Xn ] tali che gi = π(Gi ) per ogni i. Allora
per F ∈ K[X1 , . . . , Xn ] si ha
F ∈ Je ⇔ f =: π(F ) ∈ J
⇔ ∃ p1 , . . . , pk ∈ O(V ) : f =
k
X
pi gi
i=1
⇔ ∃ P1 , . . . , Pk ∈ K[X1 , . . . , Xn ] : F −
k
X
Pi Gi ∈ I
i=1
⇔ F ∈ (G1 , . . . , Gk , I),
ove (G1 , . . . , Gk , I) è lideale di K[X1 , . . . , Xn ] generato dai Gi e I. Quindi
Je = (G1 , . . . , Gk , I).
Ne segue che
x ∈ ZV (J) ⇔ x ∈ V e f (x) = 0 ∀f ∈ J
⇔ F (x) = 0, ∀ F ∈ I e gi (x) = 0 ∀i = 1, . . . , k
⇔ F (x) = 0, ∀ F ∈ I e Gi (x) = 0 ∀i = 1, . . . , k
⇔ F (x) = 0, ∀ F ∈ Je
⇔ x ∈ Z Je .
C.V.D.
Proposizione 1.2.3. Sia V ⊆ An e J E O(V ) un ideale. Sia h ∈ O(V ) e
supponiamo che h(x) = 0 per ogni x ∈ ZV (J). Allora hr ∈ J per qualche
intero r ≥ 1.
Dim. Sia H ∈ K[X1 , . . . , Xn ] tale che h = π(H); si ha quindi
H(x) = h(x) = 0, ∀ x ∈ ZV (I) = Z Je .
Pertanto, per il Teorema degli Zeri in K[X1 , . . . , Xn ], esiste k ≥ 1 intero tale
che
H k ∈ Je = π −1 (J).
Quindi,
hk = π(H)k ∈ J.
C.V.D.
Corollario 1.2.4. Sia I E O(V ) un ideale e supponiamo che ZV (I) = ∅.
Allora I = O(V ).
Dim. Si applichi la Proposizione con h = 1.
C.V.D.
32
1.2.1
CAPITOLO 1. VARIETÀ AFFINI
Punti e ideali massimali
Esiste un dizionario tra le proprietà geometriche dei chiusi affini e le proprietà
algebriche dei corrispondenti anelli di funzioni regolari. Innanzitutto:
Proposizione 1.2.4. Sia V ⊆ An un chiuso affine. Allora esiste una corrispondenza biunivoca naturale tra i punti di V e gli ideali massimali di
O(V ).
Dim. Consideriamo inanzitutto il caso V = An . Affermo che ogni ideale
massimale m E O (An ) = K[X1 , . . . , Xn ] ha la forma
m = X 1 − a1 , . . . , X n − an ,
per un unico A = (a1 , . . . , an ) ∈ An .
In effetti, dal momento che m 6= K[X1 , . . . , Xn ] si ha Z(m) 6= ∅ per il
Teorema degli Zeri. Sia A = (a1 , . . . , an ) ∈ Z(m).
Essendo il nucleo del morfismo di anelli K[X1 , . . ., Xn ] → K dato dalla
valutazione in A, F 7→ F (A), X1 − a1 , . . . , Xn − an è massimale (infatti
il quoziente K[X1 , . . . , Xn ]/ X1 − a1 , . . . , Xn − an ∼
= K è un campo). Dal
momento che
Z X1 − a1 , . . . , Xn − an = {A} ⊆ Z(m)
deve essere m ⊆ X1 −a1 , . . . , Xn −an ; essendo entrambi gli ideali massimali,
concludiamo che
m = X 1 − a1 , . . . , X n − an .
L’unicità è lasciata come esercizio.
Se poi V ⊆ An è un chiuso affine con ideale radicale I, gli ideali massimali
di O(V ) = K[X1 , . . . , Xn ]/I sono in corrispondenza biunivoca con gli ideali
massimali massimali di K[X1 , . . . , Xn ] contenenti I; pertanto, per quanto
visto, sono in corrispondenza biunivoca con i punti A ∈ An tali che
X1 − a1 , . . . , Xn − an ⊇ I,
ossia tali che {A} ⊆ V ossia, più amichevolmente, tali che A ∈ V .
C.V.D.
1.2.2
Chiusi e ideali radicali; chiusi irriducibili e ideali
primi
Più in generale, abbiamo:
1.2. FUNZIONI REGOLARI
33
Proposizione 1.2.5. Sia V ⊆ An un chiuso affine e sia I E K[X1 , . . . , Xn ] il
suo ideale radicale. Esiste una corrispondenza biunivoca naturale tra seguenti
insiemi:
a : L’insieme dei sottoinsiemi chiusi di V per la topologia di Zariski.
b : L’insieme di tutti gli ideali radicali J E O(V ).
c : L’insieme di tutti gli ideali radicali di K[X1 , . . . , Xn ] contenenti I.
Tale corrispondenza associa a ogni chiuso W di V l’ideale radicale delle funzioni regolari che si anullano identicamente su W ; nella direzione inversa, a
ogni ideale radicale J E O(V ) associa il suo luogo nullo ZV (J).
Dim. L’insieme dei sottoinsiemi chiusi di V per la topologia di Zariski
è ovviamente l’insieme di tutti i chiusi affini W ⊆ An tali che W ⊆ V .
Se associamo a ogni chiuso affine il suo ideale radicale in K[X1 , . . . , Xn ],
tale insieme è in corrispondenza biunivoca con l’insieme degli ideali radicali
Je E K[X1 , . . . , Xn ] contenenti I. D’altra parte, mediante la mappa J 7→
Je = π −1 (J) gli ideali radicali J E O(V ) sono in corrispondenza biunivoca
naturale proprio con gli ideali radicali Je E K[X1 , . . . , Xn ] contenenti I (qui
π : K[X1 , . . . , Xn ] → O(V ) è la mappa di restrizione o, equivalentemente, la
proiezione sul quoziente per I).
C.V.D.
Proposizione 1.2.6. La corrispondenza biunivoca della Proposizione 1.2.5
si restringe a una corrispondenza biunivoca naturale tra seguenti insiemi:
a : L’insieme dei sottoinsiemi chiusi irriducibili di V per la topologia di
Zariski.
b : L’insieme di tutti gli ideali primi p E O(V ).
c : L’insieme di tutti gli ideali primi di K[X1 , . . . , Xn ] contenenti I.
Dim. Esercizio.
Esempio 1.2.1. Il polinomio Y 2 − X 3 è irriducibile. Infatti (dopo avere
eventualmente moltiplicato i fattori per un opportuno λ 6= 0) una sua fattorizzazione
ha necessariamente
la forma (Y 2 + R(X)) · S(X) oppure Y +
P (X) · Y + Q(X) , ove P, Q, R, S ∈ K[X]; nel primo caso, confrontando
i coefficienti di Y 2 ricaviamo S(X) = 1, quindi la fattorizzazione
è triviale.
2
3
2
Nel secondo caso, abbiamo Y − X = Y + P (X) + Q(X) Y + P (X) Q(X),
onde P (X) = −Q(X) e quindi X 3 = −Q(X)2 , assurdo.
34
CAPITOLO 1. VARIETÀ AFFINI
Quindi, il chiuso affine V ⊆ A2 definito dall’equazione Y 2 = X 3 è irriducibile, sicchè O(V ) è un dominio di integrità; in effetti, l’ideale radicale di V
è proprio l’ideale principale generato da Y 2 − X 3 .
Siano x, y ∈ O(V ) le funzioni indotte per restrizione da X e Y , rispettivamente. Possiamo scrivere ogni f ∈ O(V ) come f = P (x) + y Q(x), per
opportuni unici polinomi Q, P ∈ K[X], con la regola di moltiplicazione
P (x) + y Q(x) · R(x) + y S(x)
3
= P (x) R(x) + x Q(x) S(x) + y Q(x) R(x) + P (x) S(x) .
Esempio 1.2.2. Il polinomio XY − 1 è irriducibile, quindi
D =: Z(XY − 1) ⊆ A2
è un chiuso affine irriducibile e
O(D) ∼
= K[X, Y ]/(XY − 1)
è un dominio di integrità. Esplicitamente, O(D) ∼
= K [X, X −1 ], la localizzazione di K[T ] rispetto al sistema moltiplicativo (T n ) (equivalentemente,
l’anello delle serie di Laurent finite in X).
In dettaglio, consideriamo l’epimorfismo
α : K[X, Y ] → K X, X −1 , P (X, Y ) 7→ P X, X −1 .
P
Ora P (X, Y ) = i,j pi,j X i Y j ∈ K[X, Y ] può essere riscritto
!
+∞
X
X
P (X, Y ) =
pa+k,k X a+k Y k
a=−∞
=
+∞
X
k
!
X
Xa
a=−∞
pa+k,k X k Y k
k
ove si intende che pl,k = 0 se almeno uno dei due indici è negativo. Pertanto,
!
+∞
X
X
α(P ) =
pa+k,k X a
a=−∞
k
(naturalmente la somma è finita). P
Quindi α(P ) = 0Pse e solo se k pa+k,k = 0 per ogni a, se e solo se il
polinomio Ra (T ) = k pa+k,k T k soddisfa Ra (1) = 0, se e solo se Ra (T ) =
(T − 1) Qa (T ) per qualche Qa ∈ K[T ].
1.2. FUNZIONI REGOLARI
35
Pertanto,
X
pa+k,k X k Y k = Ra (XY ) = XY − 1 Qa (XY ),
k
onde per cui
P (X, Y ) =
+∞
X
X a Ra (XY )
a=−∞
=
+∞
X
XY − 1
X a Qa (XY ) ∈ XY − 1 .
a=−∞
Ne discende facilmente che ker(α) = (XY − 1), quindi O(D) ∼
= K [X, X −1 ].
1.2.3
L’anello di un prodotto di chiusi affini
Si pone il problema di descrivere la K-algebra O(V × W ) in termini di O(V )
e O(W ).
Proposizione 1.2.7. Esiste un isomorfismo naturale
O(V × W ) ∼
= O(V ) ⊗K O(W ).
Dim. Si consideri la funzione ψ : O(V ) × O(W ) → O(V × W ) data da
ψ(f, g)(P, Q) =: f (P ) g(Q).
Mostriamo innanzitutto che ψ è ben definita.
Chiaramente, ψ(f, g) : V × W → K è ben definita; per verificare che ψ
prende effettivamente valori in O(V × W ), occorre dimostrare che ψ(f, g)
è una funzione regolare su V × W , per ogni (f, g) ∈ O(V ) × O(W ). Per
definizione di funzione regolare su un chiuso affine, ciò significa che ψ(f, g) è
la restrizione a V × W di un polinomio su Ak+l .
Ora, sempre per definizione, esistono F ∈ K[X1 , . . . , Xl ], G ∈ K[Y1 , . . . , Yk ]
tali che f (P ) = F (P ) per ogni P ∈ V e g(Q) = G(Q) per ogni Q ∈ W . Il
polinomio prodotto
F ⊗ G(X, Y ) =: F (X) G(Y ) ∈ K[X1 , . . . , Xl , Y1 , . . . , Yk ]
soddisfa allora f (P ) g(Q) = F (P ) G(Q) = F ⊗ G(P, Q) per ogni (P, Q) ∈
V × W . Quindi ψ(f, g) ∈ O(V × W ) per ogni (f, g) ∈ O(V ) × O(W ).
36
CAPITOLO 1. VARIETÀ AFFINI
Evidentemente ψ è una funzione bilineare di K-spazi vettoriali, quindi
per la proprietà universale del prodotto tensoriale induce un’applicazione
K-lineare Ψ : O(V ) ⊗K O(W ) → O(V × W ). Inoltre, ψ soddisfa
ψ(f, g) ψ(f 0 , g 0 ) = ψ(f f 0 , gg 0 ),
dal che segue che Ψ è un morfismo di K-algebre.
Mostriamo ora che ψ è un epimorfismo. Sia g ∈ O(V ×W ) e sia G(X, Y ) ∈
K[X1 , . . . , Xl , Y1 , . . . , Yk ] un polinomio che induce g per restrizione a V × W .
Scriviamo
X
G(X, Y ) =
gI,J X I Y J ,
I,J
ove se I = (i1 , . . . , ik ) si pone X I =: X1i1 · · · Xkik , e analogamente per Y J . La
somma è su una collezione finita di multi-indici (I, J).
Per ogni i, sia xi ∈ O(V ) la funzione su V indotta per restrizione da
Xi , e definiamo xI =: xi11 · · · xikl ; chiaramente, xI è la funzione regolare su V
indotta per restrizione da X I . Evidentemente, possiamo vedere xi , xI come
funzioni regolari su V × W , e lo stesso vale per yj , Y J . Abbiamo cosı̀
!
X
X
I J
I
J
gI,J x y = Ψ
gI,J x ⊗ y .
g=
I,J
I,J
E’ forse più chiaro riformulare l’argomento precedente come segue. Tensorizzando gli epimorfismi
πV : K[X1 , . . . , Xl ] O(V ), πW : K[Y1 , . . . , Yk ] O(W )
si ottiene l’epimorfismo
πV : K[X1 , . . . , Xl ] ⊗ K[Y1 , . . . , Yk ] O(V ) ⊗ O(W ).
D’altra parte abbiamo l’isomorfismo (esercizio)
γ : K[X1 , . . . , Xl ] ⊗ K[Y1 , . . . , Yk ] ∼
= K[X1 , . . . , Xl , Y1 , . . . , Yk ],
P (X) ⊗ Q(X) 7→ P (X) Q(X).
Pertanto, nel diagramma commutativo (esercizio: verificare che lo è)
γ
K[X1 , . . . , Xl ] ⊗ K[Y1 , . . . , Yk ] −−−→ K[X1 , . . . , Xl , Y1 , . . . , Yk ]


π ⊗π
πV ×W
y V W
y
O(V ) ⊗ O(W )
ψ
−−−→
O(V × W )
1.2. FUNZIONI REGOLARI
37
tutte le frecce, a parte eventualmente ψ, sono suriettive; ma allora anche ψ
lo è.
Mostriamo infine che ψ è un monomorfismo, cioè ker(Ψ) = (0).
A tal fine, basta dimostrare che ker(Ψ) non contiene sottospazi vettoriali
finito-dimensionali non nulli. Dato R siffatto contenuto in ker(Ψ), siano
A ⊆ O(V ) e B ⊆ O(W ) sottospazi vettoriali finito-dimensionali tali che
A ⊗ B ⊇ R. Siano (ai ) e (bj ) basi (finite) di A e B, rispettivamente;
quindi
(ai ⊗ bj ) è una base di A ⊗ B (si noti che dim A ⊗ B = dim(A) · dim(B)).
Sia r ∈ R. Dato che r ∈ R ⊆ A ⊗ B, esistono unici cij ∈ K tali che
X
r=
cij ai ⊗ bj .
ij
Allora la condizione Ψ(r) = 0 significa
X
Ψ(r)(P, Q) =
cij ai (P ) bj (Q) = 0
ij
per ogni P ∈ V e Q ∈ W .
Fissiamo quindi Q0 ∈ W . Abbiamo per restrizione a V ∼
= V × {Q0 } che
la funzione regolare
!
X
X X
Ψ(r)(·, Q0 ) =
cij bj (Q0 ) ai =
cij bj (Q0 ) ai ∈ O(V )
ij
i
j
è identicamente
nulla. Pertanto, data l’indipendenza lineare degli
Pai , deve
P
essere j cij bj (Q0 ) = 0. Ora questo vale per ogni Q0 ∈ W , quindi j cij bj =
0 ∈ O(W ). Quindi cij = 0 per l’indipendenza lineare dei bj . In conclusione,
r = 0.
C.V.D.
In virtù delle Proposizioni 1.2.2 e 1.1.8, otteniamo
Corollario 1.2.5. Supponiamo che A e B siano K-algebre finitamente generate senza nilpotenti. Se A e B sono domini di integrità, tale è anche il
loro prodotto tensoriale A ⊗K B.
Dim. Siano V e W chiusi affini tali che A ∼
= O(V ) e B ∼
= O(W ). Allora
∼
A ⊗K B = O(V × W ).
Ora V e W sono irriducibili, dal momento che A e B sono domini di
integrità. Data la Proposizione 1.1.8, anche V × W è irriducibile e pertanto
A ⊗K B è un dominio di integrità.
C.V.D.
Esercizio 1.2.1. Generalizzare al prodotto Cartesiano di un numero finito
arbitrario di chiusi affini.
38
CAPITOLO 1. VARIETÀ AFFINI
1.3
Morfismi
Definizione 1.3.1. Sia V ⊆ Al un chiuso affine. Una funzione f : V → Ak
si dice regolare se f = (f1 , . . . , fk ), ove fi ∈ O(V ) per ogni i = 1, . . . , k.
Quindi, una funzione regolare f : V → Ak è la restrizione a V di una
funzione polinomiale F : Al → Ak .
Definizione 1.3.2. Siano V ⊆ Al e W ⊆ Ak chiusi affini. Un morfismo
f : V → W è una mappa regolare f : V → Ak la cui immagine è contenuta
in W , ossia tale che f (V ) ⊆ W .
Osservazione 1.3.1. L’esempio 1.1.4 mostra che le applicazioni polinomiali
Al → Ak sono continue per la topologia di Zariski; tale è allora qualsiasi
morfismo f : V → W , dato che topologie di Zariski su V e W sono indotte
per restrizione.
1.3.1
Morfismi di varietà e morfismi di K-algebre
Teorema 1.3.1. Sia f : V → W un morfismo di chiusi affini. Allora
g ◦ f ∈ O(V ) per ogni g ∈ O(W ).
Dim. Basta verificare che g ◦ f si estende a una funzione polinomiale
A → K.
Per definizione di funzione regolare, esistono polinomi
n
F1 , . . . , Fk ∈ K[X1 , . . . , Xn ]
tali che
f (P ) = F1 (P ), . . . , Fk (P ) ∈ W
per ogni P ∈ V . Sempre per definizione, esiste un polinomio
G ∈ K[X1 , . . . , Xk ]
tale che
g(Q) = G(Q)
per ogni Q ∈ W . La funzione H : An → K
H(P ) =: G F1 (P ), . . . , Fk (P )
(P ∈ An )
è chiaramente polinomiale. Inoltre, per ogni P ∈ V si ha F1 (P ), . . . , Fk (P ) ∈
W , quindi
H(P ) = G F1 (P ), . . . , Fk (P ) = g F1 (P ), . . . , Fk (P ) = g f (P = g ◦ f (P ).
C.V.D.
Più in generale, essenzialmente lo stesso argomento dimostra:
1.3. MORFISMI
39
Teorema 1.3.2. Siano U, V, W chiusi affini e f : U → V , g : V → W
morfismi. Allora g ◦ f : U → W è un morfismo.
Dim. Esercizio.
Quindi un morfismo f : V → W di chiusi affini induce un morfismo di
anelli di funzioni regolari
f ∗ : O(W ) → O(V ),
che chiameremo il tirato-indietro di f . Più precisamente, f ∗ è un morfismo
di K-algebre, dato che f ∗ (λ) = λ per ogni λ ∈ K. Vedremo ora che f e f ∗
sono completamente equivalenti.
Esercizio 1.3.1. Nelle ipotesi del Teorema 1.3.2, si dimostri che (g ◦ f )∗ =
f ∗ ◦ g∗.
Se P ∈ V , siano mP E O(V ) e mf (P ) E O(W ) gli ideali massimali
associati a P e f (P ). Possiamo ricostruire f da f ∗ mediante la seguente
osservazione:
Proposizione 1.3.1. Per ogni P ∈ V , si ha
mf (P ) = (f ∗ )−1 mP .
Dim. Si ha
(f ∗ )−1 mP
=
=
=
=
{F ∈ O(W ) : f ∗ (F ) ∈ mP }
{F ∈ O(W ) : F ◦ f ∈ mP }
F ∈ O(W ) : F f (P ) = 0
mf (P ) .
C.V.D.
Viceversa, dati chiusi affini V ⊆ Al e W ⊆ Ak , supponiamo dato un morfismo di K-algebre ψ : O(W ) → O(V ). Ci chiediamo se esiste un morfismo
di chiusi affini f : V → W tale che ψ = f ∗ .
Supponiamo di sapere che per ogni P ∈ V l’immagine inversa ψ −1 (mP ) è
un ideale massimale di O(W ). Allora tale ideale massimale corrisponde a un
unico punto QP ∈ W , sicchè otteniamo una mappa insiemistica f : V → W ,
P 7→ QP .
Ora dato un morfismo di anelli f : A → B e un ideale I E B, l’immagine
inversa f −1 (I) è un ideale di A e si ha un morfismo di anelli iniettivo
fI : A/f −1 (I) → B/I.
40
CAPITOLO 1. VARIETÀ AFFINI
In particolare, se I è primo allora A/f −1 (I) è un sottoanello di un dominio
di integrità, quindi è esso stesso un dominio di integrità. Pertanto, f −1 (I) è
un ideale primo di A se I è un ideale primo di B.
Tuttavia, in generale f −1 (I) non è massimale anche se tale è I. Per
esempio, sia f : Z → Q l’inclusione e sia I = (0).
Nel nostro caso, il fatto che f sia un morfismo di K-algebre ci permette
invece di concludere:
Teorema 1.3.3. Per ogni P ∈ V , ψ −1 (mP ) è un ideale massimale di O(W ).
Dim. Abbiamo visto che O(W )/ψ −1 (mP ) è (isomorfo a) un sottoanello di O(V )/mP ∼
= K; pertanto basta dimostrare che l’applicazione naturale O(W ) → O(V )/mP è suriettiva (quest’ultima è la composizione di
ψ : O(W ) → O(V ) e di evP : O(V ) → K). Infatti in tal caso si ha un
isomorfismo O(W )/ψ −1 (mP ) ∼
= O(V )/mP ∼
= K, sicchè ψ −1 (mP ) E O(W ) è
massimale.
A tal fine, basta dimostrare che la restrizione al sottoanello K ⊆ O(W ),
evP ◦ ψ ◦ V : K → O(V )/mP ∼
= K, è suriettiva. Dal momento che ψ è un
morfismo di K-algebre, ψ ◦ V = W ; quindi,
evP ◦ ψ ◦ V = evP ◦ W = idK .
Q.E.D.
Pertanto, un morfismo di K-algebre ψ : O(W ) → O(V ) induce una funzione ψb : V → W , tale che per ogni P ∈ V il trasformato f (P ) ∈ W è
univocamente determinato dalla condizione
−1
m0ψ(P
(mP ) ,
b ) = ψ
ove m0Q E O(W ) e mP E O(V ) sono gli ideali masismali associati a punti
Q ∈ W e P ∈ V , rispettivamente.
Naturalmente, ci chiediamo se ψb : V → W è un morfismo di chiusi affini.
Per rispondere a tale domanda, affrontiamo la questione in modo leggermente
diverso.
Supponiamo che W sia un chiuso affine di Ak e siano Y1 , . . . , Yk le coordinate lineari su Ak , con restrizioni yi = Yi |W . Per ogni i = 1, . . . , k, sia
αi = ψ(yi ) ∈ O(V ); definiamo quindi α : V → Ak ponendo
α = α1 , . . . , αk .
Per costruzione, α è un morfismo.
1.3. MORFISMI
41
Lemma 1.3.1. Abbiamo α(V ) ⊆ W , pertanto α è un morfismo V → W .
Dim. Sia F ∈ I(W ); dato che la restrizione K[Y1 , . . . , Yk ] → O(W ) è un
morfismo, abbiamo
F (y1 , . . . , yk ) = F (Y1 |W , . . . , Yk |W ) = F (Y1 , . . . , Yk )|W = 0.
Inoltre, dato che ψ è un morfismo, abbiamo anche
F (α1 , . . . , αk ) = F ψ(y1 ), . . . , ψ(yk ) = ψ F (y1 , . . . , yk )
per ogni F ∈ K[Y1 , . . . , Yk ].
Se p ∈ V e F ∈ I(W ), pertanto,
F α(p) = F α1 (p), . . . , αk (p)
= F ψ(y1 ), . . . , ψ(yk ) (p)
= ψ F (y1 , . . . , yk ) (p)
= ψ(0)(p) = 0.
Quindi, α(p) ∈ Z I(W ) = W per ogni p ∈ V ; restringendo il codominio
abbiamo allora una mappa regolare α : V → W .
C.V.D.
Lemma 1.3.2. α∗ = ψ.
Dim. Dal momento che α∗ e ψ sono entrambi morfismi di K-algebre, basta
verificare che coincidono sui generatori yi di O(W ). Ma questo è ovvio, dato
che per costruzione di α
ψ(yi ) = αi = Yi ◦ α = yi ◦ α = α∗ (yi ).
C.V.D.
b
Corollario 1.3.1. ψe = ψ.
Dim. Per ogni P ∈ V , abbiamo
−1
−1
(mP ) = m0ψ(P
m0ψ(P
=
ψ
(m
)
=
ψe∗
P
b )
e ).
b ) = ψ(P
e ).
Quindi, ψ(P
C.V.D.
In definitiva, abibamo dimostrato quanto segue:
42
CAPITOLO 1. VARIETÀ AFFINI
Teorema 1.3.4. Siano V e W chiusi affini. Esiste una corrispondenza biunivoca naturale f 7→ f ∗ tra i morfismi V → W e i morfismi di K-algebre
O(W ) → O(V ). Tale corrispondenza definisce un funtore controvariante tra
le categorie dei chiusi affini e delle K-algebre finitamente generate.
Si pone il problema di legare le proprietà geometriche di un morfismo
di chiusi affini alle proprietà algebriche del corrispondente morfismo di Kalgebre.
1.3.2
Morfismi dominanti
Definizione 1.3.3. Un morfismo di chiusi affini f : V → W si dice dice
dominante se f (V ) è denso in W , ossia f (V ) = W .
Osservazione 1.3.2. Sia W ⊆ An un chiuso affine e sia A ⊆ W un sottoinsieme arbitrario.
Esercizio 1.3.2. Dimostrare (usando il fatto che W è un chiuso affine) che
la chisura di Zariski di A in An coincide con la chiusura di Zarisi di A in W .
Sia
I(A) =: F ∈ K[X1 , . . . , Xn ] : F (a1 , . . . , an ) = 0 ∀ a = (a1 , . . . , an ) ∈ A ,
IW (A) =: f ∈ O(W ) : f (a) = 0, ∀ a ∈ A .
Esercizio 1.3.3. Dimostrare che I(A) E K[X1 , . . . , Xn ] e IW (A) E O(W )
sono ideali radicali.
Si rammenti che la chiusura di Zariski di A in An è A = Z I(A) .
Esercizio 1.3.4. Se
π : K[X1 , . . . , Xn ] → O(W ) ∼
= K[X1 , . . . , Xn ]/I(W )
è la proiezione, dimostrare che
IW (A) = π I(A) = I(A)/I(W ).
Se J E O(W ) è un ideale, sia
ZW (J) =: w ∈ W : f (w) = 0 ∀ f ∈ J .
il corrispondente luogo nullo in W .
1.3. MORFISMI
43
Esercizio 1.3.5. Dimostrare che
A = ZW IW (A) .
Più in generale, dato un ideale J E O(W ) si definisca
Je =: π −1 (J) E K[X1 , . . . , Xn ],
e
allora Je ⊇ I(W ) e J = J/I(W
).
Esercizio 1.3.6. Dimostrare che ZW (J) = Z Je .
Esempio 1.3.1. Un morfismo suriettivo è dominante, ma in generale non
vale il viceversa. Ad esempio, sia f : A2 → A2 dato da f (x, y) = (x, xy).
Allora f (A2 ) = A2 \ {(0, y) : y 6= 0}. Evidentemente, se F ∈ K[X, Y ] e
F (X, Y ) = 0 ogniqualvolta X 6= 0 allora F = 0. Quindi, If (A2 ) = (0) e
pertanto f (A2 ) = A2 .
Proposizione 1.3.2. Sia f : V → W un morfismo di chiusi affini. Allora
le seguenti proprietà sono equivalenti:
1. f è dominante;
2. f ∗ è iniettivo.
Prima di passare alla dimostrazione, osserviamo che
n
o
ker (f ∗ ) =
F ∈ O(W ) : F ◦ f = 0
n
o
= F ∈ O(W ) : F f (P ) = 0 ∀ P ∈ V
n
o
= F ∈ O(W ) : F (Q) = 0 ∀ Q ∈ f (V )
= If (V ) .
Dim. Se f è dominante, allora If (V ) = If (V ) = IW = (0). Quindi
ker(f ∗ ) = (0) e pertanto f è iniettiva. Viceversa, supponiamo che f ∗ sia
iniettiva, sicchè ker(f ∗ ) = (0). Allora If (V ) = (0) e quindi f (V ) = Z(0) = W ,
ossia f è dominante.
C.V.D.
Esempio 1.3.2. Nel caso dell’esempio 1.3.1, f ∗ F (X, Y ) = F (X, XY ).
Se F non contiene Y , si ha f ∗ (F ) = F . Altrimenti, se gradoY (F ) > 0 è il
massimo grado di Y in F , chiaramente gradoY (F ) = gradoY (f ∗ (F )). Quindi,
f ∗ (F ) 6= 0. Quindi, f ∗ (F ) 6= 0 se F 6= 0, ossia ker(f ∗ ) = (0).
44
CAPITOLO 1. VARIETÀ AFFINI
Esempio 1.3.3. Sia f : A2 → A2 data da (x, y) 7→ (x2 y 2 , x3 y 3 ). L’immagine di f è contenuta nel luogo x3 = y 2 , quindi f non è dominante. Si ha
f ∗ (X 3 − Y 2 ) = X 6 Y 6 − X 6 Y 6 = 0, quindi ker(f ∗ ) 6= (0).
Esempio 1.3.4. Sia C ⊆ A2 l’iperbole XY = 1. La proiezione π : C →
A1 sulla prima componente, (x, y) 7→ x, è dominante, ma non suriettiva l’immagine è A1 \ {0}. Il morfismo π ∗ : K[X] = O (A1 ) → K [X, X −1 ] =
O (C) porta F (X) ∈ K [X] in F (X) ∈ K [X, X −1 ], ossia realizza K [X] come
sottoanello di K [X, X −1 ].
Esempio 1.3.5. Siano V ⊆ Ak , W ⊆ Al chiusi affini e sia π1 : V × W → V
la proiezione sulla prima componente. Allora π1 è un morfismo, dato che è
indotta per restrizione dalla proiezione sulla prima componente π
e1 : Ak+l ∼
=
Ak × Al → Ak ; è evidente che π1 è suriettivo. Abbiamo chiaramente π ∗ f =
f , per ogni f ∈ O(V ), ove O(V ) è visto in modo naturale come sottoanello
di O(V × W ). Più esplicitamente, per ogni f ∈ O(V ) abbiamo
π ∗ (f ) = f ⊗ 1 ∈ O(V × W ) ∼
= O(V ) ⊗K O(W ).
1.3.3
Isomorfismi
Definizione 1.3.4. Un isomorfismo di chiusi affini V e W è una funzione
f : V → W soddisfacente le seguenti condizioni:
• f è un morfismo;
• f è biunivoca;
• la funzione inversa f −1 : W → V è un morfismo.
Proposizione 1.3.3. Sia f : V → W un morfismo di chiusi affini. Le
seguenti condizioni sono equivalenti:
1. f è un isomorfismo;
2. f ∗ è un isomorfismo di K-algebre.
Dim. Supponiamo che f sia un isomorfismo, quindi (f −1 ) ◦ f = idV ,
f ◦ (f −1 ) = idW . Allora
∗
∗
f ∗ ◦ f −1 = f −1 ◦ f = id∗V = idO(V )
e
f −1
∗
◦ f ∗ = f ◦ f −1
∗
= id∗W = idO(W ) ,
1.3. MORFISMI
45
sicchè f ∗ è un isomorfismo di K-algebre, e
∗
f −1 = (f ∗ )−1 .
Viceversa, se f ∗ è un isomorfismo di K-algebre, sia g = (f ∗ )−1 . Sia
h : W → V l’unico morfismo di chiusi affini tale che g = h∗ . Vogliamo
dimostrare che h = f −1 .
Se V è chiuso in An , siano x1 , . . . , xn ∈ O(V ) le restrizioni a V delle
funzioni coordinate X1 , . . . , Xn su An . Quindi, per ogni P ∈ An si ha
P = X1 (P ), . . . , Xn (P ) = x1 (P ), . . . , xn (P ) .
Dato che f ∗ ◦ g = idO(V ) per ogni j = 1, . . . , n si ha xj = f ∗ ◦ g(xj ), sicchè
per ogni P ∈ V concludiamo
xj (P ) = f ∗ ◦ g(xj ) (P )
∗
∗
= (f ◦ h )(xj ) (P )
= (h ◦ f )∗ (xj ) (P )
= xj ◦ (h ◦ f )(P )
= xj h f (P ) .
Quindi, dal momento che h f (P
)
e P hanno le stesse coordinate, essi sono
lo stesso punto di An : h f (P ) = P . Questo vale per ogni P ∈ V , quindi
h ◦ f = idV .
Allo stesso modo, si ha f ◦ h = idW , quindi h = f −1 .
C.V.D.
Definizione 1.3.5. Due chiusi affini V ⊆ Ak e W ⊆ Al si dicono isomorfi se
esiste un isomorfismo f : V → W .
Corollario 1.3.2. Due chiusi affini V W sono isomorfi se e solo se esiste
un isomorfismo di K-algebre O(V ) ∼
= O(W ).
Esempio 1.3.6. Sia C ⊆ A2 l’iperbole XY = 1. Se x, y ∈ O(C) sono le
funzioni indotte da X e Y per restrizione, allora xy = 1 in O(C); quindi
O(C) contiene elementi invertibili non constanti (cioè non in K). Quindi
O(C) K[X] come K-algebre, pertanto C A1 come chiusi affini.
Esempio 1.3.7. Consideriamo per k = 0, 1, 2, . . . il chiuso affine C : Y −
X k = 0. Abbiamo i morfismi
ψ : C → A1 , (x, y) 7→ x,
46
CAPITOLO 1. VARIETÀ AFFINI
ϕ : A1 → C,
x 7→ x, xk ;
chiaramente ψ = ϕ−1 , onde C ∼
= A1 .
A livello di K-algebre, O(C) = K[X, Y ]/ Y − X k , e l’isomorfismo
indot
∗
k
∼
to ψ : K[X] = O(C) è P (X) 7→ [P (X)] ∈ K[X, Y ]/ Y − X , ove K[X] è
visto in modo naturale come sottoanello di K[X,
Y ]. Nella
direzioneopposta,
∗
∼
l’isomorfismo inverso ϕ : O(C) = K[X] è P (X, Y ) 7→ P X, X k . Si noti
che tale morfismo è ben posto perchè P è definito a meno di un polinomio
multiplo di Y − X k .
Esempio 1.3.8. La curva algebrica piana C =: Z (X 2 − Y 3 ) non è isomorfa
ad A1 . Per assurdo, sia infatti dato un isomorfismo f : A1 → C; componendo
con un opportuna traslazione in A1 , possiamo supporre f (0) = (0, 0). Ora
f ∗ è un isomorfismo di K-algebre O(C) ∼
= K[T ]; siano
P (T ) =: f ∗ (x), Q(T ) =: f ∗ (y) ∈ K[T ],
ove x = X|C e y = Y |C . Dato che x2 = y 3 , si ha P (T )2 = Q(T )3 , dal che
si deduce (esercizio) che P (T ) = λ A(T )3 , Q(T ) = µ A(T )2 , ove λ, µ ∈ K
soddisfano λ2 = µ3 e A ∈ K[T ] è un polinomio monico. Dato che f porta
origine in origine, deve essere
(T ) = IA1 {0} = f ∗ IC {(0, 0)} = f ∗ (x, y) = P (T ), Q(T ) .
Quindi, esistono F, G ∈ K[T ] tali che
T = F (T ) P (T ) + G(T ) Q(T )
= λ A(T )3 F (T ) + µ A(T )2 G(T )
= A(T )2 [λ A(T ) F (T ) + µ A(T ) G(T )] .
Ne discende che A(T ) = 1 e quindi che f è costante, assurdo.
1.3.4
Inserzioni
Definizione 1.3.6. Un morfismo f : V → W di chiusi affini si dice un’inserzione di V in W , o semplicemente un’inserzione, o anche un embedding,
se valgono le seguenti condizione:
1. f (V ) ⊆ W è un chiuso affine;
2. il morfismo indotto per restrizione del codominio, f 0 : V → f (V ), è un
isomorfismo di chiusi affini.
1.3. MORFISMI
47
Esempio 1.3.9. Sia W un chiuso affine e sia V ⊆ W un chiuso affine in
esso contenuto. Allora l’inclusione  : V → W è ovviamente un’inserzione e
∗ : O(W ) → O(V ) identifica O(V ) con il quoziente O(W )/I, ove I E O(W )
è l’ideale radicale di V in W .
Proposizione 1.3.4. Sia f : V → W un morfismo di chiusi affini. Le
seguenti condizioni sono equivalenti:
1. f è un inserzione;
2. f ∗ è suriettiva (ossia, un epimorfismo di K-algebre).
Osservazione 1.3.3. La Proposizione 1.3.4 è l’interpetazione geometrica
della passaggio al quoziente in un morfismo di K-algebre: se ϕ : A → B è
un epimorfismo, il nucleo I =: ker(f ) è un ideale e ϕ induce per passaggio al
quoziente un isomorfismo ϕ : A = A/I → B.
Dim. Supponiamo che f sia un’inserzione. Sia V 0 =: f (V ) e sia  : V 0 →
W l’inserzione inclusione di V 0 in W . Per ipotesi f =  ◦ f 0 .
Se I =: IW (V 0 ) E O(W ) è l’ideale radicale di V 0 in W , allora ∗ : O(W ) →
O(V 0 ) è la restrizione di funzioni, quindi un epimorfismo con nucleo I. Dato
che f = ◦f 0 , si ha f ∗ = (f 0 )∗ ◦∗ ; poichè ∗ è suriettiva e (f 0 )∗ un isomorfismo,
f ∗ è un epimorfismo con nucleo I.
Viceversa, sia f ∗ un epimorfismo. Dato che O(V ) non ha elementi nilpotenti, il nucleo I =: ker(f ∗ ) E O(W ) è un ideale radicale. Pertanto,
V 0 =: ZW (I) è un chiuso affine contenuto in W e con anello delle funzioni regolari O(V 0 ) ∼
= O(W )/I. Se  : V 0 → W è l’inclusione, allora ∗ è la
proiezione O(W ) → O(W )/I.
Dato che per ogni F ∈ I = ker(f ∗ ) e ogni v ∈ V abbiamo
F f (v) = F ◦ f (v) = f ∗ (F )(v) = 0,
si ha f (V ) ⊆ V 0 . Restringendo il codominio, ricaviamo un morfismo f 0 : V →
V 0 di chiusi affini, tale che f =  ◦ f 0 . Allora evidentemente (f 0 )∗ = ψ, ove
ψ : O(V 0 ) = O(W )/I → O(V ) è l’isomorfismo indotto da f ∗ per passaggio
al quoziente, cosı̀ che f 0 è un isomorfismo di chiusi affini. Per costruzione,
f ∗ = ψ ◦ ∗ = (f 0 )∗ ◦ ∗ , quindi f è un’inserzione.
C.V.D.
Esempio 1.3.10. Se fe : A1 → A2 è data da fe(x) = x, xk , si ha fe∗ F (X, Y ) =
F X, X k ; in particolare, fe∗ F (X) = F (X), quindi fe∗ è un epimorfismo
e pertanto fe è un’inserzione. È evidente che l’immagine di fe è la parabola
48
CAPITOLO 1. VARIETÀ AFFINI
generalizzata Y = X k ; quindi fe induce un isomorfismo f : A1 → C e la
proiezione C → A1 sulla
componente è un morfismo inverso a f .
prima
∗
e
In particolare, ker f = I(C) = Y − X k . Verifichiamolo direttamen te. Sia F (X, Y ) ∈ ker fe∗ , cosı̀ che F X, X k = 0. Intepretiamo F (X, Y )
come un elemento di K(X)[Y ], l’anello dei polinomi in una variabile Y a
coefficienti nel campo K(X). L’ipotesi è quindi che X k ∈ K(X) sia una radice di F (X, Y ), pertanto per il Teorema di Ruffini Y − X k divide F (X, Y )
in K(X)[Y ]. In altre parole, vale una relazione della forma
!
l
X
A
(X)
i
Yi ,
F (X, Y ) = Y − X k
B
(X)
i
i=0
ove Ai , Bi ∈ K[X]
e Bi 6= 0 per ogni i. Moltiplichiamo entrambi i membri
Q
per B(X) =: li=0 Bi (X); ricaviamo
B(X) F (X, Y ) = Y − X k A(X, Y ),
ove ora tutti i fattori coinvolti sono in K[X, Y ]. Quindi, il polinomio irriducibile Y − X k divide il prodotto B(X) F (X, Y ); dato che non può dividere
B(X) (che non contiene Y ), deve allora dividere F (X, Y ) (alternativamente,
avremo potuto invocare il Teorema degli Zeri).
Esempio 1.3.11. Sia g : A1 → A2 data da g(t) = (t2 , t3 ). Supponiamo
g(t) = g(u). Allora t2 = u2 e t3 = u3 = t2 u implicano t2 (t − u) = 0. Se fosse
t 6= u per la legge di cancellazione in K avremmo t = 0 e quindi u2 = 0 ossia
t = u = 0, assurdo. Ne segue che g è iniettiva.
Inoltre l’immagine di g è il chiuso affine C ⊆ A2 definito dalla condizione
3
X = Y 2 . È chiaro infatti che (t2 , t3 ) ∈ C per ogni t e che g(0) = 0. Se poi
(x, y) ∈ C \ {0} allora x 6= 0; allora si verifica subito che (x, y) = g(y/x).
Tuttavia, g non è un’inserzione di chiusi affini. Per vederlo, si osservi che
per F (X, Y ) ∈ K[X, Y ] e f = [F ] ∈ O(C) = K[X, Y ]/ (Y 2 − X 3 ) si ha
g ∗ f = F T 2 , T 3 ∈ K[T ].
Peranto l’immagine di g ∗ è il sottoanello di K[T ] dato dai polinomi con termine omogeneo di grado uno nullo
(ossia la cui derivata si annulla nell’origine).
∗
In particolare, T 6∈ g O(C) .
Esempio 1.3.12. Sia h : A1 → A2 data da h(t) = (t2 − 1, t (t2 − 1)). Allora
h(1) = h(−1) = 0; in particolare, h non è un’inserzione. Supponiamo poi
h(t) = h(u) con t 6= ±1. Si ha u2 − 1 = t2 − 1 6= 0, quindi t (t2 − 1) =
u (u2 − 1) = u (t2 − 1) implica t = u. Pertanto, h è iniettiva su A1 \ {±1}.
1.3. MORFISMI
49
Affermo che l’immagine di h è precisamente il luogo descritto dal’equazione Y 2 − (X 2 + X 3 ) = 0. Innanzitutto, è facile verificare che per ogni t ∈ K
si ha h(t) ∈ C. Viceversa, se (x, y) ∈ C con x 6= 0 si verifica subito che
(x, y) = e
h(y/x). Ne segue che ker (h∗ ) = I(C) = (Y 2 − (X 2 + X 3 )).
Quindi, il morfismo indotto h0 : A1 → C è suriettivo, pertanto dominante,
e (h0 )∗ : O(C) = K[X, Y ]/I(C) → K[X] è iniettivo, ma non suriettivo:
altrimenti h0 sarebbe un isomorfismo e h sarebbe un’inserzione.
Precisamente, l’immagine di (h0 )∗ (che coincide ovviamente con l’immagine di h∗ ) consiste dei polinomi della forma P (X) = F (X 2 − 1, X (X 2 − 1)),
al variare di F (X, Y ) ∈ K[X, Y ]. Questi sono tutti e soli i polinomi della
forma
P (X) = c + X 2 − 1 Q(X)
(1.2)
con c costante e Q(X) ∈ K[X]. Infatti da una parte è evidente che ogni
F (X 2 − 1, X (X 2 − 1)) può scriversi in questo modo. D’altra parte, se
X
F (X, Y ) =
fij X i Y j ,
ij
allora
X
i+j j
F X 2 − 1, X X 2 − 1 =
fij X 2 − 1
X ,
ij
k
quindi l’imagine di h∗ contiene tutti i monomi della forma (X 2 − 1) X l co
k ≥ l. Abbiamo tuttavia
X 2 X 2 − 1 = X 2 − 1 X 2 − 1 + X 2 − 1 ∈ h∗ K[X, Y ] ,
X3 X2 − 1 = X X2 X2 − 1
= X X2 − 1 X2 − 1 + X X2 − 1
2
= X X 2 − 1 + X X 2 − 1 ∈ h∗ K[X, Y ] ;
più in generale, per ogni k ≥ 2 si ha
X k X 2 − 1 = X k−2 X 2 X 2 − 1
= X k−2 X 2 − 1 X 2 − 1 + X k−2 X 2 − 1
2
= X k−2 X 2 − 1 + X k−2 X 2 − 1 ,
dal che segue facilmente per induzione che l’immagine di h∗ contiene tutti i
monomi divisibili per X 2 − 1.
Ora ogni polinomio come in (1.2) soddisfa evidentemente P (1) = P (−1).
Viceversa, se P (1) = P (−1) = c, allora P (X) − c ha due radici in ±1, sicchè
è divisibile per X 2 − 1. Quindi l’immagine di h∗ consiste del sottoanello
A ⊆ K[X] dei polinomi P (X) tali che P (1) = P (−1).
50
CAPITOLO 1. VARIETÀ AFFINI
Diamo un’ulteriore illustrazione della corrispondenza tra le proprietà geometriche dei morfismi di chiusi affini e le proprietà algebriche dei corrispondenti morfismi di K-algebre.
Dato un morfismo di anelli h : A → B e un ideale I E B, il morfismo
indotto per passaggio al quoziente A/h−1 (I) → B/I è iniettivo, quindi realizza A/h−1 (I) come sottonanello di B/I. Se B/I non ha elementi nilpotenti,
nemmeno può averne A/h−1 (I); quindi h−1 (I) è un ideale radicale se tale è
I. Applicando ciò a f ∗ : O(W ) → O(V ), ricaviamo che (f ∗ )−1 IV (R) è un
ideale radicale di O(W ), per ogni chiuso affine R ⊆ V . Più precisamente:
Proposizione 1.3.5. Siano V e W chiusi affini e f : V → W un morfismo.
Siano R ⊆ V un chiuso e IV (R) E O(V ) il rispettivo ideale radicale. Allora
(f ∗ )−1 IV (R) E O(V ) è l’ideale radicale della chiusura
f (R) ⊆ W.
Dim. Abbiamo
∗ −1
(f )
n
o
∗
IV (R) =
g ∈ O(W ) : f (g) ∈ IV (R)
n
o
=
g ∈ O(W ) : g ◦ f (r) = 0 ∀ r ∈ R
n
o
=
g ∈ O(W ) : g(w) = 0 ∀ w ∈ f (R)
= IW f (R)
= IW f (R)
C.V.D.
Esercizio 1.3.7. Dimostrare che, in generale, f (R) non è un chiuso di W .
Corollario 1.3.3. Siano V e W chiusi affini, R ⊆ V e S ⊆ W chiusi
affini in essi contenuti (ossia, sottoinsiemi Zariski-chiusi di V e W ). Siano
IV (R) E O(V ) e IW (S) E O(W ) i rispettivi ideali radicali. Sia f : V → W
un morfismo di chiusi affini. Allora le seguenti proprietà sono equivalenti:
1. f (R) ⊆ S;
2. (f ∗ )−1 IV (R) ⊇ IW (S).
3. IV (R) ⊇ f ∗ IW (S) .
1.3. MORFISMI
51
Dim. Evidentemente 2. e 3. sono equivalenti. D’altra parte, dal momento
che S è un chiuso affine si ha
f (R) ⊆ S ⇔ f (R) ⊆ S
⇔ IW f (R) ⊇ IW (S)
⇔ (f ∗ )−1 IV (R) ⊇ IW (S).
C.V.D.
Osservazione 1.3.4. Avremmo
IV (R) ⊇ f ∗ IW (S) ⇔
⇔
⇔
⇔
⇔
⇔
anche potuto ragionare direttamente:
f ∗ (h) ∈ IV (R) ∀ h ∈ IW (S)
f ∗ (h)(r) = 0 ∀r ∈ R, ∀ h ∈ IW (S)
h f (r) = 0 ∀r ∈ R, ∀ h ∈ IW (S)
f (r) ∈ ZW IW (S) ∀r ∈ R
f (r) ∈ S ∀r ∈ R
f (R) ⊆ S.
Prima di venire al prossimo enunciato, premettiamo un’osservazione. Dato un morfismo h : A → B di anelli, in generale l’immagine h(I) ⊆ B di un
ideale I E A non è un ideale di B (esempio, A = Q[X], I = (X), B = R[X]
e h l’inclusione). La saturazione di I in B (mediante h) è P
l’ideale h(I) · B
generato da h(I), ossia l’insieme di tutte le somme finite i h(ai ) · bi con
ai ∈ I e bi ∈ I. Se {ai }i∈I è un sistema di generatori di I in A da, allora
{h(ai )}i∈I è un sistema di generatori di h(I) · B in B.
Proposizione 1.3.6. Siano V e W chiusi affini, S ⊆ W un chiuso di Zariski
di W con ideale radicale IW (S) E O(W ), f : V → W un morfismo di chiusi
affini. Allora l’immagine inversa f −1 (S) ⊆ V è un chiuso di Zariski,
con
∗
ideale radicale il radicale della saturazione in O(V ) di f IW (S) . In altre
parole,
q
IV f −1 (S) = f ∗ IW (S) · O(V ).
Dim. Un morfismo di chiusi affini è continuo (Osservazione 1.3.1). Pertanto, f −1 (S) è Zariski-chiuso in V . Siano g1 , . . . , gk ∈ O(W ) generatori per
IW (S). Quindi, se w ∈ W allora w ∈ S se e solo se gi (w) = 0 per ogni
i; pertanto, se v ∈ V allora v ∈ f −1 (S) se e solo se f (v) ∈ S se e solo se
gi ◦ f (v) = 0 per ogni i se e solo se f ∗ (gi )(v) = 0 per ogni i. Ne discende che
l’ideale
I =: (f ∗ (g1 ), . . . , f ∗ (gk )) E O(V )
52
CAPITOLO 1. VARIETÀ AFFINI
definisce S insiemisticamente, sicchè
√
IV f −1 (S) = I.
Ma chiaramente I = f ∗ IW (S) · O(V ).
C.V.D.
Esercizio 1.3.8. Riformulare la dimostrazione del Corollario 1.3.3 come
segue. Data la Proposizione 1.3.6, si ha
f (R) ⊆ S ⇔ R ⊆ f −1 (S)
⇔ IV (R) ⊇ IV f −1 (S)
q
⇔ IV (R) ⊇ ϕ IW (S) · O(V ).
Dimostrare che in effetti
q
IV (R) ⊇ ϕ IW (S) · O(V ) ⇔ IV (R) ⊇ ϕ IW (S) .
Osservazione 1.3.5. Dimostriamo direttamente l’equivalenza di 2. e 1.
usando la corrispondenza biunivoca tra punti di un chiuso affine e ideali
massimali della K-algebra associata. Per v ∈ V e w ∈ W siano mr E O(V ) e
nw E O(W ) i corrispondenti ideali massimali, cosı̀ che ϕ−1 (mv ) = nf (v) , per
ogni v ∈ V .
Per il Teorema degli Zeri, un ideale radicale di O(V ) o O(W ) è l’intersezione degli ideali massimali che lo contengono; pertanto
!
\
ϕ−1 I(R) = ϕ−1
mr
r∈R
=
\
ϕ−1 mr
r∈R
=
\
nf (r) .
r∈R
Pertanto,
f (R) ⊆ S ⇔ f (r) ∈ S, ∀ r ∈ R
⇔ nf (r) ⊇ S, ∀ r ∈ R
\
⇔
nf (r) ⊇ S
r∈R
−1
⇔ ϕ
I(R) ⊇ I(S).
1.4. FUNZIONI RAZIONALI
1.4
53
Funzioni razionali
Definizione 1.4.1. Sia V ⊆ An un chiuso affine irriducibile (cosı̀ che la Kalgebra O(V ) è un dominio di integrità). Denoteremo con K(V ) il campo
delle frazioni di O(V ) e lo chiameremo il campo delle funzioni razionali di
V . Gli elementi di K(V ) verranno detti funzioni razionali su V .
Osservazione 1.4.1. Essendo il campo delle frazioni di una K-algebra finitamente generata, K(V ) è un’estensione finitamente generata di K.
Esplicitamente, nelle ipotesi della Definizione siano X1 , . . . , Xn le coordinate
lineari su Ak e poniamo xi =: Xi |V . Allora ogni elemento di O(V ) ha la
forma G(x1 , . . . , xn ), con G ∈ K[X1 , , . . . , Xn ]. Quindi K(X) è l’insieme dei
quozienti
F (x1 , . . . , xn )
G(x1 , . . . , xn )
con F, G ∈ K[X1 , , . . . , Xn ] e G(x1 , . . . , xn ) 6= 0 in O(V ). In altri termini,
K(V ) = K(x1 , . . . , xn ). In particolare, K(V ) ha grado di trascendenza finito
su K, dato dal massimo numero di xi algebricamente indipendenti.
Osservazione 1.4.2. Segue immediatamente dalla definizione che il campo
delle funzioni razionali è intrinseco rispetto alla relazione di isomorfismo:
ogni isomorfismo ϕ : V → W induce un isomorfismi ϕ∗ : O(W ) → O(V ),
quindi un isomorfismo ϕ∗ : K(W ) → K(V ).
In altre parole, una funzione razionale su V è una frazione h = f /g con
f, g ∈ O(V ) e g 6= 0. In generale, tale rappresentazione non è unica, anche
una volta eliminati eventuali fattori comuni a f e g.
Esempio 1.4.1. Sia C = Z(X 3 − Y 2 ) ⊆ A2 . Siano x, y ∈ O(C) le funzioni
indotte da X, Y ∈ K[X, Y ] e definiamo h =: x/y. Allora h = y/x2 .
Esempio 1.4.2. Sia C ⊆ A2 il ‘cerchio’ affine definito da X 2 +Y 2 = 1. Siano
x, y ∈ O(C) le funzioni indotte da X, Y ∈ K[X, Y ] e definiamo h =: (1−y)/x.
Allora
(1 − y)x
(1 − y)x
x
1−y
=
=
=
.
h=
2
2
x
x
1−y
1+y
Una funzione razionale non definisce, in generale, una funzione V → K,
ma se h = f /g allora certamente h induce una ben definita funzione V → K
sull’aperto principale U g = {P : g(P ) 6= 0}. In generale, tuttavia, può
essere possibile scrivere h = f /g e h = f 0 /g 0 per diverse coppie di funzioni
0
f, g e f 0 , g 0 in O(V ), e può capitare che U g ∪ U g contenga propriamente
0
sia U g che U g ; dal momento che, per definizione di campo dei quozienti di
54
CAPITOLO 1. VARIETÀ AFFINI
0
un dominio di integrità, f (P )/g(P ) = f 0 (P )/g 0 (P ) per ogni P ∈ U g ∩ U g ,
0
risulta ben definita una funzione U g ∪ U g → K. Quindi, h induce una ben
definita funzione Reg(h) → K, ove Reg(h) ⊆ V denota l’unione di tutti
gli aperti affini principali U g , al variare delle possibili rappresentazioni di h
come frazione h = f /g, g 6= 0. Chiameremo Reg(h) il dominio di definizione,
o luogo regolare, di h. Chiameremo luogo singolare di h il complementare
Sing(h) =: V \ Reg(h).
Definizione 1.4.2. Siano V un chiuso affine irriducibile, p ∈ V e h ∈ K(V ).
Diremo che h è regolare in P se P ∈ Reg(h), ossia se h = f /g con f, g ∈ O(V )
e g(P ) 6= 0. Dato U ⊆ V aperto, diremo che h ∈ K(V ) è regolare su U se è
regolare in ogni p ∈ U (ossia se U ⊆ Reg(h)).
Esempio 1.4.3. Tornando all’esempio 1.4.2, chiaramente
Reg(h) ⊇ U x ∪ U 1+y = U 1+y = (x, y) ∈ C : (x, 1 + y) 6= (0, 0) .
c
c
Quindi, Sing(h) ⊆ (U x )c ∩ (U 1+y ) = (U 1+y ) = (0, −1) . Si noti che al
momento non abbiamo eliminato la possibilità che Sing(h) = ∅.
Esempio 1.4.4. Sia D ⊆ A2 la curva irriducibile definita dall’equazione
X 3 − Y 2 = 0. Siano x, y ∈ O(D) le funzioni indotte da X, Y ∈ K[X, Y ] e
definiamo g = y/x ∈ K(V ). Chiaramente, il luogo singolare
di g è contenuto
in {(0, 0)}. Affermo che g 6∈ O(D), ossia che Sing(g) = (0, 0)}.
Supponiamo per assurdo che g ∈ O(D), ossia che esista R(X, Y ) ∈
K[X, Y ] che si restringe a g su D. Quindi,
y
= R(x, y) ⇒ y = x R(x, y),
x
per ogni (x, y) ∈ D con x 6= 0, quindi ovunque su D. Pertanto,
Y − X R(X, Y ) ∈ I(D) = X 3 − Y 2 ,
sicchè esiste S(X, Y ) ∈ K[X, Y ] tale per cui
Y = X R(X, Y ) + X 3 − Y 2 S(X, Y ).
Ricaviamo
Y 1 + Y S(X, Y ) = X R(X, Y ) + X 2 S(X, Y ) ,
onde X divide 1 + Y S(X, Y ), assurdo.
Dato che poi
y x3
x2
x
y
= · 2 =
=x· ,
x
x y
y
y
concludiamo anche che x/y 6∈ O(D).
1.4. FUNZIONI RAZIONALI
55
Lemma 1.4.1. Sia V un chiuso affine irriducibile e sia r ∈ K(V ). Allora il
luogo
p ∈ Reg(r) : r(p) 6= 0
è aperto in V .
Dim. Sia p ∈ Reg(r), r(p) 6= 0. Allora esistono h, g ∈ O(V ) tali che r =
f /g, g(p) 6= 0 (dato che p ∈ Reg(r)) e f (p) 6= 0 (dato che r(p) = h(p)/g(p) 6=
0). Chiaramente, il luogo in questione contiente allora l’intersezione U g ∩
U f = U f g , un intorno aperto di p.
C.V.D.
Corollario 1.4.1. Nelle ipotesi precedenti, supponiamo che r(p) = 0 per ogni
p in un sottoinsieme aperto non vuoto A di Reg(r). Allora r = 0.
Dim. Se fosse r 6= 0, avremmo r = f /g con f, g ∈ O(V ) entrambi 6= 0.
Quindi, il luogo in Reg(r) ove r 6= 0 conterrebbe l’aperto non vuoto U f g .
Tale aperto è denso in V dato che V è irriducibile, tuttavia per l’ipotesi
U f g ∩ A = ∅, assurdo.
C.V.D.
Corollario 1.4.2. Nelle ipotesi precedenti, supponiamo che r1 , r2 ∈ K(V )
e che r1 (p) = r2 (p) per ogni p in un sottoinsieme aperto non vuoto A di
Reg(r1 ) ∩ Reg(r2 ). Allora r1 = r2 .
Una funzione razionale ovunque regolare è una funzione regolare:
Teorema 1.4.1. Sia V un chiuso affine irriducibile. Sia r ∈ K(V ) tale che
Reg(r) = V . Allora r ∈ O(V ).
Dim. Per ipotesi, per ogni v ∈ V esistono fv , gv ∈ O(V ) tali che r = fv /gv
e gv (v) 6= 0. Sia U gv ⊆ V l’aperto affine principale ove gv 6= 0; quindi v ∈ U gv
e {U gv }v∈V è un ricoprimento aperto di V . Per la quasi-compattezza di V ,
esistono allora v1 , . . . , vk ∈ V tali che
V = U gv1 ∪ · · · ∪ U gvk .
Perciò gv1 , . . . , gvk ∈ O(V ) non hanno zeri comuni in V ; per il Teorema degli
Zeri generalizzato,
gv1 , . . . , gvk = O(V ).
Esistono cosı̀ hv1 , . . . , hvk ∈ O(V ) tali che
1 = hv1 gv1 + · · · + hvk gvk .
56
CAPITOLO 1. VARIETÀ AFFINI
Dato che V è irriducibile, l’intersezione
e =: U gv1 ∩ · · · ∩ U gvk
U
è un sottoinsieme aperto denso di V .
e , abbiamo r(p) = fv (p)/gv (p) per ogni i, sicchè
Per ogni p ∈ U
i
i
r(p) = 1 · r(p)
!
k
X
=
hvi (p) gvi (p) · r(p)
=
=
i=1
k
X
hvi (p) gvi (p)
i=1
k
X
fvi (p)
gvi (p)
hvi (p) fvi (p).
i=1
Quindi, r =
Pk
i=1
e , onde
hvi fvi sull’aperto non vuoto U
r=
k
X
hvi fvi ∈ O(V ).
i=1
C.V.D.
Definizione 1.4.3. Nelle ipotesi precedenti, se U ⊆ V è aperto O(U ) ⊆
K(V ) è il sottoanello delle funzioni razionali regolari su U .
Dato il Teorema 1.4.1, la Definizione è coerente con quella usata in
precedenza nel caso U = V .
Siano U 0 ⊆ U aperti non vuoti di V . Allora una funzione regolare su U è
ovviamente anche regolare su U 0 , sicchè O(U ) ⊆ O (U 0 ).
Corollario 1.4.3. Sia U ⊆ V un aperto e sia r ∈ K(V ) tale che U ⊆ Reg(r).
Allora la mappa indotta rU : U → K è continua.
Dim. Applicando il Lemma 1.4.1 a r −λ, concludiamo che per ogni λ ∈ K
il luogo in U ove r 6= λ è aperto. Dato che ogni aperto di Zariski di K è il
complementare di un sottoinsieme finito, concludiamo che l’immagine inversa
di un aperto di K mediante rU è un’intersezione finita di aperti, quindi un
aperto.
C.V.D.
Più in generale, possiamo caratterizzare gli anelli delle funzioni regolari
sugli aperti affini principali. Se V è un chiuso affine e s ∈ O(V ), s 6= 0, allora
1.4. FUNZIONI RAZIONALI
57
sk 6= 0 per ogni intero k ≥ 0. Pertanto, la collezione Ms =: sk k≥0 delle
potenze di s forma un sistema moltiplicativo; possiamo quindi considerare il
modulo delle frazioni O(V )s ⊆ K(V ) di O(V ) rispetto a Ms . Esplicitamente,
O(V )s =
f
: f ∈ O(V ), r ≥ 0 .
sr
Teorema 1.4.2. Sia V un chiuso affine e sia s ∈ O(V ), s 6= 0. Sia U s =
{P ∈ V : s(P ) 6= 0}. Allora O (U s ) = O(V )s .
Dim. Chiaramente, ogni elemento di O(V )s è regolare in U s , dato che
s(p) 6= 0 per ogni p ∈ U s ; quindi, O(V )s ⊆ O (U s ).
Viceversa, se r ∈ O (U s ) per ogni v ∈ U s esistono fv , gv ∈ O(V ) tali che
r = fv /gv e gv (v) 6= 0. Per v ∈ V sia U gv ⊆ V l’aperto affine principale ove
gv 6= 0; quindi
[
Us ⊆
U gv .
p∈U s
Per la quasi-compattezza di U s , esistono v1 , . . . , vk ∈ U s tali che
s
U ⊆
k
[
U gvi .
i=1
Passando ai complementari,
Z(s) ⊇
k
\
Z(gvi ) = Z(gv1 , . . . , gvk ).
i=1
Per il Teorema degli Zeri generalizzato, si ha
sl ∈ (gv1 , . . . , gvk )
per qualche intero positivo l. Pertanto esistono hv1 , . . . , hvk ∈ O(V ) tali che
sl = hv1 gv1 + · · · + hvk gvk .
Dato che V è irriducibile, l’intersezione
b =: U s ∩ U gv1 ∩ · · · ∩ U gvk
U
è un aperto denso di V , contenuto in Reg(r).
58
CAPITOLO 1. VARIETÀ AFFINI
b , abbiamo r(p) = fv (p)/gv (p) per ogni i, sicchè
Per ogni p ∈ U
i
i
!
k
X
s(p)l r(p) =
hvi (p) gvi (p) · r(p)
=
=
i=1
k
X
hvi (p) gvi (p)
i=1
k
X
fvi (p)
gvi (p)
hvi (p) fvi (p).
i=1
Quindi, r =
P
k
i=1
b , quindi su V . Cosı̀
hvi fvi /sl su U
k
1 X
r= l
hv fv ∈ O(V )s .
s i=1 i i
C.V.D.
Esempio 1.4.5. Per il Teorema,
O A1 \ {0} = O U T ∼
= K T, T −1 .
Il caso di A2 \ {0} è ben diverso; per inciso, A2 \ {0} non è un aperto
affine principale di A2 .
Precisamente, dal momento che K[X, Y ] è un dominio a fattorizzazione
unica, ogni R ∈ K (A2 ) = K (X, Y ) non nulla si può scrivere in modo unico
a meno di fattori scalari 6= 0 nella forma R(X, Y ) = P (X, Y )/Q(X, Y ), ove
P, Q ∈ K[X, Y ] sono primi tra loro (esercizio). Quindi,
Reg(R) = U Q = {Q 6= 0} ⇒ Sing(R) = Z(Q).
Quindi Sing(R) = Z(Q) contiene infiniti punti se Q non è costante, ossia se
R non è regolare. In particolare, non esiste R ∈ K(X, Y ) regolare su A2 \ {0}
ma non su A2 : una funzione regolare su A2 \ {0} è regolare su A2 . Cosı̀,
l’inclusione
resA2 ,A2 \{0} : O A2 → O A2 \ {0}
è un isomorfismo.
Un morfismo f : V → W di chiusi affini è associato in modo funtoriale a
un morfismo di K-algebre f ∗ : O(W ) → O(V ). Esiste un analogo per i campi
delle funzioni razionali? In generale, un morfismo di chiusi affini irriducibili
f : V → W non induce un morfismo di campi di funzioni razionali: se
1.4. FUNZIONI RAZIONALI
59
f (V ) ⊆ Z, ove Z ⊆ W è un chiuso di Zariski, allora f ∗ (g) = 0 per ogni
g ∈ I(Z), cosı̀ non esiste f ∗ (1/g).
Possiamo tuttavia estendere f ∗ a un morfismo di K-algebre da un’ opportuna sottoalgebra, massimale rispetto a tale proprietà, di K(W ) verso K(V ).
Algebricamente, sia ϕ : A → B un morfismo di domini di integrità. Quindi
I =: ker(ϕ) E A è un ideale primo, dato che il quoziente A/I è isomorfo a
un sottoanello di B. Sia S(I) = I c ; quindi a, a0 ∈ S(I) ⇒ aa0 ∈ S(I), ossia
S(I) è un sistema moltiplicativo in A. Ne discende che
na
o
0
AS(I) =:
:
a
∈
6
I
a0
è un sottonanello del campo delle frazioni di A, Frac(A). Il morfismo ϕ si
estende a un morfismo
ϕ : AS(I) → Frac(B)
definito ponendo ϕ(a/a0 ) = ϕ(a)/ϕ(a0 ).
Nel caso A = O(W ), B = O(V ), ϕ = f ∗ abbiamo I = ker f (V ) =
ker f (V ) e f ∗ si estende alla sottoalgebra di K(W ) data dalle funzioni
razionali g/g 0 con g 0 non identicamente nulla su f (V ).
In particolare, un morfismo di domini di integrità ϕ : A → B si estende
a un morfismo dei corrispondenti campi di frazioni se e soltanto se esso è
iniettivo (nel caso I = (0), S(I) = A \ {0} e quindi AS(I) = Frac(A)). La
condizione da imporre su f affinchè f ∗ si estenda a un morfismo di campi
K(W ) → K(V ) è allora che f ∗ sia iniettiva, ossia che f sia dominante.
Esercizio 1.4.1. Siano V, W, U chiusi affini e siano f : V → W e g : W → U
morfismi dominanti; allora g ◦ f è dominante e (g ◦ f )∗ = f ∗ ◦ g ∗ : K(U ) →
K(V ).
Esempio 1.4.6. Nella situazione dell’esempio 1.4.4, avremmo potuto argomentare come segue. Sia g : A1 → D il morfismo suriettivo, quindi dominante, g(t) =: (t2 , t3 ). Chiaramente, g ∗ (y/x) = T ∈ O (A1 ), quindi se fosse
y/x ∈ O(D) il morfismo di K-algebre g ∗ : O(D) → K[T ] = O (A1 ) sarebbe
suriettivo (dimostrare). Ma ciò è assurdo (Esempio 1.3.11).
Esempio 1.4.7. Consideriamo la curva affine irriducibile
C =: Z Y 2 − (X 2 + X 3 ) ⊆ A2 .
Siano x, y ∈ O(C) le funzioni regolari indotte da X, Y ∈ K[X, Y ]. Definiamo
r = y/x ∈ K(C). Affermo che r 6∈ O(C), ossia che Sing(r) 6= ∅. Ovviamente
allora Sing(r) = {(0, 0)}.
60
CAPITOLO 1. VARIETÀ AFFINI
Supponiamo infatti per assurdo che sia r ∈ O(C). Ciò significa che esiste
R(X, Y ) ∈ K[X, Y ] che induce r per restrizione, ossia tale che
R(xp , yp ) =
yp
xp
per ogni p = (xp , yp ) ∈ C con xp 6= 0. Pertanto, xp R(xp , yp ) = yp per
ogni p ∈ C con xp 6= 0, sicchè la funzione regolare x R(x, y) − y ∈ O(C) si
annulla sull’aperto non vuoto di C ove x 6= 0; per l’irriducbilità tale aperto è denso in C e quindi x R(x, y) − y = 0 in O(C). Dato che O(C) =
K[X, Y ]/ (Y 2 − (X 2 + X 3 )), ciò significa che esiste Q(X, Y ) ∈ K[X, Y ] tale
che
X R(X, Y ) = Y + Y 2 − (X 2 + X 3 ) Q(X, Y ),
sicchè
h
i
X R(X, Y ) + X + X 2 Q(X, Y ) = Y 1 + Y Q(X, Y ) .
Dato che K[X, Y ] è un dominio a fattorizzazione unica e X e Y sono relativamente primi, ciò implica che X divide il polinomio 1 + Y Q(X, Y ),
assurdo.
Alternativamente, avremmo potuto usare la discussione dell’esempio 1.3.12.
Se infattir fosse regolare, la funzione T = h∗ (r) apparterrebbe all’immagine
h∗ O(C) ⊆ K[T ], assurdo.
Ogni funzione razionale su V è indotta da una funzione razionale su An .
Se infatti f = [F ], g = [G] ∈ O(V ) = K[X]/I(V ) allora
H = F/G ∈ K (An ) = K(X)
definisce una funzione U G → K, che si restringe alla funzione U g = U G ∩V →
K indotta da h. È evidente che Reg(h) = Reg(H) ∩ V e che la funzione
Reg(h) → K indotta da h è la restrizione della funzione Reg(H) → K indotta
da H.
Questa descrizione estrinseca può essere precisata come segue: l’insieme
delle funzioni razionali sul chiuso affine irriducibile V ⊆ An è il campo residuo di un’opportuno anello locale. Innanzitutto, dal momento che V è
irriducibile, l’ideale radicale I(V ) E K[X] è primo, quindi se S(V ) =: I(V )c
allora
G(X), G0 (X) ∈ S(V ) ⇒ G(X) G0 (X) ∈ S(V ).
In altre parole, l’insieme S(V ) dei polinomi in X = (X1 , . . . , Xn ) che non
si annullano identicamente su V è un sistema moltiplicativo. Pertanto, possiamo costruire il corrispondente anello di frazioni, ossia il sottoanello di
1.4. FUNZIONI RAZIONALI
61
K(X) dato dalle frazioni F/G con G 6∈ I(V ). Questo è la localizzazione K[X]V =: K[X]S(V ) , e risulta un anello locale Noetheriano, con ideale
massimale la saturazione di I(V ):
mV =: I(V ) · K[X]S(V ) .
In altre parole, mV consiste di tutte le frazioni F/G con F ∈ I(V ) e G 6∈ I(V ).
Si noti che K[X]V ⊆ K(X) è il sottoanello delle funzioni razionali il cui
dominio di definizione interseca V , e che quindi inducono per restrizione una
funzione razionale su V . L’ideale massimale mV consiste di quelle funzioni
razionali in K[X]V che inducono la funzione razionale nulla su V .
Definizione 1.4.4. Il campo residuo di un anello locale (A, m) è il quoziente
K(A) =: A/m.
Quindi il campo residuo di K[X]V è il quoziente K K[X]V = K[X]V /mV .
Proposizione 1.4.1. Esiste un isomorfismo naturale di campi
K[X]V /mV ∼
= K(V ).
Dim. In effetti, esiste chiaramente un morfismo di anelli suriettivo
K[X]V → K(V ),
F/G 7→ [F ]/[G],
ed è evidente che il nucleo è proprio mV .
C.V.D.
Riassumento, possiamo costruire il campo delle funzioni razionali K(V )
del chiuso affine V ⊆ An nei due seguenti modi:
A1 Consideriamo l’ideale primo I(V ) E K[X1 , . . . , Xn ];
A2 Costruiamo la K-algebra O(V ) = K[X1 , . . . , Xn ]/I(V );
A3 K(V ) =: Frac O(V ) .
Se partiamo da A2, tale costruzione è intrinseca, ossia dipende solo dalla
classe di isomorfismo di V .
B1 Consideriamo il sistema moltiplicativo S(V ) = S I(V ) E K[X1 , . . . , Xn ]
dato dai polinomi che non si annullano identicamente su V ;
B2 Costruiamo la localizzazione K[X1 , . . . , Xn ]V =: K[X1 , . . . , Xn ]S(V ) di
K[X1 , . . . , Xn ] in S(V ), ossia il sottonanello di K(X1 , . . . , Xn ) dato dalle frazioni F/G con G ∈ S(V ) (cioè si invertono solo i polinomi non
identicamente nulli su V ).
62
CAPITOLO 1. VARIETÀ AFFINI
B3 Constatatiamo che K[X1 , . . . , Xn ]V è un anello locale, con ideale massimale
F
: F ∈ I(V ), G 6∈ I(V ) .
mV =
G
B4 Costruiamone il campo residuo,
K(V ) =: K[X1 , . . . , Xn ]V /mV .
1.4.1
Mappe razionali tra chiusi affini
In generale, una funzione razionale r ∈ K(V ) sul chiuso affine irriducibile
V non è ovunque definita; tuttavia, essa induce una ben definita funzione
a valori in K sull’aperto non vuoto Reg(f ) ⊆ V . Si denota una funzione
razionale su V con r : V − −− > K.
Possiamo definire funzioni razionali a valori in qualsiasi chiuso affine, ma
ancora non si tratta di funzioni propriamente dette. Più precisamente:
Definizione 1.4.5. Sia V ⊆ Ak un chiuso affine irriducibile. Una mappa
razionale f : V −− > Al è una l-upla ordinata f = (r1 , . . . , rl ) con ri ∈ K(V ).
l
Tl Se f = (r1 , . . . , rl ) : V − − > A è una mappa razionale, Reg(f ) =:
i=1 Reg(ri ) è un aperto denso di V , in quanto intersezione finita di tali; f
induce una ben definita funzione f : Reg(f ) → Al .
Definizione 1.4.6. Siano V ⊆ Ak e W ⊆ Al chiusi affini con V irriducibile.
Una mappa razionale f : V −− > W è una mappa razionale f : V −−− > Al
tale che f (v) ∈ W per ogni v ∈ Reg(f ).
Esercizio 1.4.2. Siano f : V − − > W funzioni razionali con V irriducibile.
Supponiamo f (p) = g(p) per ogni p in un aperto non vuoto di Reg(f ) ∩
Reg(g). Dimostrare che allora f = g.
Lo spazio delle funzioni razionali V − − > W è un chiuso affine nello
spazio affine AlK(V ) (K(V ) non è, in generale, algebricamente chiuso, ma la
nozione di chiuso affine ha comunque senso). Dato che K(V ) è un’estensione
di K, un polinomio a coefficienti in K è anche un polinomio a coefficienti
in K(V ) (K[X1 , . . . , Xl ] è un sottoanello di K(V )[X1 , . . . , Xl ]). Sia I(W ) E
K[X1 , . . . , Xl ] l’ideale radicale di W in Al e sia
]) =: I(W ) · K(V )[X1 , . . . , Xl ]
I(W
la sua saturazione in K(V )[X1 , . . . , Xl ]. Se I(W ) è generato da F1 , . . . , Fn ∈
]) è generato da F1 , . . . , Fn in K(V )[X1 , . . . , Xl ].
K[X1 , . . . , Xl ], allora I(W
Una mappa razionale f = (r1 , . . . , rl ) : V − − > Al è un elemento dello
spazio affine AlK(V ) .
1.4. FUNZIONI RAZIONALI
63
Proposizione 1.4.2. Sia f = (r1 , . . . , rl ) : V −− > Al una mappa razionale,
e sia W ⊆ Al un chiuso affine con ideale radicale I(W ). Allora le seguenti
affermazioni sono equivalenti:
1. f : V − − > W è una mappa razionale in W ;
]) .
2. f ∈ Z I(W
Dim. f è una mappa razionale V − − > W se e solo se f (v) ∈ W per
ogni v ∈ Reg(f ), ossia se e solo se Fi f (v) = 0 per ogni i = 1, . . . , n e
v ∈ Reg(V ). Ora,
Fi f (v) = 0 ∀i, ∀v ∈ Reg(f ) ⇔ Fi r1 (v), . . . , rl (v) = 0 ∀i, ∀v ∈ Reg(f )
⇔ Fi r1 , . . . , rl (v) = 0, ∀i, ∀v ∈ Reg(f )
⇔ Fi r1 , . . . , rl = 0 ∀i
]) .
⇔ (r1 , . . . , rl ) ∈ Z I(W
C.V.D.
Definizione 1.4.7. Sia f = (r1 , . . . , rl ) : V −−− > W una mappa razionale;
diremo immagine di f il luogo f Reg(f ) ⊆ W . Diremo che f è dominante
se la sua immagine è densa in W , ossia f Reg(f ) = W .
Quando non è un morfismo, f non induce un morfismo O(W ) → O(V ).
Per esempio, se V = W = A1 e f (X) = 1/X, f ∗ (X) = 1/X 6∈ O (A1 ). Tuttavia f definisce un morfismo f ∗ : O(W ) → K(V ), iniettivo se f è dominante.
Solo in questo caso, f ∗ si estende a un morfismo di campi f ∗ : K(W ) → K(V ).
Più precisamente, siano V ⊆ Ak e W ⊆ Al chiusi affini irriducibili e sia
l
data f : V − − > W . Se W è chiuso
Tl in A , abbiamo f = (r1 , . . . , rl ), per
certe ri ∈ K(V ). Quindi Reg(f ) = i=1 Reg(ri ) e f induce una ben definita
funzione f : Reg(f ) → W .
Sia h ∈ O(W ) e sia H ∈ K[Y1 , . . . , Yl ] tale che h = H|W , ossia h =
H(y1 , . . . , yl ), ove yi =: Yi |W . Allora la funzione composta h◦f : Reg(f ) → K
è
h ◦ f (v) = H y1 f (v) , . . . , yl f (v) = H(r1 , . . . , rl )(v) (v ∈ V ).
Ora H(r1 , . . . , rl ) ∈ O Reg(f ) ⊆ K(V ).
Riaulta quindi ben definito un morfismo
f ∗ : O(W ) → K(V ),
h = H(y1 , . . . , yl ) 7→ H(r1 , . . . , rl ).
64
CAPITOLO 1. VARIETÀ AFFINI
Esercizio 1.4.3. Dimostrare che f ∗ è effettivamente ben definito, ossia indipendente dalla rappresentazione
dih come restrizione di un polinomio H
]
(si ricordi che (r1 , . . . , rl ) ∈ Z I(W ) ).
Abbiamo il seguente analogo del Teorema 1.3.4:
Teorema 1.4.3. Siano V e W chiusi affini irriducibili. Esiste una corrispondenza biunivoca naturale f 7→ f ∗ tra le mappe razionali V − − > W e i
morfismi di K-algebre O(W ) → K(V ).
Dim. Supponiamo che W sia un chiuso affine in Al . Se Xi sono le
coordinate lineari su Al , sia xi =: Xi |W , cosı̀ che gli xi sono generatori della
K-algebra O(W ).
Se f = (r1 , . . . , rl ) : V − − > W , abbiamo già visto che f induce un
morfismo di K-algebre O(W ) → K(V ). In effetti, h ∈ O(W ) è indotta da
un polinomio H(X1 , . . . , Xl ) ∈ K[X1 , . . . , Xl ], si ha H r1 , . . . , rl ∈ K(V );
]). Quindi è ben definito
inoltre, H r1 , . . . , rl = 0 per ogni H ∈ I(W ) ⊆ I(W
per passaggio al quoziente un morfismo f ∗ : O(W ) → K(V ).
Viceversa, dato α : O(W ) → K(V ), sia ri = α(xi ), i = 1, . . . , l; allora
f =: (r1 , . . . , rl ) : V − − > Al è una mappa razionale. Se F ∈ I(W ), allora
F (x1 , . . . , xl ) = 0 e pertanto F (r1 , . . . , rl ) = 0, dato che α è un morfismo di
K-algebre. Quindi, f : V − −− > W per restrizione del codominio. Dato
che f ∗ (xi ) = ri = α(xi ), f ∗ = α.
C.V.D.
Esercizio 1.4.4. Completare i dettagli della dimostrazione.
Esercizio 1.4.5. Qual’è (se esiste) la più grande sottoalgebra S ⊆ K(W )
tale che f ∗ si estende a un morfismo S → K(V )?
Se f è dominante, f ∗ : O(W ) → K(V ) è un monomorfismo (esercizio), quindi si estende a un morfismo di campi f ∗ : K(W ) → K(V ) su
K. Esplicitamente, se s = a/b ∈ K(W ), ove a, b ∈ O(V ) e b 6= 0, allora
f ∗ (s) = f ∗ (a)/f ∗ (b).
Abbiamo:
Teorema 1.4.4. Siano V e W chiusi affini irriducibili. Esiste una corrispondenza biunivoca naturale f 7→ f ∗ tra le mappe V − − > W razionali dominanti, i monomorfismi O(W ) → K(V ) di K-algebre e i morfismi
K(W ) → K(V ) di estensioni di K.
Dim. Esercizio.
1.4. FUNZIONI RAZIONALI
65
Definizione 1.4.8. Se ϕ : V − − > W è una mappa razionale e S ⊆ W ,
l’imagine inversa di S mediante ϕ è l’insieme dei punti del luogo regolare che
si mappano in S mediante ϕ:
ϕ−1 (S) =: {v ∈ Reg(ϕ) : ϕ(v) ∈ S} .
Proposizione 1.4.3. Sia ϕ : V −− > W una mappa razionale dominante di
chiusi affini irriducibili e sia ϕ∗ : K(W ) → K(V ) il corrispondente morfismo
di campi di funzioni razionali. Allora per ogni s ∈ K(W ) si ha
Reg (ϕ∗ (s)) ⊇ ϕ−1 Reg(s) .
Dim. Sia s = f /g, ove f, g ∈ O(W ) e g 6= 0. Supponiamo W ⊆ Al e
f = F |W , g = G|W , con F, G ∈ K[X1 , . . . , Xl ]. Se ϕ = (ϕ1 , . . . , ϕl ), allora
ϕ∗ (s) = F (ϕ1 , . . . , ϕl )/G(ϕ1 , . . . , ϕl )
è regolare ove sono regolari le ϕi e G(ϕ1 , . . . , ϕl ) 6= 0.
C.V.D.
Esempio 1.4.8. In generale, l’inclusione può essere stretta; per esempio, se
f : A1 → A1 è data da f (X) = 1/X e s(X) = 1/X, allora f ∗ (s) = X.
Esempio 1.4.9. Consideriamo la mappa razionale f : A1 − − > A2 data da
2
2X
X −1
,−
.
f (X) =:
X2 + 1 X2 + 1
Si verifica subito che per ogni t ∈ A1 tale che t2 + 1 6= 0 si ha f (t) ∈ C,
ove C è il ‘cerchio’ X 2 + Y 2 − 1 = 0. Quindi, col solito abuso di linguaggio,
f : A1 − − > C. Cosı̀ intesa, tale mappa razionale
è dominante: infatti, se
(x, y) ∈ C, x 6= 1, allora (x, y) = g y/(x − 1) .
Sia h ∈ K(C) la funzione razionale definita da h = (1 − y)/x = x/(1 + y);
abbiamo visto che il luogo singolare di h è contenuto in {(0, −1)}. Dal
momento che h(1) = (0, −1), se tale luogo fosse vuoto, ossia se h fosse una
funzione regolare su C, f ∗ (h) sarebbe regolare in 1. Abbiamo ora
f ∗ (h)(X) =
X +1
.
X −1
Si noti che tale rappresentazione è essenzialmente unica, dato che K[X]
è un dominio a fattorizzazione unica. Quindi, 1 ∈ Sing (f ∗ (h)), dal che
concludiamo che
Sing(h) = {(0, −1)}.
66
CAPITOLO 1. VARIETÀ AFFINI
Il tirato-indietro (pull-back ) di una funzione razionale mediante una mappa razionale dominante si generalizza chiaramente alla composizione di funzioni razionali. Precisamente, se f : V −− > W e g : W −− > T sono mappe
razionali di chiusi affini irriducibili, di cui f dominante; allora è definita la
composizione g ◦ f : V − − > T . Precisamente, se T ⊆ Aa e g = (s1 , . . . , sa ),
si ∈ K(V ), allora
g ◦ f =: (s1 ◦ f, · · · , sa ◦ f ) = (f ∗ (s1 ), . . . , f ∗ (sa )) .
(1.3)
La (1.3) è proprio una definizione, dal momento che g e f non sono funzioni nel senso ordinario e quindi il simbolo di composizione va usato con
cautela. Tuttavia, su un aperto denso di V , g ◦ f è effettivamente una composizione di funzioni nel senso ordinario. Infatti, vale il seguente analogo
della Proposizione 1.4.3:
Proposizione 1.4.4. Siano f : V −− > W e g : W −− > T mappe razionali
con f dominante. Allora
Reg(g ◦ f ) ⊇ f −1 Reg(g) .
Dim. Basta applicare la Proposizione 1.4.3 a ciascuna componente di g.
I dettagli sono lasciati come esercizio.
C.V.D.
Osservazione 1.4.3. Il fatto che una funzione razionale non è ovunque
definita nel senso ordinario porta a qualche ambiguità operando
composizioni. Per esempio, la funzione razionale h = 1/X ∈ K A1 ha luogo singolare {0}, quindi la composizione di funzioni 1/X ◦ 1/X è definita solo su A1 \ {0}, e quivi coincide con l’identità idA1 \{0} . D’altra parte,
1/X ◦ 1/X = (1/X)∗ (1/X) = X nel senso del Teorema 1.4.4 e della (1.3).
Quindi
1/X ◦ 1/X = idA1
come composizione di funzioni razionali. Manipolando funzioni razionali sarà
sempre questo il senso da assegnare al simbolo di composizione.
Esercizio 1.4.6. Dimostrare che nelle ipotesi precedenti si ha (g ◦ f )∗ =
f ∗ ◦ g ∗ (basta verificarlo su un aperto denso ove la composizione è definita
nel senso ordinario).
Se sostituiamo i morfismi con le mappe razionali, la nozione di isomorfismo viene sostituita da quella di isomorfismo birazionale.
1.4. FUNZIONI RAZIONALI
67
Definizione 1.4.9. Siano V e W chiusi affini irriducibili e supponiamo date
mappe razionali dominanti ϕ : V − − > W e ψ : W − − > V tali che
ψ ◦ ϕ = idV , ϕ ◦ ψ = idW . Diremo allora che ϕ : V − − > W è un
isomorfismo birazionale (ovviamente, allora anche ψ : W − − > V è un
isomorfismo birazionale). Se esiste un isomorfismo birazionale V − − > W ,
diremo che V e W sono birazionali, o birazionalmente isomorfi. Se un chiuso
affine V è birazionale allo spazio affine An per qualche n, diremo che V è
razionale.
Più esplicitamente, nella situazione della Definizione 1.4.9, ϕ e ψ soddisfano:
1. ϕ è dominante, ossia ϕ Reg(ϕ) è denso in W ;
2. ψ è dominante, ossia ψ Reg(ψ) è denso in V ;
3. sia V 0 = ϕ−1 Reg(ψ) (un aperto denso di V ); allora ψ ◦ ϕ = idV 0 nel
senso ordinario della composizione di funzioni;
4. sia W 0 = ψ −1 Reg(ϕ) (un aperto denso di W ); allora ϕ ◦ ψ = idW 0 nel
senso ordinario.
Esempio 1.4.10. La curva affine C : X 3 − Y 2 = 0 è razionale. Infatti le
mappe razionali
f : A1 → C, t 7→ t2 , t3 ,
y
x
sono l’una l’inversa dell’altra. Tuttavia y/x non è una funzione regolare
(Esempio 1.4.4), quindi f e g non sono isomorfismi. In effetti, C non è
isomorfo ad A1 (Esempio 1.3.8)
g : C − − > A1 , (x, y) 7→
Esempio 1.4.11. Nella situazione dell’Esempio 1.4.9, le mappe f : A1 → C
e g : C − − > A1 data da g(x, y) = y/x − 1 sono l’una l’inversa dell’altra,
quindi equivalenze birazionali.
Esercizio 1.4.7. Dimostrare che più in generale una conica irriducibile C ⊆
A2 è razionale; qui una conica è una curva piana definita da un polinomio
di grado due. Si osservi innanzitutto che traslando nell’origine possiamo
supporre che l’equazione della conica sia Y 2 +(α X +β) Y +(γ X 2 + δ X) = 0,
ove α, β, γ ∈ R. Quindi si ponga Y = tX per cercare una parametrizzazione
in t, f : A1 − − > C, con funzione inversa g = y/x : C − − > A1 . Quale
intepretazione geometrica potete dare?
68
CAPITOLO 1. VARIETÀ AFFINI
Esempio 1.4.12. La curva affine definita dall’equazione X 3 + Y 3 − 1 = 0 è
irriducibile (esercizio) e non è razionale. Supponiamo infatti che esista una
mappa birazionale dominante f : A1 − − > C, che avrà la forma
P (T ) Q(T )
,
,
f (T ) =
R(T ) R(T )
per certi P, Q, R ∈ K[T ] soddisfacenti
P (T )3 + Q(T )3 − R(T )3 = 0.
(1.4)
Dalla relazione precedente segue immediatamente che possiamo supporre
P, Q, R primi a due a due, dato che se ad esempio P e Q avessero un fattore
in comune allora anche R dovrebbe averlo.
Inoltre, dato che f è dominante, si verifica immediatamente che P e Q
non possono essere identicamente nulli (altrimenti, se ad esempio P = 0, f
prenderebbe valori nel sottoinsieme finito dei punti (0, y) con y 3 = 1 - e anzi
sarebbe costante).
Allo stesso modo, si verifica che al di fuori di un sottoinsieme finito di A1
la matrice 2 × 3 in
P Q −R
P 0 Q0 −R0
ha rango due. Altrimenti, per ogni t ∈ A1 i vettori riga della matrice sarebbero linearmente dipendenti, pertanto avremmo P (t) Q0 (t) = P 0 (t) Q(t),
eccetera, per infiniti t ∈ K, ossia P (T ) Q0 (T ) = P 0 (T ) Q(T ), eccetera, in
K[X]. Ma la prima relazione implica, ad esempio, che P divide P 0 , assurdo
a meno che P 0 = 0 ossia P sia costante. In tal caso avremmo allora anche
Q0 = 0, quindi anche Q0 è costante e pertanto anche R lo è; ma allora f è la
funzione costante, pertanto non può essere dominante.
Derivando la (1.4), otteniamo
h
i
3 P (T )2 P 0 (T ) + Q(T )2 Q0 (T ) − R(T )2 R0 (T ) = 0,
e le due relazioni possono essere riassunte nell’equazione matriciale
 2 
P
P Q −R

Q2  = 0.
P 0 Q0 −R0
R2
Ove la matrice ha rango due,

 
P (t)2
 Q(t)2  , 
R(t)2
concludiamo allora che i due vettori

Q(t) R0 (t) − Q0 (t) R0 (t)
P 0 (t) R(t) − P (t) R0 (t) 
P (t) Q0 (t) − P 0 (t) R(t)
(1.5)
1.4. FUNZIONI RAZIONALI
69
sono linearmente dipendenti. In luce delle considerazioni precedenti, deduciamo le uguaglianze in K[T ]
P (T )2 P 0 (T ) R(T ) − P (T ) R0 (T ) = Q(T )2 Q(T ) R0 (T ) − Q0 (T ) R0 (T ) ,
eccetera. Quindi, P (T )2 divide Q(T ) R0 (T ) − Q0 (T ) R(T ), e cosı̀ via. Ma se
ad esempio supponiamo grado(P ) ≥ grado(Q) ≥ grado(R), abbiamo
0
0
grado Q(T ) R (T ) − Q (T ) R(T ) ≤ 2 grado(P ) − 1 < 2 grado(P ),
quindi deve essere Q(T ) R0 (T ) − Q0 (T ) R(T ) = 0. Di nuovo, concludiamo che
Q divide Q0 , a meno che R = 0, assurdo.
Esercizio 1.4.8. Estendere il risultato precedente alla curva C : X n + Y n −
1 = 0 per ogni n ≥ 3.
Due chiusi affini sono isomorfi se e solo se le corrispondenti K-algebre di
funzioni regolari sono isomorfe.
Qual’è la caratterizzazione algebrica dell’equivalenza birazionale? Dato che l’equivalenza birazionale è un indebolimento dell’isomorfismo, anche
la corrispondente condizione algebrica dovrà essere un indebolimento della
condizione che O(V ) e O(W ) siano K-algebre isomorfe.
Ora se il dominio di integrità B è una K-algebra, il campo delle frazioni
di B è un’estensione di K; se inoltre due domini A e B sono K-algebre
isomorfe, anche i rispettivi campi delle frazioni sono isomorfi su K. Quindi,
se O(V ) ∼
= O(W ) come K-algebra, allora K(V ) ∼
= K(W ) come estensioni di
K.
Più in generale,
Teorema 1.4.5. Siano V e W chiusi affini irriducibili. Allora le seguenti
condizioni sono equivalenti:
1. V e W sono birazionalmente equivalenti;
2. K(V ) ∼
= K(W ) come estensioni di K.
Dim. Sia ϕ : V − − > W un’equivalenza birazionale e sia ψ : W − − > V
l’equivalenza birazionale inversa. Siano V 0 ⊆ V e W 0 ⊆ W come nella
Definizione 1.4.9.
Sia r ∈ K(W ). Per ogni p ∈ W 0 , abbiamo
ψ ∗ ◦ ϕ∗ (r)(p) = r ϕ ◦ ψ(p) = r(p),
quindi, dato che W 0 è un aperto denso di W , abbiamo ψ ∗ ◦ ϕ∗ (r) = r.
70
CAPITOLO 1. VARIETÀ AFFINI
Analogamente ϕ∗ ◦ ψ ∗ (s) = s, ∀ s ∈ K(V ).
Pertanto, i morfismi di campo indotti ϕ∗ : K(W ) → K(V ) e ψ ∗ : K(V ) →
K(W ) soddisfano ϕ∗ ◦ ψ ∗ = idK(W ) , ψ ∗ ◦ ϕ∗ = idK(V ) , quindi sono isomorfismi.
Inoltre, è evidente che se vediamo K come sottocampo di K(V ) e K(W ) nel
modo naturale, allora ϕ∗ (λ) = λ, ψ ∗ (λ) = λ per ogni λ ∈ K, sicchè ϕ∗ e ψ ∗
sono isomorfismi di estensioni di K. Cosı̀ 1) implica 2).
Viceversa, sia α : K(W ) → K(V ) un isomorfismo di estensioni di K e sia
β = α−1 .
Se W è un chiuso
affine di Ak , siano T1 , . . . , Tk le coordinate lineari su Ak
(quindi, O Ak = K[T1 , . . . , Tk ]) e siano t1 , . . . , tk le corrispondenti funzioni
regolari indotte su W . Poniamo ri =: α(ti ) per i = 1, . . . , k e definiamo
ϕ =: (r1 , . . . , rk ) : V − − > Ak .
Per ogni F ∈ I(W ), abbiamo F (t1 , . . . , tk ) = 0; essendo α un morfismo
di campi su K, abbiamo
0 = α F (t1 , . . . , tk ) = F α(t1 ), . . . , α(tk ) = F (r1 , . . . , rk ).
Quindi ϕ prende valori in W ove definita, ossia ϕ : V −− > W . Chiaramente,
ϕ∗ (ti ) = ri = α(ti ) per costruzione; due morfismi di campi che si accordano
su dei generatori sono uguali, ossia ϕ∗ = α.
Necessariamente, ϕ è dominante. Se cosı̀ non fosse, infatti, esisterebbe
un polinomio F 6∈ I(W ) che si annulla sull’immagine di ϕ, ossia tale che
F (r1 , . . . , rk ) = 0; dato che α è un isomorfismo di estensioni, avremmo anche
F (t1 , . . . , tk ) = 0, ossia F ∈ I(W ), assurdo.
Allo stesso modo, costruiamo ψ : W −− > V mappa razionale dominante
tale che β = ψ ∗ .
A questo punto, ψ ∗ ◦ ϕ∗ = β ◦ α = idK(W ) e ϕ∗ ◦ ψ ∗ = α ◦ β = idK(V ) ;
quindi (nel senso delle mappe razionali) ϕ◦ψ = idW e ψ ◦ϕ = idV (esercizio).
C.V.D.
Esempio 1.4.13. Sia C = Z(XY −1) ⊆ A2 . Allora ϕ : C → A1 , (x, y) 7→ x,
è un morfismo birazionale, con equivalenza birazionale inversa
ψ = (X, 1/X) : A1 − − > C.
Tuttavia ϕ non è un isomorfismo (Esempio 1.3.6); in effetti, Sing(ψ) = {0}.
Prima di venire al prossimo Teorema, ricordiamo che se L ⊆ F è un’estensione di campi, allora
• f ∈ F si dice separabile su L se soddisfa un polinomio a coefficienti in
L privo di radici multiple.
1.4. FUNZIONI RAZIONALI
71
• F si dice separabile su L se ogni elemento di F è separabile su L.
• Sia F = K(x1 , . . . , xl ) un’estensione finitamente generata di un campo
K; diremo che F è un’estensione separabilmente generata di K se esiste
una base di trascendenza (t1 , . . . , tr ) di F su K (quindi, r è il grado di
trascendenza di F su K) tale che F è separabile su K(t1 , . . . , tr ).
Osservazione 1.4.4. Ogni estensione algebrica è separabile in caratteristica
zero. In particolare, ogni estensione finitamente generata di C è separabilmente generata.
In caratteristica arbitraria, vale comunque il seguente Teorema:
Teorema 1.4.6. Ogni estensione finitamente generata di un campo algebricamente chiuso è separabilmente generata.
In altre parole, se K è algebricamente chiuso e se F = K(x1 , . . . , xl )
è un’estensione finitamente generata di K, allora esistono t1 , . . . , tr ∈ F
algebricamente indipendenti su K tali che
F ⊇ K(t1 , . . . , tr ) ∼
= K(X1 , . . . , Xr )
è un’estensione algebrica separabile. Pertanto F è algebrico e finitamente
generato su K(t1 , . . . , tr ), quindi F ⊇ K(t1 , . . . , tr ) è un’estensione separabile
finita.
Ricordiamo il Teorema dell’elemento primitivo di Abel:
Teorema 1.4.7. Sia L ⊆ F un estensione separabile finita. Allora esiste
α ∈ F tale che F = L[α].
Un α siffatto si dice elemento primitivo di F su L. Ovviamente, dato che
α è algebrico su L si ha L[α] = L(α). In definitiva, nelle ipotesi precedenti,
abbiamo
F = K(t1 , . . . , tr )[α]
per un certo α.
In particolare, dato un chiuso affine irriducibile V il campo K(V ) è un’estensione finitamente generata, quindi separabilmente generata, del campo
base K. Quindi ricaviamo:
Corollario 1.4.4. Sia V un chiuso affine sul campo algebricamente chiuso
K. Allora esistono z1 , . . . , zt , zt+1 ∈ K(V ) tali che:
• z1 , . . . , zt sono algebricamente indipendenti su K:
K(z1 , . . . , zt ) ∼
= K(Z1 , . . . , Zt ),
ove le Zi sono indeterminate;
72
CAPITOLO 1. VARIETÀ AFFINI
• zt+1 è algebrico su K(z1 , . . . , zt ) e K(V ) = K(z1 , . . . , zt )[zt+1 ].
Chiaramente, (z1 , . . . , zt ) è una base di trascendenza di K(V ) e t è il grado
di trascendenza di K(V ).
Proposizione 1.4.5. Sia I E K[Z1 , . . . , Zt , Zt+1 ] l’ideale dei polinomi tali
che
F (z1 , . . . , zt , zt+1 ) = 0.
Allora valgono le seguenti affermazioni.
1. I è un ideale primo.
2. I è un ideale principale.
3. Sia F un generatore di I e si veda K[Z1 , . . . , Zt , Zt+1 ] come un sottoanello di K(Z1 , . . . , Zt )[Zt+1 ]. Come polinomio in K(Z1 , . . . , Zt )[Zt+1 ],
F è, a meno di un multiplo scalare λ ∈ K \ {0}, il polinomio minimo
di zt+1 su K(z1 , . . . , zt ) ∼
= K(Z1 , . . . , Zt ).
Nel seguito, lasciamo implicito l’isomorfismo K(z1 , . . . , zt ) ∼
= K(Z1 , . . . , Zt ).
Dim. Consideriamo l’applicazione
ψ : K[Z1 , . . . , Zt , Zt+1 ] → K(V )
data da
F (Z1 , . . . , Zt , Zt+1 ) 7→ F (z1 , . . . , zt , zt+1 ).
Dato che il codominio è un campo, l’immagine è un dominio di integrità e
quindi I = ker(ψ) è un ideale primo.
Analogamente, consideriamo il morfismo ψe : K(Z1 , . . . , Zt )[Zt+1 ) → K(V )
dato dalla valutazione in (z1 , . . . , zt , zt+1 ). Esplicitamente,
ψe :
X Ak (Z1 , . . . , Zt )
k
Bk (Z1 , . . . , Zt )
k
· Zt+1
7→
X Ak (z1 , . . . , zt )
k
Bk (z1 , . . . , zt )
k
· zt+1
;
qui Ak , Bk ∈ K[Z1 , . . . , Zt ], gli Ak sono quasi tutti nulli e ogni Bk 6= 0. Dato
che (z1 , . . . , zt ) sono algebricamente indipendenti, Bk (z1 , . . . , zt ) 6= 0 e quindi
ψe è ben definito.
Pertanto,
Ie =: ker ψe E K(Z1 , . . . , Zt )[Zt+1 ]
è un ideale primo.
1.4. FUNZIONI RAZIONALI
73
Quindi, attraverso l’isomorfismo K(Z1 , . . . , Zt ) ∼
= K(z1 , . . . , zt ), Ie è l’ideale dei polinomi a coefficienti nel campo K(Z1 , . . . , Zt ) che si annullano in
zt+1 , ossia tali che
F (z1 , . . . , zt , zt+1 ) = 0.
Tale ideale è non nullo perchè zt+1 è algebrico su K(z1 , . . . , zt ). Chiaramente,
I = Ie ∩ K[Z1 , . . . , Zt , Zt+1 ].
Poichè K(Z1 , . . . , Zt )[Zt+1 ] è un dominio a ideali principali, esiste
Fe ∈ K(Z1 , . . . , Zt )[Zt+1 ]
e ossia tale che Ie = Fe . In particolare, Fe è irriducibile ed ha
che genera I,
grado positivo s in Zt+1 .
Possiamo scrivere
Fe(Zt+1 ) =
s
X
Ak (Z1 , . . . , Zt )
k=0
Bk (Z1 , . . . , Zt )
k
Zt+1
per certi Ak , Bk ∈ K[Z1 , . . . , Zt ] con Bk 6= 0. Poniamo
B =:
s
Y
Bk ∈ K[Z1 , . . . , Zt ];
k=0
allora
F =: B · Fe ∈ K[Z1 , . . . , Zt , Zt+1 ]
e dal momento che B è invertibile in K(Z1 , . . . , Zt ) abbiamo anche Ie = (F ).
Per costruzione, F è irriducibile in K(Z1 , . . . , Zt )[Zt+1 ]. Affermo che in
realtà possiamo modificare F in modo che sia irriducibile anche nel sottoanello K[Z1 , . . . , Zt , Zt+1 ].
In effetti, supponiamo che F non sia già irriducibile in K[Z1 , . . . , Zt , Zt+1 ].
Quindi esistono F1 , F2 ∈ K[Z1 , . . . , Zt , Zt+1 ] di grado positivo tali che F =
F1 F2 . Se entrambi F1 e F2 avessero grado positivo in Zt+1 , avremmo una
fattorizzazione non banale in K(Z1 , . . . , Zt )[Zt+1 ], assurdo.
Lo stesso ragionamento mostra che esattamente uno dei fattori irriducibili
di F in K[Z1 , . . . , Zt , Zt+1 ] contiene Zt+1 ; quindi possiamo supporre che F2
sia il prodotto di tutti i fattori irriducibili di F in K[Z1 , . . . , Zt , Zt+1 ] che non
contengono Zt+1 , mentre F1 è irriducibile in K[Z1 , . . . , Zt , Zt+1 ] ed ha grado
positivo in Zt+1 .
D’altra parte F2 è invertibile in K(Z
1 , . . . , Zt )[Zt+1 ] e F1 = (1/F2 ) F ;
e
quindi F1 è ancora un generatore di I .
74
CAPITOLO 1. VARIETÀ AFFINI
Affermo ora che F genera I in K[Z1 , . . . , Zt , Zt+1 ], col che la Proposizione
è dimostrata.
e Allora F divide G in K(Z1 , . . . , Zt )[Zt+1 ].
In effetti, sia G ∈ I ⊆ I.
Quindi esiste T ∈ K(Z1 , . . . , Zt )[Zt+1 ] tale che G = T F . Scriviamo
T =
a
X
Rl (Z1 , . . . , Zt )
l=0
Sl (Z1 , . . . , Zt )
l
Zt+1
,
con Rl , Sl ∈ K[Z1 , . . . , Zt ], Sl 6= 0. Moltiplicando per S =:
Q
l
Sl , otteniamo
S(Z1 , . . . , Zt ) G(Z1 , . . . , Zt , Zt+1 ) = R(Z1 , . . . , Zt , Zt+1 ) F (Z1 , . . . , Zt , Zt+1 ),
ove ora S, G, R, F ∈ K[Z1 , . . . , Zt+1 ] e S non dipende da Zt+1 . Necessariamente allora il polinomio irriducibile F , avendo grado positivo in Zt+1 , divide
G in K[Z1 , . . . , Zt , Zt+1 ].
C.V.D.
Ricordiamo che un’ipersuperficie in An è il luogo nullo di un singolo
polinomio non nullo. Consideriamo allora l’ipersuperficie irriducibile W =
Z(F ) ⊆ At+1 .
Lemma 1.4.2. K(W ) ∼
= K(V ) come K-algebre.
Dim. Consideriamo il morfismo di K-algebre
α : K[Z1 , . . . , Zt+1 ] → K(z1 , . . . , zt+1 )
che porta Zi in zi . Per le considerazioni precedenti, ker(α) = (F ) (l’ideale
principale generato da F ). Pertanto, α si fattorizza attraverso un monomorfismo di K-algebre O(W ) → K(z1 , . . . , zt+1 ), che quindi si estende a un
monomorfismo di campi
α
e : K(W ) → K(z1 , . . . , zt+1 ).
Dato che evidentemente ogni elemento di K(z1 , . . . , zt+1 ) si può esprimere
come quoziente di due elementi nell’immagine di α, α
e è un epimorfismo,
quindi un isomorfismo.
C.V.D.
In definitiva, abbiamo dimostrato:
Teorema 1.4.8. Ogni chiuso affine irriducibile è birazionale a un’ ipersuperficie.
1.5. MORFISMI FINITI
75
Veniamo ora a un’importante intepretazione geometrica dell’equivalenza
birazionale. Innanzitutto estendiamo la categoria degli spazi in considerazione.
Definizione 1.4.10. Un aperto affine è un sottoinsieme aperto di un chiuso
affine. Siano V, W chiusi affini e siano V 0 ⊆ V , W 0 ⊆ W aperti affini. Un
morfismo f : V 0 → W 0 è la restrizione a V 0 di una funzione razionale f : V −− > W tale che V 0 ⊆ Reg(f ) e f (V 0 ) ⊆ W 0 . Se f : V 0 → W 0 e g : W 0 → V 0
sono morfismi di aperti affini e f ◦ g = idW , g ◦ f = idV , diremo che V 0 e W 0
sono isomorfi (e che f e g sono isomorfismi).
Esercizio 1.4.9. Dimostrare che un aperto affine principale è isomorfo a un
chiuso affine.
Teorema 1.4.9. Siano V e W chiusi affini irriducibili. Allora le seguenti
condizioni sono equivalenti:
1. V e W sono birazionali;
2. V e W contengono aperti affini non vuoti isomorfi.
Dim. Siano ϕ :V − − > W e ψ : W − − > V mappe razionali inverse e
V =: ϕ−1 Reg(ψ) ⊆ Reg(ϕ), W 0 =: ψ −1 Reg(ϕ) ⊆ Reg(ψ). Se v ∈ V 0 , la
composizione ψ ◦ ϕ è definita (nel senso ordinario) in v, e si ha ψ ◦ ϕ(v) =
v perchè ψ ◦ ϕ = idV come mappe razionali, quindi ψ ◦ ϕ = idV come
funzioni ordinarie ove sono entrambe definite. Pertanto, ϕ(v) ∈ W 0 . Quindi
(invertendo i ruoli di V 0 e W 0 ) per restrizione ϕ e ψ inducono morfismi di
aperti affini ϕ0 : V 0 → W 0 , ψ 0 : W 0 → V 0 tali che ψ 0 ◦ ϕ0 = idV 0 , ϕ0 ◦ ψ 0 = idW 0 .
Pertanto V 0 e W 0 sono isomorfi mediante ϕ0 e ψ 0 .
Il viceversa è lasciato come esercizio.
C.V.D.
0
1.5
Morfismi finiti
Se intepretiamo un isomorfismo di chiusi affini come l’analogo di un diffeomorfismo nella categoria C ∞ , qual è l’analogo di un rivestimento ramificato?
Con ciò si intende, euristicamente, una mappa C ∞ suriettiva, che su un aperto del codominio è un rivestimento, mentre su una sottovarietà propria del
codominio si può verificare una coalescenza di alcune componenti delle fibre;
l’idea geometrica è che le fibre possono ‘fondersi’ ma non ‘scappare’. Quindi, la mappa x → x2 è un rivestimento ramificato C → C, mentre la mappa
x 7→ 1/x non è un rivestimento ramificato C∗ → C.
La nozione algebrica che intepreta questo fenomeno geometrico è quella
di integralità. Ricordiamo che qui anello significa anello commutativo con 1.
76
CAPITOLO 1. VARIETÀ AFFINI
Definizione 1.5.1. Sia B un anello e sia A ⊆ B un sottoanello (ossia, è
dato un monomorfismo A → B e identifichiamo A con la sua immagine).
Diremo che b ∈ B è intero su A se soddisfa un’equazione polinomiale monica
a coefficienti in A, cioè se esistono un intero k ≥ 1 e elementi a1 , . . . , ak ∈ A
tali che
bk + a1 bk−1 + · · · + ak−1 b + ak = 0.
Diremo che B è intero su A se ogni b ∈ B lo è.
Esercizio 1.5.1. Dimostrare le seguenti affermazioni:
1. Se x ∈ Q è intero su Z, allora x ∈ Z.
2. Se P ∈ K(X) è intero su K[X], allora P ∈ K[X].
3. Più in generale, se A è un dominio di integrita a fattorizzazione unica
e se b ∈ Frac(A) è intero su A, allora b ∈ A.
Più in generale, abbiamo:
Teorema 1.5.1. Sia B intero sul sottoanello A, con A e B domini di
integrità. Allora A è un campo se e solo se B è un campo.
Dim. Sia A un campo e sia b ∈ B \ {0}. Allora b soddisfa un’equazione
bN + bN −1 a1 + bN −2 a2 + · · · + aN = 0,
(1.6)
per un certo intero N ≥ 1 e ai ∈ A. Se supponiamo che tale equazione abbia
grado minimale, deve essere aN 6= 0; altrimenti avremmo infatti
b · bN −1 + bN −2 a1 + bN −3 a2 + · · · + aN −1 = 0.
Dato che B è un dominio di integrità, deve essere
bN −1 + bN −2 a1 + bN −3 a2 + · · · + aN −1 = 0,
assurdo per la supposta minimalità di (1.6).
Essendo aN =
6 0, aN è invertibile in A; pertanto, moltiplicando l’uguaglianza
aN = − bN + bN −1 a1 + bN −2 a2 + · · · + b aN −1
= −b bN −1 + bN −2 a1 + bN −3 a2 + · · · + aN −1
per a−1
N deduciamo
1 = b · −a−1
· bN −1 + bN −2 a1 + bN −3 a2 + · · · + aN −1 .
N
1.5. MORFISMI FINITI
77
Quindi b è invertibile in B, con inverso
b−1 = −a−1
· bN −1 + bN −2 a1 + bN −3 a2 + · · · + aN −1 .
N
Viceversa, supponiamo che B sia un campo. Se x ∈ A \ {0}, x−1 esiste
in B e quindi è intero su A; pertanto, esiste una relazione della forma
x−N + x−(N −1) a1 + x−(N −2) a2 + · · · + aN = 0
per certi ai ∈ A. Moltiplicando per xN −1 , otteniamo
x−1 + a1 + x1 a2 + · · · + xN −1 aN = 0,
da cui ovviamente x−1 ∈ A. Quindi anche A è un campo.
C.V.D.
Lemma 1.5.1. Siano A ⊆ B anelli, con B intero su A. Sia b E B un ideale
e sia a = b ∩ A, cosı̀ che A/a è un sottoanello di B/b. Allora B/b è intero
su A/a.
Dim. Sia [y] ∈ B/b. Dato che B è intero su A, esiste una relazione
y k + x1 y k−1 + · · · + xk−1 y + xk = 0
con xi ∈ A. Passando al quoziente, abbiamo
[y]k + [x1 ] · [y]k−1 + · · · + [xk−1 ] · [y] + [xk ] = 0
con [xi ] ∈ A/a ⊆ B/b.
C.V.D.
Corollario 1.5.1. Siano A ⊆ B anelli e sia B intero su A. Sia q E B primo
e sia p = q ∩ A (ovviamente un ideale primo di A). Allora q è massimale in
B se e solo se p è massimale in A.
Dimostrazione. Per il Lemma 1.5.1, B/q è intero sul sottoanello A/p;
quindi, dato il Teorema 1.5.1,
q è massimale ⇔ B/q è un campo ⇔ A/p è un campo ⇔ p è massimale.
C.V.D.
Ovviamente, se A ⊆ B è un sottoanello, B è in modo naturale un Amodulo. Dato b ∈ B, A[b] denota il sottoanello di B generato da b su A,
ossia il più piccolo sottoanello di B contenente A e b. In particolare, A[b] è
un A-sottomodulo di B.
Chiaramente, A[b] consiste di tutti gli elementi di B della forma
a0 bl + a1 bl−1 + · · · + al−1 b + al = 0
per qualche l ≥ 0, con ai ∈ A.
78
CAPITOLO 1. VARIETÀ AFFINI
Definizione 1.5.2. Se A è un anello, un A-modulo M si dice fedele se
a ∈ A, a m = 0 ∀ m ∈ M ⇒ a = 0.
Teorema 1.5.2. Sia B un anello e sia A ⊆ B un sottoanello. Allora dato
b ∈ B, le seguenti condizioni sono equivalenti:
1. b è intero su A;
2. A[b] è un A-modulo di tipo finito (ossia, finitamente generato).
3. Esiste un sottoanello C ⊆ B finitamente generato come A-modulo tale
che A[b] ⊆ C.
4. Esiste un A[b]-sottomodulo fedele M ⊆ B finitamente generato come
A-modulo.
Dim. Dimostriamo che 1 ⇒ 2. Sia b ∈ B intero su A e supponiamo che
bk + a1 bk−1 + · · · + ak−1 b + ak = 0
per qualche k ≥ 1 e ai ∈ A. Quindi,
k−1
X
bk = − a1 bk−1 + · · · + ak−1 b + ak ∈
A · bj .
i=0
Di conseguenza, abbiamo anche
k−1
X
bk+1 = −a1 · bk + a2 bk−1 + · · · + ak b ∈
A · bj ;
i=0
più in generale, concludiamo induttivamente che per ogni intero r ≥ 1
r
b ∈
k−1
X
A · bj .
i=0
Pertanto,
A[b] =
k−1
X
A · bj
i=0
è un A-modulo finitamente generato.
Se vale 2, otteniamo 3 ponendo C =: A[b].
Se vale 3, otteniamo 4 ponendo M = C, visto come A-modulo. Dato che
1 ∈ C, tale A modulo è fedele.
1.5. MORFISMI FINITI
79
Se vale 4, siano x1 , . . . , xN generatori di M come A-modulo. Per ipotesi,
bx ∈ M per ogni x ∈ M ; quindi moltb : x ∈ M 7→ b x ∈ M è un endomorfismo
di A-moduli. Per ogni j = 1, . . . , N esistono aij ∈ A tali che
b xj = moltb (xj ) =
N
X
aij xi .
i=1
P
Pertanto, se Rt = b δij − aij ∈ MatN A[b] , abbiamo N
i=1 rji xi = 0 per
ogni j = 1, . . . , N , ossia
R x = 0,
essendo x = (x1 , . . . , xN )t , 0 = (0, · · · , 0)t ∈ AN . Sia R† la matrice aggiunta
(o dei cofattori) di R; per gli sviluppi di Laplace abbiamo quindi
det(R) x = det(R) IN x = R† R x = R† (R x) = 0.
In altre parole, det(R) xi = 0 per ogni i. Siccome gli xi generano M come
A-modulo, ricaviamo det(R) m = 0 per ogni m ∈ M , ossia det(R) ∈ A[b]
annulla M . Dato che M è fedele, det(R) = 0. Sviluppando det(R) otteniamo
una relazione
0 = det(R) = bN + a1 bN −1 + · · · + aN ,
con a1 , . . . , aN ∈ A, sicchè b è integrale su A.
C.V.D.
Lemma 1.5.2. Siano A ⊆ B ⊆ C anelli e supponiamo che B sia un Amodulo finitamente generato e e C un B-modulo finitamente generato. Allora
C è un A-modulo finitamente generato.
Dim. Siano β1 , . . . , βn generatori di B come A-modulo e γ1 , . . . , γr generatori di C come B-modulo. Allora per ogni c ∈ C esistono bi ∈ B tali
che
r
X
c=
bi γi ,
i=1
e d’altra parte per ogni i esistono aij ∈ A tali che
bi =
r
X
aij βj .
j=1
Quindi,
c=
X
aij βj γi .
i,j
Quindi gli nr prodotti βj γi sono un sistema di generatori di C su A.
C.V.D.
80
CAPITOLO 1. VARIETÀ AFFINI
Corollario 1.5.2. Sia B un anello e sia A ⊆ B un sottoanello. Supponiamo
che B sia finitamente generato come A-algebra. Allora le seguenti condizioni
sono equivalenti:
1. B è intero su A;
2. B è un A-modulo di tipo finito (ossia, finitamente generato).
Dim. Siano b1 , . . . , bN ∈ B generatori di B come A-algebra. Poniamo
A0 =: A, Ar =: A[b1 , . . . , br ] se r = 1, . . . , N ; quindi AN = B.
Se B è intero su A, bi è integrale su A, quindi su Ai−1 per ogni i = 1, . . . , r.
Ne discende che Ar è un Ar−1 -modulo finitamente generato. Pertanto, AN =
B è un A-modulo finitamente generato per il Lemma 1.5.2.
Se B è un A-modulo di tipo finito e b ∈ B, considerando l’endomorfismo Mb : B → B dato dalla moltiplicazione per b otteniamo una relazione
integrale argomentando come nella dimostrazione del Teorema 1.5.2.
C.V.D.
Corollario 1.5.3. Siano b1 , . . . , bN ∈ B interi su A. Allora il sottoanello
A[b1 , . . . , bN ] è un A-modulo finitamente generato.
L’asserto segue per induzione dal Teorema 1.5.2. Per esempio, A[b1 ] è
un A-moduo finitamente generato, dato che b1 è intero su A, e A[b1 , b2 ] è un
A[b1 ]-finitamente generato, dato che b2 è intero su A[b1 ] ⊇ A. Ma allora, se
x1 , . . . , xk sono generatori di A[b1 ] come A-modulo e y1 , . . . , yl sono generatori di A[b1 , b2 ] come A[b1 ]-modulo, la collezione dei kl prodotti xi yj genera
A[b1 , b2 ]-come A-modulo.
Corollario 1.5.4. Sia B un anello e sia A ⊆ B un sottoanello. Sia A ⊆
B l’insieme degli elementi di B integrali su A. Allora A è un sottoanello
(contenente A).
Dim. Se x, y ∈ A allora A[x, y] è un A-modulo finitamente generato.
Dato che x + y, xy ∈ A[x, y], il Teorema 1.5.2 implica che x + y e xy sono
interi su A, ossia x + y, xy ∈ A.
C.V.D.
Esempio 1.5.1. Ovviamente X ∈ K[X] è intero su K [X 2 ], dato che annulla
il polinomio monico T 2 − X 2 ∈ K [X 2 ] [T ]. Pertanto K[X] è intero su K [X 2 ].
Per esempio, 1 + X annulla q(T ) = T 2 − 2 T + (1 − X 2 ), mentre X + X 2
annulla r(T ) = T 2 − 2 X 2 T + (X 4 − X 2 ).
Definizione 1.5.3. Nelle ipotesi del Corollario 1.5.4, A si dice la chiusura
integrale di A in B. Se A = A diremo che A è integralmente chiuso in B;
naturalmente, B è intero su A se e solo se A = B.
1.5. MORFISMI FINITI
81
Esempio 1.5.2. Z è integralmente chiuso in Q e K[X] è integralmente chiuso
in K [X, X −1 ]; se V = Z (Y 2 − X 3 ), allora O(V ) è intero su K[X] e su K[Y ].
Una chiusura integrale è integralmente chiusa:
Proposizione 1.5.1. Nelle ipotesi della Definizione 1.5.3, A è integralmente
chiuso in B, cioè
A = A.
Dim. Supponiamo che b ∈ B sia intero su A. Allora esistono c1 , . . . , cl ∈ A
tali che
bl + c1 bl−1 + · · · + cl = 0.
Dato che ogni ci è intero su A (per definizione di A) A[c1 , . . . , cl ] è un Amodulo finitamente generato. Dato che b è intero su A[c1 , . . . , cl ],
A[c1 , . . . , cl ][b] = A[c1 , . . . , cl , b]
è finitamente generato come A[c1 , . . . , cl ]-modulo. Quindi, A[c1 , . . . , cl , b] è
finitamente generato come A-moduo e pertanto b è intero su A, ossia b ∈ A.
C.V.D.
Geometrizzando, otteniamo la nozione di morfismo finito:
Definizione 1.5.4. Sia ϕ : V → W un morfismo dominante di chiusi affini,
cosı̀ che il morfismo di K-algebre ϕ∗ : O(W ) → O(V ) è iniettivo. Identifichiamo O(W ) con un sottoanello di O(V ) mediante ϕ∗ . Diremo che ϕ è un
morfismo finito se O(V ) è intero su O(W ).
Esempio 1.5.3. Sia C = Z (Y − X 2 ) ⊆ A2 . Allora la proiezione sul primo
fattore è un isomorfismo p : C → A1 e induce un isomorfismo O(C) ∼
= K[X].
1
∗
La proiezione q : C → A sul secondo fattore, per contro, descrive q (O (A1 ))
come il sottoanello K [X 2 ] ⊆ K[X]. Quindi entrambe le proiezioni sono
morfismi finiti.
Esercizio 1.5.2. Sia C = Z (Y 2 − X 3 ) ⊆ A2 e siano π1 , π2 : C → A1 i
morfismi indotti dalle proiezioni di A2 ∼
= A1 × A1 sui due fattori. Stabilire
se π1 e π2 sono interi.
Esercizio 1.5.3. Stabilire se è intero il morfismo C =: Z(XY − 1) → A1
indotto dalla prima proiezione.
Esempio 1.5.4. Sia C = Z (Y 2 − X 3 ) ⊆ A2 e sia ϕ : A1 → A2 il morfismo
ϕ(t) = t2 , t3 .
Allora ϕ∗ O(C) = K [T 2 , T 3 ] e O (A1 ) = K[T ] è evidentemente intero su
ϕ∗ O(C) . Quindi ϕ è un morfismo finito.
82
CAPITOLO 1. VARIETÀ AFFINI
Il Corollario 1.5.1 ammette la seguente intepretazione geometrica:
Corollario 1.5.5. Sia f : V → W un morfismo finito di chiusi affini. Sia
V 0 ⊆ V un chiuso irriducibile. Allora f (V 0 ) è un punto se e solo se V 0 è un
punto.
Dim. Identifichiamo O(W ) con il sottoanello f ∗ O(W ) di O(V ). Sia
I(V 0 ) l’ideale primo di V 0 ; per la Proposizione 1.3.5, la chiusura f (V 0 ) ⊆ W
ha ideale primo I(V 0 ) ∩ O(W ). Pertanto, V 0 è un punto se e solo se I(V 0 ) è
massimale, ossia se e solo se I(V 0 ) ∩ O(W ) è massimale, quindi se e solo se
f (V 0 ) è un punto e quindi se e solo se f (V 0 ) è un punto.
C.V.D.
Vale in realtà il seguente asserto più forte:
Proposizione 1.5.2. Sia ϕ : V → W un morfismo finito di chiusi affini.
Allora tutte le fibre di ϕ sono finite (ossia: per ogni w ∈ W , l’immagine
inversa ϕ−1 (w) è un insieme finito). Più precisamente, esiste un intero N
tale che ogni fibra ha cardinalità ≤ N .
Dim. Supponiamo che V sia un chiuso affine di An ; se T1 , . . . , Tn sono
le coordinate lineari su An , siano ti ∈ O(V ) le loro restrizioni. Allora per
ipotesi ogni ti è intero su O(W ), sicchè per ogni i esistono un intero li ≥ 1 e
g1 , . . . , gli ∈ O(W ) tali che
tlii + g1 tlii −1 + · · · + gli = 0.
Sia w ∈ W ; se v ∈ ϕ−1 (w), abbiamo allora (si osservi che gi = ϕ∗ (gi ), con il
presente abuso di notazione, sicchè gi (v) = gi (w)):
ti (v)li + g1 (w) ti (v)li −1 + · · · + gli (w) = 0.
Quindi ogni coordinata ti può assumere solo un insiemo finito di valori
sull’insieme
immagine inversa ϕ−1 (w), che quindi è finito di cardinalità ≤
Q
i li .
C.V.D.
Il seguente è un caso particolare del Teorema del going-up per estensioni
intere:
Teorema 1.5.3. Siano A ⊆ B anelli con B intero su A. Sia p A un ideale
primo. Allora esiste un ideale primo q B tale che p = q ∩ A.
Corollario 1.5.6. Sia ϕ : V → W un morfismo finito di chiusi affini. Allora:
1.5. MORFISMI FINITI
83
1. ϕ è suriettivo.
2. ϕ è una mappa chiusa.
3. Per ogni chiuso irriducibile W0 ⊆ W esiste un chiuso irriducibile V0 ⊆
V tale che W0 = ϕ(V0 ) e il morfismo indotto per restrizione, ϕ0 : V0 →
W0 , è finito.
Dim. Sia B = O(V ), A = O(W ) e sia ϕ∗ : A → B; quindi ϕ∗ realizza
A come sottoanello di B e B è intero su A. Sia w ∈ W e sia p A l’ideale
massimale corrispondente a w. Per il Teorema del going-up, esiste un ideale
primo q B tale che p = q ∩ A, ossia tale che p = ϕ∗ (q). Per il Corollario
1.5.1, q B è necessariamente massimale, quindi corrisponde a un punto
v ∈ V . Dato che l’ideale massimale in A corrispondente a ϕ(v) ∈ W è ϕ∗ (q),
concludiamo ϕ(v) = w. Ciò dimostra che ϕ è suriettivo.
Sia poi V0 ⊆ V un chiuso di Zariski e sia I = I(V0 ) B il suo ideale
radicale. Sia J = I ∩ A. Allora J è un ideale radicale di A, il cui chiuso
di Zariski corrispondente è la chiusura ϕ(V0 ) ⊆ W . Il morfismo di chiusi
affini indotto per restrizione, ϕ0 : V0 → ϕ(V0 ), corrisponde chiaramente al
monomorfismo di anelli indotto per passaggio al quoziente, A/J → B/I.
Per il Lemma 1.5.1, B/I è intero su A/J; quindi ϕ0 è un morfismo finito,
pertanto suriettivo per il punto precedente. Ne discende che
ϕ(V0 ) = ϕ0 (V0 ) = ϕ(V0 ).
Quindi un chiuso di Zariski ha per immagine mediante ϕ un chiuso di Zariski.
Dato un chiuso
irriducibile W0 ⊆ W , V 0 =: ϕ−1 (W0 ) è un chiuso affine di
S
V . Sia V 0 = S
Vj0 la sua decomposizione in componenti irriducibili. Quindi
W0 = ϕ(V 0 ) = j ϕ(Vj ) e dato che W è irriducibile avremo W0 = ϕ(Vj ) per
qualche j, poniamo j = 0. Il resto segue come nel punto precedente.
C.V.D.
Proposizione 1.5.3. La composizione di morfismi finiti di chiusi affini è un
morfismo finito.
Dim. Siano ϕ : X → Y e ψ : Y → Z morfismi finiti di chiusi affini.
Siano A =: O(Z), B =: O(Y ), C =: O(X). Dato che ϕ∗ : B → C e
ψ ∗ : A → B sono monomorfismi, otteniamo una torre di inclusioni A ⊆
B ⊆ C, l’inclusione composta essendo (identificata con) il monomorfismo
(ψ ◦ ϕ)∗ = ϕ∗ ◦ ψ ∗ . L’ipotesi, con queste identificazioni, è che B è intero su
A e C è intero su B, l’asserto è che C è intero su A.
Quindi la Proposizione segue da:
84
CAPITOLO 1. VARIETÀ AFFINI
Corollario 1.5.7. Siano A ⊆ B ⊆ C anelli, con B intero su A e C intero
su B. Allora C è intero su A.
Dim. Sia c ∈ C. Per ipotesi esistono b1 , · · · , bN ∈ B per qualche intero
N ≥ 1 tali che
cN + cN −1 b1 + · · · + bN = 0.
Sia
A0 = A[b1 , . . . , bN ] ⊆ B.
Allora
1. A0 è un A-modulo finitamente generato, dal momento che ogni ai è
intero su A;
2. c è intero su A0 , quindi A0 [c] è un A0 -modulo finitamente generato.
Pertanto, A0 [c] è un A-modulo finitamente generato, quindi c è intero su A.
Abbiamo dimostrato che ogni c ∈ C è intero su A, ossia che C è intero
su A.
C.V.D.
1.5.1
Quozienti finiti
Un esempio di particolare importanza è la proiezione di un chiuso affine su
un quoziente finito. Precisamente, sia V ⊆ Ak un chiuso affine e sia G un
gruppo finito di cardinalità n, con n primo con la caratteristica del campo
K. Supponiamo data un’azione
µ : G × V → V,
µ(g, v) = µg (v),
tale che per ogni g ∈ G l’applicazione µg : V → V è un morfismo. Pertanto,
G agisce su O(V ) come un gruppo di automorfismi di K-algebra, mediante
la (g, f ) 7→ µ∗g−1 (f ) = f ◦ µg−1 . Possiamo allora considerare la sotto-Kalgebra O(V )G ⊆ O(V ) data dalle funzioni regolari invarianti per l’azione di
G. Allora O(V )G è una K-algebra finitamente generata, chiaramente senza
nilplotenti dato che O(V ) lo è. In effetti, vale il seguente:
Teorema 1.5.4. Sia B una K-algebra finitamente generata e il gruppo finito
G agisca su B come un gruppo di automorfismi di K-algebra. Sia B G il
sottoinsieme degli elementi invarianti per l’azione, ossia
B G =: b ∈ B : g · b = b ∀ g ∈ G .
Allora B G è una K-algebra finitamente generata.
1.5. MORFISMI FINITI
85
Premettiamo il seguente Lemma:
Lemma 1.5.3. Sia A un anello e sia G un gruppo finito di cardinalità d che
agisce su A come un gruppo di automorfismi. Allora A è intero sul sottoanello
degli invarianti AG ⊆ A.
Dim. Infatti, sia a ∈ A e sia e ∈ G l’elemento neutro. Dato che 0 =
a − a = a − e · a (qui g · a è l’azione di g ∈ G su a ∈ A) abbiamo
Y
0=
a − g · a = ad − ad−1 s1 (a) + · · · + (−1)d−1 sd (a) = 0,
g∈G
ove sj (a) è la j-ima funzione simmetrica elementare dei trasformati di a
mediante l’azione di G (non necessariamente tutti distinti). Quindi,
s1 (a) =
X
g∈G
g · a, s2 (a) =
Y
1 X
(g · a) (h · a), . . . , sd (a) =
(g · a).
2 g6=h∈G
g∈G
Chiaramente, sj (a) ∈ AG per ogni j.
C.V.D.
Veniamo alla Dimostrazione del Teorema 1.5.4:
Dim. Poniamo A =: B G . Lasciamo come esercizio verificare che A è una
sotto-K-algebra di B. Per il Lemma 1.5.3, B è intero su A.
Siano b1 , . . . , bk ∈ B generatori di B come K-algebra. Siano P1 , . . . , Pk ∈
A[X] polinomi monici soddisfatti da b1 , . . . , bk , rispettivamente, e siano aij ∈
A i loro coefficienti (aij è l’i-imo coefficiente di Pj ). Riordiniamo in qualche
modo gli aij come al , l = 1, . . . , N per qualche N ≥ 1. Allora
A0 =: K {aij } = K a1 , . . . , aN ⊆ A
è una K-algebra finitamente generata. Siccome Pj ∈ A0 [X] per ogni j, ogni
bj è intero su A0 ; dato che B = K[b1 , . . . , bk ] = A0 [b1 , . . . , bk ], B è intero su
A0 e finitamente generato come A0 -algebra, quindi anche come A0 -modulo.
Consideriamo le inclusioni:
A0 ⊆ A ⊆ B.
Essendo una K-algebra finitamente generata, A0 è un anello Noetheriano.
Inoltre, B è un A0 -modulo finitamente generato, quindi Noetheriano; poichè
A è un A0 -sotto-modulo di B, è anch’esso finitamente generato come A0 modulo.
86
CAPITOLO 1. VARIETÀ AFFINI
Sia (α1 , . . . , αr ) un sistema finito di generatori di A come A0 -modulo. Per
ogni a ∈ A, esistono quindi xi ∈ A0 tali che
a=
r
X
xi α i .
i=1
Inoltre, per ogni i = 1, . . . , r esistono polinomi
X
Fi (X1 , . . . , XN ) =
λiI X I ∈ K[X1 , . . . , XN ]
I
tali che
xi = F (a1 , . . . , aN ) =
X
λiI aI .
I
Pertanto,
a=
XX
i
λiI aI αI .
I
Quindi, A è generato come K-algebra da (a1 , . . . , aN , α1 , . . . , αr ).
C.V.D.
Di conseguenza, esiste un chiuso affine W tale che O(W ) ∼
= O(V )G e
l’inclusione
ι : O(W ) ∼
= O(V )G ⊆ O(V )
corrisponde a un morfismo dominante π : V → W , ossia ι = π ∗ . Per il
teorema, tale morfismo è finito.
Per interpretare tale morfismo, supponiamo innanzitutto che v1 , v2 ∈ V
siano equivalenti per l’azione di G, ossia che esista g ∈ G tale che v2 = µg (v1 ).
Allora per ogni f ∈ O(V )G abbiamo
f (v2 ) = f µg (v1 ) = µ∗g (f )(v1 ) = f (v1 ).
In altre parole, se scriviamo f = π ∗ fe con fe ∈ O(W ) abbiamo
π ∗ fe (v1 ) = π ∗ fe (v2 )
⇒ fe π(v1 ) = fe π(v2 )
per ogni fe ∈ O(W ), quindi π(v1 ) = π(v2 ); pertanto π mappa orbite di G in
punti di W .
Supponiamo, viceversa, che π(v1 ) = π(v2 ) e dimostriamo che allora v2 ∈
G · v1 . Supponiamo per assurdo v2 6∈ G · v1 , ossia µg (v2 ) 6= µh (v1 ) per ogni
g, h ∈ G. Possiamo allora trovare una funzione regolare α ∈ O(V ) tale che
1.5. MORFISMI FINITI
87
α µg (v1 ) = 1 e α µg (v2 ) = 0 per ogni g ∈ G. Rammentando che n = |G|,
definiamo ora
α =:
1 X
1 X ∗
µg (α) =
α ◦ µg ∈ O(V ).
n g∈G
n g∈G
Allora α ∈ O(V )G , α(v1 ) = 1 e α(v2 ) = 0; scrivendo α = π ∗ (β) per
un’opportuna β ∈ O(V ), deduciamo π(v1 ) 6= π(v2 ).
Pertanto, l’immagine di V in W è in corrispondenza biunivoca con le
orbite dell’azione.
D’altra parte, essendo un morfismo finito, π è suriettiva:
Corollario 1.5.8. Sia V un chiuso affine e supponiamo che il gruppo finito G
agisca su V come un gruppo di isomorfismi. Sia W il chiuso affine associato
alla K-algebra finitamente generata O(V )G e sia π : V → W il morfismo
associato all’inclusione O(V )G ⊆ O(V ). Allora π è un morfismo finito,
quindi suriettivo.
Pertanto W è in corrispondenza biunivoca con V /G. In generale, il quoziente di un chiuso affine rispetto all’azione di un gruppo finito si intende
dotato della struttura di chiuso affine qui descritta.
1.5.2
Aspetti locali
Consideriamo ora il comportamento di un morfismo finito rispetto alla restrizione ad aperti affini principali. Più precisamente, sia ϕ : V → W un
morfismo di chiusi affini e sia g ∈ O(W ). Allora ϕ∗ (g) ∈ O(V ) e
∗ (g)
ϕ−1 (W g ) = V ϕ
.
Quindi l’immagine inversa di un aperto affine principale per un morfismo è
ancora un aperto affine principale. Pertanto, per ogni aperto affine principale
W g ⊆ W è indotto un morfismo di K-algebre
∗ (g)
ϕ∗ : O (W g ) → O V ϕ
.
Supponiamo che ϕ sia dominante, cosı̀ che ϕ∗ è iniettivo.
Lemma 1.5.4. Sia ϕ : V → W un morfismo dominante di chiusi affini
irriducibili. Sia V 0 ⊆ V un aperto non vuoto. Allora la restrizione di ϕ a
V 0 , ϕ0 : V 0 → W , è dominante.
88
CAPITOLO 1. VARIETÀ AFFINI
Dim. Sia Z ⊆ W un chiuso di Zariski contenente ϕ0 (V 0 ) = ϕ(V 0 ). Allora
Z 0 =: ϕ−1 (Z) ⊆ V è un chiuso di Zariski tale che V 0 ⊆ Z 0 . Dato che V è
irriducibile, V 0 è denso in V , quindi Z 0 = V . Pertanto, Z ⊇ ϕ(V ); dato che ϕ
è dominante, Z = W . In definitiva, l’unico chiuso di Zariski di W contenente
ϕ0 (V 0 ) è W stesso, quindi ϕ0 è dominante.
C.V.D.
Pertanto, se ϕ : V → W è dominante e V 0 ⊆ V e W 0 ⊆ W sono aperti
tali che ϕ(V 0 ) ⊆ W 0 , allora il morfismo indotto V 0 → W 0 è dominante, quindi
(come nel caso dei chiusi affini) ϕ∗ : O(W 0 ) → O(V 0 ) è un morfismo iniettivo
di K-algebre.
∗
Nel caso particolare in cui W 0 = W g e V 0 = V ϕ (g) , ciò si può vedere
algebricamente come segue: da un lato, O(W 0 ) = O(W )g , la localizzazione
di W rispetto alla parte moltiplicativa delle potenze di g. Dall’altra, O(V 0 ) =
O(V )ϕ∗ (g) . Ora se vediamo O(W ) come un sottoanello di O(V ) mediante ϕ∗ ,
possiamo vedere O(W 0 ) come il sottoanello O(W )g ⊆ O(V )g .
Supponiamo ora che ϕ sia intero, cosı̀ che O(V ) è intero su O(W ). Possiamo concludere che O(V )g è intero su O(W )g , per ogni g ∈ O(W )? Che la
risposta è positiva segue dal seguente risultato generale.
Lemma 1.5.5. Siano A ⊆ B anelli con B intero su A. Sia S ⊆ A una parte
moltiplicativa. Allora S −1 B è intero su S −1 A.
Dim. Sia b/s ∈ S −1 B, con b ∈ B e s ∈ S. Per l’ipotesi, b è intero su A,
quindi esiste una relazione
bN + bN −1 a1 + · · · + aN = 0.
Dividendo tale relazione per sN , ricaviamo
N N −1
a1
b
aN
b
+
+ · · · + N = 0,
·
s
s
s
s
il che dimostra l’asserto.
C.V.D.
Nella direzione opposta, abbiamo:
Teorema 1.5.5. Sia ϕ : V → W un morfismo di chiusi affini irriducibili.
Supponiamo che esista un ricoprimento aperto {W gi }i∈I di W mediante aperti affini principali, tale che per ogni i ∈ I il morfismo indotto per restrizione,
∗
V ϕ (gi ) → W gi , è un morfismo finito. Allora ϕ è un morfismo finito.
1.5. MORFISMI FINITI
89
Dim. Per la quasi-compattezza di W , possiamo trovare una collezione
finita g1 , . . . , gk ∈ O(W ) tale che gli aperti affini principali W gi ricoprono W
∗
e V ϕ (gi ) → W gi , è un morfismo finito per ogni i = 1, . . . , k.
∗
Per ogni i, pertanto, il morfismo V ϕ (gi ) → W gi è dominante, in quanto
finito. Dal momento che W gi è denso in W perchè W è irriducibile, concludiamo che ϕ è dominante, quindi che ϕ∗ : O(W ) → O(V ) è un monomorfismo.
Mediante ϕ∗ , identifichiamo O(W ) con un sottoanello di O(V ), scrivendo
d’ora in avanti g in luogo di ϕ∗ (g).
L’ipotesi è quindi che O(V ) [1/gi ] è intero su O(W ) [1/gi ] per ogni i.
In particolare, essendo O(V ) [1/gi ] una K-algebra finitamente generata, è
finitamente generato come anello su O(W ) [1/gi ]. Pertanto, concludiamo che
O(V ) [1/gi ] è finitamente generato come O(W ) [1/gi ]-modulo. Sia {ωiα }α
una collezione finita di generatori di O(V ) [1/gi ] come O(W ) [1/gi ]-modulo.
Dato che gi è invertibile in O(V ) [1/gi ], possiamo supporre senza perdita di
generalità che ωiα ∈ O(V ) per ogni i, α. Per ogni i, abbiamo
O(V ) ⊆ O(V ) [1/gi ] =
X
O(W ) [1/gi ] · ωi,α .
α
Sia ora h ∈ O(V ). Per ogni i = 1, . . . , k, possiamo trovare hi,α ∈ O(W )
e ni,α ∈ Z tali che
X hi,α
· ωi,α .
h=
n
gi i,α
α
Dato che
hi,α
hi,α gik
ni,α = ni,α +k ,
gi
gi
possiamo prendere k 0 e, ridefinendo eventualmente hi,α , supporre senza
perdita di generalità che ni,α = n per qualche n 0 indipendente da i e da
α. Quindi scriveremo
X hi,α
h=
· ωi,α .
gin
α
Le funzioni gin non hanno zeri comuni in W perchè le gi non ne hanno. Per
il Teorema degli Zeri, esistono `i ∈ O(W ) tali che
X
i
`i gin = 1.
90
CAPITOLO 1. VARIETÀ AFFINI
Otteniamo cosı̀
h = 1·h
X
=
`i gin · h
i
=
XX
=
XX
i
i
α
`i gin
hi,α
· ωi,α
gin
(`i hi,α ) · ωi,α .
α
Data la generalità di h ∈ O(V ), ciò dimostra che
X
O(V ) =
O(W ) · ωi,α ,
i,α
sicchè O(V ) è un O(W )-modulo finitamente generato.
C.V.D.
Possiamo ora dimostrare una proprietà geometrica dei morfismi algebrici
che li distingue nettamente dalle applicazioni C ∞ tra varietà differenziali.
L’immagine di un’applicazione C ∞ di varietà differenziali può essere densa
nel codominio ma avere misura nulla, quindi in particolare non contenere
nessun sottoinsieme aperto del codominio. Questo non può accadere per
morfismi di chiusi affini.
Prima di dimostrarlo, premettiamo un’osservazione sulle basi di trascendenza. Sia F ⊆ L un’estensione di campi finitamente generata, ossia L =
F(`1 , . . . , `u ) per certi `i ∈ L.
Supponiamo che L sia il campo delle frazioni di un Q
dominio di integrità
0
0
0
B. Quindi `i = bi /bi per certi bi , bi ∈ B, bi 6= 0. Se b =: ui=1 b0i , allora
`ei =: b `i ∈ B ∀ i = 1, . . . , u.
Per ogni ` ∈ L esistono F (X1 , . . . , Xu ), G(X1 , . . . , Xu ) ∈ F[X1 , . . . , Xu ] tali
che G(`1 , . . . , `u ) 6= 0 e ` = F (`1 , . . . , `u )/G(`1 , . . . , `u ); quindi
F (`1 , . . . , `u )
G(`1 , . . . , `u )
P
fI `I
= PI
J
J gJ `
P
−|I| eI
`
I fI b
e
e
= P
∈ F b, `1 , . . . , `u .
−|J| `
eJ
J gJ b
` =
1.5. MORFISMI FINITI
Pertanto
91
L = F b, `e1 , . . . , `eu .
Ora da qualsiasi sistema di generatori di L su F è possibile estrarre una
base di trascendenza. Se dunque t è il grado di trascendenza di L su F, esiste
una base di trascendenza (b001 , . . . , b00t ) con b00i ∈ B per ogni i.
Teorema 1.5.6. Sia ϕ : V → W un morfismo dominante di chiusi affini.
Allora esiste un aperto non vuoto W 0 ⊆ W tale che ϕ(V ) ⊇ W 0 .
Dim. Dato che ϕ è dominante, ϕ∗ è iniettivo e induce un monomorfismo di campi K(W ) → K(V ) su K, attraverso il quale considereremo K(W )
come un sottocampo di K(V ). Dal momento che K(V ) è un’estensione finitamente generata di K, K(V ) ha grado di trascendenza finito t su K(W ). Sia
(x1 , . . . , xt ) una base di trascendenza di K(V ) su K(W ). Per quanto visto,
possiamo supporre senza perdita di generalità che xi ∈ O(V ) per ogni i.
Abbiamo cosı̀ una catena di estensioni di anelli
O(V ) ⊇ O(W )[x1 , . . . , xt ] ⊇ O(W ).
(1.7)
Dal momento che gli xi sono algebricamente indipendenti su K(W ), si ha
O(W )[x1 , . . . , xt ] ∼
= O(W ) ⊗K K[X1 , . . . , Xt ] ∼
= O W × At .
Passando ai morfismi, la catena di estension (1.7) corrisponde cosı̀ a una
composizione di morfismi dominanti di chiusi affini,
f
π
V −→ W × At −→ W,
ϕ = π ◦ f,
ove π è la proiezione sul secondo fattore.
Siano α1 , . . . , αn generatori della K-algebra O(V ). Per costruzione, ogni
αi è algebrico su O (W × At ). Sia ri ∈ O (W × At ) il coefficiente direttore
di un polinomio non banale a coefficienti in O(W )[x1 , . . . , xt ] soddisfatto da
αi ; quindi per ogni i = 1, . . . , n abbiamo
ri · αiNi + ri1 · αiNi −1 + · · · + riNi = 0,
per certi rij ∈ O(W )[x1 , . . . , xt ].
Allora, moltiplicando per riNi −1 ,
ri αi )Ni + ri1 · ri αi )Ni −1 + · · · + riNi riNi −1 = 0,
sicchè ri αi è intero su O(W )[x1 , . . . , xt ].
(1.8)
92
CAPITOLO 1. VARIETÀ AFFINI
R
Sia ora R = r1 · · · rn ∈ O (W × At ) e sia (W × At ) ⊆ W × At l’aperto
affine principale ove R 6= 0. Quindi R è invertibile in
1
t R
= O(W )[x1 , . . . , xt ]
O W ×A
.
R
Lo stesso vale perciò per ogni ri , dato che
1
1 Y
=
rj .
ri
R j6=i
R
D’altra parte, V R = f −1 (W × At )
⊆ V è l’aperto affine principale
∗
ove R = f (R) è non nullo in V e
1
R
t R
O V
=O W ×A
= O(V )
[α1 , . . . , αn ].
R
R
Lemma 1.5.6. Il morfismo V R → (W × At ) indotto per restrizione da f
è finito, quindi suriettivo.
Ni
t R
Dim. Dividendo la (1.8) per ri ricaviamo che αi è intero su O (W × A ) ,
R
per ogni i = 1, . . . , n; quindi O V R è intero su O (W × At ) .
C.V.D.
Perciò,
R
f (V ) ⊇ f V R = W × At .
Allora,
R ϕ(V ) ⊇ π f V R
⊇ π W × At
;
t R
rimane cosı̀ da dimostrare che π (W × A )
contiene un aperto di W .
A tal fine, scriviamo R come un polinomio in X1 , . . . , Xt a coefficienti in
O(W ):
X
R(w, X) =
RI (w) X I ,
I
S
T
ove I = (i1 , . . . , it ) e X I = xi11 · · · xitt . Sia W 0 =: W \ I Z RI = I W RI .
Allora per ogni w ∈ W 0 il polinomio R(w, X1 , . . . , Xt ) ∈ K[X1 , . . . , Xt ] è non
nullo, quindi esiste qualche (a1 , . . . , at ) tale che R(w, a1 , . . . , at ) 6= 0. Si ha
allora
R
R (w, a1 , . . . , at ) ∈ W × At
⇒ w = π(w, a1 , . . . , at ) ∈ π W × At
.
1.5. MORFISMI FINITI
93
Abbiamo quindi dimostrato che
[
R .
W RI ⊆ π W × At
I
C.V.D.
L’argomento precedente dimostra in effetti quanto segue:
Teorema 1.5.7. Sia ϕ : V → W un morfismo dominante di chiusi affini
irriducibili. Allora le seguenti condizioni sono equivalenti:
1. K(V ) è algebrico su K(W ).
2. Esiste R ∈ O(W ), R 6= 0, tale che il morfismo V ϕ
per restrizione è finito.
Dim. Dimostrare in dettaglio.
∗ (R)
→ W R indotto
94
CAPITOLO 1. VARIETÀ AFFINI
Capitolo 2
Varietà Quasi-Proiettive
2.1
Spazi proiettivi
Definizione 2.1.1. Sia V uno spazio vettoriale finito-dimensionale su K. Lo
spazio proiettivo PV è la collezione dei sottospazi vettoriali 1-dimensionali
di V . Se V = Kr+1 , scriveremo Pr per PV .
Esempio 2.1.1. Se dim(V ) = 1, PV consiste di un solo punto.
Esempio 2.1.2. Se W ⊆ V è un sottospazio, esiste una naturale inclusione
di spazi proiettivi PW ⊆ PV . Se W1 , W2 ⊆ V sono sottospazi vettoriali in
somma diretta, ossia W1 ∩ W2 = (0), i corrispondenti spazi proiettivi sono
disgiunti in PV : PW1 ∩ PW2 = ∅. In generale, PW1 ∩ PW2 = P W1 ∩ W2 .
Esempio 2.1.3. Se V ∨ = HomK (V, K) è lo spazio duale di V , PV ∨ è in
corrispondenza biunivoca naturale con l’insieme dei sottospazi vettoriali di
codimensione 1 (iperpiani) di V .
Possiamo alternativamente descrivere PV come il quoziente di V ∗ =
V \ {0} per l’ovvia azione libera del gruppo moltiplicativo K∗ = K \ {0}.
Equivalentemente, PV è l’insieme quoziente di V ∗ per la relazione di equivalenza: v ∼ v 0 se esiste λ ∈ K∗ tale che v = λv 0 . Sia π : V ∗ → PV la
mappa quoziente, e denotiamo π(v) = [v]. Se V = Kr+1 , con coordinate
(X0 , · · · , Xr ), la classe di equivalenza di v = (v0 , . . . , vr ) si denota
[v] = [v0 : · · · : vr ].
Quindi se v, w ∈ V ∗ allora
[v0 : · · · : vr ] = [w0 : . . . : wr ] ⇔ vi wj = vj wi ∀ 0 ≤ i, j ≤ r.
95
96
CAPITOLO 2. VARIETÀ QUASI-PROIETTIVE
Le coordinate di v ∈ [v] sono determinate da [v] solo a meno di un multiplo
scalare non nullo e vengono chiamate le coordinate omogenee di [v]; tale
terminologia è fuorviante: le coordinate omogenee non sono veramente delle
coordinate.
2.1.1
La topologia di Zariski
Fissiamo ora una base di V , cosı̀ da determinare un isomorfismo di spazi
vettoriali V ∼
= Kr+1 (che è anche un isomorfismo di chiusi affini) e pertanto
un omeomorfismo PV ∼
= PKr+1 . L’isomorfismo lineare V ∼
= Kr+1 permette
di dotare V di una topologia di Zariski, che risulta indipendente dalla scelta
della base (Esercizio). Dotiamo allora PV della topologia quoziente, che
chiameremo ancora topologia di Zariski: un sottoinsieme S ⊆ PV è chiuso
(aperto) se e solo se la sua immagine inversa π −1 (S) è chiusa (aperta) in
V ∗ per la topologia di Zariski. Ora i sottoinsiemi di V ∗ della forma π −1 (S)
per S ⊆ PV sono proprio le intersezioni di V ∗ con i sottoinsiemi conici di
V e π −1 (S) è chiuso in V ∗ se e solo se π −1 (S) ∪ {0} è chiuso in V . Quindi
i chiusi di PV per la topologia quoziente sono in corrispondenza biunivoca
con i sottoinsiemi chiusi conici di V , ossia con gli ideali radicali omogenei di
K[X0 , . . . , Xr ].
Ora S ⊆ PV è chiuso se e solo se π −1 (S) ⊆ V ∗ è un chiuso conico di V
privato dell’origine se e solo se esiste una collezione finita di polinomi omogenei Fi ∈ K[X0 , . . . , Xr ] tali che π −1 (S) ∪ {0} = Z {Fi }). Evidentemente,
[v] ∈ S se e solo se Fi (v) = 0 per ogni i.
Riassumiamo e formalizziamo questa discussione con la seguente:
Definizione 2.1.2. Se F ∈ K[X0 , . . . , Xr ] è un polinomio omogeneo e [v] ∈
PV , diremo che F si annulla in [v] se F (v) = 0. Tale definizione è ben posta
perchè se [v] = [w] allora v = λ w per qualche λ 6= 0, sicchè F (v) = λd F (w),
ove d è il grado di F . Se {Fi } ⊆ K[X
0 , . . . , Xr ] è una collezione di polinomi
omogenei, denoteremo con Zpr {Fi } il luogo nullo in PV di tutti gli Fi . Se
I è un ideale omogeneo, denoteremo con Zpr (I) il luogo nullo in PV di tutti
i polinomi omogenei di I.
Definizione 2.1.3. La topologia di Zariski su PV è la topologia quoziente per l’applicazione π. Equivalentemente, la topologia di Zariski su PV è
definita dichiarando che i chiusi sono i luoghi nulli di collezioni arbitrarie
di polinomi omogenei. Un sottoinsieme chiuso per tale topologia si dice un
chiuso proiettivo.
Esercizio 2.1.1. Dimostrare che questa è effettivamente una topologia senza
l’intepretazione di topologia quoziente, adattando le argomentazioni già usate
per lo spazio affine.
2.1. SPAZI PROIETTIVI
97
Gli aperti di Zariski di PV sono quindi in corrispondenza biunivoca con
gli aperti di Zariski conici (ovviamente definiti) di V ∗ . Da questa osservazione si può per esempio dimostrare facilmente la quasi compattezza. Sia infatti
S ⊆ PV un sottoinsieme arbitrario e sia Ui ⊆ PV una collezione di aperti di
Zariski che copre S. Allora π −1 (Ui ) è una collezione di aperti di Zariski in V ∗
che ricopre π −1 (S). Dal momento che ogni sottoinsieme di V è quasi compatto, possiamo estrarre un sottoricoprimento finito π −1 (U1 ), . . . , π −1 (Uk ) di
π −1 (S); evidentemente U1 , . . . , Uk è un sottoricoprimento finito di S.
Analogamente, PV è irriducibile. Se cosı̀ non fosse, esisterebbero A, B ⊆
PV chiusi propri tali che PV = A ∪ B; ma allora V ∗ = π −1 (A) ∪ π −1 (B).
Dato che π −1 (A) e π −1 (B) sono chiusi in V ∗ e V ∗ è irriducibile, deve essere
π −1 (A) = V ∗ o π −1 (B) = V ∗ , ossia A = PV o B = PV .
Definizione 2.1.4. Sia S ⊆ Pr . Il cono affine su S è
C(S) = π −1 (S) = π −1 (S) ∪ {0} ⊆ Ar+1 .
Quindi, M ⊆ Pr è un chiuso proiettivo se e solo se C(M ) è un chiuso
affine.
Esercizio 2.1.2. Dimostrare che M è irriducibile se e solo se tale è C(M ).
Definizione 2.1.5. Sia M ⊆ Pr un chiuso proiettivo. L’ideale radicale di S
Ih (M ) K[X0 , . . . , Xr ]
è l’ideale generato da tutti i polinomi omogenei che si annullano su M .
Esercizio 2.1.3. Nelle ipotesi precedenti, dimostrare che
Ih (M ) = I C(M ) ,
deducendone che Ih (M ) è effettivamente un ideale radicale.
Definizione 2.1.6. Sia M ⊆ Pr un chiuso proiettivo. L’anello delle coordinate omogenee di M è il quoziente
Oh (M ) =: K[X0 , . . . , Xr ]/Ih (S).
In altre parole, Oh (M ) = O C(M ) .
Esercizio 2.1.4. Dimostrare che Oh (M ) è in modo naturale un anello graduato.
98
CAPITOLO 2. VARIETÀ QUASI-PROIETTIVE
Esercizio 2.1.5. Sia W ⊆ Kr+1 un sottospazio di codimensione 0 < c < r+1;
allora
c
\
W =
ker(Lj ) = Z(L1 , . . . , Lc ),
j=1
per certi Lj ∈ V ∨ linearmente indipendenti. Dimostrare che:
1. C PW = W ⊆ Kr+1 ;
2. PW ⊆ Pr è un chiuso proiettivo;
3. Ih (PW ) = I(W ) = (L1 , . . . , Lc );
4. Oh (PW ) ∼
= K[Y0 , . . . , Yr−c ].
Suggerimento: scegliere le coordinate in modo che Lj = Xr−c+j .
2.1.2
Il Teorema degli Zeri ‘proiettivo’
Il Teorema degli Zeri dice che se il luogo nullo in Ar+1 di un ideale I K[X0 , . . . , Xr ] è vuoto, allora I = K[X0 , . . . , Xr ]. Tuttavia è falso che se
un ideale omogeneo I K[X0 , . . . , Xr ] ha luogo nullo vuoto in Pr allora
I = K[X0 , . . . , Xr ], anche supponendo che I sia un ideale radicale: basta
considerare I = (X1 , . . . , Xr ). Più in generale, Zpr (I) = ∅ se Xis ∈ I per
ogni i e qualche intero s ≥ 0, dato che allora Z(I) = {0}. Qual è allora il
‘Teorema degli Zeri proiettivo’ ?
Per ogni s ≥ 0 l’ideale prodotto (X0 , . . . , Xr )s K[X0 , . . . , Xr ] è l’ideale
omogeneo generato dai monomi di grado s, ossia l’ideale dei polinomi il cui
termine omogeneo di grado minimo ha grado almeno s. La versione proiettiva
del Teorema degli Zeri è il seguente Teorema.
Teorema 2.1.1. Sia IK[X0 , . . . , Xr ] un ideale omogeneo. Allora le seguenti
condizioni sono equivalenti:
1. Zpr (I) = ∅;
2. I ⊇ (X0 , . . . , Xr )s per qualche s ≥ 0.
Dim. Abbiamo visto che 2) implica 1). Supponiamo che valga 1). Siano
F1 , . . . , Fk generatori omogenei per l’ideale I. Allora gli Fi non hanno zeri comuni diversi da 0 ∈ Ar+1 . Quindi, i polinomi Fi (1, T1 , . . . , Tr ) ∈ K[T1 , . . . , Tr ]
non hanno zeri comuni in Ar . Per il Teorema degli Zeri, esistono polinomi
Gi (T1 , . . . , Tr ) ∈ K[T1 , . . . , Tr ] tali che
X
Fi (1, T1 , . . . , Tr ) · Gi (T1 , . . . , Tr ) = 1.
(2.1)
i
2.1. SPAZI PROIETTIVI
99
Sia ora
=: (v0 , . . . , vr ) ∈ Ar+1 : v0 6= 0
Ar+1
0
e definiamo ϕ0 : Ar+1
→ Ar ponendo
0
ϕ0 (v0 , . . . , vr ) =
v1
vr
,...,
v0
v0
.
Tirando indietro la (2.1) per la mappa razionale ϕ0 : Ar+1 − − > Ar ,
otteniamo la relazione tra funzioni razionali in K(X0 , . . . , Xr ):
X X1
Xr
X1
Xr
Fi 1,
,...,
· Gi
,...,
= 1.
(2.2)
X0
X0
X0
X0
i
Usando il fatto che Fi è omogeneo di grado di , è facile vedere che
Xr
Fi (X0 , . . . , Xr )
X1
.
,...,
=
Fi 1,
X0
X0
X0di
Inoltre, possiamo evidentemente scrivere
ei (X0 , . . . , Xr )
X1
Xr
G
Gi
,...,
=
X0
X0
X0k
ei ∈ K[X0 , . . . , Xr ] e k ≥ 0. In definitiva, ricaviamo
per certi G
X Fi (X0 , . . . , Xr ) G
ei (X0 , . . . , Xr )
·
= 1,
X0k
X0di
i
da cui moltiplicando per un’opportuna potenza di X0 :
X
bi (X0 , . . . , Xr ) = X0l0
Fi (X0 , . . . , Xr )G
i
bi ∈ K[X0 , . . . , Xr ]. Ne discende che X0l0 ∈ I
per qualche l0 ≥ 0 e qualche G
per qualche l0 ≥ 0.
Analogamente, si ha Xklk ∈ I per ogni k con lk ≥ 0 opportuno. L’asserto
segue facilmente (esercizio).
C.V.D.
Osservazione 2.1.1. La dimostrazione precedente evidenzia il ruolo del ricoprimento affine standard (vedi oltre). La seguente dimostrazione alternativa
utilizza la struttura conica di Kn+1 \{0} ed è più breve. Sia I K[X0 , . . . , Xr ]
100
CAPITOLO 2. VARIETÀ QUASI-PROIETTIVE
un ideale omogeneo con luogo nullo proiettivo vuoto. Allora il luogo nullo
affine Z(I) ⊆ Ar+1 , per quanto visto, è vuoto oppure consiste della sola origine. Nel primo caso, per il Teorema degli zeri I = K[X0 , . . . , Xr ], quindi
non c’è nulla da dimostrare. Nel secondo caso, Xi si annulla su Z(I) per
ogni i; pertanto sempre per il Teorema degli zeri esiste si ≥ 1 intero tale che
Xisi ∈ I. Ne discende che Xis ∈ I per ogni i se s = max(si ), e quindi che
I ⊇ (X0 , . . . , Xn )(n+1)s (esercizio).
2.1.3
Il ricoprimento affine dello spazio proiettivo
Facciamo alcune premesse di natura algebrica.
Definizione 2.1.7. Sia d ≥ 0 un intero e denotiamo con
K(d) [X0 , . . . , Xr ] ⊆ K[X0 , . . . , Xr ]
il sottospazio vettoriale dei polinomi omogenei di grado d e con
Kd [T1 , . . . , Tr ] ⊆ K[T1 , . . . , Tr ]
il sottospazio vettoriale dei polinomi di grado ≤ d.
Chiaramente, ogni F (X0 , . . . , Xr ) ∈ K(d) [X0 , . . . , Xr ] può essere scritto
F (X0 , . . . , Xr ) =
d
X
X0i Fi (X1 , . . . , Xr ),
i=0
ove Fi è omogeneo di grado d − i.
L’applicazione lineare αd : K(d) [X0 , . . . , Xr ] → Kd [T1 , . . . , Tr ] data da
αd : F (X0 , . . . , Xr ) 7→ F (1, T1 , . . . , Tr ) =
d
X
Fi (T1 , . . . , Tr )
i=0
è un isomorfismo di spazi vettoriali, con isomorfismo inverso
Xr
X1
d
,...,
.
βd : G(T1 , . . . , Tr ) 7→ X0 G
X0
X0
Chiaramente, se d = d0 + d00 e
G0 ∈ Kd0 [T1 , . . . , Tr ], G00 ∈ Kd00 [T1 , . . . , Tr ]
2.1. SPAZI PROIETTIVI
101
allora
X1
Xr
X1
Xr
0
βd (G · G ) =
G
,...,
G
,...,
X0
X0
X0
X
0
X1
X1
Xr
Xr
d00
0
d0
0
,...,
· X0 G
,...,
= X0 G
X0
X0
X0
X0
0
00
= βd0 (G ) βd00 (G ) .
0
00
X0d
0
Consideriamo ora l’aperto
Ar0 = [X0 : · · · : Xr ] ∈ Pr : X0 6= 0 ⊆ Pr
La mappa γ0 : Ar → Ar0 data da
(t1 , . . . , tr ) 7→ [1 : t1 : · · · : tr ]
è una biiezione, con inversa
γ0−1
: [X0 : · · · : Xr ] 7→
X1
Xr
,...,
X0
X0
.
Sia W = Zpr (F ), ove F ∈ K(d) [X0 , . . . , Xr ]. Allora
γ0−1 (W ) = {(t1 , . . . , tr ) ∈ Ar | [1 : t1 : · · · : tr ] ∈ Zpr (F )}
= (t1 , . . . , tr ) ∈ Ar | F 1, t1 , . . . , tr ) = 0
= Z αd (F ) .
Dato che ogni chiuso è intersezione di ipersuperfici, γ0 è continua per la
topologia di Zariski.
Viceversa, se G ∈ Kd [X1 , . . . , Xr ] allora
γ0 Z(G) = {[1 : t1 : · · · : tr ] ∈ Pr : G(t1 , . . . , tr ) = 0}
= Zpr βd (G) ∩ Ar0 .
Quindi anche γ0−1 è continua cosı̀ che γ0 è un omeomorfismo.
Analogamente per ogni i = 0, 1, . . . , r possiamo definire
Ari = [X0 : · · · : Xr ] ∈ Pr : Xi 6= 0 ⊆ Pr
e chiaramente {Ari } è un ricoprimento aperto di Pr ; l’argomento precedente
mostra che ogni Ari (con la topologia indotta) è omeomorfo a Ar .
In particolare, ogni sottoinsieme chiuso W ⊆ Ari possiede una chiusura W
in Pr , che chiameremo la chiusura proiettiva di W . Identifichiamo Ar0 con Ar
mediante γ0 ; allora se F ∈ K[T1 , . . . , Tr ] vedremo Z(F ) come un sottoinsieme
di Ar0 .
Definiamo β : K[T1 , . . . , Tr ] → K[X0 , . . . , Xr ] ponendo β(F ) =: βd (F ) se
d è il grado di F .
102
CAPITOLO 2. VARIETÀ QUASI-PROIETTIVE
Osservazione 2.1.2. β non è additiva. Per esempio, per r = 1, β : K[T ] →
K[X, Y ] soddisfa β(1) = 1, β(T ) = Y , β(T 2 ) = Y 2 e
β 1 + T + T 2 = X 2 + XY + Y 2 .
In generale, se grado(F ) = d e
F (T1 , . . . , Tr ) =
d
X
Fi (T1 , . . . , Tr )
i=0
ove Fi è omogeneo di grado d − i, allora
β(F )(X0 , . . . , Xr ) =
d
X
X0i Fi (X1 , . . . , Xr ).
i=0
Teorema 2.1.2. Sia W ⊆ Ar0 = Ar un chiuso affine. Allora
W = Zpr β I(W ) .
Più precisamente, l’ideale radicale di W è genererato da β I(W ) .
Dim. Con l’identificazione descritta, per ogni F ∈ K[T1 , . . . , Tr ] si ha
F = βd (F )|Ar = β(F )|Ar
0
0
se grado(F ) = d. Quindi,
W ⊆ Z(F ) = Zpr β(F ) ∩ Ar0 ⊆ Zpr β(F )
se F ∈ I(W ). Pertanto
W ⊆
\
Zpr
β(F ) = Zpr β I(W ) .
F ∈I(W )
Dato che ogni chiuso in Pr è intersezione di ipersuperfici, per dimostrare
l’inclusione opposta basta verificare
che ogni ipersuperficie che contiene W
contiene anche Zpr β I(W ) .
Sia allora R ∈ K[X0 , . . . , Xr ] omogeneo di grado d e tale che
Zpr (R) ⊇ W.
Prendiamo l’intersezione con Ar0 ∼
= Ar ; dal momento che R|Ar0 = αd (R),
Z α(R) ⊇ W.
2.1. SPAZI PROIETTIVI
103
Quindi, α(R) ∈ I(W ); inoltre è facile verificare che per ogni
polinomio
omogeneo S ∈ K[X0 , . . . , Xr ] si ha grado(S) ≥ grado β ◦ α(S) e
grado(S)−gradoβ◦α(S)
S(X0 , . . . , Xr ) = X0
· β ◦ α S).
Ne segue che
R=
d−gradoβ◦α(R)
X0
β
◦ α(R) ∈
onde
Zpr (R) ⊇ Zpr
d−gradoβ◦α(R)
X0
· β I(W ) ,
(2.3)
β I(W ) .
La (2.3) implica anche l’ultima affermazione del Teorema.
C.V.D.
Osservazione 2.1.3. Una conclusione analoga vale per ogni Ari .
Esempio 2.1.4. Sia W ⊆ Ar ∼
= Ar0 un’ipersuperficie, definita dal polinomio
senza fattori irriducibili
F ∈ K[T1 , . . . , Tr ] di grado d. Allora I(W ) = (F ).
Quindi Ih W K[X0 , . . . , Xr ] è l’ideale generato dai polinomi delle forma
βe (G) al variare di G ∈ I(V ), ove e = grado(G). Ora se G = F · H, con H
di grado c, abbiamo
βd+c (G) = βd (F ) · βc (H),
generato da Fe =: βd (F ); in particolare,
pertanto Ih W è l’ideale
principale
W è l’ipersuperficie Zpr Fe .
Per esempio, adottiamo su P2 le coordinate omogenee [X : Y : Z] e
denotiamo A2X = {X 6= 0} ecc gli aperti affini standard; su A2Z = {Z 6= 0}
adottiamo le coordinate affini X 0 = X/Z, Y 0 = Y /Z. Allora la chiusura in
P2 della retta affine ` = Z (X 0 + 2Y 0 − 1) ⊆ A2Z è la retta proiettiva
L = Zpr (X + 2Y − Z) .
Esempio 2.1.5. Su P1 adottiamo coordinate omogenee [X : Y ]. Poniamo
A11 = {X 6= 0}, A12 = {Y 6= 0}. Un chiuso di Zariski di P1 interseca ogni
A1j in un chiuso di Zariski per la sua topologia di chiuso affine, quindi in un
insieme finito. Pertanto ogni chiuso di Zariski di
P1 = A11 ∪ A12
è un insieme finito. Sia viceversa A ⊆ P1 un insieme finito:
A = [λ1 : µ1 ], . . . , [λs : µs ] .
104
CAPITOLO 2. VARIETÀ QUASI-PROIETTIVE
Allora A = Z(P ), ove
P (X, Y ) =
s
Y
µj X − λj Y .
j=1
Perciò i chiusi di Zariski di P1 sono tutti e soli i suoi sottoinsiemi finiti
e possono essere sempre definiti da un solo polinomio omogeneo, di grado
uguale alla cardinalità.
Esempio 2.1.6. Su P2 adottiamo le coordinate omogenee [X : Y : Z].
Poniamo A2X = {X
6= 0}, A2Y = {Y 6= 0}, A2Z = {Z 6= 0}. La parabola
0
C = Z Y 0 − X 2 ⊆ A2Z ha chiusura proiettiva in P2
C = Zpr Y Z − X 2 .
In particolare, C = C ∩ A2Z . Con la consueta identificazione,
C ∩ A2X = Z(Y Z − 1), C ∩ A2Y = Z Z − X 2 .
e e
e e
Se operiamo
di coordinate Y = Y + Z, Z = Y − Z abbiamo
il cambiamento
02
0
e 2 − Ze 2 , dal che vediamo che una parte affine di C (ove
C = Zpr Ye − X
0
0
Y 0 6= 0) è il cerchio X 2 + Ze 2 = 1. Quindi cerchi, parabole e iperboli appaiono
come intersezioni di una medesima curva piana proiettiva con opportune
‘carte affini’.
Quando si prende la chiusura proiettiva di un chiuso affine che non è
un’ipersuperficie le cose sono meno semplici.
Esempio 2.1.7. (La cubica gobba). Consideriamo
0
0
0
C =: Z Y 0 − X 2 , Z 0 − X 3 = Z Y 0 − X 2 , Z 0 − X 0 Y 0 ⊆ A3 .
Equivalentemente, C è l’immagine del morfismo ϕ : A1 → A2 dato da ϕ(x) =
(x, x2 , x3 ).
L’ideale radicale di C è
I(C) = Y − X 2 , Z − X 3 .
In effetti, dato P ∈ I(C) definiamo
Pe(X, Y, Z) =: P X, Y + X 2 , Z + X 3 .
2.1. SPAZI PROIETTIVI
105
Allora Pe(X, 0, 0) = 0, dal che segue facilmente che
Pe(X, Y, Z) = Y A(X, Y, Z) + Z B(X, Y, Z)
per certi A, B ∈ K[X, Y, Z]. Quindi,
P (X, Y, Z) = Pe X, Y − X 2 , Z − X 3
= Y − X 2 A X, Y − X 2 , Z − X 3 + Z − X 3 B X, Y − X 2 , Z − X 3
∈ Y − X 2, Z − X 3 .
Ad esempio,
ZX − Y 2 = Z − X 3 X − Y − X 2 Y + X 2 .
Adottiamo su P3 le coordinate omogenee [X : Y : Z : T ] e vediamo
A = A3T comel’aperto affine di P3 ove T 6= 0. Per il Teorema, l’ideale
omogeneo Ih C della chiusura proiettiva di C in P3 è generato dai polinomi
βd (G), al variare di G ∈ I(C), con d il grado di G. Per esempio, Ih C
contiene
β2 ZX − Y 2 = ZX−Y 2 , β2 Y − X 2 = Y T −X 2 , β3 Z − X 3 = ZT 2 −Z 3 .
3
Evidentemente, benchè Y − X 2 e Z − X 3 generino I(C), le loro omogenizzazioni β2 (Y − X 2 ) e β3 (Z − X 3 ) non generano Ih C .
Affermo che la chiusura proiettiva di C è il luogo
D = x t2 : x2 t : x3 : t3 | [x : t] ∈ P1 .
In effetti,
2 2
D ∩ A3T =
x t : x t : x3 : t3 | [x : t] ∈ P1 , t 6= 0
=
x : x 2 : x3 : 1 | x ∈ A 1
= C.
Quindi, D ⊇ C. Sia HT = Z(T ) ⊇ P3 (l’iperpiano all’infinito di A3T ). Allora
D ∩ HT = {[0 : 0 : 1 : 0]}.
Consideriamo
R =: Zpr Y T − X 2 , ZT − XY, ZX − Y 2
Evidentemente, R ∩ A3T = C; inoltre, ove T = 0 le tre equazioni impongono
X = Y = 0, quindi R ∩ HT = D ∩ HT . Ne segue che R = D, quindi D è un
chiuso proiettivo. Dato che D ⊇ C, abbiamo D ⊇ C.
106
CAPITOLO 2. VARIETÀ QUASI-PROIETTIVE
Consideriamo K2 con coordinate (R, S) e denotiamone il generico punto
con (r, s). Sia ψ : K2 → K4 data da
ψ r, s =: r s2 , r2 s, r3 , s3 .
Quindi ψ ∗ (F )(R, S) = F (RS 2 , R2 S, R3 , S 3 ) se F (X, Y, Z, T ) ∈ K[X, Y, Z, T ].
Se (r, s) 6= 0, chiaramente ψ(r, s) 6= 0 e pertanto possiamo condiderare la
restrizione
∗
π ◦ ψ : K2 → P3 , (r, s) 7→ r s2 : r2 s : r3 : s3 ;
∗
qui π : (K4 ) → P3 è la proiezione.
Su Z(S)c ⊆ K2 ,
π ◦ ψ r, s = r : r2 : r3 : 1 ∈ π −1 (C).
Pertanto, se F ∈ Ih C è omogeneo allora ψ ∗ (F ) si annulla sull’aperto denso
Z(S)c ⊆ K2 , quindi su tutto K2 . In particolare, ψ ∗ (F ) si annulla in (1, 0),
ossia F (0, 0, 1, 0) = F ψ(1, 0) = 0.
Quindi ogni polinomio in Ih C si annulla in [0 : 0 : 1 : 0], onde
[0 : 0 : 1 : 0] ∈ C.
Dato che D = C ∪ {[0 : 0 : 1 : 0]}, concludiamo che D ⊆ C, ossia D = C.
In particolare, C è l’immagine di P1 per la mappa
ϕ [x : y] = x3 : x2 y : xy 2 : y 3 .
Esercizio 2.1.6. Sia A = [aij ] ∈ GL(r + 1) (0 ≤ i, j ≤ r). Allora l’auto∗
morfismo lineare LA : Kr+1 → Kr+1 , X 7→ AX, preserva (Kr+1 ) e commuta
con l’azione di K∗ , pertanto discende evidentemente a una trasformazione
biunivoca del quoziente,
" r
#
r
X
X
ϕA : Pr → Pr , [x0 : . . . : xr ] 7→
a0j xj : . . . :
arj xj .
j=1
j=1
Chiameremo ϕA la traformazione proiettiva indotta da A. Dimostrare:
1. ϕ−1
A = ϕA−1 , per ogni A ∈ GL(r + 1);
2. ϕA ◦ ϕB = ϕAB , per ogni A, B ∈ GL(r + 1);
3. la corrispondenza A 7→ ϕA definisce un’azione di GL(r + 1) su Pr ;
2.1. SPAZI PROIETTIVI
107
4. l’insieme di tutte le trasformazioni proiettive ϕA : Pr → Pr costituisce
un gruppo PGL(r + 1);
5. PGL(r + 1) ∼
= GL(r + 1)/K∗ · I;
6. per ogni ideale omogeneo I K[X0 : . . . : Xr ] e per ogni A ∈ GL(r + 1)
si ha
ϕ−1
Z
(I)
= Zpr (L∗A (I)) .
pr
A
Esempio 2.1.8. Se 0 ≤ k ≤ r, un k-piano proiettivo in Pr è il proiettivizzato
PU di un sottospazio vettoriale (k + 1)-dimensionale U ⊆ Kr+1 . Per esempio,
una retta proiettiva ` ⊆ Pr è la proiettivizzazione di un sottospazio vettoriale
bidimensionale di Kr+1 . Se [v] 6= [w] ∈ Pr allora v, w ∈ Kr+1 sono linearmente
indipendenti e l’unico sottospazio vettoriale 2-dimensionale che li contiene
entrambi è L =: span{v, w}; pertanto, l’unica retta proiettiva in Pr che
contiene [v] e [w] è
` = PL
n
o
=
λv + µw] : (λ, µ) 6= (0, 0)
n
o
=
λv0 + µw0 : . . . : λvr + µwr ] : (λ, µ) 6= (0, 0) .
In altre parole, l’asserto di algebra lineare che esiste un solo sottospazio vettoriale 2-dimensionale di Kr contenente due vettori linearmente indipendenti
assegnati si traduce nell’asserto di geometria proiettiva che esiste una sola
retta in Pr passante per due punti distinti assegnati.
Esercizio 2.1.7. Dimostrare che per tre punti non allineati in Pn passa uno
e un solo piano proiettivo.
Esempio 2.1.9. Se 0 ≤ k ≤ r e U ⊆ Kr+1 è un sottospazio vettoriale
di dimensione k + 1, dato un chiuso proiettivo Z ⊆ Pr l’intersezione Z ∩
PW è un chiuso proiettivo di PW . Qui PW ∼
= Pk attraverso la scelta di
una base qualsiasi di W . Infatti, eventualmente applicando un’opportuna
trasformazione lineare invertibile LA possiamo supporre che
W = Z Xk+1 , . . . , Xr .
Equivalentemente, applicando un’opportuna trasformazione proiettiva ϕA
possiamo supporre che
PW = Zpr Xk+1 , . . . , Xr .
108
CAPITOLO 2. VARIETÀ QUASI-PROIETTIVE
Quindi,
PW = [X0 : · · · : Xk : 0 : · · · : 0] : [X0 : · · · : Xk ] ∈ Pk .
Sia ψ : Pk → PW l’ovvia identificazione,
[X0 : · · · : Xk ] 7→ [X0 : · · · : Xk : 0 : · · · : 0].
Se
Z = Zpr F1 , . . . , Fs ,
ove gli Fj ∈ K[X0 , . . . , Xr ] sono omogenei, allora
ψ −1 Z ∩ PW = Zpr Fe1 , . . . , Fes ,
ove
Fej (X0 , . . . , Xk ) = Fj (X0 , . . . , Xk , 0, . . . , 0).
Per esempio, adottiamo su P3 le coordinate omogenee [X : Y : Z : T ] e
consideriamo la chiusura in P3 dell’ipersuperficie affine
S = Z X 3 − Y 2 + Z ⊆ A3T .
Questa è
S = Zpr X 3 − Y 2 T + Z T 2 .
La sua intersezione con l’iperpiano all’infinito P2T =: P Z(T ) è
Zpr T, X 3 − Y 2 T + Z T 2 = Zpr (T, X) ,
ossia il luogo
[0 : Y : Z : 0] : [Y : Z] ∈ P1 = PW,
ove W ⊆ K4 è il sottospaziovettoriale
2-dimensionale ove X = T = 0. La
2
sua intersezione con PX =: P Z(X) (con coordinate omogenee [Y : Z : T ])
è
Zpr X, X 3 − Y 2 T + Z T 2 = Zpr X, −Y 2 + Z T T ,
ossia l’unione di una retta e di una conica nondegenere.
Esempio 2.1.10. Si consideri il caso particolare di un’ipersuperficie affine
V ⊆ Ar0 definita da un’equazione omogenea in X1 , . . . , Xr , quindi di un cono
affine con vertice nell’origine; allora la stessa equazione omogenea definisce
la sua chiusura V ⊆ Pr . Pertanto, l’intersezione con l’iperpiano all’infinito
Pr−1 = Zpr (X0 ) è ancora definita dalla medesima equazione nelle coordinate
2.1. SPAZI PROIETTIVI
109
omogenee X1 , . . . , Xr su Pr−1 ; pertanto, tale intersezione consiste proprio
della ipersuperficie proiettiva associata al cono affine. Quindi l’ipersuperficie
proiettiva in Pr associata a un polinomio omogeneo che non dipende da X0
è l’unione disgiunta
V = V ∪ V∞ ,
ove V ⊆ Ar0 è il cono affine definito da quel polinomio e V∞ ⊆ Pr−1
la sua
0
proiettivizzazione.
Esercizio 2.1.8. Sia Kr = Z(Xr ) ⊆ Kr+1 e corrispondentemente
Pr−1 = Zpr (Xr ) ⊆ Pr .
Si dimostri che ogni chiuso proiettivo di Pr−1 è in modo naturale un chiuso
proiettivo di Pr . Si generalizzi al caso di chiusi proiettivi di PW , con W ⊆
Kr+1 un sottospazio vettoriale arbitrario non banale.
Esempio 2.1.11. Sia W ⊆ Kr+1 un sottospazio vettoriale, dim(W ) = k + 1.
Sia T ⊆ PW un chiuso affine e sia p ∈ Pr \ PW . Il cono proiettivo Cp T ⊆
Pr con base T e vertice p è l’unione di tutte le rette proiettive `p,x ⊆ Pr
congiungenti p con qualche punto x ∈ T .
Affermo che Cp T è un chiuso proiettivo. Innanzitutto, l’ipotesi significa che p e i vettori di una qualsiasi base di W sono linearmente indipendenti. Applicando il teorema della base incompleta, è chiaro che mediante
un’opportuna trasformazione proiettiva possiamo assumere PW ⊆ Zpr (X0 )
e p = [1 : 0 : · · · : 0].
Ora Zpr (X0 ) = PH0 ∼
= Pr−1 ha coordinate omogenee [X1 : · · · : Xr ] e
pertanto
T = Zpr F1 , . . . , Fl ⊆ Pr−1
per certi Fj ∈ K[X1 , . . . , Xr ] omogenei.
Inoltre la retta proiettiva che congiunge p = [1 : 0 : · · · : 0] con x = [0 :
x1 : · · · : xr ] ∈ Pr−1 è l’insieme
`p,x = Pspan{(1, 0, · · · , 0), (0; x1 , . . . , xr )}
=
λ : µ x0 : · · · : µ xr ] : [λ : µ] ∈ P1 .
Quindi
[v0 : · · · : vr ] ∈ Cp T ⇔ (v1 , . . . , vr ) ∈ CT ⇔ Fj (v1 , . . . , vr ) = 0, ∀ j = 1, . . . , l.
Quindi,
Cp T = Zpr F1 , . . . , Fl ⊆ Pr ,
ove adesso gli Fj sono considerati polinomi in K[X0 , . . . , Xr ].
110
CAPITOLO 2. VARIETÀ QUASI-PROIETTIVE
Esercizio 2.1.9. Più in generale, supponiamo che PW ∼
= Pa e PV ∼
= Pb siano
i sottospazi proiettivi associati ai due sottospazi vettoriali complementari
W, V ⊆ Kr+1 ; quindi Kr+1 = V ⊕ W e pertanto a + b = k − 1. Per ogni
[v] ∈ PV , W +span(v) ⊆ Kr+1 è un sottospazio vettoriale di dimensione a+1.
Definiamo il cono proiettivo CPW T con base un chiuso proiettivo T ⊆ PV
e
vertice PA come l’unione di tutti gli a-piani proiettivi P W + span(v) , al
variare di [v] ∈ T . Dimostrare che CPW T ⊆ Pr è un chiuso proiettivo.
Se in particolare
W = Z(Xa+1 , . . . , Xr ), V = Z(X0 , . . . , Xr−b−1
e
T = Zpr (F1 , . . . , Fl ) ⊆ PV
ove
Fj (Xr−b , Xr−b+1 , . . . , Xr ) ∈ K[Xr−b , Xr−b+1 , . . . , Xr ],
sono polinomi omogenei, allora
CPW T = Zpr (F1 , . . . , Fl ) ⊆ Pr
(stesse equazioni, spazio ambiente diverso!).
Esempio 2.1.12. L’esempio 2.1.6 può essere generalizzato considerando
ipersuperfici quadriche in uno spazio proiettivo di dimensione arbitraria, ossia
un chiuso proiettivo della forma
S = Zpr (Q) ⊆ Pr+1 ,
ove Q ∈ K[X0 , . . . , Xr ] è un polinomio omogeneo di grado 2. L’unico invariante di una forma quadratica essendo il rango, ogni ipersuperficie quadrica
è l’immagine mediante un’opportuna trasformazione proiettiva di una delle
seguenti:
Sj =: Zpr X02 + · · · + Xj2
con 0 ≤ j ≤ r; quindi Qj =: X02 + · · · + Xj2 ha rango j + 1.
In particolare Qr (equivalentemente, la forma bilineare simmetrica associata) ha rango massimo r + 1; diremo che Wr è non singolare.
Se j < r, Qj è degenere e Sj può interpretatsi come un cono con vertice
il sottospazio proiettivo PVj ∼
= Pr−j−1 e base una quadrica nondegenere in
j
PWj = P ; qui Vj = Z(Xj+1 , . . . , Xr ), Wj = Z(X0 , . . . , Xj ).
Esplicitamente, in P1 abbiamo due possibilità:
S1 = Zpr X02 + X12 , S0 = Zpr X02 .
2.2. FUNZIONI REGOLARI
111
Quindi S1 = [1 : i], [1 : −i] , S0 = [0 : 1] (punto doppio).
In P2 abbiamo tre possibilità:
S2 = Zpr X02 + X12 + X22 , S1 = Zpr X02 + X12 , S0 = Zpr X02 .
Quindi S2 ∩ A20 è il cerchio complesso, S1 ∩ A20 è una coppia di rette, S0 ∩ A20
è un piano doppio.
Esercizio 2.1.10. Estendere a P3 .
2.2
Funzioni regolari
Siano P, Q ∈ K[X0 , . . . , Xr ] polinomi omogenei dello stesso grado d; allora se
∗
x ∈ (Ar+1 ) e Q(x) 6= 0 per ogni λ ∈ K∗ abbiamo
P (λx)
λd P (x)
P (x)
= d
=
.
Q(λx)
λ Q(x)
Q(x)
Pertanto, il rapporto P/Q induce una ben definita funzione f : (Pr )Q → K,
essendo (Pr )Q ⊆ Pr l’aperto ove Q 6= 0.
Definizione 2.2.1. Sia X ⊆ Pr e sia p ∈ X. Una funzione f : X → K si dice
regolare in p se esistono P, Q ∈ K[X0 , . . . , Xr ] polinomi omogenei dello stesso
grado tali che Q(p) 6= 0 e f (x) = F (x)/Q(x) per ogni x ∈ X Q =: X ∩ (Pr )Q .
Una funzione f : X → K si dice regolare su X se è regolare in ogni punto di
X. Le funzioni regolari su X formano una K-algebra O(X).
Lemma 2.2.1. Una funzione regolare f : X → A1 è continua.
Dim. Basta dimostrare che il luogo ove f 6= 0 è aperto. Sia x ∈ X tale
che f (x) 6= 0. Sia Ux ⊆ X un intorno aperto ove f = Px /Qx , con Px e
Qx polinomi omogenei dello stesso grado e tali che Qx 6= 0 ovunque su Ux .
Allora evidentemente f −1 (A1 \ {0}) contiene l’aperto X ∩ (Pr )Px Qx .
C.V.D.
Chiariamo innanzitutto la relazione tra la presente nozione di regolarità
e quella introdotta per i chiusi affini.
Innanzitutto,
Lemma 2.2.2. f : Ar0 → K è regolare nel senso della definizione 2.2.1 se e
solo se f ◦ γ0 ∈ O (Ar ).
112
CAPITOLO 2. VARIETÀ QUASI-PROIETTIVE
Dim. Sia f ◦ γ0 ∈ O (Ar ) = K[T1 , . . . , Tr ]. Quindi, esiste un unico
polinomio F (T1 , . . . , Tr ) tale che f ◦ γ0 (t1 , . . . , tr ) = F (t1 , . . . , tr ) per ogni
(t1 , . . . , tr ) ∈ Ar , ossia
f [1 : t1 : · · · : tr ] = F (t1 , . . . , tr ).
Sia d il grado di F . Allora chiaramente
per restrizione dal quozien f è indotta
X1
Xr
d
d
te: βd (F )/X0 , ove βd (F ) = X0 F X0 , . . . , X0 . Dato che βd (F ) è omogeneo
di grado d, f ∈ O (Ar0 ).
Viceversa, supponiamo che f ∈ O (Ar0 ). Allora f è regolare in γ0 (p) per
ogni p ∈ Ar . Quindi per ogni p ∈ Ar esistono polinomi omogenei dello stesso
grado P, Q ∈ K[X0 , . . . , Xr ] tali che Q [1 : p] 6= 0 e f (x) = P (x)/Q(x) ove
Q(x) 6= 0.
Sia q ∈ (Ar )α(Q) , l’aperto ove Q(1, q) 6= 0. Allora
P 1, q
α(P )(q)
=
.
f ◦ γ0 (q) = f (1, q) =
α(Q)(q)
Q 1, q
In altre parole, f = α(P )/α(Q) su (Ar )α(Q) . Pertanto, f ◦ γ0 è regolare (nel
senso delle funzioni razionali su Ar ) in ogni p ∈ Ar .
Dato che una funzione razionale su Ar regolare in ogni punto è regolare,
deduciamo
f ◦ γ0 ∈ O (Ar ) .
C.V.D.
Corollario 2.2.1. La mappa f 7→ f ◦ γ0 induce un isomorfismo di K-algebre
O (Ar0 ) → O (Ar ) = K[T1 , . . . , Tr ].
Più in generale, sia X ⊆ Ar un chiuso affine e X0 =: γ0 (X); sia γ0X : X →
X0 la mappa indotta da γ0 per restrizione. L’argomento precedente, con lievi
modifiche, dimostra anche:
Proposizione 2.2.1. f ∈ O(X0 ) se e solo se f ◦ γ0X ∈ O(X). Di conseguenza, f 7→ f ◦ γ0X è un isomorfismo di K-algebre O(X0 ) → O(X).
La seguente proposizione illustra una netta differenza tra spazi proiettivi
e chiusi affini:
Proposizione 2.2.2. Le sole funzioni regolari su Pn sono le costanti: O (Pn ) =
K.
2.2. FUNZIONI REGOLARI
113
Dim. Sia f ∈ O (Pn ). Per definizione, per ogni x ∈ Pn esistono un
intorno aperto Ux di x in Pn e polinomi omogenei dello stesso grado tali che
Px , Qx ∈ K[X0 , . . . , Xn ] Qx (x0 ) 6= 0 per ogni x0 ∈ Ux e f = Px /Qx su Ux .
Dopo avere semplificato eventuali fattori comuni, possiamo supporre che Px
e Qx siano relativamente primi.
Dati x, y ∈ Pr , sull’aperto denso Ux ∩ Uy abbiamo f = Px /Qx = Py /Qy ,
per cui Px Qy = Py Qx . Per l’ipotesi che Px , Qx e Py , Qy siano primi a due a
due, discende chiaramente che Px = λ Py e Qx = λ Qy per qualche λ ∈ K∗ .
Quindi la rappresentazione di f come quoziente di funzioni razionali è
(essenzialmente) unica e pertanto deve essere Q(x) 6= 0 per ogni x ∈ Pn .
In altre parole, l’ideale principale generato da Q non ha zeri nello spazio
proiettivo; ne discende che Xik ∈ (Q) per ogni i e qualche k 0, ossia Q
divide ogni Xik , assurdo se Q ha grado positivo. Perciò Q ∈ K∗ e cosı̀ f è
costante.
C.V.D.
Osservazione 2.2.1. Nel caso di P1 , possiamo dare una dimostrazione più
esplicita, come segue. Sia f : P1 → K regolare. Abbiamo P1 = A1X ∪ A1Y ,
ove [X : Y ] sono le coordinate omogenee e A1X = {X 6= 0}, A1Y = {Y 6= 0}.
Consideriamo gli omeomorfismi γX : A1 → A1X , t 7→ [1 : t], e γY : A1 → A1Y ,
u 7→ [u : 1]. Dato che le sole funzioni regolari su A1 sono i polinomi, per la
Proposizione 2.2.1 esistono polinomi A, B ∈ K[T ] tali che
f [1 : t] = A(t), g [u : 1] = B(u).
Su A1X ∩ A1Y abbiamo [1 : 1/x] = [x : 1], quindi
A(1/x) = f [1 : 1/x] = f [x : 1] = B(x)
per ogni x 6= 0.
Supponiamo allora che
A(T ) = a0 + a1 T + · · · + ad T d ,
B(T ) = b0 + b1 T + · · · + be T e ,
con ad , be 6= 0.
Per ogni x 6= 0 deve essere
ad
a1
+ ··· + d = A
a0 +
x
x
1
= B(x) = b0 + b1 x + · · · + be xe .
x
Quindi, moltiplicando per xd otteniamo
a0 xd + · · · + ad−1 x + ad = xd (b0 + b1 x + · · · + be xe ) .
114
CAPITOLO 2. VARIETÀ QUASI-PROIETTIVE
Visto che l’ugualglianza vale per ogni x 6= 0, vale per ogni x ∈ K e quindi è
un’uguaglianza in K[X]:
a0 X d + · · · + ad−1 X + ad = X d (b0 + b1 X + · · · + be X e ) .
Se fosse d > 0 avremmo allora una contraddizione, perchè il primo membro
ha termine costante ad 6= 0, mentre il secondo è un multiplo di xd . Di
conseguenza d = 0, pertanto f è costante su A1X e quindi ovunque.
Corollario 2.2.2. Sia X ⊆ Ar e attraverso l’identificazione Ar ∼
= Ar0 vediamo X come un sottoinsieme di Pr . Allora f : X → A1 è regolare se e solo
se per ogni x ∈ X esistono:
• un aperto X 0 ⊆ X tale che x ∈ X 0 e
• p, q ∈ O (Ar ) con q(x0 ) 6= 0 per ogni x0 ∈ X,
tali che f (x0 ) = p(x0 )/q(x0 ) per ogni x0 ∈ X 0 .
Dim. Esercizio.
Esercizio 2.2.1. Si generalizzi supponendo X ⊆ V , con V ⊆ Ar Zariski
chiuso.
Definizione 2.2.2. Sia X ⊆ Pr .
1. Una funzione f : X → Ak si dice regolare se tutte le sue componenti lo
sono.
2. Una funzione f : X → Pk si dice regolare se:
• f è continua;
• Per ogni i = 0, . . . , k la restrizione
f : f −1 Aki → Aki
è regolare nel senso precedente.
3. Sia Y ⊆ Pk . Una funzione regolare f : X → Y è una funzione regolare
da X in Pk che prende valori in Y .
4. Un isomorfismo f : X → Y è una funzione regolare da X in Y con
inversa regolare.
Esempio 2.2.1. Una funzione regolare f : Pr → Ak è costante, dato che
ogni sua componente lo è.
2.2. FUNZIONI REGOLARI
115
Esempio 2.2.2. Siano F0 , . . . , Fk ∈ K[X0 , . . . , Xr ] polinomi omogenei dello
stesso grado d; allora la mappa ψ : Pr \ Zpr (F0 , . . . , Fk ) → Pk definita da
ψ [X0 : · · · : Xr ] =: F0 (X0 , . . . , Xr ) : · · · : Fk (X0 , . . . , Xr )
è ben definita (esercizio) e regolare. Infatti, se G ∈ K[X0 , . . . , Xk ] è omogeneo
di grado e allora chiaramente
ψ −1 (Zpr (G)) = Zpr G F0 (X), . . . , Fk (X) ∩ Zpr (F0 , . . . , Fr )c ,
e G F0 (X), . . . , Fk (X) è un polinomio omogeneo di grado d · e. Inoltre,
abbiamo ad esempio
ψ −1 Ak0 = Pr \ Zpr (F0 )
e la restrizione Pr \ Zpr (F0 ) → Ak0 è la mappa
F1 (X0 , . . . , Xr )
Fk (X0 , . . . , Xr )
[x0 : . . . : xr ] 7→
,...,
.
F0 (X0 , . . . , Xr )
F0 (X0 , . . . , Xr )
Alcuni casi particolari:
Esempio 2.2.3. Siano p 6= q ∈ Kr+1 linearmente indipendenti, cosı̀ che
x = [p] 6= y = [q]. Definiamo ψ : P1 → Pr ponendo
ψ [λ : µ] =: [λp + νq] = [λp0 + µq0 : · · · : λpr + µqr ].
Chiaramente, ψ è regolare, con immagine la retta congiungente x e y.
Esempio 2.2.4. La mappa ψ : P1 → Pd data da
ψ [λ : η] = λd : λd−1 η : · · · : λ η d−1 : η d
è regolare. Chiaramente, l’immagine di ψ giace sul chiuso proiettivo
C =: Zpr Xi Xj − Xl Xk : i + j = l + k .
Infatti la s-ima coordinata omogenea di ψ [λ : η] è λd−s η s , e
λd−i η i · λd−j η j = λ2d−i−j η i+j
= λ2d−l−k η l+k
= λd−l η l · λd−k η k .
Viceversa, supponiamo [v] ∈ C. Allora
(2.4)
116
CAPITOLO 2. VARIETÀ QUASI-PROIETTIVE
Lemma 2.2.3. v0 6= 0 o vd 6= 0.
Dim. Supponiamo v0 = vd = 0, d = 2k. Se 0 ≤ j ≤ k allora
0 = v0 v2j = vj2 ,
quindi vj = 0. Se j = k + r, 0 ≤ r ≤ k, allora
2
0 = vd v2r = vk+r
,
quindi vk+r = 0.
Quindi, vj = 0 per ogni j, assurdo.
Supponiamo d = 2k + 1. Ancora vj = 0 se j ≤ k; altrimenti,
2
0 = vd vr−1 = vk+r
.
C.V.D.
Pertanto,
C ⊆ AdX0 ∪ AdXd .
Se [v] ∈ C ∩ AdX0 , definiamo
ϕ0 ([v]) =: [v0 : v1 ] .
Se [v] ∈ C ∩ AdXd , definiamo
ϕd ([v]) =: [vd−1 : vd ] .
Se [v] ∈ C ∩ AdX0 ∩ AdXd , abbiamo
ϕ0 ([v]) = [v0 : v1 ] = [vd−1 : vd ] = ϕd ([v])
perchè v1 vd−1 = v0 vd .
Quindi abbiamo una mappa regolare globalmente definita ϕ : C → P1
che è l’inversa di ψ, dato il seguente.
Esercizio 2.2.2. Dimostrare che la matrice


v0
v1
···
vd−1
vd
 v0d v0d−1 v1 · · · v0 v1d−1 v1d 
d−1
d
vd−1
vd−1
vd · · · vd−1 vdd−1 vdd
ha rango 1 se [v] ∈ C.
Pertanto, C è isomorfa a P1 .
La curva C si dice la curva normale razionale di grado d.
2.2. FUNZIONI REGOLARI
117
Esempio 2.2.5. Per d = 2, ψ induce un isomorfismo tra P1 e la conica nonsingolare C =: Zpr (X12 − X0 X2 ). Dato che tutte le coniche non-singolari sono
proiettivamente equivalenti, in dimensione due esse sono tutte isomorfe a P1 .
Con un cambiamento di base, e dopo aver cambiato nome alle coordinate,
abbiamo la mappa ψ : P1 → P2 data da
ψ [T0 : T1 ] =: T02 − T12 : −2T0 T1 : T02 + T12 ,
la cui immagine è il cerchio C 0 =: Zpr (X 2 + Y 2 − Z 2 ) (cfr Esempio 1.4.9).
Possiamo generalizzare l’esempio precedente costruendo mappe regolari
con dominio Pr per ogni r.
Lemma 2.2.4. Siano n, d ≥ 1 interi e sia Vn,d lo spazio vettoriale su K dei
polinomi omogenei di grado d in X0 , . . . , Xn . Allora
n+d
(n + d)!
.
dim(Vn,d ) =
=
n! d!
d
Dim. Consideriamo il caso d = 1. Un elemento di Vn,1 è semplicemente
∗
un funzionale lineare su Kn+1 , ossia Vn,1 = (Kn+1 ) ; pertanto,
n+1
dim (Vn,1 ) = n + 1 =
.
1
Consideriamo il caso n = 1. Se n = 1, i polinomi omogenei di grado d in
X0 , X1 sono combinazioni lineari dei monomi X0d , X0d−1 X1 , . . . , X0 X1d−1 , X1d ,
che pertanto sono una base di V1,d . Quindi,
1+d
dim(V1,d ) = d + 1 =
.
d
Quindi l’asserto vale per n = 1 e per d = 1. Dati n0 , d0 ≥ 1, supponiamolo
vero per ogni n ≤ n0 e d arbitrario, e per ogni d ≤ d0 e n arbitrario. Si ha
0
00
Vn,d = Vn,d
⊕ Vn,d
,
0
00
ove Vn,d
⊆ Vn,d è il sottospazio dei polinomi divisibili per Xn e Vn,d
è il
sottospazio generato dai monomi negli Xi che non contengono Xn .
0
Ora Vn,d
è l’immagine in Vn,d dell’applicazione lineare MXn : Vn,d−1 → Vn,d
data dalla moltiplicazione per Xn . Dato che MXn è evidentemente iniettiva,
abbiamo allora
n+d−1
0
dim Vn,d = dim(Vn,d−1 ) =
d−1
118
CAPITOLO 2. VARIETÀ QUASI-PROIETTIVE
per l’ipotesi di induzione.
00
D’altra parte, Vn,d
⊆ Vn,d è il sottospazio dei monomi di grado d nelle
variabili X0 , . . . , Xn−1 , quindi per l’ipotesi di induzione abbiamo anche
n−1+d
00
dim Vn,d =
.
d
In definitiva, concludiamo
00
0
+ dim Vn,d
dim(Vn,d ) = dim Vn,d
n+d−1
n−1+d
=
+
d−1
d
n+d
=
.
d
L’ultima uguaglianza si dimostra con un facile argomento combinatorio.
C.V.D.
Esempio 2.2.6. Poniamo Nn,d =: n+d
e sia (P1 , . . . , PNn,d ) una base di
d
n
Vn,d ; per ogni [v] ∈ P , si ha Pj (v) 6= 0 per qualche j (esercizio). Otteniamo
quindi una mappa regolare
νn,d : Pn → PNn,d −1
ponendo
νn,d ([v]) =: P1 ([v]), . . . , PNn,d ([v]) .
Questa è la celebre mappa di Veronese. L’immagine di νn,d è un chiuso
proiettivo di PNn,d −1 , il luogo nullo di una certa collezione di polinomi quadratici. Per descriverli, dopo avere composto con una trasformazione proiettiva di PNn,d −1 , possiamo supporre senza perdita di generalità che la base di
Vn,d utilizzata sia data dai monomi X I = X0i0 · · · Xnin ; penseremo a PNn,d −1
con coordinate omogenee YI , una per ogni multi-indice I = (i0 , . . . , in ) con
|I| = i0 + · · · + in = d.
Con questa scelta della base, in coordinate omogenee l’inserzione di Veronese è data da
νn,d ([v]) = v I ,
col che si intende che la I-ima coordinata omogenea di νn,d ([v]) è v I =
v0i0 · · · vnin .
Quindi, se [w] = νn,d ([v]), ossia se wI = v I , allora
wI · wJ = wL · wK
se i0 + j0 = l0 + k0 , . . . , in + jn = ln + kn .
Generalizzando gli argomenti dell’esempio 2.2.4, si verifica che:
2.2. FUNZIONI REGOLARI
119
• l’immagine di νn,d , detta la varietà di Veronese, è proprio il luogo nullo
di questi polinomi:
νn,d (Pn ) = Zpr XI XJ − XL XK : I + J = K + L ⊆ PNn,d −1 ;
• la mappa indotta νn,d : Pn → νn,d (Pn ) è un isomorfismo.
Osservazione 2.2.2. Ovviamente, νn,1 = idPn .
Esempio 2.2.7. Come caso particolare, consideriamo la superficie di Veronese quadratica; dato che
2+2
4
=
= 6,
2
2
questa è data dall’immagine di
ν2,2 : P2 → P5 .
Se ordiniamo opportunamente i monomi quadratici nelle coordinate omogenee [X0 : X1 : X2 ] di P2 , la superficie di Veronese nelle corrispondenti
coordinate omogenee [Z0 : · · · : Z5 ] di P5 è il luogo ove la matrice


Z0 Z3 Z4
 Z3 Z1 Z5 
Z4 Z5 Z2
ha rango = 1, ossia il luogo nullo di tutti i minori due per due (le varietà che
possiedono una descrizione di questo tipo si dicono determinantali).
Problema 2.2.1. Dato che ν2,2 induce un isomorfismo di P2 con la sua immagine, che è chiusa in P5 , un chiuso proiettivo di P2 si mappa isomorficamente
su un chiuso proiettivo di P5 , ma quali sono le sue equazioni?
Teorema 2.2.1. Sia X ⊆ Pk e sia f : X → Pr . Allora le seguenti condizioni
sono equivalenti:
1. f è regolare;
2. per ogni x ∈ X, esistono:
(a) un aperto X 0 ⊆ X con x ∈ X 0 ;
(b) polinomi omogenei F0 , . . . , Fr ∈ K[X0 , . . . , Xk ] tutti dello stesso
grado senza zeri comuni in X 0 ,
120
CAPITOLO 2. VARIETÀ QUASI-PROIETTIVE
tali che
f ([v]) = F0 (v) : . . . : Fr (v)
(2.5)
per ogni [v] ∈ X 0 .
Osservazione 2.2.3. Ovviamente, X 0 deve essere contenuto nel luogo ove
qualche Fi 6= 0, per dare un senso alla (2.5). Inoltre, la (2.5) è ben definita
come funzione di [v], perchè se v è sostituito con λ v per λ 6= 0 ogni Fi (v) è
moltiplicato per λd , ove d è il grado comune degli Fi ; quindi il punto in Pr
al secondo membro non cambia.
Dim. Che 2 implichi 1 è essenzialmente l’Esempio 2.2.2. In effetti, se vale
2 allora, nella notazione dell’asserto, per ogni G ∈ K[X0 , . . . , Xk ] omogeneo
di grado e si ha
e ∩ X 0,
f −1 Zpr (G) ∩ X 0 = Zpr G
ove
e 0 , . . . , Xk ) =: G F0 (X), . . . , Fr (X) ∈ K[X0 , . . . , Xk ]
G(X
è omogeneo di grado d · e. Dato che ogni chiuso di Zariski in Pr è intersezione
di ipersuperfici, f è continua su X 0 ; essendo continua nell’intorno di ogni
punto di X, f è continua. Il resto della dimostrazione che 2 implica 1 è come
nella discussione dell’esempio 2.2.2.
Viceversa, sia f regolare in x. Supponiamo f (x) ∈ Ar0 . Quindi esiste
un intorno aperto X 0 ⊆ X di x tale che f (X 0 ) ⊆ Ar0 e la mappa indotta
f 0 : X 0 → Ar0 è regolare. Pertanto, esistono f1 , . . . , fr : X 0 → A1 regolari tali
che
f 0 (y) = 1 : f1 (y) : · · · : fr (y) .
Dopo avere eventualmente ristretto X 0 , possiamo supporre che ogni fi abbia
la forma fi = Pi /Qi |X 0 , ove Pi , Qi ∈ K[X0 , . . . , Xr ] sono omogenei dello
Qrstesso
0
grado che non si annullano in X . Dopo aver moltiplicato per Q = i=1 Qi ,
ricaviamo
h
i
f 0 (y) = Q(v) : Fe1 (v) : · · · : Fer (v)
∀ y = [v] ∈ X 0 .
C.V.D.
Definizione 2.2.3. Sia X ⊆ Pk e sia f : X → Pr un morfismo (mappa
regolare). Diremo che f è degenere se f (X) ⊆ H per qualche iperpiano
proiettivo H ⊆ Pr . Altrimenti, diremo che f è non degenere.
2.2. FUNZIONI REGOLARI
121
Lemma 2.2.5. Sia X ⊆ Pk un chiuso proiettivo e siano
F0 , . . . , Fr ∈ K[X0 , . . . , Xk ]
polinomi omogenei di grado d senza zeri comuni in X. Sia f : X → Pr il
morfismo
f (x) =: F0 (X0 , . . . , Xk ) : · · · : Fr (X0 , . . . , Xk )].
Allora le seguenti condizioni sono equivalenti:
1. f è degenere;
2. Esistono λ0 , . . . , λr ∈ K tali che
λ0 F0 + · · · + λr Fr ∈ Ih (X);
3. Le immagini di F0 , . . . , Fr ∈ Oh (M ) sono linearmente indipendenti.
Dim. Esercizio.
Esercizio 2.2.3. Dimostrare che il morfismo di Veronese νn,d : Pn → PNn,d −1
è non degenere.
Osservazione 2.2.4. Sia M ⊆ Pk e sia f : M → Pr regolare in m ∈ M e
sia M 0 ⊆ M un intorno aperto di m sul quale f ha la forma
f (m0 ) = F0 (m0 ) : · · · : Fr (m0 )
per certi polinomi omogenei Fj ∈ K[X0 , . . . , Xk ]. Sia G ∈ K[Y0 , . . . , Yr ] e sia
V = Zpr (G). Allora, come si è notato,
e ∩ X 0,
f −1 Zpr (G) = Zpr G
ove
e 0 , . . . , Xk ) =: G F1 (X), . . . , Fr (X) .
G(X
Consideriamo il caso particolare f = νn,d : Pn → PN (n,d) . Sia
X
P (X0 , . . . , Xn ) =
aI X I
I
e ove
un polinomio omogeneo di grado d; chiaramente P = H,
X
H=
aI Y I
I
(essendo YI le coordinate omogenee su PN (n,d) ). Quindi,
Zpr (P ) = f −1 Zpr (G) .
In altre parole, ogni ipersuperficie di grado d in Pk è l’immagine inversa di
un iperpiano in PN (n,d) .
122
CAPITOLO 2. VARIETÀ QUASI-PROIETTIVE
Esercizio 2.2.4. Stabilire se l’osservazione precedente determina una corrispondenza biunivoca tra ipersuperfici di grado d e iperpiani di PN (n,d) .
Esercizio 2.2.5. Sia nuovamente νn,d : Pn → PNn,d −1 la mappa di Veronese.
Se V ⊆ Pn è un ipersuperficie di grado d, ossia il luogo nullo di un polinomio
F ∈ K[X0 , . . . , Xn ] omogeneo di grado d, stabilire se la restrizione di νn,d ad
V , νV : V → PNn,d −1 è degenere o meno. Nel caso, esibire esplicitamente un
iperpiano contenente νV (V ).
Sia M ⊆ Pn . Una mappa regolare f : M → Pr è quindi equivalente
all’assegnazione dei seguenti dati:
• Un ricoprimento aperto {Mi } di M ;
(i)
(i)
• per ogni i, una sequenza ordinata F0 , . . . , Fr
polinomi omogenei dello stesso grado di ,
∈ K[X0 , . . . , Xn ] di
tali che:
(i)
1. se m ∈ Mi allora Fl (m) 6= 0 per almeno un l, e inoltre
(i)
(j)
(i)
(j)
2. su ogni itersezione Mi ∩ Mj si ha Fl Fk = Fk Fl
per ogni l, k.
È facile definire una relazione di equivalenza tra dati di questo tipo in
modo che assegnazioni equivalenti definiscono la stessa funzione regolare e
viceversa (esercizio). Un approccio simile si applica alla definizione di funzione razionale (vedi oltre); in quel caso non si impone la condizione 1., ma
(i)
solo che per ogni i non tutti gli Fl siano identicamente nulli su Mi .
2.3
Varietà quasi-proiettive
Definizione 2.3.1. Una varietà quasi-proiettiva è un sottoinsieme localmente chiuso di uno spazio proiettivo (ossia l’intersezione di un chiuso proiettivo
in Pk con un aperto di Pk , per qualche k). In altre parole, X ⊆ Pk è una
varietà quasi-proiettiva se
X = Y1 \ Y2 ,
ove Y1 , Y2 ⊆ Pk sono chiusi proiettivi.
Più esplicitamente, se Y1 = Zpr (F1 , . . . , Fa ) e Y2 = Zpr (G1 , . . . , Gb ) per
certi polinomi omogenei Fi , Gj ∈ K[X0 , . . . , Xk ], allora
!
b
[
X = Zpr (F1 , . . . , Fa ) ∩
Zpr (Gj )c
j=1
= x ∈ Pk : Fi (x) = 0 ∀ i e Gj (x) 6= 0 per qualche j .
2.3. VARIETÀ QUASI-PROIETTIVE
Esempio 2.3.1.
123
• Un chiuso proiettivo è una varietà quasi-proiettiva.
• L’immagine di un chiuso affine V ⊆ Ar in Ar0 ⊆ Pr è una varietà
quasi-proiettiva; infatti, identificando Ar con Ar0 , abbiamo
V = V \ Pr−1
0 ,
ove Pr−1
= Zpr (X0 ) è l’iperpiano all’infinito.
0
• Sottoinsiemi aperti di spazi proiettivi, chiusi proiettivi, spazi affini,
chiusi affini sono varietà quasi-proiettive.
Lemma 2.3.1. Una varietà quasi-proiettiva è quasi-compatta.
Dim. Sia X ⊆ PN e per ogni i = 0, . . . , N sia Xi =: X ∩ AN
i ; dato che
ogni sottoinsieme dello spazio affine è quasi-compatto, tale è Xi (ovviamente,
la topologia su Xi è la medesima sia che la si consideri come indotta dallo
N
spazio affine AN
i che come da P ).
Sia {Yj } un qualsiasi ricoprimento aperto di X; per ogni i, possiamo
trovare un sottoricoprimento finito {Yjk }k di Xi ; l’unione di tutti gli {Yjk }k
è un ricoprimento finito di X.
C.V.D.
Osservazione 2.3.1. Lo stesso ragionamento mostra che ogni sottoinsieme
di PN è quasi-compatto.
Esercizio 2.3.1. La dimostrazione precedente utilizza il ricoprimento affine
standard. Dimostrare che ogni sottoinsieme di PN è quasi-compatto utilizzando la proiezione π : KN +1 \ {0} → PN per ricondursi all’analogo asserto
per KN +1 .
Lemma 2.3.2. Una varietà quasi-proiettiva è uno spazio topologico Noetheriano.
Dim. Innanzitutto PN è uno spazio topologico Noetheriano, dato che una
sequenza decrescente Z1 ⊇ Z2 ⊇ . . . di chiusi proiettivi corrisponde a una
sequenza crescente di ideali conici Ih (Z1 ) ⊆ Ih (Z2 ) ⊆ . . ., che quindi deve
essere stazionaria.
Sia ora X ⊆ PN una varietà quasi-proiettiva e sia X1 ⊇ X2 ⊇ . . . una
sequenza decrescente di chiusi di X; allora le chiusure proiettive forniscono
una sequenza X 1 ⊇ X 2 ⊇ . . . di chiusi di PN , che quindi deve essere stazionaria. Ma evidentemente Xi = X i ∩ X, quindi anche la sequenza degli Xi è
stazionaria.
C.V.D.
124
CAPITOLO 2. VARIETÀ QUASI-PROIETTIVE
Osservazione 2.3.2. Come nel caso affine, ne discende che una varietà
quasi-proiettiva può essere decomposta, in modo essenzialmente unico, come unione non ridondante di sottovarietà irriducibili, che risultano essere
sottovarietà quasi-affini.
Esercizio 2.3.2. Si dimostri che le seguenti affermazioni su una varietà
quasi-proiettiva X sono equivalenti:
1. X è irriducibile;
2. quasiasi sottoinsieme aperto di X è irriducibile;
3. esiste un sottoinsieme aperto denso irriducibile di X;
4. la chiusura proiettiva di X è irriducibile.
Esempio 2.3.2. In generale, l’unione di varietà quasi-proiettive X1 , X2 ⊆ Pk
non è una varietà quasi-proiettiva. Per esempio, siano A2X,Y =: Z(Z) ⊆ A3
il piano XY , A1X =: Z(Z, Y ) ⊆ A3 l’asse X e sia
V =: A2X,Y \ A1X .
Essendo un aperto in un chiuso affine, V è una varietà quasi-proiettiva. Consideriamo ora l’unione W =: V ∪ A1Z , ove A1Z è l’asse X. Allora l’origine 0 ∈
W , ma W non è localmente chiuso in 0. Infatti, I(W ) = I(W ) = (ZX, ZY )
(dimostrare), quindi W = A2X,Y ∪ A1Z .
Esempio 2.3.3. Per contro, l’intersezione di varietà quasi-proiettive è una
varietà quasi-proiettiva. Infatti, possiamo scrivere Xi = Ci ∩Ai , ove C1 , C2 ⊆
Pk sono chiusi e A1 , A2 ⊆ Pk sono aperti. Pertanto
X1 ∩ X2 = (C1 ∩ A1 ) ∩ (C2 ∩ A2 ) = (C1 ∩ C2 ) ∩ (A1 ∩ A2 )
che ha la stessa forma. Equivalentemente, cambiando leggeremente notazione, se
!
b
[
X = Zpr (F1 , . . . , Fa ) ∩
Zpr (Gi )c ,
i=1
0
X =
Zpr (F10 , . . . , Fd0 )
∩
e
[
!
Zpr (G0j )c
j=1
allora
X ∩ X 0 = Zpr (F1 , . . . , Fa , F10 , . . . , Fd0 ) ∩
[
i,j
Zpr
!
c
Gi G0j
.
2.3. VARIETÀ QUASI-PROIETTIVE
125
Definizione 2.3.2. Una varietà quasi-proiettiva si dice affine se è isomorfa
a un chiuso affine, proiettiva se è isomorfa a un chiuso proiettivo. Per estensione di linguaggio, si dice varietà affine (rispettivamente, proiettiva) anche
la classe di isomorfismo di una varietà affine (rispettivamente, proiettiva).
Osservazione 2.3.3. Vedremo che l’immagine di un chiuso proiettivo mediante una mappa regolare è ancora un chiuso proiettivo; quindi una varietà
proiettiva è necessariamente un chiuso proiettivo (altrimenti detto, nella classe di isomorfismo di un chiuso proiettivo ci sono solo chiusi proiettivi). Per
contro, un chiuso affine può essere isomorfo a una varietà quasi-proiettiva
che non è un chiuso affine (altrimenti detto, nella classe di isomorfismo di un
chiuso affine non ci sono, in generale, solo chiusi affini).
Esempio 2.3.4. Sia V = Z(F1 , . . . , Fk ) ⊆ Ar , ove Fi ∈ K[T1 , . . . , Tr ], e sia
f ∈ O(V ) \ {0}. Sia F ∈ K[T1 , . . . , Tr ] tale che f = F |V . L’aperto affine
principale V f =: V \ ZV (f ) di V è una varietà affine, dato che è isomorfo al
chiuso affine
W = Zpr F1 , . . . , Fk , Tr+1 · F − 1 ⊆ Ar × A1 ∼
= Ar+1 .
Esplicitamente, le mappe V F → W , v 7→ v, 1/f (v) e W 7→ V F , (v, λ) 7→ v
sono regolari e l’una l’inversa dell’altra (esercizio).
Esempio 2.3.5. A2 \ {0} è una varietà quasi-proiettiva che non è affine nè
proiettiva. Infatti non è proiettiva perchè O (A2 \ {0}) = O (A2 ) 6= K. Non
è affine perchè se lo fosse l’isomorfismo
ι∗ : O A2 → O A2 \ {0}
indotto per restrizione dall’inclusione ι : A2 \ {0} ,→ A2 dovrebbe corrispondere a un isomorfismo, il che evidentemente non è dato che ι non è
suriettiva.
Esercizio 2.3.3. Sia x ∈ P2 . Dimostrare che O (P2 \ {x}) ∼
= K. Dedurre
2
dalle considerazioni precedenti che P \ {x} non è nè una varietà affine nè
una varietà proiettiva.
Sia X ⊆ PN un chiuso proiettivo e sia AN
il ricoprimento affine
i
standard di PN . Per ogni i, l’intersezione
Xi =: X ∩ AN
i
è un chiuso di AN
i , quindi una varietà affine, e un aperto di X. Dato che X =
S
N
X
,
ogni
chiuso
proiettivo, e quindi ogni varietà proiettiva, ammette un
i
i=1
ricoprimento aperto costituito da varietà affini.
Questa è una proprietà generale di ogni varietà quasi-proiettiva:
126
CAPITOLO 2. VARIETÀ QUASI-PROIETTIVE
Lemma 2.3.3. Sia X una varietà quasi-proiettiva. Allora ogni x ∈ X ha un
intorno aperto affine X 0 ⊆ X (ossia x ∈ X 0 , X 0 è aperto in X e X 0 è una
varietà affine).
Dim. Per ipotesi, X ⊆ PN è localmente chiuso, ossia X = Z1 \ Z2 , ove
Z1 , Z2 ⊆ PN sono chiusi proiettivi. Dopo avere eventualmente riordinato
le coordinate omogenee, possiamo supporre senza perdita di generalità che
x ∈ X ∩ AN
0 .
N
Sia Yj = AN
0 ∩ Zj , j = 1, 2; quindi ogni Yj è un chiuso affine e X ∩ A0 =
N
Y1 \ Y2 . Sia I(Y2 ) E K[T1 , . . . , Tr ] l’ideale radicale di Y2 ⊆ A0 e sia F ∈ I(Y2 )
tale che F (x) 6= 0. Infine sia Y1F ⊆ Y1 l’aperto affine principale di Y1 ove
F 6= 0. Allora Y1F è un intorno aperto di x in X e d’altra parte un aperto
affine principale è una varietà affine.
C.V.D.
Osservazione 2.3.4. Nello studio di proprietà locali di varietà quasi-proiettive,
possiamo quindi ridurci senza perdita di generalità al caso di una varietà
affine.
Se Z ⊆ X, la proprietà ‘Z è chiuso in X’ è una proprietà locale in X
(non in Z!):
Lemma 2.3.4. Sia Z ⊆ X e sia {Xi } un ricoprimento aperto di X. Allora
le seguenti affermazioni sono equivalenti:
1. Z è chiuso in X;
2. per ogni i, Z ∩ Xi è chiuso in Xi .
Dim. Esercizio.
2.4
Proiezioni
Un importante caso particolare della costruzione dell’Esempio 2.2.2 si ottiene considerando polinomi omogenei di grado uno. Intrinsecamente, ossia a
prescindere dalla scelta di basi, ciò corrisponde a considerare un’applicazione lineare ψe : V → W , ove dim(V ) = r + 1 e dim(W ) = k + 1, e a farla
discendere, ove possibile, a una mappa tra i corrispondenti spazi proiettivi.
Esercizio 2.4.1. Sia f : V → W un’applicazione lineare. Dimostrare che f
induce in modo naturale una funzione regolare
[f ] : PV \ P ker(f ) → PW.
2.4. PROIEZIONI
127
Un caso particolarmente importante si ottiene quando V = W ⊕ U e
f = π : V → W è la proiezione lungo U . In questo caso, otteniamo una
funzione regolare [π] : PV \ PU → PW . Conviene dare un’interpretazione
geometrica di questa mappa.
Esempio 2.4.1. Siano p = [v] ∈ Pr e γ ⊆ Pr un (r − 1)-piano proiettivo tale
che [p] 6∈ γ. Per ogni [z] ∈ Pr \ {[v]}, la retta proiettiva `[v],[z] congiungente
[v] e [z] interseca Λ in un unico punto
π[v] ([z]) = `[v],[z] ∩ γ.
Per vederlo, si osservi innanzitutto che siccome v e z sono linearmente indipendenti
Lv,z =: span {v, z} ⊆ Kr+1
è un sottospazio vettoriale 2-dimensionale di Kr+1 , e naturalmente
`[v],[z] = PLv,z .
Sia Γ ⊆ Kr+1 il sottospazio vettoriale r-dimensionale tale che γ = PΓ. Dal
momento che [p] 6∈ γ, abbiamo
Kr+1 = Γ + span{v} = Γ + Lv,x .
Ne discende
dim Γ ∩ Lv,x = r + 2 − (r + 1) = 1;
passando ai proiettivizzati, γ ∩ `p,x consiste di un unico punto. Abbiamo cosı̀
una mappa πp : Pr \ {p} → γ.
Affermo che πp è regolare. In effetti, possiamo applicare una trasformazione proiettiva e supporre senza perdita di generalità che p = (1, 0, . . . , 0),
Γ = ker(X0 ) = {0} × Kr . Identificando γ = PΓ con Pr−1 otteniamo
πp [x0 : · · · : xr ] = [x1 : · · · : xr ].
Chiaramente, πp è la proiettivizzazione della proiezione di Kr+1 su Γ lungo
span{p}.
Esercizio 2.4.2. Dimostrare che πp (x) = πp (y) se e solo se i tre punti p, x, y
sono collineari.
Esempio 2.4.2. Più in generale, sia V = U ⊕ W , con dim(V ) = r + 1,
dim(U ) = a + 1 e dim(W ) = b + 1; quindi a + b = r − 1. Consideriamo i
due sottospazi proiettivi disgiunti PU, PW ⊆ PV ; chiaramente, PU ∼
= Pa e
PV ∼
= Pb . Per ogni z = [v] ∈ PV \ PU , abbiamo
dim (U + span{v}) = a + 2.
128
CAPITOLO 2. VARIETÀ QUASI-PROIETTIVE
Quindi,
dim (U + span{v}) ∩ W
= (a + 2) + (b + 1) − (r + 1) = 1.
Quindi,
P (U + span{v}) ∩ PW
consiste di un unico punto, chiamiamolo P ([v]).
Esercizio 2.4.3. Dimostrare che la mappa P : PV \ PU → PW cosı̀ definita
è proprio la proiettivizzazione della proiezione di V su W lungo U .
Definizione 2.4.1. Nella situazione degli Esempi 2.4.1 e 2.4.2, diremo che f :
PV \PU → PW è la proiezione di PV su PW con vertice PU , o semplicemente
una proiezione di PV su PW .
Consideriamo innanzitutto la proiezione da un punto su un iperpiano.
Scegliendo una base opportuna di V , possiamo ridurci al caso PV = Pr ,
PW = Zpr (Xr ), p = [0 : · · · : 0 : 1]; quindi,
π [x0 : · · · : xr−1 : xr ] = [x0 : · · · : xr−1 ].
Sia Z ⊆ Pr \ {p} un chiuso proiettivo e sia Ih (Z) il suo ideale radicale.
Allora [x0 : · · · : xr−1 ] ∈ π(Z) se e solo se [x0 : · · · : xr−1 : xr ] ∈ Z per qualche
xr ∈ K. Ci chiediamo se π(Z) è ancora un chiuso proiettivo e nel caso se
possiamo descriverlo esplicitamente come un luogo di zeri.
Geometricamente, x0 = [x0 : · · · : xr−1 ] ∈ π(Z) se e solo se la retta `[x0 :0],p
interseca Z, ossia se esiste un punto q ∈ `[x0 :0],p nel quale si annullano tutti i
polinomi omogenei in Ih (Z). Concludiamo:
Proposizione 2.4.1. Dato [x0 : · · · : xr−1 ] ∈ Pr−1 , le seguenti condizioni
sono equivalenti:
1. [x0 : · · · : xr−1 ] ∈ π(Z);
2. per ogni coppia di polinomi omogenei F, G ∈ Ih (Z), esiste uno zero
comune di F e G sulla retta
`[x0 :···:xr−1 :0],[0:···:0:1] = [λ x0 : · · · : λ xr−1 : η] : [λ : η] ∈ P1 .
Dim. Sia [x0 : · · · : xr−1 ] ∈ π(Z), ossia
[x0 : · · · : xr−1 ] = π(q)
2.4. PROIEZIONI
129
per qualche q ∈ Z. In altre parole,
q ∈ `[x0 :···:xr−1 :0],[0:···:0:1] ∩ Z.
Quindi, q è uno zero di F su ` per ogni F ∈ Ih (Z), ovvero uno zero comune
di F, G su ` per ogni scelta di polinomi omognei F, G ∈ Ih (Z).
Viceversa, supponiamo che ogni coppia F, G ∈ Ih (Z) abbia uno zero
comune. Sia per assurdo [x0 : · · · : xr−1 ] 6∈ π(Z). Allora non esiste uno
zero comune su ` di tutti i polinomi omogenei in Ih (Z). Pertanto, possiamo
innanzitutto trovare F ∈ Ih (X) omogeneo che ha su `[x0 :···:xr−1 :0],[0:···:0:1] solo
un numero finito q1 , . . . , qN di zeri (uguale al massimo al suo grado). Per
ciascun qi possiamo quindi trovare Gi ∈ Ih (Z) tale che Gi (qi ) 6= 0; senza
perdita di generalità possiamo supporli omogenei dello stesso grado. È facile
allora P
verificare che per una scelta generale di coefficienti λi ∈ K il polinomio
G =: N
i=1 λi Gi non si annulla in alcun qi . Pertanto, F e G non hanno zeri
comuni su `.
C.V.D.
Dato che [0 : · · · : 0 : 1] 6∈ Z, chiaramente possiamo riformulare la
proposizione come segue:
Corollario 2.4.1. Dato [x0 : · · · : xr−1 ] ∈ Pr−1 , le seguenti condizioni sono
equivalenti:
1. [x0 : · · · : xr−1 ] ∈ π(Z);
2. per ogni coppia di polinomi omogenei F, G ∈ Ih (Z) esiste uno zero
comune di F e G su
`[x0 :···:xr−1 :0],[0:···:0:1] \ [0 : · · · : 0 : 1]}.
3. per ogni coppia di polinomi omogenei F, G ∈ Ih (Z) tali che
F (0, . . . , 0, 1) 6= 0, G(0, . . . , 0, 1) 6= 0
esiste uno zero comune di F e G su
`[x0 :···:xr−1 :0],[0:···:0:1] \ [0 : · · · : 0 : 1]}.
Ora dati F, G ∈ K[X
0 , . . . , Xr ] omogenei, questi hanno uno zero comune
in `[x0 :···:xr−1 :0],[0:···:0:1] \ [0 : · · · : 0 : 1]} se e solo se i polinomi in K[X, Y ]
Fex0 (X, Y ) =: F x0 X, · · · , xr−1 X, Y ),
130
CAPITOLO 2. VARIETÀ QUASI-PROIETTIVE
ex0 (X, Y ) =: G x0 X, · · · , xr−1 X, Y )
G
hanno uno zero comune in P1 \ {[0 : 1]} (Fex0 è un polinomio in X, Y i cui
coefficienti sono polinomi omogenei nelle coordinate omogenee di x0 =: [x0 :
· · · : xr−1 ]).
Quindi, F e G hanno uno zero comune su `[x0 :···:xr−1 :0],[0:···:0:1] \ [0 : · · · :
0 : 1]} se e solo se
bx0 (T ) =: G x0 , · · · , xr−1 , T ) ∈ K[T ]
Fbx0 (T ) =: F x0 , · · · , xr−1 , T ), G
hanno uno zero comune in A1 , quindi un fattore comune. Tale condizione
equivale all’annullamento del risultante
bx0 (T ) = 0,
R Fbx0 (T ), G
il quale è un polinomio in x0 , . . . , xr .
ex0 ∈ K[X, Y ] hanno uno zero
In conclusione, x0 ∈ π(Z) se e solo se Fex0 , G
1
comune in P per ogni F, G ∈ Ih (Z), ossia se e solo se
n o
0
b
b
0
0
x ∈ Zpr R FX , GX : F, G ∈ Ih (Z) ,
ove R(P, Q) ∈ K è il risultante di P, Q ∈ K[T ].
In conclusione,
n o
bX 0 : F, G ∈ Ih (Z)0 ,
π(Z) = Zpr R FbX 0 , G
ove Ih (Z)0 ⊆ Ih (Z) è il sottoinsieme dei polinomi tali che F (0, . . . , 0, 1) 6=
0, G(0, . . . , 0, 1) 6= 0 e il risultante è fatto vedento F e G come polinomi in
Xr a coefficienti in K[X0 , . . . , Xr−1 ].
Esempio 2.4.3. Sia C ⊆ P3 la cubica gobba, data dall’insieme dei punti
3 2
s : s r : sr2 : r3 ∈ P3
al variare di [r : s] ∈ P1 . Consideriamo la proiezione con centro
[0 : 1 : 0 : 0] 6∈ C,
ossia il luogo dei punti
3
s : sr2 : r3 ∈ P3
al variare di [r : s] ∈ P1 .
L’ideale radicale di C è generato dai polinomi
F1 =: Z0 Z2 − Z12 , F2 =: Z0 Z3 − Z1 Z2 , F3 =: Z22 − Z1 Z3 .
2.4. PROIEZIONI
131
Per trovare le equazioni della sua proiezione su P2 , con coordinate omogenee
[X0 : X2 : X3 ], vediamo gli Fj come polinomi in Z1 con coefficienti polinomiali
in (Z0 , Z2 , Z3 ) e determiniamo i risolventi R(Fi , Fj ) ∈ K[Z0 , Z2 , Z3 ].
Abbiamo
Z0 Z2
0
−1 0 R(F1 , F2 ) = Z0 Z3 −Z2
0
Z0 Z3 −Z2 Z0 Z2
0
−1 = Z0 Z3 −Z2 0 −Z0 Z22 Z0 Z3 0 = − Z02 Z32 − Z0 Z23 = −Z0 Z0 Z32 − Z23 ,
Z0 Z2
0
−1 0 R(F1 , F3 ) = Z22 −Z3
2
0
Z2 −Z3 Z0 Z2
0
−1 Z22
−Z3 0 = −Z0 Z2 Z3 Z22
0 = − Z24 − Z0 Z2 Z32 = −Z2 Z23 − Z0 Z32 ,
Z0 Z3 −Z2 = Z23 − Z0 Z32 .
R(F2 , F3 ) = Z22 −Z3 Quindi la proiezione π(C) ⊆ P2 (in coordinate omogenee [X : Y : Z]) è la
contenuta nella cubica C 0 definita dalla XZ 2 − Y 3 . Se d’altra parte
p = [x : y : z] ∈ C 0
con x = 0, allora y = 0 e pertanto p = [0 : 0 : 1] è l’immagine di [0 : 0 : 0 :
1] ∈ C. Se invece x 6= 0, allora p = [1 : y : z] con z 2 − y 3 è l’immagine di
[1 : 0 : 0 : 0] se y = z = 0, di [1 : z/y : (z/y)2 : (z/y)3 ] altrimenti. Quindi
π(C) = C 0 . In A2X , questa è la curva affine considerata nell’Esempio 1.4.10.
Corollario 2.4.2. Nella situazione dell’Esempio 2.4.2, sia V ⊆ PV \ PU
una sottovarietà proiettiva. Allora P (V ) ⊆ PW è un chiuso proiettivo.
Dim. Abbiamo verificato l’asserto nel caso di una proiezione su un iperpiano proiettivo PW ⊆ PV da un punto [p] ∈ PV \ PW . D’altra parte,
132
CAPITOLO 2. VARIETÀ QUASI-PROIETTIVE
qualsiasi proiezione è la composizione di proiezioni in codimensione uno, cioè
su iperpiani (come nell’Esempio 2.4.1). Per esempio,
[X : Y : Z : T : U ] 7→ [T : U ]
è la composizione
[X : Y : Z : T : U ] 7→ [Y : Z : T : U ] 7→ [Z : T : U ] 7→ [T : U ].
Quindi l’asserto segue in generale (i dettagli sono lasciati per esercizio).
C.V.D.
Definizione 2.4.2. Coni....
2.5
2.5.1
Funzioni razionali.
Funzioni razionali a valori in K
Su una varietà affine irriducibile M , una funzione razionale (a valori nel
campo base K) è un elemento del campo delle frazioni del dominio delle
funzioni regolari. Una funzione razionale definisce una funzione regolare su
un aperto massimale non vuoto M 0 ⊆ M . Viceversa, per definizione, una
qualsiasi funzione regolare su un aperto non vuoto di M è indotta da una
funzione razionale su M .
Nel caso di una varietà quasi-proiettiva l’anello delle funzioni regolari può
essere molto piccolo (vedi il caso proiettivo) - o anche troppo grande. Per
definire una funzione razionale, usiamo quindi la seconda interpretazione:
Definizione 2.5.1. (Provvisioria.) Sia M una varietà quasi-proiettiva irriducibile. Una funzione razionale su M a valori in K è una funzione regolare
su un qualche aperto non vuoto di M .
Ora se vogliamo fare operazioni sulle funzioni razionali su M incorriamo
in un problema, dato che il dominio di definizione in generale sarà diverso per
funzioni diverse. Raffiniamo quindi la Definizione precedente come segue:
Definizione 2.5.2. Dati aperti non vuoti U, V ⊆ M e funzioni regolari
f ∈ O(U ), g ∈ O(V ) diremo che le coppie (U, f ) e (V, g) sono equivalenti se
f = g su U ∩ V . Una funzione razionale su X è una classe di equivalenza
[(U, f )] di coppie (U, f ) con U ⊆ M aperto non vuoto e f ∈ O(U ). Sia K(M )
l’insieme delle classi di equivalenza [U, f ].
2.5. FUNZIONI RAZIONALI.
133
Possiamo quindi definire la somma e il prodotto su K(M ):
[U, f ] + [V, g] =: [U ∩ V, f + g], [U, f ] · [V, g] = [U ∩ V, f · g];
si verifica facilmente che tali operazioni sono ben definite e inducono una
struttura di campo. In particolare, [M, 0] e [M, 1] sono elementi neutri per
la somma e il prodotto, rispettivamente; inoltre, se U ⊆ M è un aperto non
vuoto e O(U ) 3 f 6= 0 allora f 6= 0 su aperto non vuoto U 0 ⊆ U e
[U 0 , 1/f ] = [U, f ]−1 .
Sia U0 ⊆ M un aperto non vuoto, quindi denso. Ogni funzione razionale
[U, f ] ∈ K(M ) è rappresentata da [U0 ∩ U, f |U ∩U0 ]; in particolare, 0 = [U0 , 0],
1 = [U0 , 1]. Ne segue facilmente che la mappa K(U0 ) → K(M ) data da
[U, f ] 7→ [U, f ] è ben definita e un isomorfismo di campi, ossia
K(M ) ∼
= K(U0 )
per ogni aperto non vuoto U0 ⊆ M . Pertanto, nello studiare il campo delle
funzioni razionali non vi è perdita di generalità nel supporre che M sia affine
(si ricordi che ogni varietà quasi-proiettiva ammette un ricoprimento aperto
affine) o proiettiva (sostituiamo M con la sua chiusura proiettiva M ). In
particolare, il campo delle funzioni razionali di una qualsiasi varietà quasiproiettiva irriducibile è un’estensione finitamente generata di K.
Sia ora ϕ : V → W un morfismo dominante di varietà quasi-proiettive;
allora ϕ induce un morfismo di campi ϕ∗ : K(W ) → K(V ), dato da
ϕ∗ [W 0 , f ] =: ϕ−1 (W 0 ), f ◦ ϕ .
(2.6)
Esercizio 2.5.1. Dimostrare che ϕ∗ è ben definito e un morfismo di campi.
Nello studiare ϕ∗ , si può supporre che ϕ sia un morfismo di varietà affini.
Lemma 2.5.1. Sia ϕ : V → W un morfismo dominante di varietà quasiproiettive iiriducibili e sia V 0 ⊆ V un aperto non vuoto (chiaramente, V 0
è anch’esso una varietà quasi-proiettiva). Allora la restrizione di ϕ a V 0 ,
ϕ0 : V 0 → W , è ancora dominante.
La dimostrazione è la stessa del caso affine (Lemma 1.5.4).
Sia ora W 0 ⊆ W un sottoinsieme aperto non vuoto che è una varietà
affine; per la continuità di ϕ, la controimmagine ϕ−1 (W ) è un sottoinsieme
aperto di V , necessariamente non vuoto per l’ipotesi che ϕ sia dominante.
Possiamo trovare un sottoinsieme aperto affine V 0 ⊆ ϕ−1 (W ) non vuoto e le
considerazioni precedenti mostrano che
134
CAPITOLO 2. VARIETÀ QUASI-PROIETTIVE
• ϕ0 : V 0 → W 0 è dominante;
• K(V 0 ) = K(V );
• K(W 0 ) = K(W ).
Ora associato a un morfismo dominante di varietà affini irriducibili abbiamo
un morfismo dei corrispondenti campi di funzioni razionali; pertanto, abbiamo un morfismo ϕ∗ : K(W ) → K(V ) ed è chiaro che ϕ∗ è indipendente dalla
scelta di V 0 e W 0 e coincide con il morfismo (2.6).
Riducendoci ad aperti affini opportuni, o a partire dalla formula precedente, otteniamo che per ψ e ϕ entrambi dominanti si ha (ϕ ◦ ψ)∗ = ψ ∗ ◦ ϕ∗ ,
etc. In particolare, con ψ = ϕ−1 abbiamo:
Esercizio 2.5.2. Dimostrare che se ϕ : V → W è un isomorfismo di varietà
quasi-proiettive, allora ϕ∗ : K(W ) → K(V ) è un isomorfismo di campi.
Se M ⊆ Pk è una varietà quasi-proiettiva irriducibile, possiamo chiaramente descrivere le funzioni razionali su M in termini di rapporti di polinomi
omogenei. Precisamente, dato che una funzione razionale è una funzione regolare su un aperto non vuoto di M , possiamo esprimerla localmente nell’intorno di ogni dato punto x del suo dominio di definizione come un rapporto
F/G di polinomi omogenei dello stesso grado F, G ∈ K[X0 , . . . , Xk ], con
G(x) 6= 0. In punti diversi del dominio di definizione può essere necessario
utilizzare rapporti diversi.
Esempio 2.5.1. Sia T = Zpr (X 2 + Y 2 − Z 2 ) ⊆ P3 . Allora sui punti di T
abbiamo
X
X2
Y +Z
=
=
.
Y −Z
X(Y − Z)
X
Si noti che, a differenza del caso affine, non stiamo assegnando un significato
alle restrizioni delle coordinate omogenee, ma solo ai loro rapporti. Naturalmente, sull’aperto A3Z otteniamo il cerchio affine X 2 + Y 2 − 1 = 0 e la
relazione precedente è la stessa vista nell’Esempio 1.4.2. Quindi se U e V
sono gli aperti di T ove Y 6= Z e X 6= 0, rispettivamente, allora
Y +Z
X
= V,
∈ K(T ).
U,
Y −Z
X
Come nell’Esempio precedente, dati polinomi omogenei F, G, F 0 , G0 ∈
K[X0 , . . . , XN ] dello stesso grado a coppie, avremo che F/G e F 0 /G0 inducono
la stessa funzione razionale su T se e solo se
0
G F
G0 F
T ,
= T , 0 .
G
G
2.5. FUNZIONI RAZIONALI.
135
Quindi dobbiamo avere F G0 − G F 0 = 0 sull’aperto affine principale T G ∩
0
0
0
T G = T GG . Dato che T GG è denso in T , tale condizione equivale alle
F G0 − G F 0 = 0 su T , ossia alla
F G0 − G F 0 ∈ Ih (T ).
Pertanto, se M ⊆ Pk è una varietà quasi-proiettiva irriducibile, una funzione razionale r ∈ K(M ) può essere descritta come una classe di equivalenza
di coppie (U, F/G), ove
• U ⊆ M è un aperto non vuoto;
• F, G ∈ K[X0 , . . . , Xk ] sono omogenei dello stesso grado e G 6= 0 ovunque su U ;
• (U, F/G) e (V, P/Q) sono equivalenti se e solo se F Q − P G ∈ Ih (M ).
Il dominio di definizione di r = [U, F/G] è l’unione dei V con (V, P/Q) ∼
(U, F/G). In particolare, r ∈ O(M ) se e solo se tale unione è M .
Possiamo quindi costruire il campo delle funzioni razionali di una varietà quasi proiettiva irriducibile M ⊆ PN a partire dall’anello dei polinomi
K[X0 , . . . , XN ] e dall’ideale radicale omogeneo Ih (M ) come segue:
1. consideriamo il sottocampo S0 (X0 , . . . , Xk ) ⊆ K(X0 , . . . , Xk ) delle funzioni razionali omogenee di grado zero, ossia dei quozienti F/G con
F, G ∈ K(X0 , . . . , Xk )
omogenei dello stesso grado.
2. In S0 (X0 , . . . , Xk ), consideriamo il sottoanello
(M )
S0
(X0 , . . . , Xk ) ⊆ S0 (X0 , . . . , Xk )
costituito dai quozienti F/G ove G non si annulla identicamente su
(M )
M ; equivalentemente, per ottenere S0 (X0 , . . . , Xk ) avremmo potuto
considerare prima la localizzazione di K[X0 , . . . , Xk ] nell’ideale radicale
Ih (M ) del cono affine CM , che è primo e omogeneo, quindi prendere di
tale localizzazione il sottoanello degli elementi omogenei di grado zero.
(M )
In ogni caso, gli elementi di S0 (X0 , . . . , Xk ) sono i quozienti F/G con
F, G polinomi omogenei dello stesso grado e G non identicamente nullo
su M (ossia G 6∈ Ih (M )).
136
CAPITOLO 2. VARIETÀ QUASI-PROIETTIVE
(M )
(M )
3. Un elemento F/G ∈ S0 (X0 , . . . , Xk ) è invertibile in S0 (X0 , . . . , Xk )
(M )
se e solo se F 6∈ Ih (M ); quindi l’ideale mM S0 (X0 , . . . , Xk ) dei
(M )
quozienti F/G ∈ S0 (X0 , . . . , Xk ) tali che F ∈ Ih (M ) è l’unico ideale
(M )
massimale. Il campo residuo S0 (X0 , . . . , Xk )/mM è proprio K(M ).
In effetti è chiaro dalle considerazioni precedenti che vi è una sequenza
esatta corta
(M )
0 → mM → S0
2.5.2
(X0 , . . . , Xk ) → K(M ) → 0.
Mappe razionali
Definite le funzioni razionali a valori in K, possiamo evidentemente definire
anche le mappe razionali tra varietà quasi-proiettive qualsiasi. Precisamente,
Definizione 2.5.3. Siano M e N varietà quasi-proiettive irriducibili. Una
mappa razionale ϕ : M − − > N è una mappa regolare M 0 → N definita su
un aperto non vuoto di M .
Conviene anche qui rappresentare una funzione razionale come una classe
di equivalenza [U, f ], ove U ⊆ M è un aperto non vuoto, mentre f : U → N
è una funzione regolare. Due coppie (U, f ) e (V, g) si dicono equivalenti se
f = g su U ∩ V .
Esempio 2.5.2. La funzione regolare
A2 \ {0} → P1 , (x, y) 7→ [x : y]
può essere considerata come una funzione razionale A2 − − > P2 .
Esempio 2.5.3. Sia C ⊆ P3 la cubica gobba. La funzione regolare ϕ :
A2 \ {0} → C data da
(x, y) 7→ x3 : x2 y : xy 2 : y 3
può essere considerata una funzione razionale A2 − − > C.
Esempio 2.5.4. Una funzione razionale ϕ : M − − > An è una classe di
equivalenza di coppie [U, (f1 , . . . , fn )], ove fi ∈ O(U ). Se N ⊆ An è un
chiuso affine, ϕ : M − − > N se per qualche, e quindi per
ogni coppia
U, (f1 , . . . , fn ) che rappresenta ϕ si ha f1 (m), . . . , fn (m) ∈ N per ogni
m ∈ U.
Esempio 2.5.5. Supponiamo M ⊆ Pr varietà quasi-proiettiva irriducibile.
Una mappa razionale ϕ : M − − > Pk sia rappresentata da una coppia
(U, f ), ove f : U → Pk è regolare. Ciò significa che per ogni m ∈ U possiamo
trovare:
2.5. FUNZIONI RAZIONALI.
137
1. U 0 ⊆ U aperto con m ∈ U 0 ;
2. F0 , . . . , Fk ∈ K[X0 , . . . , Xr ] omogenei dello stesso grado senza zeri comuni in U 0 ,
tali che per ogni m0 ∈ U 0 si ha
f (m0 ) = [F0 (m0 ) : · · · : Fk (m0 )] .
k
Quindi, una mappa razionale ϕ : M − − > P
come
è anche descrivibile
una classe di equivalenza di coppie della forma U, (F0 , . . . , Fk ) , ove gli Fj ∈
K[X0 , . . . , Xr ] sono omogenei dello stesso
grado senza zeri
comuni nell’aperto
non vuoto U ⊆ M ; due coppie siffatte U, (F0 , . . . , Fk ) e V, (G0 , . . . , Gk ) si
dicono equivalenti se Fi Gj − Fj Gi = 0 su U ∩ V (e quindi su M !) per ogni
i, j = 0, . . . , k.
Il dominio di definizione della
mappa è allora
l’unione degli aperti U ⊆ M
per i quali esiste una coppia U, (F0 , . . . , Fk ) nella ‘classe di equivalenza’ ϕ.
In particolare, la mappa razionale è regolare, ossia ovunque definita, se e solo
se tale unione è M .
Ovviamente, una mappa razionale ψ : M − − > An può essere vista come
una mappa razionale ψe : M − − > Pn ; se viceversa una mappa razionale
ψe : M − − > Pn non prende valori nell’iperpiano all’infinito, essa corrisponde
a una mappa razionale ψ : M − − > An . Per esempio, per n = 1, se [U, f ]
rappresenta ψ con f = P/Q con P e Q polinomi omogenei dello stesso
grado ristretti a U , con Q ovunque non nullo in U (f ha sempre questa
forma su aperti abbastanza piccoli), allora U, (P, Q) rappresenta ϕ. Non
e
distingueremo tra ψ e ψ.
Esempio 2.5.6. In particolare un morfismo non costante M → P1 determina
una funzione razionale M − − > A1 , ossia un elemento di K(M ), quando si
identifichi A1 ∼
= A10 .
Esempio 2.5.7. Ogni mappa razionale ψ : A1 − − > A1 (ossia, ogni ψ ∈
K(T )) si estende a un unico morfismo ψe : A1 → P1 . Infatti, supponiamo
ψ = f (T )/g(T ), con f e g mutuamente primi. Allora basta porre
e =: f (t) : g(t) .
ψ(t)
Dato che f e g sono primi tra loro, non hanno radici comuni per il Teorema
di Ruffini. Pertanto, ψe è un morfismo ben definito.
A sua volta, ψe si estende a un morfismo Ψ : P1 → P1 . Per vederlo, siano
df e dg i gradi di f e g rispettivamente; supponiamo ad esempio df ≥ dg .
138
CAPITOLO 2. VARIETÀ QUASI-PROIETTIVE
Consideriamo le omogenizzazioni F =: βdf (f ), G =: βdf (g) ∈ K[X.Y ] e
scriviamo d = df . Quindi:
F (X, Y ) =: f0 Y d + f1 Y d−1 X + · · · + fd Xd ,
G(X, Y ) =: g0 Y d + g1 Y d−1 X + · · · + gd Xd ,
ove fd 6= 0 (ma gd = 0 se dg < df ). Possiamo quindi porre
Ψ [X : Y ] =: [F (X, Y ) : G(X, Y )] .
In particolare, Ψ [1 : 0] =: [fd : gd ].
Esempio 2.5.8. Il morfismo
ψ : P1 → P2 , [X : Y ] → X 2 − Y 2 : −2XY : X 2 + Y 2
dell’esempio 2.2.5 si restringe al morfismo
α : A1 → P2 , X → X 2 − 1 : −2X : X 2 + 1 ,
che corrisponde alla mappa razionale f : A1 → A2 dell’Esempio 1.4.9.
Esempio 2.5.9. Rivisitiamo l’Esempio 2.5.1 alla luce di queste considerazioni. Siano
U1 =: [X : Y : Z] ∈ T : (X, Y − Z) 6= (0, 0) ,
U2 =: [X : Y : Z] ∈ T : (X, Y + Z) 6= (0, 0) .
Chiaramente, T = U1 ∪ U2 e
U1 , (Y − Z, X) ∼ U2 , (X, Y + Z) .
Quindi la classe di equivalenza U1 , (Y − Z, X) definisce una funzione regolare ϕ : T → P1 , data da ϕ([X : Y : Z]) = [Y − Z : X] se [X : Y : Z] ∈ U1 , e
da ϕ([X : Y : Z]) = [X : Y + Z] se [X : Y : Z] ∈ U2 .
Componendo il morfismo ϕ con l’isomorfismo ψ : P1 → T dell’Esempio
2.2.5 si ricava
ϕ ◦ ψ [X : Y ] = [X − Y : X + Y ].
Date mappe razionali ϕ : M − − > N e ψ : N → T , la composizione
ψ ◦ ϕ : M − − > T è definita solo se l’immagine inversa in M del dominio di
definizione di ψ è non vuota. Più precisamente:
2.5. FUNZIONI RAZIONALI.
139
Definizione 2.5.4. Sia ϕ : M −− > N una mappa razionale di varietà quasiproiettive irriducibili. Il dominio di definizione, o di regolarità, Reg(f ) ⊆ M
di ϕ è l’unione di tutti i sottoinsiemi aperti U ⊆ M tali per cui esiste una
coppia (U, f ), con f : U → N regolare, che rappresenta ϕ. In altre parole, e
più semplicemente, Reg(f ) è il sottoinsieme aperto massimale di M sul quale
ψ definisce una funzione regolare.
Definizione 2.5.5. Nelle stesse ipotesi, sia R ⊆ N . Allora la controimmagine ϕ−1 (R) ⊆ M è l’unione delle controimmagini f −1 (R) ⊆ U , al variare delle
coppie (U, f ) nella classe di equivalenza ϕ. Di nuovo, se ϕ
b : Reg(ϕ) → N
è la mappa regolare indotta da ϕ sul proprio dominio di definizione, allora
ϕ−1 (R) è la controimmagine di R mediante ϕ.
b
Esercizio 2.5.3. Se R ⊆ N è una varietà quasi-proiettiva, dimostrare che
tale è anche la sua controimmagine ϕ−1 (R).
Se quindi ϕ : M − − > N e ψ : N − − > T sono date, supponiamo che
ϕ Reg(ψ) 6= ∅. Quindi esiste una coppia (U, f ) che rappresenta ϕ tale
che f (U ) ∩ Reg(ψ) 6= ∅.
Ne discende che U 0 =: f −1 Reg(ψ) ⊆ U è un aperto non vuoto, sul quale
possiamo considerare la composizione ψ ◦ f : U 0 → T .
−1
Definizione 2.5.6. Nelle ipotesi precedenti, definiamo la composizione ψ◦ϕ :
M − − > T come la classe di equivalenza della coppia (U 0 , ψ ◦ f ).
Esercizio 2.5.4. Dimostrare che ψ ◦ ϕ è indipendente dalle scelte fatte.
Corollario 2.5.1. La composizione ψ ◦ ϕ è definita per ogni ψ se ϕ è
dominante. Se anche ψ è dominante, allora
(ψ ◦ ϕ)∗ = ϕ∗ ◦ ψ ∗ : K(T ) → K(V ).
Definizione 2.5.7. Diremo che due varietà quasi-proiettive irriducibili V e
W sono birazionalmente equivalenti se esistono mappe razionali dominanti
ϕ : V − − > W e ψ : W − − > V tali che ψ ◦ ϕ = idV e ϕ ◦ ψ = idW
(tali uguaglianze vanno interpretate nel senso delle mappe razionali, ossia
uguaglianze su sottoinsiemi aperti non vuoti).
Esercizio 2.5.5. Nelle ipotesi precedenti, dimostrare che V e W sono birazionalmente equivalenti se e solo se K(V ) ∼
= K(W ) su K (sugg.: ci si riduca
al caso affine).
140
CAPITOLO 2. VARIETÀ QUASI-PROIETTIVE
Esempio 2.5.10. Si consideri la cubica proiettiva
T =: Zpr XZ 2 − Y 3 .
Abbiamo visto che
ϕ : P1 → C, [x : y] 7→ s3 : sr2 : r3
è una mappa regolare suriettiva; la mappa razionale
ψ : C − − > P1 , [x : y : z] 7→ [y : z]
è un inversa birazionale.
Esercizio 2.5.6. Dimostrare l’ultima affermazione, esprimendo C come classe di equivalenza [U, f ].
Esempio 2.5.11. La mappa razionale
ψ = [X0 X1 : X1 X2 : X2 X0 ] : P2 − − > P2
ha luogo singolare [1 : 0 : 0], [0 : 1 : 0], [0 : 0 : 1] . Identificando A2 con A22
(per esempio), essa può vedersi equivalentemente come una mappa razionale
ψ 0 : A2 → A2
data da
Y
,
ψ = Y,
X
0
con luogo singolare il luogo x = 0 (ma perchè ψ 0 ha luogo singolare una retta
se quello di ψ è un’unione finita di punti? Meditare).
In particolare, ψ 0 è dominante (esercizio), quindi tale èψ (ri-esercizio).
Inoltre, ψ è birazionale. Infatti, Y = ψ ∗ (X) ∈ ψ ∗ K(X, Y ) e analogamen
te X = Y (X/Y ) = ψ ∗ (X/Y ) ∈ ψ ∗ K(X, Y ) . Quindi, ψ ∗ K(X, Y ) =
K(X, Y ) e cosı̀ ψ ∗ : K(X, Y ) → K(X, Y ) è un isomorfsimo.
ψ si dice la trasformazione di Cremona quadratica standard.
2.5.3
Mappe razionali di grado finito
Come si è detto, date varietà quasi-proiettive irriducibili V e W , una mappa
razionale ϕ : V − − > W è un’equivalenza birazionale se e solo se induce
per restrizione isomorfismi V 0 → W 0 tra opportuni aperti non vuoti di V e
W , rispettivamente; ciò equivale alla condizione algebrica che ϕ∗ : K(W ) →
K(V ) sia un isomorfismo di estensioni di K.
Più in generale, poniamo la seguente:
2.5. FUNZIONI RAZIONALI.
141
Definizione 2.5.8. Una mappa razionale dominante ϕ : V − − > W si
dice di grado finito se il tirato-indietro ϕ∗ : K(W ) → K(V ) esprime K(V )
come estensione finita (ossia algebrica, dato che tale estensione è comunque
finitamente generata) di K(W ); in tal caso, il grado dell’estensione [K(V ) :
K(W )] si dice il grado di ϕ.
Chiaramente, ϕ è un’equivalenza birazionale se e solo se ha grado 1.
Esempio 2.5.12. Sia ϕ : A1 → A1 data
da ϕ(t) = tn . Allora ϕ è un
morfismo e l’estensione K(X) ⊇ ϕ∗ K(X) = K (X n ) ha grado n.
Esempio 2.5.13. Sia m ≥ 1 un intero e si consideri la mappa razionale
α : P2 − − > P2 data da data da
α = X0 X1m : X2m+1 : X2 X1m .
Allora α corrisponde alla mappa razionale α0 : A2 → A2 data da
1
0
α = X, m ,
Y
quindi
α∗ K(X, Y ) = K (X, Y m )
e l’estensione
K P2 = K(X, Y ) = K (X, Y m ) [Y ] ⊇ K (X, Y m )
ha grado m. Quindi, α ha grado m.
Esercizio 2.5.7. Adattando la dimostrazione del Teorema 1.5.6, dimostrare
che se ϕ non ha grado finito allora ogni fibra su un aperto denso W 0 ⊆ W è
infinita (e più precisamente ha dimensione > 0, vedi seguito).
Assumendo che il campo base abbia caratteristica zero, ci proponiamo di
investigare il significato geometrico del grado di ϕ.
Sia V 00 ⊆ V il dominio di definizione di ϕ, ossia il luogo regolare; V 00 è
un aperto denso di V , quindi una varietà quasi-proiettiva irriducibile, e ϕ si
restringe a un morfismo ϕ00 : V 00 → W .
Ora gli aperti affini di qualsiasi varietà quasi-proiettiva sono una base
per la sua topologia di Zariski. Sia W 0 ⊆ W un aperto affine non vuoto.
Analogamente, possiamo trovare un aperto affine non vuoto
V 0 ⊆ ϕ−1 (W 0 ) ⊆ V 00 .
142
CAPITOLO 2. VARIETÀ QUASI-PROIETTIVE
In definitiva, ϕ induce per restrizione un morfismo dominante di varietà
affini irriducibili ϕ0 : V 0 → W 0 . Il morfismo ϕ∗ : K(W ) → K(V ) si ottiene
per passaggio ai quozienti dal monomorfismo di K-algebre
∗
(ϕ0 ) : O(W 0 ) → O(V 0 ).
Con abuso di linguaggio, l’argomento precedente il Teorema 1.5.6 mostra
che
K(V ) = K(W )(f1 , . . . , fr ),
per certe fi ∈ O(V 0 ) (naturalmente, K(V ) = K(V 0 ) è il campo delle frazioni
di O(V 0 )).
Ora l’estensione è separabile, quindi ammette solo un numero finito di
campi intermedi, e d’altra parte K è infinito; pertanto, l’usuale dimostrazione
del Teorema dell’elemento primitivo di Abel mostra che
K(V ) = K(W )(f ),
con f = f1 + c2 f2 + · · · + cr fr e ci ∈ K opportuni. In particolare, f ∈ O(V 0 ).
Siano ora t1 , . . . , ta generatori di O(W ) come K-algebra e consideriamo
la sottoalgebra
K[t1 , . . . , ta , f ] = O(W 0 )[f ] ⊆ O(V 0 ).
Dato che K[t1 , . . . , ta , f ] è finitamente generata e senza nilpotenti, esiste una
varietà affine Ve tale che
K[t1 , . . . , ta , f ] ∼
= O Ve .
L’inclusione O Ve ⊆ O (V 0 ) corrisponde a un morfismo dominante ψ : V 0 →
Ve ; dato che tale morfismo induce un isomorfismo di campi dei quozienti, ψ
è in effetti birazionale.
Inoltre, la catena di inclusioni
O(W 0 ) ⊆ O Ve = O(W 0 )[f ] ⊆ O V 0
corrisponde a una composizione ϕ0 = ϕ
e ◦ ψ per un opportuno morfismo
dominante
ϕ
e : Ve → W 0 .
Quindi, dopo avere sostituito V e W con aperti affini/modelli birazionali
opportuni, possiamo supporre che valgano le seguenti ipotesi:
• ϕ : V → W è un morfismo;
• O(V ) = O(W )[f ] per qualche f ∈ O V
algebrico su K(W );
2.5. FUNZIONI RAZIONALI.
143
• K(V ) = K(W )[f ].
In particolare, il grado d = [K(V ) : K(W )] dell’estensione è il grado del
polinomio minimo di f su K(W ).
Se inoltre O(W ) = K[t1 , . . . , ta ], a meno di isomorfismi W è un chiuso
affine di Aa ; analogamente, con f = ta+1 , dato che O(W ) = K[t1 , . . . , ta , ta+1 ],
a meno di isomorfismi V è un chiuso affine di Aa × A1 ∼
= Aa+1 e ϕ è la
restrizione della proiezione Aa × A1 → Aa .
Sia quindi p(X) ∈ K(W )[X] il polinomio minimo di ta+1 su K(W ), monico
di grado d ≥ 1. Dopo avere moltiplicato per un opportuno denumeratore
comune, possiamo sostituire p(X) con
q(X) = ad X d + · · · + a1 X + a0 ∈ O(W )[X],
per certe ai ∈ O(W ) con ad , a0 6= 0 (data l’irriducibilità di q(X)).
Avremo quindi
ad tda+1 + · · · + a1 ta+1 + a0 = 0
(2.7)
in O(V ). In altri termini, se ai è la restrizione di un polinomio Ai ∈
K[X1 , . . . , Xa ], allora
V = (t1 , . . . , ta , ta+1 ) ∈ Aa+1 : (t1 , . . . , ta ) ∈ W,
Ad (t1 , . . . , ta ) tda+1 + · · · + A1 (t1 , . . . , ta ) ta+1 + A0 (t1 , . . . , ta ) = 0 .
Pertanto, per ogni w ∈ W la controimmagine ϕ−1 (w) consiste delle coppie
(w, λ), ove λ ∈ K è una radice del polinomio
qw (X) =: ad (w) X d + · · · + a1 (w) X + a0 (w).
Sia ora ∆(q) = R(q, q 0 ) ∈ O(W ) il discriminante di q(X), ossia il risultante di q(X) e q 0 (X); se fosse ∆(q) = 0, q(X) e q 0 (X) avrebbero un fattore
comune di grado positivo in K(W )[X]. Ciò è assurdo perchè q è irriducibile.
Sia allora W 0 =: W ad+1 ∩ W ∆(q) = W ad+1 ·∆(q) l’aperto affine principale
ove ad+1 · ∆(q) 6= 0. Se w ∈ W 0 , qw (X) ha grado d e d radici distinte, perciò
ϕ−1 (w) ha cardinalità d. Quindi ϕ è genericamente d : 1.
Si noti che ogni altra fibra è o finita di cardinalità < d (eventualmente
vuota, se a0 (w) 6= 0 ma ai (w) = 0 per 1 ≤ i ≤ d), oppure contiene {w} × A1
(se ai (w) = 0 per ogni i).
Riassumendo:
Teorema 2.5.1. Sia K di carattersistica zero e sia ϕ : V − − > W una
mappa razionale di varietà quasi-proiettive. Se ϕ ha grado finito d, allora ϕ
è genericamente d : 1, ossia esiste un aperto W 0 ⊆ W non vuoto tale che
ogni w ∈ W 0 ha esattamente d controimmagini distinte.
144
CAPITOLO 2. VARIETÀ QUASI-PROIETTIVE
Corollario 2.5.2. Se K ha carattersistica zero, le seguenti condizioni sono
equivalenti su ϕ : V − − > W :
1. ϕ ha grado finito d;
2. esistono aperti non vuoti V 0 ⊆ V e W 0 ⊆ W tali che ϕ induce un
morfismo V 0 → W 0 e ogni w ∈ W 0 ha esattamente d controimmagini
distinte in V 0 .
2.6
Prodotti
Il prodotto Cartesiano di due chiusi affini è in modo naturale un chiuso
affine; pertanto, il prodotto di due varietà affini è in modo naturale una
varietà affine. Conseguentemente, il prodotto di due varietà quasi proiettive
contenute in uno spazio affine è in modo naturale una varietà quasi-proiettiva.
Precisamente, consideriamo varietà quasi-proiettive Y1 \ Y2 ⊆ Am e Z1 \ Z2 ⊆
An , ove Yj ⊆ Am e Zj ⊆ An sono chiusi affini; allora
Y1 \ Y2 × Z1 \ Z2 = Y1 × Z1 \ (Y1 × Z2 ) ∪ (Y2 × Z1 ) ,
chiaramente una varietà quasi-proiettiva in Am × An .
Sul prodotto di due chiusi proiettivi o, più in generale, sul prodotto di
chiusi proiettivi non vi è un’altrettanto ovvia struttura di chiuso proiettivo;
questo perchè Am × An ∼
= Am+n , mentre non esiste una relazione altrettanto
naturale tra Pm × Pn e Pm+n .
Il nostro proposito è realizzare il prodotto Cartesiano di una coppia
arbitraria X, Y di varietà quasi-proiettive come una varietà quasi-proiettiva.
Inoltre, richiederemo che tale costruzione sia localmente compatibile con
la costruzione del prodotto di due varietà affini. Precisamente, se X 0 ⊆ X e
Y 0 ⊆ Y sono aperti affini allora la mappa X 0 × Y 0 → X × Y deve indurre
sul prodotto di varietà affini X 0 × Y 0 (che è definito come varietà affine!) un
isomorfismo su un aperto di X × Y .
Consideriamo innanzitutto il prodotto di spazi proiettivi. Procederemo
secondo questi passi:
1. a partire da naturali considerazioni di algebra lineare, produrremo una
mappa iniettiva
µ = µm,n : Pm × Pn → PN (m,n) ,
per un opportuno N (m, n);
2.6. PRODOTTI
145
2. mostreremo che l’immagine di tale mappa è un chiuso proiettivo di
PN (m,n) ;
n
m
n
3. mostreremo infine che sui sottoinsiemi affini Am
i × Aj ⊆ P × P la
restrizione di µ induce un isomorfismo sull’immagine;
4. mostreremo che per ogni coppia di chiusi proiettivi R ⊆ Pm e S ⊆ Pn
l’immagine del prodotto Cartesiano R × S in µ (Pm × Pn ) è un chiuso
proiettivo.
In termini intrinseci, consideriamo due spazi vettoriali V e W , di dimensione k + 1 e l + 1, rispettivamente. Il prodotto tensoriale V ⊗ W ha allora
dimensione (k +1)·(l +1) e abbiamo evidentemente un’applicazione bi lineare
V × W → V ⊗ W, (v, w) 7→ v ⊗ w.
Tale applicazione ne induce chiaramente una a livello di spazi proiettivi.
Definizione 2.6.1. La mappa di Segre (per gli spazi vettoriali V e W ) è
l’applicazione (ovviamente ben definita)
µ : PV × PW → P(V ⊗ W ),
([v], [w]) 7→ [v ⊗ w].
Lemma 2.6.1. L’immagine di µ è un chiuso proiettivo di P(V ⊗ W ).
Dim. Introduciamo basi B = (vi ) per V e D = (wj ) per W , rispettivamente, cosı̀ che E = (vi ⊗ wj ) è una base per V ⊗ W . In termini delle
identificazioni PV ∼
= Pk , PW ∼
= Pl , P(V ⊗W ) ∼
= P(k+1)(l+1)−1 che ne derivano,
µ è la mappa
[xi ], [yj ] 7→ [xi ⊗ yj ],
ove si è scritto [xi ] per [x0 : . . . : xk ], eccetera.
Indichiamo con Xij le coordinate omogenee su P(k+1)(l+1)−1 (ossia, le coordinate lineari su V ⊗ W associate alla base vi ⊗ wj ). Allora l’immagine di µ
è chiaramente contenuta nel luogo
T =: Zpr Xij Xkl − Xil Xkj : 0 ≤ i ≤ k, 0 ≤ j ≤ l .
(k+1)(l+1)−1
Supponiamo, viceversa, che [zij ] ∈ T . Siano Aij
gli aperti affini
standard di P(V ⊗ W ), ossia il luogo ove Xij 6= 0. Possiamo supporre senza
perdita di generalità che z00 6= 0. Dato che per ipotesi zij zkl = zil zkj per ogni
scelta degli indici, ponendo k = l = 0 abbiamo
zij z00 = zi0 z0j ;
146
CAPITOLO 2. VARIETÀ QUASI-PROIETTIVE
pertanto, se poniamo vi =: zi0 e wj =: z0j allora [zij ] = µ [vi ], [wj ] . Quindi
µ Pk × Pl = T.
C.V.D.
Si ricordi che V ∗ =: V \ {0}, V ∨ =: Hom(V, K), etc.
Lemma 2.6.2. µ è iniettiva, quindi biunivoca sulla sua immagine.
Dim. Supponiamo che v, v 0 ∈ V ∗ e w, w0 ∈ W ∗ siano tali che [v P
⊗ w] =
∗
[v ⊗ P
w0 ], ossia v ⊗ P
w = λ v ⊗ w per
qualche
λ
∈
K
.
Allora
se
v
=
i ai v i ,
P 0
0
0
0
0 0
v = i ai vi e w = j bj wj , w = j bj wj , avremo ai bj = λ ai bj per ogni i, j;
se quindi ai 6= 0 deve anche essere a0i 6= 0 e ricaviamo bj = λ a0i /ai b0j per
ogni j; pertanto, [b] = [b0 ] ∈ Pl , onde [w] = [w0 ]. Analogamente, [v] = [v 0 ].
C.V.D.
0
Esplicitiamo la mappa inversa. In termini intrinseci, abbiamo
V ⊗ W = Hom (W ∨ , V ) .
Sia R ⊆ Hom (W ∨ , V ) l’insieme degli operatori lineari di rango ≤ 1. Se
scegliamo basi in V e W , come sopra, l’isomorfismo
Hom (W ∨ , V ) ∼
= Matk+1,l+1 (K)
descrive R come il luogo delle matrici R = [rij ] (qui 0 ≤ i ≤ k, 0 ≤ j ≤ l)
delle quali si annullano tutti i minori due per due, ossia tali che
rij ril rkj rkl = rij rkl − rkj ril .
Evidentemente, R è un cono affine e R \ {0} è il luogo delle matrici di rango
esattamente uno; inoltre, T = µ PV × PW ⊆ PHom (W ∨ , V ) è la proiettivizzazione di R \ {0} (ossia la sua proiezione in PHom (W ∨ , V )). In particolare, se pensiamo agli spazi proiettivi come insiemi di sottospazi vettoriali
1-dimensionali, abbiamo una mappa α : T → PV × PW ,
[R] 7→ Im(R), Im(Rt ) .
Qui Rt : V ∗ → W è l’applicazione trasposta. É evidente che α inverte µ.
Equivalentemente, per A, B spazi vettoriali finito-dimensionali su K denotiamo Hom(1) (A, B) ⊆ Hom(A, B) \ {0} il cono delle applicazioni lineari di rango esattamente 1; come visto, si tratta di un cono Zariski-chiuso,
2.6. PRODOTTI
147
quindi la sua immagine R1 (A, B) ⊆ PHom(A, B) è un chiuso proiettivo.
Se f ∈ Hom(1) (A, B), allora esistono α ∈ A∨ e b ∈ B non nulli tali che
f (a) = α(a)b (a ∈ A). L’applicazione Hom(1) (A, B) → PA∨ × PB data da
f 7→ [α], [b] è ben definita (esercizio) e discende a un’applicazione biunivoca R1 (A, B) → PA∨ ×PB (ri-esercizio). Otteniamo la costruzione precedente
ponendo A = W ∨ , B = V .
Consideriamo la situazione in carte affini. Innanzitutto, se [z] = [v ⊗ w],
(k+1)·(l+1)−1
allora [z] ∈ Aij
se e solo se zij = vi wj 6= 0, ossia se e solo se
k
l
k
[v] ∈ Ai ⊆ P e [w] ∈ Aj ⊆ Pl . Pertanto,
(k+1)·(l+1)−1
= µ Aki × Alj .
µ Pk × Pl ∩ Aij
In particolare, dal momento che
µ Pk × Pl ⊆ P(k+1)·(l+1)−1
è un chiuso proiettivo, concludiamo che
(k+1)·(l+1)−1
µ Aki × Alj ⊆ Aij
è un chiuso affine.
Consideriamo senza perdita di generalità il caso i = j = 0. Se
(k+1)·(l+1)−1
[z] ∈ T ∩ A00
,
allora in coordinate affini (facendo cioè z00 = 1) otteniamo zij = zi0 z0j .
Pertanto, la restrizione di µ
(k+1)·(l+1)−1
µ000 : Ak0 × Al0 → A00
∼
= Ak × Al × Akl
è il morfismo
(r, s) 7→ r, s, r ⊗ s .
Chiaramente, µ000 è un isomorfismo sulla sua immagine, con morfismo inverso
la proiezione sui primi due fattori.
Pertanto abbiamo dimostrato:
Lemma 2.6.3. Per ogni coppia i, j con 0 ≤ i ≤ k e 0 ≤ j ≤ l, il morfismo
indotto dalla restrizione di µ,
Ak × Al ∼
= Aki × Alj −→ µ Aki × Alj
è un isomorfismo di varietà affini.
148
CAPITOLO 2. VARIETÀ QUASI-PROIETTIVE
Pertanto, otteniamo la stessa struttura di varietà affine su Ak × Al sia che
lo identifichiamo con Ak+l o con µ Aki × Alj .
Quindi abbiamo realizzato il prodotto di due spazi proiettivi come un
chiuso proiettivo, in modo che il prodotto di due affini standard venga mappato isomorficamente sulla sua immagine.
Corollario 2.6.1. Pk × Pl è birazionale a Pk+l .
Dim. Pk × Pl contiene un aperto isomorfo a Ak × Al ∼
= Ak+l e lo stesso
vale per Pk+l .
C.V.D.
Esercizio 2.6.1. Scrivere in coordinate omogenee un’esplicita equivalenza
birazionale tra Pk × Pl e Pk+l .
Osservazione 2.6.1. Vedremo in seguito che Pk × Pl e Pk+l non sono
isomorfe.
Ci proponiamo ora di esaminare la collezione dei chiusi proiettivi di Pk ×
P , con la topologia indotta da Pk+l+kl . Quindi S ⊆ Pk × Pl è un chiuso se e
solo se esiste Z ⊆ Pk+l+kl chiuso proiettivo tale che S = µ−1 (Z).
Con abuso di linguaggio, al fine di alleggerire la notazione, vediamo Pk ×Pl
come un sottoinsieme di Pk+l+kl , lasciando implicita la mappa di Segre µ. Con
questa identificazione, i chiusi di Pk × Pl sono le intersezioni di Pk × Pl con i
chiusi di Pk+l+kl .
Supponiamo che il chiuso proiettivo Z ⊆ Pk+l+kl sia definito dai polinomi
omogenei G1 , . . . , Gr di grado d1 , . . . , dr nelle coordinate omogenee Zij ; allora
la sua intersezione con Pk × Pl è
Z ∩ Pk × Pl = ([v], [w]) ∈ Pk × Pl : Gs (vi wj ) = 0 ∀s = 1, . . . , r
es (v, w) = 0 ∀s = 1, . . . , r ,
= ([v], [w]) ∈ Pk × Pl : G
l
es (X, Y ) =: Gs (X ⊗ Y ). Ora G
es ∈ K[X0 , . . . , Xk , Y0 , . . . , Ys ] è evidenove G
temente un polinomio biomogeneo nelle variabili Xi e Yj , nel senso che è
omogeneo in entrambe, con lo stesso grado di omogeneità ds .
Viceversa, se è dato H ∈ K[X0 , . . . , Xk , Y0 , . . . , Ys ] bimomogeneo nelle
Xi e nelle Yj , con lo stesso grado di omogeneità d in entrambi i gruppi di
variabili, allora H = Pe per un certo P ∈ K[Zij ] omogeneo di grado d. Infatti
in ogni monomio che compare in H le X e le Y hanno lo stesso grado e quindi
possono essere raggruppate in modo da esprimere ogni tale monomio come
prodotto di d fattori Xi Yj ; per ricavare P , basta quindi sostituire Xi Yj con
Zij .
In conclusione:
2.6. PRODOTTI
149
Lemma 2.6.4. I chiusi di Zariski di Pk × Pl (la topologia di Zariski essendo
quella indotta da Pk+l+kl attraverso la mappa di Segre) sono tutti e soli i
sottoinsiemi di Pk × Pl esprimibili come i luoghi nulli di una collezione finita
di polinomi biomogenei F (X, Y ) nelle coordinate omogenee X di Pk e Y di
Pl .
Dim. In effetti abbiamo dimostrato l’asserto con l’aggiunta che i polinomi
F in questione devono essere biomogenei dello stesso grado in X e Y . Ma
se d’altra parte F ha grado r in X e grado s in Y e, poniamo, r > s,
allora possiamo esprimere il luogo nullo di F come il luogo nullo dei polinomi
Yjr−s F (X, Y ), j = 0, . . . , l, riconducendoci al caso precedente.
C.V.D.
Corollario 2.6.2. Per ogni coppia di chiusi proiettivi X ⊆ Pk , Y ⊆ Pl
l’immagine del prodotto X × Y in P(V ⊗ W ) è un chiuso proiettivo.
Dim. Supponiamo che X ⊆ Pk sia il luogo nullo di polinomi Fa (X) ∈
K[X0 , . . . , Xk ], omogenei di grado da , e che Y ⊆ Pl sia il luogo nullo di
polinomi Gb (X) ∈ K[X0 , . . . , Xk ], omogenei di grado eb . Allora chiaramente
X × Y ⊆ Pk × Pl è il luogo nullo dei polinomi biomogenei Fa (X) e Gb (Y ), al
variare di a, b.
C.V.D.
Corollario 2.6.3. Per ogni coppia di sottovarietà quasi-proiettive X ⊆ Pk ,
Y ⊆ Pl l’immagine del prodotto X × Y in P(V ⊗ W ) è una varietà quasiproiettiva.
Dim. Esercizio.
Chiediamoci quali sono i sottoinsiemi chiusi di Ak × Pl .
Corollario 2.6.4. Siano T1 , . . . , Tk coordinate affini su Ak e X0 , . . . , Xl coordinate omogenee su Pl . Allora S ⊆ Al × Pk è un chiuso di Zariski se e solo
esiste una collezione finita di polinomi Fi (T, X) ∈ K[T1 , . . . , Tl , X0 , . . . , Xk ],
omogenei nelle variabili X, tali che S è il luogo nullo comune degli Fi (ossia,
l’insieme delle coppie (t, [x]) ∈ Al × Pk tali che F (t, x) = 0).
Dim. Esercizio (si pensi all’inclusione Al × Pk ⊆ Pl × Pk e si applichi il
Lemma 2.6.4.
Osservazione 2.6.2. Ci possiamo chiedere se i prodotti di aperti affini sono
una base per la topologia di X × Y . Più precisamente, date X e Y varietà
150
CAPITOLO 2. VARIETÀ QUASI-PROIETTIVE
quasi-proiettive ci chiediamo se per ogni (x, y) ∈ X × Y e ogni aperto U ⊆
X × Y contenente (x, y) esistono aperti affini X 0 ⊆ X e Y 0 ⊆ Y tali che
(x, y) ∈ X 0 × Y 0 ⊆ U.
Ciò è già falso per X = Y = A1 (si prenda U = A2 \ Z(Y − X) e si ricordi
che gli aperti di A1 sono i complementari degli insiemi finiti).
Lemma 2.6.5. Siano f : A → X e g : B → Y morfismi (mappe regolari)
di varietà quasi-proiettive. Allora f × g : A × B → X × Y è un morfismo
regolare.
Dim. Supponiamo A ⊆ Pr , B ⊆ Ps , X ⊆ Pk e Y ⊆ Pl ; possiamo
intepretare f e g come mappe regolari a valori in Pk e Pl , rispettivamente.
Analogamente, l’affermazione che f × g è regolare significa che è regolare la
mappa µ ◦ (f × g) : A × B → Pk+l+kl , ove µ è la mappa di Segre.
Sia A ⊆ Pr e B ⊆ Ps . Sia (a, b) ∈ A × B. Possiamo trovare aperti
a ∈ A0 ⊆ A e b ∈ B 0 ⊆ B e polinomi F0 , . . . , Fk ∈ K[T0 , . . . , Tr ] omogenei
dello stesso grado senza zeri comuni su A0 , G0 , . . . , Gl ∈ K[S0 , . . . , Ss ] senza
zeri comuni su B 0 , tali che f = [F0 : · · · : Fk ] su A0 e g = [G0 : · · · : Gl ] su B 0 ,
rispettivamente. Chiaramente allora µ ◦ (f × g) = [Fi (T ) Gj (S)] su A0 × B 0 .
Sia d il grado comune degli Fi e e il grado comune dei Gi ; supponiamo
ad esempio d ≥ e. Senza perdita di generalità, dopo avere eventualmente
riordinato le coordinate omogenee S0 , . . . , Ss su Ps e sostituito B 0 con B 0 ∩As0 ,
possiamo supporre B 0 ⊆ As0 . Sostituendo ogni Gj con S0d−e Gj , possiamo
quindi ridurci al caso in cui d = e.
Ora Hij (T, S) =: Fi (T ) Gj (S) è un polinomio biomogeneo in T e S, dello
stesso grado in entrambi i gruppi di variabili. Per le considerazioni precedenti,
possiamo trovare Kij ∈ K[Zrs ] omogeneo di grado d tale che
Hij (T, S) = Kij (T ⊗ S) = Kij (Tr Ss ).
Evidentemente, A0 × B 0 ⊆ A × B è un intorno aperto di (a, b) e i Kij
sono una collezione di polinomi omogenei di grado d senza zeri comuni in
A0 × B 0 , visto come sottoinsieme di Pr+s+rs attraverso la mappa di Segre
Pr × Ps → Pr+s+rs , tali che
µ ◦ (f × g) = [K00 : · · · : Kkl ].
Quindi, µ ◦ (f × g) è regolare.
C.V.D.
2.6. PRODOTTI
151
Lemma 2.6.6. Siano f : A → X e g : A → Y morfismi di varietà quasiaffini. Allora
(f, g) : A → X × Y, a 7→ f (a), g(a)
è regolare.
Dim. Come sopra, ma usando Fi (X) Gj (X).
C.V.D.
Esercizio 2.6.2. Adattando l’argomento usato nel caso affine, dimostrare
che il prodotto di varietà quasi-proiettive irriducibili è una varietà quasiproiettiva irriducibile.
Corollario 2.6.5. Siano A, B varietà quasi-proiettive. Allora esiste un
monomorfismo naturale di K-algebre
γ : O(A) ⊗K O(B) → O(A × B).
Dim. Siano α ∈ O(A), β ∈ O(B); allora
(α, β) : A × B → K × K
è una funzione regolare. Componiamo con la funzione regolare K × K → K
data dal prodotto, otteniamo la funzione regolare
γ(α, β) : (a, b) 7→ α(a) · β(b).
Che γ sia un morfismo di K-algebre si verifica facilmente; la dimostrazione
dell’iniettività è come nel caso affine.
C.V.D.
Lemma 2.6.7. Sia f : M → N un morfismo di varietà quasi-affini. Allora
il grafo
n
o
grafo(f ) = m, f (m) : m ∈ M
è un chiuso del prodotto X × Y .
Dim. Se N ⊆ Pl , possiamo vedere f come una mappa regolare M → Pl .
Basta allora dimostrare l’asserto per una mappa regolare a valori in Pl , perchè
se grafo(f ) è chiuso in X × Pl lo è anche in M × N .
Sia M ⊆ Pk . Allora M è ricoperto da una collezione finita di aperti
affini Ma su ciascuno dei quali possiamo scrivere f = [F0 : · · · : Fl ] per certi
polinomi omogenei dello stesso grado Fi ∈ K[T0 , . . . , Tk ], senza zeri comuni
sull’aperto in questione; i polinomi sono nelle coordinate omogenee T di
Pk . In Ma × Pl , il grafo è definito dalle condizioni biomogenee Yi Fj (T ) −
Yj Fi (T ) = 0, ove Y0 . . . , Yl sono le coordinate omogenee di Pl . Dato che
{Ma × Pl } è un ricoprimento aperto di M × Pl , l’asserto segue dal Lemma
2.3.4.
C.V.D.
152
2.7
CAPITOLO 2. VARIETÀ QUASI-PROIETTIVE
Funzioni regolari su varietà proiettive
Su Pk le sole funzioni regolari a valori in K sono le costanti. Lo stesso vale
su qualsiasi varietà proiettiva, come caso particolare di un asserto molto più
generale:
Teorema 2.7.1. Sia M una varietà proiettiva e sia N una varietà quasiproiettiva. Se f : M → N è una funzione regolare, allora f (M ) ⊆ N è un
sottoinsieme chiuso di N .
Prima di considerare la dimostrazione, illustriamo il Teorema con alcune
conseguenze e considerazioni.
Innanzitutto, niente di simile vale per le varietà affini.
Esempio 2.7.1. Non è vero che l’immagine di un morfismo di varietà affini
è un chiuso dell’immagine: si consideri per esempio la mappa C → A1 ,
(x, y) 7→ x, ove C = Z(XY − 1) ⊆ A2 .
Inoltre:
Corollario 2.7.1. L’immagine di una varietà proiettiva mediante una mappa
regolare è una varietà proiettiva.
Dim. Nelle ipotesi del Teorema 2.7.1, sia N ⊆ Pl . Possiamo allora vedere
f come una mappa regolare f : M → Pl , sicchè il Teorema implica che
f (M ) ⊆ Pl è un chiuso proiettivo.
C.V.D.
Nel caso particolare in cui il codominio è A1 , otteniamo:
Corollario 2.7.2. Sia M una varietà proiettiva irriducibile. Allora O(M ) =
K.
Dim. Sia f : M → A1 una funzione regolare. Dotiamo P1 delle coordinate omogenee [X : Y ]. Identificando A1 con l’aperto affine A1X ⊆ P1 ,
intepretiamo f come una funzione regolare f : M → P1 = A1X ∪ {x∞ }, ove
x∞ = [0 : 1] è il punto all’infinito.
Allora f (M ) ⊆ A1X è un sottoinsieme chiuso proprio di P1 e d’altra parte
i sottoinsiemi chiusi non vuoti di P1 diversi da P1 stesso sono tutti e soli
i sottoinsiemi finiti. Pertanto, f (M ) ⊆ A1 è un insieme finito irriducibile,
poichè per ipotesi M è irriducibile.
Ne discende che f (M ) consiste di un solo punto, ossia che f è costante.
C.V.D.
2.7. FUNZIONI REGOLARI SU VARIETÀ PROIETTIVE
153
Corollario 2.7.3. Sia M una varietà proiettiva, f : M → N un morfismo
verso una varietà affine. Allora f è costante.
Dim. Esercizio.
Corollario 2.7.4. Sia Y una varietà proiettiva; allora Y è un chiuso proiettivo (ossia, nella classe di un isomorfismo di un chiuso proiettivo ci sono solo
chiusi proiettivi). In particolare, un chiuso affine diverso da una collezione
finita di punti non è una varietà proiettiva.
Dim. Esercizio.
Veniamo alla dimostrazione del Teorema 2.7.1.
Dim. Se N ⊆ Pl , interpretiamo f cone una funzione regolare a valori
in Pl ; basta allora dimostrare che f (M ) ⊆ Pl è un chiuso proiettivo, dal
momento che allora f (M ) = f (M )∩N è necessariamente chiusa in N . Quindi
supponiamo d’ora innanzi che N = Pl .
Sia grafo(f ) ⊆ M × Pl il grafo di f ; come si è visto, la mappa
γ =: (idM , f ) : M → M × Pl , m 7→ m, f (m)
è regolare ed evidentemente induce un isomorfismo M → grafo(M ). Inoltre,
grafo(M ) ⊆ M × Pl è un sottoinsieme chiuso e chiaramente f = π ◦ γ, ove
π : M × Pl → Pl è la proiezione sul secondo fattore.
Quindi, per dimostrare il Teorema siamo ridotti a dimostrare la seguente
Proposizione.
Proposizione 2.7.1. Sia Y una varietà proiettiva e sia π : Y × Pl → Pl
la proiezione sulla seconda componente. Allora per ogni sottoinsieme chiuso
Z ⊆ Y × Pl , la proiezione π(Z) ⊆ Pl è un sottoinsieme chiuso di Pl .
Dim. Dal momento che Y è una varietà proiettiva, Y è un chiuso proiettivo di qualche Pk . Per quanto visto, Y × Pl è un sottoinsieme chiuso di
Pk × Pl ; di conseguenza, Z è anch’esso un sottoinsieme chiuso di Pk × Pl (un
chiuso di un chiuso è un chiuso). Quindi basta dimostrare l’asserto nel caso
Y = Pk .
Sia dunque Z ⊆ Pk × Pl un sottoinsieme chiuso. Vogliamo dimostrare che
π(Z) ⊆ Pl è chiuso e a tal fine basta dimostrare che per ogni aperto affine
l
l
standard Ali ⊆ Pl l’intersezione
π(Z) ∩ Ai è un sottoinsiemekchiusol di Ai .
k
l
Sia Zi =: Z ∩ P × Ai . Allora Zi è un chiuso di P × Ai e se πi :
k
P × Ali → Ali è la proiezione, si ha π(Z) ∩ Ali = πi (Zi ).
Siamo quindi ridotti a dimostrare il seguente asserto:
154
CAPITOLO 2. VARIETÀ QUASI-PROIETTIVE
Asserto 2.7.1. Sia Z ⊆ Pk × Al un sottoinsieme chiuso. Allora la proiezione
π(Z) ⊆ Al sul secondo fattore è un sottoinsieme chiuso (ove ora π : Pk ×Al →
Al ).
Dim. Siano X0 , . . . , Xk le coordinate omogenee su Pk e T1 , . . . , Tl le
coordinate affini su Al . Esiste una collezione finita di polinomi
Fi (X, T ) ∈ K[X0 , . . . , Xk , T1 , . . . , Tl ]
(1 ≤ i ≤ r),
omogenei nelle Xi , tali che Z è il luogo nullo comune degli Fi . Quindi è
evidente che un dato t = (t1 , . . . , tl ) ∈ Al appartiene a π(Z) se e solo se
Zt =: Z ∩ Pk × {t} 6= ∅.
Se identifichiamo Pk × {t} con Pk nel modo ovvio, è chiaro che
Zt = Zpr F1 (X, t), . . . , F1 (X, t) ⊆ Pk ;
pertanto, t 6∈ π(Z) se e solo se i polinomi omogenei Fi (X, t) ∈ K[X0 , . . . , Xk ]
non hanno zeri comuni e quindi se e solo se l’ideale It K[X0 , . . . , Xk ] da
essi generato contiene (X0 , . . . , Xk )s per qualche s > 0.
Sia allora Ts ⊆ Al il luogo dei t tali che It 6⊇ (X0 , . . . , Xk )s , per s =
1, 2, . . .; abbiamo quindi
+∞
\
π(Z) =
Ts ,
s=1
pertanto basta dimostrare che Ts è un sottoinsieme chiuso
di Al per ogni s.
Sia ora di il grado di Fi nelle variabili X e sia X β una base monomiale
dello spazio vettoriale Vk,s−di dei polinomi omogenei di grado s−di ; si intende
che per s < di questo è lo spazio nullo, quindi X β = 0 in questo caso,
mentre in generale β percorre tutti i multiindici (b0 , . . . , bk ) di lunghezza
b0 + · · · + bk = s − di .
Allora l’ideale It = F1 (X, t), . . . , Fr (X, t) contiene (X0 , . . . , Xk )s se e
solo se i prodotti Fi (X, t) X β sono un sistema di generatori per Vk,s . Possiamo
riesprimere tale condizione nel modo seguente.
Sia Bs =: (X α ) una base monomiale dello spazio vettoriale Vk,s , cosı̀
che α = (a0 , . . . , ak ) percorre tutti i multiindici di lunghezza s, ordinati in
un modo qualsiasi (per esempio, lessicografico); per ogni coppia
(i, β), con
β
1 ≤ i ≤ r e β multiindice di lunghezza s − di , sia MBs Fi X la colonna
delle coordinate di Fi X β nella base Bs . Allora evidentemente i prodotti
Fi (X, t) X β sono un sistema di generatori
per Vk,s se e solo se la matrice A
β
avente per colonne i vettori MBs Fi X , ordinati in un modo qualsiasi, ha
2.8. ESEMPI ED APPLICAZIONI
155
rango massimo, dato dalla dimensione di Vk,s . Detto altrimenti, t ∈ Ts se e
solo se tutti i minori di rango massimo rk,s = dim(Vk,s ) di A si annullano.
Ora i coefficienti di Fi (X, t) ∈ K[X0 , . . . , Xk ] sono funzioni polinomiali
di t. Pertanto, tali sono anche i minori rk,s × rk,s e d’altra parte Ts ⊆ Al è
proprio il luogo degli zeri comuni di tutti tali minori. Ne discende che Ts è
un chiuso affine.
C.V.D.
2.8
Esempi ed applicazioni
Esercizio 2.8.1. Sia F ∈ K[X0 , . . . , Xk ] omogeneo di grado d; se F = G H
con G, H ∈ K[X0 , . . . , Xk ], allora G e H sono anch’essi omogenei.
Per ogni d ≥ 1, sia Vk,d lo spazio vettoriale dei polinomi omogenei di
grado d. Evidentemente, la moltiplicazione Vk,d0 × Vk,d00 → Vk,d0 +d00 induce
una mappa
αd0 ,d00 : PVk,d0 × PVk,d00 → PVk,d0 +d00 ,
[G], [H] 7→ [G H].
Esercizio 2.8.2. Dimostrare che αd0 ,d00 è regolare.
Ne discende che l’immagine di αd0 ,d00 è un chiuso proiettivo Pd0 ,d00 ⊆
PVk,d0 +d00 , irriducibile dato che PVk,d0 × PVk,d00 lo è. L’unione
[
P =:
Pd0 ,d00 ⊆ PVk,d
d0 +d00 =d
è chiaramente il luogo dei polinomi omogenei di grado d non irriducibili.
Pertanto:
Proposizione 2.8.1. Il luogo dei polinomi omogenei riducibili di grado d è
un chiuso proiettivo di PVk,d .
Dotiamo Ak+1 delle coordinate lineari (X0 , . . . , Xk ), che discendono a
coordinate omogenee [X0 : · · · : Xk ] su Pk . Sia (X α ) una base monoidale dei
polinomi omogenei di grado d. Consideriamo la funzione di valutazione
val : Vk,d × Ak+1 → K,
(F, v) 7→ F (v).
Sia Zd ⊆ PVk,d ×Pk il luogo nullo di ev, ossia l’insieme delle coppie (F, [v]) tali
che F (v) = 0 (tale luogo è ben definito, perchè tale condizione è biomogenea
in entrambe le variabili).
Proposizione 2.8.2. Zd è un chiuso di PVk,d × Pk .
156
CAPITOLO 2. VARIETÀ QUASI-PROIETTIVE
Dim. Si tratta di osservare che Zd è definito da un’equazione polinomiale
biomogenea. A tal fine, lavoriamo in coordinate identificando Vk,d ∼
= Krk,d
α
mediante una base
(X ); quindi, F ∈ Vk,d corrisponde a Fβ ∈
P monoidale
β
rk,d
se F (X) = β Fβ X .
K
Allora con tale identificazione ev : Krk,d × Kk+1 → K è la funzione
X
ev (Fβ ) , v =
Fβ v β .
β
evidentemente polinomiale e biomogenea di grado di biomogeneità (1, d).
C.V.D.
Siano p1 : Z → PVk,d e p2 : Z → Pk le mappe regolari indotte dalle
proiezioni sui due fattori. Quindi, se [F ] ∈ PVk,d ,
p2 p−1
[F ] = Zpr (F ) ⊆ Pk ,
1
un’ipersuperficie di grado d, mentre se [v] ∈ Pk
p1 p−1
[v] = Zpr (evv ) ⊆ PVk,d ,
2
l’iperpiano proiettivo Hv definito dall’annullamento della valutazione in v.
Possiamo quindi vedere Z simultaneamente come una famiglia di iperpiani
in PVk,d e come una famiglia di ipersuperfici di grado d in Pk (in effetti, Z è
chiamato l’ipersuperficie universale di grado d).
Più in generale, dato un sottoinsieme chiuso Z ⊆ Pl × Pk , possiamo
k
vedere Z come una famiglia di sottoinsiemi
chiusi Zy ⊆ P , parametrizzata
l
k
da y ∈ P , ponendo Zy =: Z ∩ P × {y} .
Sotto queste ipotesi, abbiamo il seguente:
Lemma 2.8.1. Sia X ⊆ Pk una sottovarietà proiettiva. Poniamo
VX = y ∈ Pl : Zy ∩ X 6= ∅ .
Allora VX è un chiuso proiettivo di Pl .
Dim. Siano p1 : Pl × Pk → Pl e p2 : Pl × Pk → Pk le proiezioni. Allora
VX = p1 p−1
2 (X) ∩ Z .
l
k
Ora p−1
2 (X) ∩ Z è un chiuso di P × P , quindi un chiuso proiettivo; pertanto
tale è anche la sua immagine mediante p1 .
C.V.D.
2.9. PROIEZIONI E MAPPE FINITE
157
Lemma 2.8.2. Sia X ⊆ Pk un sottoinsieme. Allora l’insieme IX ⊆ PVk,d di
tutte le ipersuperfici di grado d che contengono X (ossia, l’insieme di tutti i
polinomi omogenei di grado d che si annullano identicamente su X, a meno
di equivalenza) è un sottospazio proiettivo di PVk,d .
Dim. Sia Hv ⊆ PVk,d l’iperpiano dei polinomi di grado d che si annullano
in [v] ∈ Pk ; allora chiaramente
\
IX =
Hv .
[v]∈X
C.V.D.
2.9
Proiezioni e mappe finite
Definizione 2.9.1. Un morfismo di varietà quasi-proiettive ϕ : V → W si
dice finito se esiste un ricoprimento aperto {Wi } di W tale che
• ogni Wi è affine;
• ogni Vi = ϕ−1 (Wi ) è affine;
• per ogni i, il morfismo di varietà affini indotto per restrizione, Vi → Wi ,
è finito.
Esercizio 2.9.1. Dimostrare che nel caso particolare in cui V e W sono
affini, la Definizione equivale a quella data in precedenza per i chiusi affini.
Osservazione 2.9.1. Vale il seguente risultato: un morfismo di varietà
quasi-proiettive ϕ : V → W è finito se e solo se per ogni aperto affine
W 0 ⊆ W la controimmagine V 0 = ϕ−1 (W 0 ) è affine e il morfismo indotto
V 0 → W 0 è finito.
Esercizio 2.9.2. Sia ϕ : V → W un morfismo finito di varietà quasiproiettive. Dimostrare, riducendosi al caso affine, che allora:
• ϕ ha fibre finite;
• ϕ è una mappa chiusa;
• ϕ è suriettiva.
Esercizio 2.9.3. Dimostrare che la composizione di morfismi finiti di varietà
quasi-proiettive è a sua volta un morfismo finito.
158
CAPITOLO 2. VARIETÀ QUASI-PROIETTIVE
Il risultato principale di questa sezione è che una proiezione induce una
mappa finita da un chiuso proiettivo alla sua immagine, la quale risulta a
sua volta un chiuso proiettivo. Nel caso affine la situazione è meno semplice,
come illustrato dai seguenti esempi.
Esempio 2.9.1. Sia C = Z(XY − 1) ⊆ A2 e sia π : C → A1 la proiezione
sulla prima coordinata. Allora π non è un morfismo finito, dato che non è
suriettivo; d’altra parte π induce un isomorfismo C → A2 \ {0}.
Esempio 2.9.2. Sia
S = Z(Y − XZ) ⊆ A3 .
Dato che Y − XZ è un polinomio irriducibile, S ⊆ A3 è una sottovarietà
irriducibile, in effetti isomorfa a A2 ((x, z) 7→ (x, xz, z)). Sia πXY : S → A2
la proiezione sul piano XY . Allora π non è un morfismo finito, perchè ad
esempio
−1
πXY
(0, 0) = 0, 0, t : t ∈ A1 ,
mentre le fibre di un morfismo finito sono tutte finite. Equivalentemente,
non è finito il morfismo ϕ : A2 → A2 dato da
ϕ(x, z) = (x, xz),
dato che esso mappa l’asse z in un punto.
Inoltre, πXY non è nemmeno suriettiva, dal momento che, per esempio,
(0, 1, t) 6∈ πXY (A3 ) per ogni t ∈ A1 .
Esempio 2.9.3. Sia
S = Z X 3 + Y 3 + Z 3 − 1 ⊆ A3
e sia π la proiezione sul piano Π = Z(X − Y ) lungo la retta


1




−1
L = span
.


0
Per ogni (x, y, z)t ∈ K3 , abbiamo




 
x−y
x+y
x
 y  = 1  −(x − y)  + 1  x + y  .
2
2
0
2z
z
Ne discende che




x
(x + y)/2
π :  y  7→  (x + y)/2  .
z
z
2.9. PROIEZIONI E MAPPE FINITE
159
La proiezione πS : S → Π data dalla restrizione di π non è una mappa finita
perchè, ad esempio, la retta ` = Z(X + Y, Z − 1) ⊆ S viene mappata in
(0, 0, 1)t , quindi le fibre non sono tutte finite.
Teorema 2.9.1. Sia V = U ⊕ W e sia π : PV \ PW → PU la proiezione. Sia
M ⊆ PV \ PW un chiuso proiettivo. Allora la mappa indotta M → π(M ) è
un morfismo finito.
Osservazione 2.9.2. Nella dimostrazione faremo uso della seguente osservazione. Identifichiamo Ak ∼
= Ak0 ⊆ Pk . Siano T1 , . . . , Tk le coordinate affini
su Ak e X0 , . . . , Xk le coordinate omogenee su Pk . Quindi Tj = Xj /X0 su
Ak0 , per j = 1, . . . , k. Per ogni F (T1 , . . . , Tk ) ∈ K[T1 , . . . , Tk ] di grado d
β(F )(X0 , . . . , Xk ) =:
X0d
F
X1
Xk
,...,
X0
X0
∈ K[X0 , . . . , Xk ]
è un polinomio omogeneo di grado d. Quindi, il quoziente Fe(X0 , . . . , Xk ) =:
β(F )(X0 , . . . , Xk )/X0d è una funzione regolare su Ak0 . Per costruzione,
Fe(1, T1 , . . . , Tk ) =: β(F )(1, T1 , . . . , Tk )/1d = F (T1 , . . . , Td ).
grado(Q)
In altre parole, O Ak0 è isomorfo all’anello dei quozienti Q/Xi
con Q ∈
(0)
K[X0 , . . . , Xk ] omogeneo (ossia al sottoanello K[X0 , . . . , Xk ]X0 degli elementi
omogenei di grado zero nella localizzazione di K[X0 , . . . , Xk ] nell’ideale primo
generato da X0 ).
Esercizio 2.9.4. Precisare.
Sia ora R ⊆ Ak un chiuso affine e identifichiamo Ak ∼
= Ak0 ⊆ Pk . Ogni
funzione regolare su R è la restrizione di una funzione regolare su Ak , quindi può essere scritta come la restrizione a R di G/X0m , per un’opportuno
polinomio omogeneo in X0 , . . . , Xk di grado m.
Dim. Denotiamo con p : M → π(M ) la mappa indotta. Dobbiamo
verificare che esiste un ricoprimento aperto affine {Ai } di p(M ) = π(M ), che
sappiamo essere un chiuso proiettivo di PU , tale che per ogni i
1. la controimmagine Bi =: p−1 (Ai ) ⊆ M è un aperto affine di M e inoltre
2. la mappa indotta per restrizione, Bi → Ai , è un morfismo finito di
varietà affini.
160
CAPITOLO 2. VARIETÀ QUASI-PROIETTIVE
Possiamo
supporre
di generalità
che V = Kn+1 , U =
senza perdita
span e0 , . . . , en−d−1 , W = span en−d , . . . , en , essendo (ej ) la base standard. Quindi,
π : [X0 : · · · : Xn ] 7→ [X0 : · · · : Xn−d−1 ].
Identifichiamo PU con Pn−d−1 e sia An−d−1
= {Xi 6= 0} il ricoprimento affine
i
standard (i = 0, . . . , n − d − 1).
Allora per ogni i = 0, . . . , n − d − 1
n−d−1
−1
= M ∩ Ani
p
p(M ) ∩ Ai
è un aperto affine di M e un chiuso affine di Ani , sul quale ogni funzione
regolare è la restrizione di qualche quoziente della forma g = G/Xim , essendo
G ∈ K[X0 , . . . , Xn ] omogeneo di grado m.
Sia g ∈ O (M ∩ Ani ) e dimostriamo che g è intera su O p(M ) ∩ Ain−d−1 .
A tal fine, se G e m sono come sopra, definiamo p1 : M → Pn−d ponendo (la
restrizione a M è sottointesa)
m
p1 =: X0m : · · · : Xn−d−1
:G .
Denotiamo Z0 , . . . , Zn−d le coordinate omogenee su Pn−d . Ora X0 , . . . , Xn−d−1
non hanno uno zero comune su M , perchè altrimenti sarebbe M ∩ PW 6= ∅;
pertanto, p1 è una mappa regolare e quindi p1 (M ) ⊆ Pn−d è un chiuso proiettivo, definito dall’annullamento di una collezione finita di polinomi omogenei
F1 , . . . , Fr ∈ K[Z0 , . . . , Zn−d ].
Per la stessa ragione, il punto [0 : · · · : 0 : 1] ∈ Pn−d \ p1 (M ); in altre
parole, i polinomi omogenei Z0 , . . . , Zn−d−1 , F1 , . . . , Fr non hanno zeri comuni
in Pn−d . Quindi, in virtù del Teorema degli Zeri proiettivo, l’ideale da essi
generato contiene (Z0 , . . . , Zn−d )s per qualche s > 0; in particolare, avremo
s
Zn−d
=
n−d−1
X
Hj Zj +
j=1
r
X
Gj Fj .
j=1
Possiamo supporre chiaramente che ogni Hj e ogni Gj sia omogeneo e in
particolare che ogni Hj abbia grado s − 1. Quindi
Hj =
s−1
X
k
Hjk (Z0 , . . . , Zn−d−1 ) Zn−d
.
k=0
Su p1 (M ) (o meglio, sul cono affine di p1 (M )) otteniamo allora
s
Zn−d
=
n−d−1
X
j=1
Hj Zj =
s−1
X
k=0
k
Ak (Z0 , . . . , Zn−d−1 ) Zn−d
,
2.9. PROIEZIONI E MAPPE FINITE
161
ove Ak (Z0 , . . . , Zn−d−1 ) è omogeneo di grado s − k. Ciò implica su M (o
meglio, sul cono affine di M ) la relazione
Gs =
s−1
X
k
m
Ak X0m , . . . , Xn−d−1
G ,
k=0
dividendo la quale per Xims otteniamo
s
g =
s−1
X
k
m
Ak T0m , . . . , 1, . . . , Tn−d−1
g ,
k=0
ove Tj = Xj /Xi sono le coordinate affini su Ani . D’altra parte, T0 , . . . , Tn−d−1
n−d−1
possono vedersi come coordinate affini su A
. Pertanto, abbiamo dimoi
n−d−1
strato che g è intera su O p(M ) ∩ Ai
.
C.V.D.
Esercizio 2.9.5. Generalizzare il Teorema come segue:
Corollario 2.9.1. Sia M ⊆ Pk proiettiva e siano F0 , . . . , Fr ∈ K[X0 , . . . , Xk ]
omogenei dello stesso grado d tali che M ⊆ Pk \ Zpr (F0 , . . . , Fr ). Sia
ψ =: [F0 : · · · : Fr ] : Pk \ Zpr (F0 , . . . , Fr ) → Pr .
Allora il morfismo indotto ϕ : M → ψ(M ) indotto per restrizione è finito.
Suggerimento: Ci si riduca mediante un’opportuna mappa di Veronese al
caso d = 1, quindi si utilizzi il Teorema.
Sia ora M ⊆ Pk un chiuso proiettivo. Se M 6= Pk , sia x1 ∈ Pk \ M
e sia π1 : M → Pk−1 la restrizione a M della proiezione con centro x1
(a meno di un automorfismo di Pk−1 , questa dipende solo da x1 ). Allora
π1 : M → M1 =: π1 (M ) è un morfismo finito di varietà proiettive. Se
M1 = Pk−1 , abbiamo quindi prodotto un morfismo finito di M su Pk−1 . Se
invece M1 $ Pk−1 , scegliamo x2 ∈ Pk−1 \ M1 e consideriamo la proiezione
π2 : π1 (M ) → Pk−2 con centro x2 ; la composizione π2 ◦ π1 : M → π2 (M1 ) è
un morfismo finito su un chiuso proiettivo. Il processo induttivo si arresta
quando otteniamo per composizione un morfismo finito da M su Pd , per
qualche d ≤ k. Di conseguenza, abbiamo dimostrato:
Teorema 2.9.2. Sia M una varietà proiettiva. Allora esiste un morfismo
finito suriettivo M → Pd per qualche intero d.
Consideriamo ora il caso di un chiuso affine V ⊆ Ak , V 6= Ak . Identifichiamo Ak con Ak0 ⊆ Pk e sia Pk−1
= Zpr (X0 ) = Pk \ Ak0 l’iperpiano
0
all’infinito.
162
CAPITOLO 2. VARIETÀ QUASI-PROIETTIVE
Lemma 2.9.1. Sia V ⊆ Pk la chiusura proiettiva di V in Pk . Allora
V + Pk−1
0 .
Dim. Sia I(V ) K[T1 , . . . , Tk ] l’ideale radicale di V e sia F ∈ I(V ),
F 6= 0. Sia d il grado di F e sia Fd (T1 , . . . , Tk ) la componente omogenea di
grado d in F . Allora β(F ) = Fd (X1 , . . . , Xk ) + X0 F 0 (X0 , . . . , Xk ), per un
certo F 0 ∈ K[X0 , . . . , Xk ] omogeneo di grado d − 1. Dal momento che β(F ) ∈
è contenuta nel luogo
Ih V (l’ideale omogeneo di V ), l’intersezione V ∩Pk−1
0
nullo di Fd (X1 , . . . , Xk ) (qui X1 , . . . , Xk sono viste coordinate omogenee su
k−1
6= Pk−1
Pk−1
0 .
0 ). Pertanto, V ∩ P0
C.V.D.
Siano p1 ∈ Pk−1
\V e π1 : Pk → Pk−1 la proiezione con centro p1 . Possiamo
0
k−1
identificare P0 con la collezione delle rette passanti per l’origine in Ak0 ,
mediante la corrispondenza ` 7→ ` ∩ Pk−1
o, più esplicitamente,
0
span{v} 7→ [0 : v] ∈ Pk−1
0
(v 6= 0).
In effetti, λ v ∈ Ak0 corrisponde a [1 : λ v] ∈ Pk . Quindi, se ` = span{v} ⊆ Ak0
allora ` = {[η : λ v] : [η : λ] ∈ P1 }.
Applicando un’opportuna trasformazione lineare invertibile in Ak0 , possiamo allora supporre senza perdita di generalità che p = [0 : · · · : 0 : 1],
cosicchè
π1 [X0 : · · · : Xn−1 : Xn ] = [X0 : · · · : Xn−1 ].
Ora π1 V ⊆ Pk−1 è un chiuso proiettivo e la mappa p1 : V → π1 V è
finita; inoltre, siccome V ∩ Ak0 = V perchè V è un chiuso affine,
k−1
V = p−1
π
V
∩
A
.
1
1
0
Perciò la mappa indotta per restrizione
p1 : V → π1 V ∩ A0k−1 = π1 (V )
è un morfismo finito di varietà affini.
k−1
Se π1 (V ) = Ak−1
; al0 , abbiamo prodotto una mappa finita V → A
trimenti procediamo allo stesso modo. La costruzione continua fino a produrre una mappa regolare finita V → Al per qualche l ≥ 0. Abbiamo cosı̀
dimostrato:
Teorema 2.9.3. Se V è una varietà affine, allora per qualche intero l ≥ 0
esiste una mappa regolare finita ϕ : V → Al .
2.9. PROIEZIONI E MAPPE FINITE
163
Quindi, O(V ) è intero su K[T1 , . . . , Tl ]; questo è il cosiddetto Lemma di
normalizzazione di Noether:
Corollario 2.9.2. Ogni K-algebra finitamente generata è intera su qualche
anello di polinomi.
Corollario 2.9.3. Sia A una K-algebra finitamente generata. Allora esistono a1 , . . . , al ∈ A tali che:
1. a1 , . . . , al sono algebricamente indipendenti su K;
2. A è intera su K[a1 , . . . , al ].
In altre parole, esistono al+1 , . . . , ak ∈ A interi su A0 =: K[a1 , . . . , al ] ⊆ A
tali che A = K[a1 , . . . , al , al+1 , . . . , ak ].
L’argomento riportato dimostra in realtà qualcosa di più preciso. Supponiamo infatti che A = K[t1 , . . . , tk ]. Quindi, possiamo vedere A come un
quoziente di K[T1 , . . . , Tk ] e pertanto A ∼
= O(V ), ove V ⊆ Ak è il chiuso
affine con I(V ) = ker K[T1 , . . . , Tk ] → A .
La costruzione precedente costruisce una mappa finita ϕ : V → Al per
qualche l come una composizione di proiezioni lineari, pertanto gli ai possono
essere supposti combinazioni lineari dei ti .
Nella situazione precedente, supponiamo che V sia irriducibile, cosı̀ che
A risulta un dominio di integrità. Allora il campo K(V ) contiene il campo
K(a1 , . . . , al ) ∼
= K(T1 , . . . , Tl ); dal momento che ogni ai con i ≥ l + 1 è intero
su K(a1 , . . . , al ) concludiamo che l è il grado di trascendenza di K(V ), ossia
del campo delle frazioni di A. Concludiamo il seguente.
Corollario 2.9.4. Sia V una varietà affine irriducibile. Se ϕ : V → Al è
una mappa regolare finita, allora l è il grado di trascendenza del campo delle
funzioni razionali K(A).
164
CAPITOLO 2. VARIETÀ QUASI-PROIETTIVE
Capitolo 3
Dimensione
3.1
Dimensione e grado di trascendenza
Per definire la dimensione di una varietà quasi-proiettiva irriducibile, muoviamo dalle seguenti considerazioni.
1. la dimensione di M dovrebbe essere la dimensione di un qualsiasi sottoinsieme aperto di M ; in particolare, basta determinare la dimensione
di un aperto affine non vuoto di M .
2. se M → N è una mappa finita (che è suriettiva ed ha fibre finite),
allora M e N dovrebbero avere la medesima dimensione.
3. la dimensione di An dovrebbe essere n.
In particolare, se V è una varietà affine irriducibile e se ϕ : V → Al è
finita, V dovrebbe avere dimensione l per la condizione 1; d’altra parte per
il Corollario 2.9.4 l è in tal caso il grado di trascendenza di K(V ). Quindi,
nel caso di una varietà affine irriducibile la dimensione dovrebbe coincidere
con il grado di trascendenza del campo K(V ).
Se poi M è una qualsiasi varietà quasi-proiettiva irriducibile allora per
qualsiasi sottoinsieme aperto affine non vuoto V ⊆ M abbiamo K(V ) ∼
=
K(M ), quindi per la condizione 1 la dimensione di M dovrebbe essere il
grado di trascendenza di K(M ).
Siamo cosı̀ portati alla seguente:
Definizione 3.1.1. La dimensione di una varietà quasi-proiettiva irriducibile è il grado di trascendenza su K del suo campo delle funzioni razionali.
La dimensione di una qualsiasi varietà quasi-proiettiva è il massimo delle
dimensioni delle sue componenti irriducibili.
165
166
CAPITOLO 3. DIMENSIONE
Esercizio 3.1.1. Dimostrare, viceversa, che tale definizione soddisfa le condizioni 1,2 e 3.
Esempio 3.1.1. La dimensione di un punto è zero, dato che il suo campo è K
stesso. Viceversa, supponiamo che M ⊆ Ar sia una varietà quasi-proiettiva
di dimensione zero. Allora le coordinate affini ristrette a V sono algebriche
su K, quindi assumono solo un insieme finito di valori. Pertanto, M è un
insieme finito.
Esempio 3.1.2. Una curva affine irriducibile C ⊆ A2 ha dimensione uno.
Infatti dopo una trasformazione lineare invertibile possiamo suporre che l’equazione di C abbia la forma Y r + termini di grado inferiore in Y , il che
mostra chiaramente che K(C) ha grado di trascendenza 1 su K.
Esempio 3.1.3. Siano M e N varietà quasi-proiettive irriducibili. Allora
dim(M × N ) = dim(M ) + dim(N ).
Per vederlo, possiamo supporre che M e N siano affini. Sia d = dim(M ),
e = dim(N ) e supponiamo che M sia un chiuso affine in Ak e che N sia
un chiuso affine in Al . Siano T1 , . . . , Tk e U1 , . . . , Ul coordinate affini su Ak
e su Al , rispettivamente. Quindi se ti e uj sono le restrizioni a M e N
rispettivamente, abbiamo O(M ) = K[t1 , . . . , tk ], O(N ) = K[u1 , . . . , ul ]; dopo
opportuni cambiamenti di coordinate affini, possiamo supporre senza perdita
di generalità che
• t1 , . . . , td siano algebricamente indipendenti su K e che O(M ) sia intero
su K[t1 , . . . , td ];
• u1 , . . . , ue siano algebricamente indipendenti su K e che O(N ) sia intero
su K[u1 , . . . , ue ].
Allora M ×N ⊆ Ak ×Al , con coordinate affini T1 , . . . , Tk , U1 , . . . , Ul ; pertanto,
O(M × N ) = K[t1 , . . . , tk , u1 , . . . , ul ] ⊇ K[t1 , . . . , td , u1 , . . . , ue ]
è un’estensione intera (in altre parole, dato che M → Ad e N → Ae sono
mappe finite, anche la mappa prodotto M × N → Ad × Ae è finita) e rimane
da dimostrare che t1 , . . . , td , u1 , . . . , ue sono algebricamente indipendenti.
Sia allora F (T1 , . . . , Td , U1 , . . . , Ue ) ∈ K[T1 , . . . , Td , U1 , . . . , Ue ] tale che
F (t1 , . . . , td , u1 , . . . , ue ) = 0 identicamente. Scriviamo
X
F =
aI (T1 , . . . , Td ) U I ,
I
3.1. DIMENSIONE E GRADO DI TRASCENDENZA
167
ove U I = U1i1 · · · Ueie e aI ∈ K[T1 , . . . , Td ]. Pertanto, per ogni m ∈ M abbiamo
F (m, n) = 0 identicamente in n ∈ N , ossia
X
F (m, u) =
aI t1 (m), . . . , td (m) uI = 0 ∈ O(N ).
I
Dato che u1 , . . . , ue sono algebricamente indipendenti, ciò implica
aI t1 (m), . . . , td (m) = 0
per ogni m ∈ M , onde aI t1 , . . . , td = 0 in O(M ). Dato che t1 , . . . , td sono
algebricamente indipendenti, ne discende infine che ogni aI = 0, quindi che
F = 0 ∈ K[T1 , . . . , Td , U1 , . . . , Ue ].
Teorema 3.1.1. Sia Y una varietà quasi-proiettiva irriducibile e sia X ⊆ Y
un chiuso. Allora dim(X) ≤ dim(Y ). Se dim(X) = dim(Y ), allora X = Y .
Dim. Possiamo chiaramente supporre che X sia irriducibile. Consideriamo innanzitutto il caso in cui Y è una varietà affine; tale risulta allora anche
X e O(X) è un quoziente di O(Y ). In questo caso, d = dim(Y ) è il massimo numero di funzioni regolari algebricamente indipendenti che possiamo
trovare su Y . Se u1 , . . . , ud+1 ∈ O(X), esistono u
e1 , . . . , u
ed+1 ∈ O(Y ) tali che
ui = u
ei |X . Quindi esiste P ∈ K[X1 , . . . , Xd+1 ] tale che
P (e
u1 , . . . , u
ed+1 ) = 0 ∈ O(Y ).
Per restrizione a X, otteniamo
P (u1 , . . . , ud+1 ) = 0 ∈ O(X).
Quindi ogni (d + 1)-upla di elementi di O(X) è algebricamente dipendente
e pertanto dim(X) ≤ d = dim(Y ). La prima parte del Teorema è cosı̀
dimostrata per Y (e quindi X) affine. In generale, sia Y 0 ⊆ Y un aperto
affine tale che Y 0 ∩ X 6= ∅, cosı̀ che X 0 =: X ∩ Y 0 è un chiuso affine in Y 0 .
Allora
dim(Y ) = dim(Y 0 ) ≥ dim(X 0 ) = dim(X).
Supponiamo ora che Y sia affine e d = dim(X) = dim(Y ). Per dimostrare
che X = Y basta verificare che se u
e ∈ O(Y ) è identicamente nullo su X,
allora u
e = 0. Siano u1 , . . . , ud ∈ O(X) algebricamente indipendenti e siano
u
e1 , . . . , u
ed ∈ O(Y ) tali che uj = u
ej |X ; in particolare, u
e1 , . . . , u
ed sono anch’essi
algebricamente indipendenti, perchè una relazione algebrica (su K) tra di essi
si restringerebbe a una tra u1 , . . . , ud .
168
CAPITOLO 3. DIMENSIONE
Per ipotesi, u
e1 , . . . , u
ed , u
e sono algebricamente dipendenti, quindi esiste
P (X1 , . . . , Xd , Xd+1 ) ∈ K[X1 , . . . , Xd , Xd+1 ] = K[X1 , . . . , Xd ][Xd+1 ]
tale che P (e
u1 , . . . , u
ed , u
e) = 0; necessariamente, P ha grado positivo in Xd+1 .
Scriviamo allora tale relazione nella forma
Pk (e
u1 , . . . , u
ed ) u
ek + · · · + P1 (e
u1 , . . . , u
ed ) u
e + P0 (e
u1 , . . . , u
ed ) = 0.
Possiamo supporre P irriducibile, cosı̀ che necessariamente P0 6= 0.
Restringendo a X, otteniamo P0 (u1 , . . . , ud ) = 0; pertanto P0 = 0, data
la supposta indipendenza algebrica degli ui , assurdo.
Quindi anche la seconda parte è dimostrata nel caso affine. In generale,
sia Y 0 ⊆ Y un aperto affine tale che X 0 =: X ∩ Y 6= ∅. Allora X 0 = Y 0
e quindi X ⊇ X 0 = Y 0 = Y , dato che Y 0 è denso in Y per l’ipotesi di
irriducibilità.
C.V.D.
Proposizione 3.1.1. Sia M ⊆ Ar un’ipersuperficie. Allora dim(M ) = r −1.
Dim. Supponiamo M = Z(F ), ove F ∈ K[T1 , . . . , Tr ] è un polinomio senza fattori ripetuti. Siano ti ∈ O(M ) le restrizioni dei Ti . Allora
O(M ) = K[t1 , . . . , tr ] e F (t1 , . . . , tr ) = 0 è una relazione algebrica tra i ti ,
sicchè dim(M ) ≤ r − 1 (alternativamente, se fosse dim(M ) = r dovremmo
concludere per il Teorema che M = Ar ).
Supponiamo che F contenga la variabile Tr . Affermo che allora t1 , . . . , tr−1
sono algebricamente indipendenti su K e quindi dim(M ) = r − 1. Supponiamo, per assurdo, che esista G ∈ K[T1 , . . . , Tr−1 ] non nullo tale che
G(t1 , . . . , tr−1 ) = 0; ne discende che G si annulla su M e quindi F |Gs per
qualche intero s 0. Ma ciò è assurdo perchè F contiene Tr mentre G no.
C.V.D.
Corollario 3.1.1. Sia M ⊆ Pr un’ipersuperficie. Allora dim(M ) = r − 1.
Dim. Dobbiamo dimostrare che ogni componente irriducibile di M ha dimensione r −1; ma se M = Zpr (F ), ove F ∈ K[X0 , . . . , Xr ] è omogeneo senza
fattori ripetuti, allora le componenti irriducibili di M sono Mi =: Zpr (Fi ), ove
gli Fi sono i fattori irriducibili di F , che risultano ancora omogenei. Possiamo
quindi supporre che M e F siano irriducibili.
Per qualche i = 0, . . . , r, avremo M 0 =: M ∩ Ari 6= ∅; supponiamo
senza perdita di generalità i = 0. Allora M 0 è un aperto della varietà
proiettiva irriducibile M e pertanto dim(M 0 ) = dim(M ). D’altra parte,
M 0 = Z F (1, T1 , . . . , Tr ) e quindi la Proposizione implica dim(M 0 ) = r − 1.
C.V.D.
3.1. DIMENSIONE E GRADO DI TRASCENDENZA
169
Teorema 3.1.2. Sia M ⊆ Ar un chiuso di Zariski le cui componenti irriducibili hanno tutte codimensione 1. Allora:
1. M è un’ipersuperficie, ossia esiste F ∈ K[X1 , . . . , Xr ] senza fattori
ripetuti tale che M = Z(F );
2. I(M ) = (F ).
Dim. Supponiamo che M sia irriducibile. Dato che M 6= Ar , esiste
G ∈ I(M ), G 6= 0. Quindi M ⊆ Z(G). Siano Gi i fattori irriducibili di G;
allora
[
M = Z(G) ∩ M =
Z(Gi ) ∩ M
i
e poichè M è irriducibile deve essere M = Z(Gi ) ∩ M per qualche i, ossia
M ⊆ Z(Gi ). Pertanto, possiamo supporre senza perdita di generalità che
G sia irriducibile (equivalentemente, dato
Q che I(M ) è un ideale primo deve
essere Gi ∈ I(M ) per qualche i se G = i Gi ∈ I(M )).
Supponiamo allora che G sia primo e sia Y = Z(G); allora Y è irriducibile,
M ⊆ Y e dim(M ) = r − 1 = dim(Y ) per la Proposizione; quindi M = Y per
il Teorema 3.1.1. Pertanto M è un ipersuperficie.
Sia ora H ∈ I(M ); quindi G|H s per qualche s 0. Essendo G irriducibile, G|H.
Supponiamo ora che M ⊆ Ar sia un chiuso affine le cui componenti irriducibili Mi hanno tutte codimensione uno; allora ogni Mi è un’ipersuperficie
Q
definita da un polinomio irriducibile Fi . Pertanto M = Z(F ), ove F = i Fi .
Se G ∈ I(M ), allora G ∈ I(Mi ) e quindi Fi |G per ogni i. Di conseguenza,
F |G perchè gli Fi sono irriducibili distinti.
C.V.D.
Osservazione 3.1.1. Non è vero in generale che un chiuso di codimensione
uno in una varietà quasi-proiettiva è un’ipersuperficie, nemmeno nella categoria affine; la dimostrazione precedente suggerisce che un ruolo cruciale
è giocato dal fatto che l’anello delle funzioni regolari su Ar è un dominio
a fattorizzazione unica. In effetti, se V è una varietà affine irriducibile, un
chiuso affine irriducibile di codimensione uno corrisponde a un ideale primo
di altezza uno di O(V ) (vedi oltre). D’altra parte, un’ipersuperficie in V
è il luogo nullo di un ideale principale non banale. Un risultato di algebra
commutativa asserisce che un dominio di integrità Noetheriano è un dominio
a fattorizzazione unica se e solo se ogni ideale primo di altezza uno è principale. Quindi se V è una varietà affine irriducibile, le due seguenti proprietà
sono equivalenti:
1. Ogni chiuso irriducibile di V di codimensione 1 è un’ipersuperficie.
170
CAPITOLO 3. DIMENSIONE
2. O(V ) è un dominio a fattorizzazione unica.
Analogamente al caso affine, l’affermazione 1. vale allora per qualsiasi
chiuso di codimensione 1, anche non irriducibile.
Un’altra classe di varietà (proiettive) in cui ciò è vero è data dai prodotti di spazi proiettivi. Per semplicità consideriamo il caso di due fattori,
lasciando il caso di un numero arbitrario l ≥ 1 di fattori come esercizio.
Consideriamo l’azione del gruppo moltiplicativo K∗ × K∗ su Ar+1 × As+1
data da
(λ1 , λ2 ) · (v1 , v2 ) =: (λ1 v1 , λ2 v2 ).
Tale azione si restringe a un’azione libera su (Ar+1 \ {0}) × (As+1 \ {0}),
il cui quoziente è chiaramente Pr × Ps . Un sottoinsieme di Ar+1 × As+1 è
biconico se invariante rispetto all’azione di K∗ × K∗ . Un chiuso di Zariski
M ⊆ Ar+1 × As+1 è biconico se e solo se il suo ideale radicale
I(M ) K[X1 , . . . , Xr , Y0 , . . . , Ys ]
è biomogeneo, ossia è generato da polinomi biomogenei nelle coordinate affini (X0 , . . . , Xr ) e (Y0 , . . . , Ys ) (equivalentemente, contiene le componenti
biomogenee di ogni suo elemento).
Siano ora F1 , . . . , Fk polinomi biomogenei nelle X e nelle Y e consideriamo
il luogo M ⊆ Pr × Ps dove Fi = 0 per ogni i; il chiuso affine
f = Z(F1 , . . . , Fk ) ⊆ Ar+1 × As+1
M
f il bicono affine su M e l’ideale radicale
è biconico (potremmo chiamare M
f K[X0 , . . . , Xr , Y0 , . . . , Ys ]
I M
f).
l’ideale biomogeneo di M
Esercizio 3.1.2. Dimostrare quanto segue:
f è la chiusura affine in Ar+1 × As+1 della controimmagine di M in
1. M
(Ar+1 \ {0}) × (As+1 \ {0});
f) se e solo se si annulla su
2. un polinomio biomogeneo appartiene a I(M
M;
f è irriducibile se M lo è.
3. M
3.2. CARATTERIZZAZIONI TOPOLOGICHE E GEOMETRICHE
171
In particolare, supponiamo che M ⊆ Pr × Ps sia definito da una singola
f è l’iperequazione F = 0 per un certo polinomio biomogeneo F , cosı̀ che M
r+1
s+1
superficie definita da F in A ×A . Sia G un altro polinomio biomogeneo
f
che si annulla identicamente su M ; allora evidentemente G si annulla su M
(esercizio) e quindi il Teorema degli Zeri implica che F |Gs per qualche intero
s 0. In particolare, se F è senza fattori ripetuti allora F |G per ogni G
f.
siffatto, ossia genera l’ideale radicale di M
Teorema 3.1.3. Sia M ⊆ Pr × Ps una sottovarietà le cui componenti irriducibili hanno tutte codimensione 1. Allora M è un’ipersuperficie, ossia è il
luogo nullo in Pr × Ps di un opportuno polinomio biomogeneo F senza fattori
ripetuti. Inoltre F divide ogni polinomio biomogeneo identicamente nullo su
M.
Dim. Supponiamo dapprima che M sia irriducibile. Dato che M 6=
f 6= Ar+1 × As+1 . Quindi esiste
P × Ps , abbiamo M
f K[X0 , . . . , Xr , Y0 , . . . , Ys ], F 6= 0
F ∈I M
f è un ideale primo e
f è irriducibile, I M
biomogeneo. Dal momento che M
quindi contiene qualche fattore irriducibile di F ; inoltre ogni fattore di un
polinomio biomogeneo è ancora biomogeneo. Possiamo quindi supporre che
F sia irriducibile.
Sia allora Y ( Pr × Ps il luogo nullo di F ; quindi M ⊆ Y ( Pr × Ps e cosı̀
r
(r + s) − 1 = dim(M ) ≤ dim(Y ) < r + s.
f è l’iperNe deduciamo dim(Y ) = r + s, quindi M = Y . In particolare, M
superficie irriducibile definita dal polinomio irriducibile F e pertanto il suo
ideale radicale è (F ).
Se quindi G è biomogeneo e si annulla su M , dal momento che G ∈
f = (F ) abbiamo F |G.
I M
C.V.D.
Esercizio 3.1.3. Dimostrare che, viceversa, ogni ipersuperficie in Pr × Ps ha
codimensione uno.
3.2
Caratterizzazioni topologiche e geometriche
Vediamo ora come la dimensione di una varietà quasi-proiettiva M può essere caratterizzata in altri due modi alternativi: topologicamente, come la
172
CAPITOLO 3. DIMENSIONE
massima lunghezza di una catena crescente di chiusi irriducibili di M ; ovvero
geometricamente, supposto M ⊆ PN , come la minima codimensione di un
sottospazio proiettivo disgiunto da M , diminuita di uno.
Cominciamo stabilendo un risultato ausiliario.
Proposizione 3.2.1. Sia M una varietà quasi-proiettiva non vuota. Allora
esiste un chiuso M 0 ⊆ M con dim(M 0 ) = dim(M ) − 1.
Dim. Consideriamo innanzitutto il caso in cui M è proiettiva.
Sia quindi M = M0 ⊆ Pr un chiuso proiettivo
S e siano M0j le componenti
irriducibili di M0 . Per ogni j, sia p0j ∈ M0j \ i6=j M0i . Tale scelta è possibile
perchè S
la decomposizione in componenti irriducibili è non ridondante, quindi
M0j $ i6=j M0i per ogni j.
Sia Vr1 ⊆ K[X0 , . . . , Xr ] lo spazio vettoriale (r + 1)-dimensionale dei polinomi omogenei di grado 1 in X0 , . . . , Xr ; per ogni p ∈ Pr , l’insieme dei
polinomi in Vr1 che si annullano in p è un iperpiano, quindi l’insieme dei polinomi che si annullano in qualcuno dei p0j è unione di una collezione finita di
iperpiani e pertanto non è tutto Vr1 (esercizio). Sia allora F0 ∈ K[X0 , . . . , Xr ]
omogeneo di grado 1 che non si annulla in alcun p0j .
Sia M1 ⊆ M il luogo nullo di F0 in M , ossia M1 = Zpr (F0 ) ∩ M . Se
M1 6= ∅, siano M1l le componenti irriducibili di M1 ; ogni M1l è contenuto
propriamente in qualche
S M0j e pertanto dim(M1 ) < dim(M ). Per ogni j
scegliamo p1j ∈ M1j \ i6=j M1i e scegliamo F1 ∈ Vr1 tale che F1 (p1j ) 6= 0 per
ogni j. Sia M2 =: M1 ∩ Z(F1 ); allora ogni componente irriducibile di M2 è
propriamente contenuta in qualche componente irriducibile di M1 e pertanto
dim(M2 ) < dim(M1 ) < dim(M ).
Supponiamo ora induttivamente di avere costruito una stringa F0 , . . . , Fj
di polinomi lineari tali che, detto Mi+1 =: M ∩ Z(F0 , . . . , Fi ), si ha M =
M0 % M1 % · · · % Mj+1 e inoltre ogni componente irriducibile di Mi+1 è
propriamente contenuta in qualche componente irriducibile di Mi . In particolare, F0 6= 0 e nessun Fi è combinazione lineare dei precedenti; pertanto gli
Fi sono linearmente indipendenti. Inoltre, la sequenza delle dimensioni degli
Mi è strettamente decrescente.
Se Mj+1 6= ∅, scegliamo per ogni componente irriducibile Mj+1,k di Mj+1
un punto pj+1,k ∈ Mj+1,k non appartenente all’unione delle altre componenti
irriducibili; sia quindi Fj+1 un polinomio lineare che non si annulla in alcun
pj+1,k e poniamo Mj+2 =: M ∩ Z(F0 , . . . , Fj+1 ).
La costruzione non può proseguire indefinitamente per ovvie ragioni dimensionali e d’altra parte si arresta solo quando, per un d opportuno, al
d-imo passo il luogo Md+1 degli zeri comuni in M dei polinomi F0 , . . . , Fd è
vuoto. Chiaramente, 0 ≤ dim(Md ) < · · · < dim(M1 ) < dim(M0 ) = dim(M ),
quindi d ≤ dim(M ).
3.2. CARATTERIZZAZIONI TOPOLOGICHE E GEOMETRICHE
173
Consideriamo la mappa regolare
ϕ = [F0 : · · · : Fd ] : M → Pd ,
indotta per restrizione dai polinomi Fi . Dato che gli Fi sono linearmente
indipendenti (e quindi d ≤ r), ϕ è (la restrizione a M di) una proiezione
lineare con centro il sottospazio proiettivo di Pr definito dall’annullamento
di tutti gli Fi . In particolare,
1. la mappa indotta M → ϕ(M ) è finita;
2. ϕ(M ) ⊆ Pd è un chiuso e pertanto
3. d ≤ dim(M ) = dim ϕ(M ) ≤ d.
Ne concludiamo d = dim(M ) e ciò implica chiaramente dim(Mi+1 ) =
dim(Mi ) − 1 per ogni i; in particolare segue l’asserto della Proposizione nel
caso proiettivo.
Sia ora M ⊆ Pr una varietà quasi-proiettiva irriducibile e sia M la sua
chiusura proiettiva. Quindi M = M ∩U , ove U ⊆ Pr è aperto (per definizione
stessa di varietà quasi-proiettiva) e pertanto N =: M \ M = M ∩ U c è un
chiuso proprio della varietà irriducibile M . Ne discende
dim(M ) = dim(M ) > dim(N ),
cosı̀ che ogni componente irriducibileSNj di N ha dimensione ≤ dim(M ) −
1. Scegliamo ora punti pj ∈ Nj \ i6=j Ni e sia F un polinomio lineare
tale che F (pj ) 6= 0 per ogni j; ne discende, visto il caso proiettivo della
Proposizione, che Z =: Zpr (F ) ∩ M è un chiuso proiettivo irriducibile di
dimensione dim(M ) − 1.
Se ora Z1 è una componente irriducibile di Z di dimensione dim(M ) − 1,
Z1 non può essere contenuto in alcun Nj ; in tal caso infatti, visto che F
non si annulla identicamente su Nj , Z1 avrebbe dimensione < dim(Nj ) ≤
dim(M ) − 1, assurdo.
Quindi Z1 ∩ M 6= ∅ e perciò Z1 ∩ M è un chiuso irriducibile di M di
dimensione dim(M ) − 1 (si noti che Z1 ∩ M è anche un aperto denso di Z1 ).
Questo completa la dimostrazione nel caso quasi-proiettivo irriducibile.
L’estensione al caso non irriducibile è lasciata come esercizio.
C.V.D.
Essenzialmente lo stesso argomento dimostra:
174
CAPITOLO 3. DIMENSIONE
Proposizione 3.2.2. Sia M ⊆ Pr una varietà proiettiva e sia
F ∈ K[X0 , . . . , Xr ]
un polinomio omogeneo che non si annulla identicamente su alcuna componente irriducibile di M . Allora Zpr (F ) ∩ M ha dimensione dim(M ) −
1.
Osservazione 3.2.1. L’asserto è tautologico se dim(M ) = 0, ossia se M è
un insieme finito; l’ipotesi è che F non abbia zeri su M e la conclusione è
che Zpr (M ) ∩ M = ∅.
In effetti, nel corso della dimostrazione della Proposizione 3.2.1 abbiamo
visto il caso in cui F è lineare. Ci si riconduce a questo caso componendo
con un’opportuna mappa di Veronese (esercizio).
Definizione 3.2.1. Se M è una varietà quasi-proiettiva, definiamo
`(M ) =: max n : ∃ una catena M ⊇ M0 % M1 % · · · % Mn 6= ∅,
con ogni Mi chiuso in M e irriducibile .
Che ogni catena siffatta sia finita segue dalla Noetherianità dello spazio
topologico M .
Teorema 3.2.1. Sia M una varietà quasi-proiettiva. Allora
dim(M ) = `(M ).
Dim. Basta evidentemente dimostrare l’asserto per M irriducibile. Ora
se M è irriducibile e N ⊆ M è un chiuso proprio, allora dim(N ) < dim(M ).
Pertanto, se è data una catena
M ⊇ M0 % M1 % · · · % Mn 6= ∅
come nella definizione di `(M ), allora
dim(M ) ≥ dim(M0 ) > dim(M1 ) > · · · > dim(Mn ) ≥ 0;
pertanto dim(M ) ≥ `(M ).
Per dimostrare la disuguaglianza opposta, procediamo induttivamente.
L’asserto del Teorema è ovviamente vero per dim(M ) = 0, ossia M finita.
In generale, supponiamo dim(M ) > 0 e l’asserto dimostrato in dimensioni
< dim(M ). Sia allora M 0 ⊆ M un chiuso di dimensione dim(M ) − 1, la cui
esistenza è asserita dalla Proposizione. Possiamo evidentemente supporre che
3.2. CARATTERIZZAZIONI TOPOLOGICHE E GEOMETRICHE
175
M sia irriducibile. Allora per induzione esiste una catena crescente di chiusi
irriducibili di M 0 di lunghezza dim(M 0 ); estendendola con M stesso, otteniamo una catena crescente di chiusi irriducibili di M di lunghezza dim(M ), il
che dimostra che dim(M ) ≤ `(M ).
C.V.D.
L’invariante ` introdotto sopra ha un corrispettivo algebrico.
Definizione 3.2.2. Sia A un anello e p A un ideale primo. L’altezza alt(p)
di p è il sup dell’insieme dei numeri naturali n per i quali esiste una catena
strettamente crescente
p0 ( p1 ( · · · ( pn = p
(3.1)
di ideali primi distinti di A che termina in p. La dimensione di Krull dimkr (A)
di A è il sup delle altezze degli ideali primi di p.
Sia ora A una K-algebra finitamente generata senza nilpotenti e sia V la
varietà affine associata, ossia tale che A = O(V ) (V è univocamente determinata a meno di isomorfismi). Allora la catena (3.2) corrisponde a una catena
strettamente decrescente di chiusi irriducibili di V ,
Z(p0 ) ) Z(p1 ) ) · · · ) Z(pn ) = Z(p).
(3.2)
È quindi chiaro che vale il seguente.
Lemma 3.2.1. Se V è una varietà affine, allora
dim(V ) = dimkr O(V ) .
Inoltre,
Teorema 3.2.2. Sia A una K-algebra finitamente generata senza divisori di
zero e sia p A un ideale primo. Allora
dimkr (A/p) = dimkr (A) − alt(p).
Corollario 3.2.1. Sia V una varietà affine irriducibile e sia W ⊆ V un
chiuso irriducibile. Allora
dim(W ) = dim(V ) − alt I(W ) .
176
CAPITOLO 3. DIMENSIONE
Consideriamo ora il caso di una varietà proiettiva ∅ 6= M ⊆ Pr . Se
F ∈ K[X0 , . . . , Xr ] è omogeneo di grado positivo, abbiamo due possibilità:
o F si annulla identicamente su qualche componente
irriducibile di M di
dimensione massimale, oppure dim Zpr (F ) ∩ M = dim(M ) − 1. Quindi,
se d =: dim(M ) > 0 e F1 , . . . , Fl ∈ K[X0 , . . . , Xr ] sono omogenei di grado
positivo, abbiamo per induzione che
dim M ∩ Zpr (F1 , . . . , Fl ) ≥ d − l
e vale l’uguaglianza se e solo se a ogni passo (ossia, a ogni nuovo Fi ) la
dimensione diminuisce di 1). In particolare,
dim M ∩ Zpr (F1 , . . . , Fd ) ≥ d − d = 0.
Abbiamo quindi il seguente.
Corollario 3.2.2. Sia M ⊆ Pr una sottovarietà proiettiva di dimensione d
e siano V1 , . . . , Vd ⊆ Pr ipersuperfici. Allora
M ∩ V1 ∩ · · · ∩ Vd 6= ∅.
D’altra parte, abbiamo dimostrato negli argomenti precedenti che se a
ogni passo scegliamo Fi+1 non identicamente nullo su alcuna componente
irriducibile di M ∩ Zpr (F1 , . . . , Fd ), supposta quest’ultima varietà proiettiva
non vuota, allora la sequenza delle dimensioni è strettamente decrescente,
fino a raggiungere il valore −1. Pertanto:
Corollario 3.2.3. Sia M ⊆ Pr una sottovarietà proiettiva di dimensione
d e siano m1 , . . . , md+1 > 0. Allora esistono F1 , . . . , Fd+1 ∈ K[X0 , . . . , Xr ]
omogenei di grado m1 , . . . , md+1 , rispettivamente, tali che
M ∩ Zpr (F1 , . . . , Fd+1 ) = ∅;
in altre parole, se Vi = Zpr (Fi ), allora
M ∩ V1 ∩ · · · ∩ Vd+1 = ∅.
Consideriamo il caso in cui mi = 1 per ogni i; allora gli Fi sono lineari e
ovviamente linearmente indipendenti. Pertanto, il luogo nullo degli Fi è un
sottospazio proiettivo Λ ⊆ Pr di dimensione r − d − 1, ossia di codimensione
c = d + 1 in Pr . In altre parole, abbiamo la seguente caratterizzazione
estrinseca della dimensione di una varietà proiettiva.
Corollario 3.2.4. Sia M ⊆ Pr una sottovarietà proiettiva e sia s la massima
dimensione di un sottospazio proiettivo Λ ⊆ Pr disgiunto da M . Allora la
dimensione di M è r − s − 1.
Esercizio 3.2.1. L’asserto si estende a sottovarietà quasi-proiettive? Meditare.
3.2. CARATTERIZZAZIONI TOPOLOGICHE E GEOMETRICHE
3.2.1
177
Applicazioni
Come caso particolare, abbiamo:
Corollario 3.2.5. Se s ≤ r, allora s ipersuperfici in Pr hanno intersezione
non vuota.
Per esempio, due curve in P2 si intersecano. Ciò può vedersi più semplicemente come segue. Supponiamo C = Zpr (F ) e D = Zpr (G) ove F, G sono
omogenei etc. Sia poi H un polinomio omogeneo di grado 1 che si annulla
in qualche punto di C ma non è identicamente nullo su C; ad esempio, se C
contiene [1 : 0 : 0] e [0 : 1 : 0], prendiamo H = X. Se C e D fossero disgiunte,
G non avrebbe zeri su C; pertanto H m /G sarebbe una funzione regolare su
C, ove m = grado(G), nulla in qualche punto di C ma non identicamente
nulla su C. Dato però che C è proiettiva, O(C) = K, assurdo.
Esercizio 3.2.2. Usare un’opportuna proiezione e la conclusione precedente
per dimostrare che P2 e P1 × P1 sono birazionamente equivalenti ma non
isomorfi.
Sia dato un polinomio
F (T, X0 , . . . , Xr ) ∈ K[T, X0 , . . . , Xr ] = K[T ][X0 , . . . , Xr ]
omogeneo di grado m nelle Xi . Quindi, è lecito considerare il chiuso di Zariski
Z =: Z(F ) ⊆ A1 × Pr .
Per ogni t ∈ A1 , sia
Ft (X0 , . . . , Xr ) =: F (t, X0 , . . . , Xr ), Zt =: Zpr (Ft ) ⊆ Pr .
Quindi
Zt = Z ∩ ({t} × Pr ) , Z =
[
{t} × Zt .
t∈A1
Possiamo vedere {Zt } come una famiglia di chiusi affini parametrizzata
algebricamente da A1 . Se scriviamo
X
F =
aI (T ) X I ,
|I|=m
per certi aI ∈ K[T ], allora Ft = 0 se e solo se aI (t) = 0 per ogni multiindice I, ossia se e solo se T − t|aI (T ) per ogni I. Dividendo gli aI per il loro
massimo comun divisore, possiamo quindi supporre che Ft 6= 0 per ogni t, nel
178
CAPITOLO 3. DIMENSIONE
qual caso Zt è una famiglia di ipersuperfici di grado m in Pr parametrizzata
algebricamente da A1 .
Abbiamo quindi due mappe regolari, indotte dalle proiezioni,
π
π
1
2
A1 ←−
Z −→
Pr
e per ogni t ∈ A1 la controimmagine
π1−1 (t) = {t} × Zt
si mappa isomorficamente su Zt mediante π2 .
Si noti che se x ∈ Pr , allora
π1 π2−1 (x) = t ∈ A1 : x ∈ Zt .
Chiediamoci se la proiezione π1 : Z → A1 ammette una sezione, ossia una
mappa regolare σ
e : A → Z tale che π1 ◦ σ = idA1 . In altre parole, cerchiamo
una mappa regolare σ
e : A1 → A1 × Pr della forma
σ
e(t) = t, σ(t) ,
tale che σ(t) ∈ Zt per ogni t ∈ A1 .
Essendo σ : A1 → Pr regolare, essa può scriversi
σ =: [P0 : · · · : Pr ]
per certi Pi ∈ K[X0 , . . . , Xr ]: eventualmente dopo averli divisi per il loro
massimo comun divisore, possiamo supporre senza perdita di generalità che
i Pi non abbiano zeri comuni.
La condizione che σ(t) ∈ Zt per ogni t significa d’altra parte che
F (T, P ) =: F T, P0 (T ), . . . , Pr (T ) = 0.
(3.3)
Il Teorema di Tsen asserisce che una sezione esiste se il grado delle
ipersuperfici è relativamente basso:
Teorema 3.2.3. Sia m ≤ r e sia F ∈ K[T, X0 , . . . , Xr ] omogeneo di grado
1
r
m nelle X
i . Allora esiste1 una mappa regolare ψ : A → P tale che ψ(t) ∈
Zpr F (t) per ogni t ∈ A .
Dim. Scriviamo F come
F (T, X0 , . . . , Xr ) =
X
|I|=m
aI (T ) X I ,
3.2. CARATTERIZZAZIONI TOPOLOGICHE E GEOMETRICHE
179
ove aI ∈ K[T ] per ogni multiindice I. Sia k il massimo dei gradi dei polinomi
aI ; allora
k
X X
F (T, X0 , . . . , Xr ) =
aIj T j X I .
|I|=m j=0
Sia l ≥ 1 intero e postuliamo una soluzione in cui i Pi hanno tutti grado
≤ l, ossia hanno la forma
Pi (T ) =
l
X
0
pii0 T i , i = 0, . . . , r
i0 =0
per certi pii0 ∈ K.
Si noti che i coefficienti pii0 sono in numero di (r + 1) (l + 1), quindi se
non tutti nulli definiscono un punto [pii0 ] ∈ Pr+l+rl .
Dato che moltiplicare tutti i pii0 per un medesimo scalare 6= 0 non modifica
il morfismo σ, una soluzione del problema è un punto [pii0 ] ∈ Pr+l+rl tale per
cui vale la (3.3).
Ora (esercizio)
P I (T ) =: P0i0 (T ) · · · Prir (T ) =
lm
X
QIs (pii0 )T s ,
s=0
ove ogni QIs è un polinomio omogeneo di grado m. Pertanto, sostituendo
P I (T ) come sopra nell’espressione per F , otteniamo (ri-esercizio)
F (T, P ) =
k
X X
|I|=m j=0
j
I
aIj T P (T ) =
lm+k
X
Wa (pii0 ) T a ,
a=0
ove ogni Wa è un polinomio omogeneo di grado m.
Quindi nel Pr+l+rl che parametrizza la collezione di tutti i coefficienti
dobbiamo imporre le lm + k + 1 condizioni Wa (pii0 ) = 0; in altre parole, una
soluzione è punto dell’intersezione di lm + k + 1 ipersuperfici
Zpr (W0 ) ∩ · · · ∩ Zpr (Wlm+k ) ⊆ Pr+l+rl .
Tale intersezione è non vuota se
lm + k + 1 ≤ r + l + rl = l(r + 1) + r,
sicuramente vero per l 0 se r ≥ m. Se poi i corrispondenti polinomi Pi
avessero degli zeri comuni in t0 , . . . , ta ∈ A1 , poniamo, basta dividerli per
opportune potenze di T − ti per ogni i e arrivare alla soluzione desiderata.
C.V.D.
180
CAPITOLO 3. DIMENSIONE
Osservazione 3.2.2. I risultati precedenti sulla dimensione di una sezione
iperpiana, o più in generale dell’intersezione con una ipersuperficie, possono essere significativamente migliorati facendo uso del Teorema dell’ideale
principale di Krull.
Teorema 3.2.4. Sia A un anello Noetheriano e sia f ∈ A un elemento
che non è nè invertibile nè un divisore dello zero. Allora ogni ideale primo
minimale contenente f ha altezza 1.
Geometricamente, possiamo trasporre tale enunciato come segue:
Corollario 3.2.6. Sia V una varietà affine e supponiamo che f ∈ O(V ) non
sia invertibile e non si annulli identicamente su alcuna componente irriducibile di V . Allora ogni componente irriducibile di ZV (f ) (il luogo nullo di
f ) ha codimensione 1.
Gli argomenti dati sopra, in effetti, mostrano solo che qualche componente
di ZV (f ) ha codimensione 1.
Corollario 3.2.7. Sia V ⊆ Pr una varietà quasi-proiettiva irriducibile e sia
F ∈ K[X0 , . . . , Xr ]
omogeneo di grado positivo. Se VF =: Zpr (F ) ∩ V è un sottoinsieme non
vuoto proprio di V , allora sua ogni componente irriducibile ha dimensione
dim(V ) − 1.
Dim. Sia S ⊆ VF una componente irriducibile non vuota e sia p ∈ S. Sia
V 0 un aperto affine di p in V , contenuto in qualche Ari ; supponiamo i = 0.
Se h è il grado di F , allora f = F/X0h è una funzione regolare sulla varietà
affine V 0 , il cui luogo nullo è Vf0 = VF ∩ V 0 . Ora S ∩ V 0 è una componente
irriducibile di tale luogo nullo e pertanto ha dimensione dim(V ) − 1 per il
Corollario precedente. Dato che S ∩ V 0 è aperto denso in S, abbiamo anche
dim(S) = dim(V ) − 1.
C.V.D.
Corollario 3.2.8. Sia V ⊆ Pr una varietà irriducibile quasi-proiettiva e siano F1 , . . . , Fl ∈ K[X0 , . . . , Xl ] omogenei. Supponiamo V ∩ Zpr (F1 , . . . , Fm ) 6=
∅. Allora ogni componente irriducibile di V ∩ Zpr (F1 , . . . , Fm ) ha dimensione
≥ dim(M ) − m.
Dim. Per induzione (esercizio).
3.2. CARATTERIZZAZIONI TOPOLOGICHE E GEOMETRICHE
181
Esempio 3.2.1. Sia M ⊆ Pr una varietà proiettiva e sia CM ⊆ Ar+1 il suo
cono affine. Allora dim CM = dim(M ) + 1.
Possiamo evidentemente ridurre la dimostrazione al caso irriducibile (esercizio). Inoltre l’asserto è ovvio se M è vuota se intendiamo il cono affine come
l’origine. Per vederlo anche nel caso restante M 6= ∅, basta dimostrare che
dim CM \ {0} = dim(M ) + 1.
A tal fine, sia π : Ar+1 \ {0} → Pr la proiezione e poniamo Ar+1
=: π −1 (Ari ).
i
In altri termini,
Ar+1
= (X0 , . . . , Xr ) ∈ Ar+1 : Xi 6= 0 .
i
r
Chiaramente Ar+1
è un ricoprimento aperto di Ar+1 \ {0}, quindi
i
i=0
CMi = CM ∩ Ar+1
è un ricoprimento aperto di CM \ {0}. Basta allora
i
dimostrare che ogni CMi ha dimensione dim(M ) + 1 se Mi 6= ∅ (in effetti,
vedremo tra breve anche che CM è irriducibile e quindi CMi è denso in CM
se Mi 6= ∅).
Supponiamo senza perdita di generalità i = 0 e M0 =: M ∩ Ar0 6= ∅, cosı̀
che M0 ⊆ M è un aperto denso di M . Siano F1 , . . . , Fl generatori omogenei
per l’ideale omogeneo di M e siano al solito
α(Fj )(T1 , . . . , Tr ) =: Fj (1, T1 , . . . , Tr ) ∈ K[T1 , . . . , Tr ]
le loro immagini in O (Ar0 ), cosı̀ che
M0 = Z α(F1 ), . . . , α(Fr ) ⊆ Ar0 .
Consideriamo le mappe γ : M0 × K∗ → CM0 \ {0} e η : CM0 \ {0} →
M0 × K∗ date da
γ : [1 : t1 : · · · : tr ], λ 7→ λ, λ t1 , . . . , λ tr ,
u1
ur
η : (u0 , u1 , . . . , ur ) 7→
1:
: ··· :
, u0 .
u0
u0
Esercizio 3.2.3. Dimostrare che γ e η sono regolari e l’una l’inversa dell’altra.
Pertanto abbiamo un isomorfismo di varietà quasi-proiettive CM0 \ {0} ∼
=
∗
M0 × K ed è evidente che quest’ultima ha dimensione dim(M ) + 1.
182
CAPITOLO 3. DIMENSIONE
Consideriamo ora il problema di stimare la dimensione dell’intersezione di due varietà quasi-proiettive M, N ⊆ Pr aventi dimensione m, n rispettivamente. Il problema si riduce chiaramente all’intersezione di varietà
quasi-proiettive irriducibili.
Supponiamo allora M, N irriducibili con M ∩ N 6= ∅ e sia S una componente irriducibile non vuota di M ∩ N . Supponiamo M = M1 \ M2 e
N = N1 \ N2 , ove Mi e Nj sono varietà proiettive. Possiamo supporre M1 e
N1 irriducibili, ossia che M1 e N1 siano le chiusure di M e N ; pertanto, M1
e N1 hanno dimensione m e n, rispettivamente. Sia U = Pr \ (M2 ∪ N2 ), un
aperto di Pr . Consideriamo p ∈ S ⊆ M1 ∩ N1 . Evidentemente S è una componente irriducibile di M1 ∩ N1 ∩ U , quindi S è una componente irriducibile
di M1 ∩ N1 , della stessa dimensione di S.
Basta quindi considerare il caso in cui M e N sono proiettive. Supponiamo allora senza perdita di generalità che p ∈ Ar0 e siano M0 = M ∩ Ar0 ,
N0 = N ∩ Ar0 , S0 = S ∩ Ar0 . Allora M0 , N0 , S0 ⊆ Ar0 sono chiusi affini e
S0 è una componente irriducibile di M0 ∩ N0 ; inoltre, M0 , N0 , S0 hanno la
stessa dimensione di M, N, S, rispettivamente, quindi siamo ridotti a stimare
la dimensione di S0 .
In definitiva, siamo ridotti a stimare la dimensione delle componenti irriducibili non vuote di M ∩ N quando M, N ⊆ Ar sono chiusi affini irriducibili.
Lemma 3.2.2. Siano M, N ⊆ Ar chiusi affini (non necessariamente irriducibili) e sia ∆ ⊆ Ar × Ar la diagonale. Allora M ∩ N e (M × N ) ∩ ∆ sono
chiusi affini isomorfi.
Dim. Consideriamo la mappa regolare diag : Ar → Ar × Ar , t 7→ (t, t).
Allora ∆ = diag (Ar ) e diag induce un isomorfismo tra Ar e ∆, con applicazione inversa la proiezione sulla prima componente. Basta allora osservare
che
M ∩ N = diag−1 (M × N ) .
Pertanto la restrizione di diag induce una mappa regolare
M ∩ N → (M × N ) ∩ ∆,
con inversa la proiezione sulla prima componente.
C.V.D.
Siamo ridotti infine a stimare le componenti irriducibili dell’intersezione di
M × N con ∆. Siano (T1 , . . . , Tr , T10 , . . . , Tr0 ) le coordinate affini su Ar × Ar ∼
=
A2r ; dato che ∆ è definito da r equazioni Ti −Ti0 = 0, concludiamo il seguente.
Corollario 3.2.9. Siano M, N ⊆ Pr varietà quasi-proiettive irriducibili di
dimensione m e n rispettivamente. Se M ∩ N 6= ∅, ogni componente irriducibile di M ∩ N ha dimensione ≥ m + n − r.
3.3. DIMENSIONE E MAPPE REGOLARI
183
Nel caso affine, possiamo avere m + n ≥ r ma M ∩ N = ∅. Si consideri, ad
esempio, il caso di due iperpiani affini dati dalle equazioni T1 = 0 e T1 = 1,
rispettivamente, con r ≥ 2. Nel caso proiettivo invece vale il seguente.
Corollario 3.2.10. Siano M, N ⊆ Pr varietà proiettive di dimensione m e
n rispettivamente. Allora M ∩ N 6= ∅ se m + n ≥ r.
Dim. Possiamo ridurci al caso irriducibile, sostituendo M e N con qualche
loro componente di dimensione massima. I coni affini CM, CN ⊆ Ar+1 hanno
dimensione m + 1 e n + 1 rispettivamente. Ora CM ∩ CN 6= ∅, poichè
entrambi contengono l’origine; pertanto tale intersezione contiene qualche
componente irriducibile, che per il Corollario precedente ha dimensione ≥
(m + 1) + (n + 1) − (r + 1) ≥ 1. Ne discende che CM ∩ CN non consiste
della sola origine e d’altra parte ogni punto di CM ∩ CN \ {0} si mappa in
un punto di M ∩ N mediante la proiezione Ar+1 → Pr .
C.V.D.
Esercizio 3.2.4. Adattare la dimostrazione del Lemma 3.2.2 per dimostrare
che l’intersezione di due aperti affini è sempre un aperto affine.
3.3
Dimensione e mappe regolari
Data una mappa f : M → N , non necessariamente invertibile, denoteremo
la controimmagine di n ∈ N con il simbolo
f −1 (n) =: {m ∈ M : f (m) = n} ;
chiameremo talvolta f −1 (n), con qualche abuso di linguaggio, la fibra di f in
n.
Teorema 3.3.1. Siano M, N varietà quasi-proiettive irriducibili e sia f :
M → N una mappa regolare dominante. Se n ∈ N e se F è una componente
irriducibile di f −1 (n), allora
dim(F ) ≥ dim(M ) − dim(N ).
Dim. Poniamo dM = dim(M ), dN = dim(N ). Se f −1 (n) = ∅, non c’è
nulla da dimostrare. Altrimenti, sia N 0 ⊆ N un aperto affine di n in N .
Allora M 0 =: f −1 (N 0 ) ⊆ M è un aperto non vuoto di M , quindi denso
e irriducibile, e la mappa indotta per restrizione, M 0 → N 0 , è ovviamente
ancora dominante; inoltre f −1 (n) ⊆ M 0 . Possiamo quindi sostituire N con
N 0 e supporre senza perdita di generalità che N sia affine e irriducibile.
184
CAPITOLO 3. DIMENSIONE
Sia α1 ∈ O(N ) tale che α1 (n) = 0 e α1 6= 0; allora n ∈ ZN (α1 ) e tutte
le componenti irriducibili di ZN (α1 ) ⊆ N hanno dimensione dN − 1. Sia
ora α2 ∈ O(N ) tale che α2 (n) = 0 ma α2 non si annulla identicamente su
alcuna componente irriducibile di ZN (α1 ) (esercizio: dimostrarne l’esistenza); allora n ∈ ZN (α1 , α2 ) e d’altra parte ogni componente irriducibile di
Z(α1 , α2 ) ha dimensione dN − 2, etc. Dopo dN passi, perveniamo a una sequenza (α1 , . . . , αdN ) di funzioni regolari su N tali che Z =: Z(α1 , . . . , αdN )
ha dimensione zero e contiene n. Ora Z è un insieme finito e pertanto
Z 0 =: Z \ {n}, in quanto finito (eventualmente vuoto), è chiuso. Perciò
N 0 = N \ Z 0 è un intorno aperto di n in N ; dato che gli aperti affini sono
una base per la topologia di Zariski, esiste un aperto affine n ∈ N 00 ⊆ N 0 .
Possiamo quindi sostituire N con N 00 3 n e M con M 00 = f −1 (N 00 ), cosı̀
da supporre senza perdita di generalità che Z = {n}. Allora chiaramente
f −1 (n) = ZM (f ∗ (α1 ), . . . , f ∗ (αdN )) .
L’asserto discende ora dal Corollario 3.2.9.
C.V.D.
Esercizio 3.3.1. Estendere l’asserto al caso non dominante, considerando f
come un morfismo M → f (M ).
Teorema 3.3.2. Nelle ipotesi del Teorema 3.3.1, esiste un aperto N 0 ⊆ N
tale che se n ∈ N 0 e F è una componente irriducibile di f −1 (n), allora
dim(F ) = dim(M ) − dim(N ).
Dim. In virtù del Teorema 3.3.1, è sufficiente dimostrare che esiste un
aperto non vuoto N 0 ⊆ N tale che se n ∈ N 0 e F è una componente irriducibile di f −1 (n) allora dim(F ) ≤ dim(M ) − dim(N ); a sua volta, ciò
equivale evidentemente a dimostrare che se n ∈ N 0 allora dim (f −1 (n)) ≤
dim(M ) − dim(N ).
Cominciamo allora a sostituire N con un aperto affine non vuoto N 0 ⊆ N
e M con M 0 =: f −1 (N 0 ), S
cosı̀ da supporre senza perdita di generalità che N
sia affine. Sia poi M = rk=1 Vk un ricoprimento aperto affine; se n ∈ N ,
allora f −1 (n) è ricoperto dai Vk , quindi basta dimostrare che esiste un aperto
non vuoto N 00 ⊆ N tale che per ogni n ∈ N 00 si ha
dim f −1 (n) ∩ Vk ≤ dim(M ) − dim(N ) ∀ k = 1, . . . , r.
(3.4)
A tal fine, basta dimostrare per ogni k = 1, . . . , r esiste un aperto non vuoto
Nk ⊆ N tale che se n ∈ Nk allora
dim f −1 (n) ∩ Vk ≤ dim(M ) − dim(N ),
3.3. DIMENSIONE E MAPPE REGOLARI
185
T
poichè allora basta porre N 0 =: rk=1 Nk . Infatti N 0 è un aperto denso di N
e per ogni n ∈ N 0 è soddisfatta la (3.4).
Possiamo ora considerare un k alla volta e porre V = Vk . Poniamo come
sopra dM = dim(M ), dN = dim(N ). Per costruzione la mappa indotta per
restrizione f : V → N è dominante e quindi il morfismo indotto f ∗ : O(N ) →
O(V ) è iniettivo, pertanto rappresentabile come un’inclusione. Quest’ultima
a sua volta induce un’estensione di campi
K(N ) ⊆ K(V ) = K(M ),
la quale ha grado di trascendenza dM − dN .
Possiamo quindi trovare v1 , . . . , vs ∈ O(V ) tali che:
1. O(V ) = K[v1 , . . . , vs ];
2. v1 , . . . , vdM −dN sono algebricamente indipendenti su K(N );
3. vdM −dN +1 , . . . , vs sono algebrici su K(N )[v1 , . . . , vdM −dN ].
Di conseguenza, esistono polinomi non nulli
Fi ∈ O(N )[v1 , . . . , vdM −dN ][X]
tali che Fi (vi ) = 0 per ogni i = dM − dN + 1, . . . , s. Scriveremo tali relazioni
nella forma
Fi vi ; v1 , . . . , vdM −dN = 0,
ove ora Fi ∈ O(N )[Xi , X1 , . . . , XdM −dN ]; esplicitamente,
X
Fi =
ai,l,I · Xil X I ∈ O(N )[Xi , X1 , . . . , XdM −dN ].
l,I
Sia Ni ⊆ N l’aperto affine principale ove ai,l,I (n) 6= 0 per ogni l, I tale che
ai,l,I 6= 0 in O(N ) e sia
s
\
0
N =:
Ni .
dM −dN +1
Allora N 0 ⊆ N è un aperto denso e se n0 ∈ N 0 allora gli Fi si restringono su
f −1 (n) ∩ V a relazioni algebriche
X
ai,l,I (w) · v li v I = 0,
l,I
ove v j ∈ O (f −1 (n) ∩ V ) è la restrizione di vj . Ne discende chiaramente che
K [v 1 , . . . , v s ] è algebrico su K [v 1 , . . . , v dM −dN ].
186
CAPITOLO 3. DIMENSIONE
D’altra parte, f −1 (n) ∩ V è un chiuso affine di V e pertanto
O f −1 (n) ∩ V = K [v 1 , . . . , v s ] .
In conclusione,
dim f −1 (n) ∩ V ≤ dM − dN .
C.V.D.
Osservazione 3.3.1. Dato che f è dominante, per il Teorema 1.5.6 f (M ) ⊆
N contiene un aperto denso N 00 (l’estensione al caso quasi-proiettivo è lasciata
come esercizio). Quindi per ogni n ∈ N 0 ∩ N 00 (aperto denso di N ) si ha
f −1 (n) 6= ∅ e ogni componente irriducibile di f −1 (n) ha dimensione dim(M )−
dim(N ).
Esempio 3.3.1. Sia
n
o
S =
(t0 , t1 , t2 ), [x0 : x1 : x2 ] : ti xj = tj xi ∀ i, j = 0, 1, 2
= Z Ti Xj − Tj Xi : i, j = 0, 1, 2 ⊆ A3 × P2
e sia π : S → A3 il morfismo indotto dalla proiezione sulla prima componente.
Allora se t 6= 0 ∈ A3 abbiamo
f −1 (t) = t, [t] ,
mentre
f −1 (0) = {0} × P2 .
Quindi, f è suriettiva. Inoltre,
S 0 =: f −1 A2 \ {0} ∼
= A2 \ {0}
è irriducibile. Sia poi t 6= 0 ∈ A3 e consideriamo la mappa
ψt : A1 → S, λ 7→ λt, [t] .
Allora ψt (0) = (0, t), mentre ψt (A1 \ {0}) ⊆ S 0 . Ne discende che S 0 è denso
in S (dimostrare) e quindi che S è irriducibile.
In particolare, dim(S) = dim(S 0 ) = dim (A3 \ {0}) = 3.
Questo esempio illustra il Teorema con M = S e N = A3 ; infatti
sull’aperto N 0 = A3 \ {0} le fibre hano tutte dimensione
dim(S) − dim A3 = 3 − 3 = 0
mentre la fibra su 0 ∈ A3 ha dimensione 2.
3.3. DIMENSIONE E MAPPE REGOLARI
187
Corollario 3.3.1. Nelle ipotesi del Teorema 3.3.1, supponiamo in aggiunta
che M e N siano proiettive. Allora per ogni intero k il luogo
Nk =: n : dim f −1 (n) ≥ k
è chiuso in N .
Dim. Osserviamo innanzitutto che f è suriettiva perchè è dominante e
f (M ) è un chiuso di N , essendo M proiettiva. Quindi, per ogni R ⊆ N si ha
R = f (f −1 (R)).
Procediamo per induzione su dN = dim(N ). Se dim(N ) = 0, allora N è
un punto e quindi Nk = N o Nk = ∅. In generale, abbiamo NdM −dN = N
per il Teorema 3.3.1; inoltre, per il Teorema 3.3.2 esiste un aperto non vuoto
N 0 ⊆ N tale che N 0 ∩ NdM −dN +1 = ∅. Quindi, il chiuso R = N \ N 0 è proprio,
ossia tale che dim(R) < dN , e se k > dM − dN allora Nk ⊆ R. Ora la
mappa f −1 (R) → R è suriettiva e ogni componente irriducibile di R e ogni
componente irriducibile di ogni immagine di qualche componente irriducibile
di f −1 (R) ha dimensione < dim(N ). Basta ora invocare l’ipotesi induttiva.
Più precisamente, supponiamo per semplicità che R e S = f −1 (R) siano
irriducibili. Applicando l’ipotesi induttiva alla restrizione S → R, ricaviamo
allora che Nk = Rk è chiuso in R per ogni k, quindi è chiuso in N .
In generale, si procede considerando una componente irriducibile (sopra
e sotto) alla volta (esercizio).
C.V.D.
Esempio 3.3.2. È essenziale che M (e quindi N ) sia proiettiva. Per esempio,
sia f : A2 → A2 data da f (x, y) = (x, xy). Allora f è dominante, ma non
suriettiva; quindi N0 = f (A2 ) non è chiuso in A2 .
Teorema 3.3.3. Siano M e N varietà proiettive e sia f : M → N una
mappa regolare soddisfacente le seguenti condizioni:
1. f è suriettiva;
2. N è irriducibile;
3. ogni fibra f −1 (n) è irriducibile;
4. tutte le fibre hanno la stessa dimensione d.
Allora M è irriducibile.
S
Dim. Sia M = k Mk la decomposizione di M in componenti
irriducibili.
S
Per ogni k, f (Mk ) ⊆ N è un chiuso irriducibile e N = k f (Mk ). Quindi,
188
CAPITOLO 3. DIMENSIONE
per almeno un k si ha f (Mk ) = N . Per ogni k, sia fk : Mk → N la mappa
indotta da f per restrizione.
Sia K 0 l’insieme dei k tali che fk (Mk ) = N e K 00 l’insieme dei k tali che
fk (Mk ) 6= N . Se k ∈ K 0 , per il Teorema 3.3.2 esiste un aperto non vuoto
Vk ⊆ N tale che
dim fk−1 (n) = dk =: dim(Mk ) − dim(N )
per ogni n ∈ Vk . Definiamo allora aperti Uk ⊆ N per ogni k ponendo

Vk
se k ∈ K 0

Uk =:

N \ f (Mk ) se k ∈ K 00 .
T
Infine poniamo N 0 =: k Uk . Quindi N 0 ⊆ N è un aperto denso di N e per
ogni n ∈ N abbiamo:
S
1. f −1 (n) ⊆ k∈K 0 Mk ;
S
2. f −1 (n) ∩ k∈K 00 Mk = ∅;
3. dim fk−1 (n) = dk , ∀k ∈ K 0 .
Fissiamo n ∈ N 0 . Abbiamo fk−1 (n) ⊆ f −1 (n) per ogni k e d’altra parte
[
[
fk−1 (n).
f −1 (n) ⊆
Mk ∩ f −1 (n) =
k∈K 0
k∈K 0
Dato che per ipotesi f −1 (n) è irriducibile, f −1 (n) ⊆ fk−1
(n) per qualche
0
−1
0
−1
k0 ∈ K e pertanto f (n) = fk0 (n). Ne discende che d = dk0 .
Infine, dato che fk0 : Mk0 → N è suriettiva perchè k0 ∈ K 0 , dati il
Teorema 3.3.1 e la costruzione di N 0 per ogni n ∈ N la fibra fk−1
(n) ⊆
0
−1
f (n) è non vuota di dimensione ≥ dk0 = d; per la equidimensionalità e
l’irriducibilità delle fibre di f , abbiamo allora fk−1
(n) = f −1 (n) per ogni
0
−1
n ∈ N . Quindi Mk0 ⊇ f (n) per ogni n ∈ N e pertanto Mk0 = M .
C.V.D.
Esempio 3.3.3. Siano T0 , . . . , Tr+1 e X0 , . . . , Xr coordinate omogenee su
Pr+1 e Pr , rispettivamente e definiamo
c =: ([t], [x]) ∈ Pr+1 × Pr : ti xj = tj xi ∀ i, j = 0, . . . , r
M
= Z Tj Xi − Ti Xj : i, j = 0, . . . , r .
Quiindi ([t], [x]) ∈ M se e solo se (t0 , . . . , tr ) e x sono linearmente dipendenti,
ossia se e solo se esistono λ, µ ∈ K tali che t = (λx, µ); chiaramente, λ, µ non
3.3. DIMENSIONE E MAPPE REGOLARI
189
possono essere entrambi nulli, pertanto definiscono un punto [λ : µ] ∈ P1 .
c → Pr . Allora per
Consideriamo il morfismo indotto dalla proiezione, π2 : M
ogni [x] ∈ Pr abbiamo
π2−1 ([x]) = [λx : µ], [x] |[λ : µ] ∈ P1 .
Quindi, π2 è suriettiva e tutte le fibre sono isomorfe a P1 , quindi irriducibili
c è irriducibile. D’altra
di dimensione 1. Ne segue che dim(M ) = r +1 e che M
r+1
c→P
parte, il morfismo π1 : M
è anch’esso suriettivo, ma soddisfa:
n
o
(v, λ) , [v]
π1−1 (v, λ) =
se v 6= 0, mentre
π1−1 [0 : 1] = {[0 : 1]} × Pr
(abbiamo scritto t = (v, λ) ∈ Ar × A1 ).
In particolare, π1 induce un isomorfismo sugli aperti Pr+1 \ {[0 : 1]} e
c \ E, ove E =: {[0 : 1]} × Pr , quindi è un’equivalenza birazionale.
M
c cosı̀ definita si dice lo scoppiamento di Pr+1 nell’origine
La varietà M
r+1
c
0 ∈ Ar+1 . L’immagine inversa M =: π1−1 Ar+1
r+1 ⊆ M è lo scoppiamento di
∼ r+1 considerato sopra per r = 1.
Ar+1
r+1 = A
Esercizio 3.3.2. Lo scoppiamento testè introdotto fornisce un primo esempio di risoluzione delle simgolarità di una mappa razionale. Precisamente,
sia
f : Ar+1 − − > Pr , t 7→ [t],
una mappa razionale con luogo singolare l’origine. Allora f si ‘solleva’ alla
mappa regolare fe = π2 : M → Pr (precisare e dimostrare).
Esercizio 3.3.3. Sia R ⊆ Ar+1 un chiuso affine irriducibile passante per
e ove R
e è irriducibile
l’origine e sia R0 = π1−1 (R). Dimostrare che R0 = E ∪ R,
e lo scoppiamento di R in 0.
è birazionale a R. Chiameremo R
Esempio 3.3.4. Siano A, B ⊆ Pr chiusi proiettivi irriducibili disgiunti e sia
J(A, B) ⊆ Pr l’unione delle rette proiettive congiungenti qualche punto di A
a qualche punto di B:
[ [
J(A, B) =:
`a,b .
a∈A b∈B
r
Allora J(A, B) ⊆ P è un chiuso proiettivo irriducibile.
In effetti, si consideri il luogo Z(A, B) ⊆ Pr × Pr × Pr definito come segue:
Z(A, B) =: (a, x, b) : a ∈ A, b ∈ B x ∈ `a,b
=
[v], [u], [w] ∈ Pr × Pr × Pr :
F (v) = 0 ∀ F ∈ Ih (A), G(w) = 0 ∀ G ∈ Ih (B), v ∧ w ∧ u = 0 .
190
CAPITOLO 3. DIMENSIONE
Essendo il luogo nullo di una collezione di polinomi pluriomogenei, Z(A, B) è
un chiuso di Pr × Pr × Pr . Se π2 : Z(A, B) → Pr è la proiezione
sulla seconda
componente, allora chiaramente J(A, B) = π2 Z(A, B) , il che dimostra che
J(A, B) è un chiuso proiettivo di Pr ; inoltre, J(A, B) è irriducibile se tale è
Z(A, B).
Ora la proiezione
π1,3 =: (π1 , π3 ) : Z → Pr × Pr
soddisfa π1,3 Z(A, B) = A × B, quindi induce per restrizione del codominio
un morfismo suriettivo p : Z(A, B) → A × B. Inoltre, per ogni (a, b) ∈ A × B
si ha
p−1 (a, b) = {a} × `a,b × {b} ∼
= P1 .
Pertanto, le fibre di p sono tutte irriducibili e della stessa dimensione. Dato
che A × B è irriducibile, ne discende che tale è Z(A, B) e quindi anche
J(A, B).
Il chiuso proiettivo J(A, B) si dice la giunzione di A e B.