“LA FEDE È AMICA DELL’INTELLIGENZA” Il teologo Ruiz Aldaz parla del rapporto tra fede e ragione L’incontro tra Cristianesimo ed ellenismo è stato provvidenziale. Lo sottolinea il teologo Ruiz Aldaz in questa intervista rilasciata a ZENIT, nella quale affronta il rapporto tra fede e ragione basato sulla comune ricerca della verità. Il professor Ruiz Aldaz, che ha approfondito questo tema nel suo libro El concepto de Dios en la teología del siglo II. Reflexiones de J. Ratzinger, W. Pannenberg y otros, ricorda che il Papa, nella sua conferenza di Ratisbona, ha sottolineato proprio la “coincidenza di fondo tra la rivelazione biblica e la filosofia greca”. Ruiz Aldaz (Pamplona, 1969) è sacerdote della diocesi di Pamplona-Tudela e professore di Teologia presso l’Università di Navarra. Tra i suoi studi figurano soprattutto la riflessione sulla Trinità e la teologia di San Gregorio di Nazianzo. A Ratisbona il Papa ha accennato all’incontro tra Cristianesimo e filosofia greca. Lei, nel suo libro, afferma che l’incontro del Cristianesimo con l’ellenismo è stato provvidenziale. Perché? Ruiz Aldaz: Uno dei punti di attenzione costante del magistero di Benedetto XVI è la stretta relazione che esiste tra fede e ragione. Usando le sue stesse parole: la fede è “amica dell’intelligenza”. Nella sua lezione di Ratisbona, del settembre scorso, egli sottolineava proprio la coincidenza di fondo tra la rivelazione biblica e la filosofia greca: ciò che non è conforme alla ragione è contrario alla natura di Dio. Aristotele inizia la sua grande opera di metafisica affermando che tutti gli uomini desiderano sapere. L’aspirazione alla conoscenza della verità sul divino, sull’uomo e sul mondo appartiene all’essenza stessa dello spirito umano. I filosofi dell’antica Grecia ebbero il merito di aver una scienza diretta alla conoscenza della verità, attraverso l’esercizio della capacità intellettiva dell’uomo. La grande questione che l’intelligenza umana si pone, è proprio la questione della verità. La fede cristiana è un messaggio vero e ci interessa in quanto essa è verità. Se si limitasse ad essere un bel racconto sarebbe una bella opera di letteratura, ma non arriverebbe a soddisfare l’aspirazione più profonda dello spirito umano: incontrare il Dio vivo e vero. Per questo, la fede ha bisogno della ragione: per mostrare il grado di serietà del suo legame con la verità e per approfondirne la conoscenza. Fede e filosofia si incontrano perché entrambe cercano la verità. In questo senso si può affermare che l’incontro tra la fede cristiana e la filosofia greca è stato provvidenziale. In questo senso, il Cristianesimo non deve essere “deellenizzato” ed è bene che conservi il suo influsso greco? Ruiz Aldaz: Le conseguenze del programma di “deellenizzare” il Cristianesimo sono evidenti nella storia della teologia. Quando Benedetto XVI usa il termine “deellenizzare”, intende dire: strappare al Cristianesimo la sua dimensione razionale. Questo ha molte conseguenze: significa privare il Cristianesimo della sua intrinseca relazione con la verità, impedire un autentico dialogo della fede con gli altri saperi, ridurlo ad un puro fenomeno soggettivo e negargli la legittimità ad entrare nei grandi dibattiti filosofici ed etici del mondo contemporaneo. Qual è l’apporto dei teologi W. Pannenberg, L. Scheffczyk e J. Ratzinger al dibattito sul concetto di Dio dei primi teologi? Ruiz Aldaz: Tra il 1959 e il 1999 si è sviluppato un interessante dibattito circa il modo in cui i primi teologi impiegarono alcuni concetti della filosofia greca per approfondire il concetto cristiano di Dio e per proporlo al mondo greco-romano. I teologi del secolo II partivano dalla convinzione di aver conosciuto in Gesù Cristo la rivelazione suprema di Dio. Il loro lavoro consistette nel selezionare quei concetti della filosofia greca che potevano essere più appropriati ad esprimere il mistero del Dio cristiano e definirli in modo tale da non deformarlo. In questo dibattito hanno partecipato numerosi teologi di diverse confessioni cristiane. I più importanti sono in effetti Pannenberg, Scheffczyk e Ratzinger. Mentre Pannenberg, teologo evangelico, dà un apporto piuttosto critico a questo lavoro, Ratzinger difende la lucidità dei primi teologi che considerarono la filosofia come interlocutore privilegiato. Scheffczyk, infine, corrobora l’idea che, nel loro sforzo intellettuale, questi teologi individuarono con cura quali concetti filosofici fossero maggiormente idonei ad esprimere il contenuto della fede. Dio come “essere personale” supera le aspettative della filosofia greca. Cosa diceva il teologo Ratzinger in merito? Ruiz Aldaz: Ratzinger sostiene che alla base del politeismo vi è l’idea che, al di sopra delle diverse divinità, esista una legge universale e impersonale che governa l’intera realtà, compreso gli dei dell’Olimpo. Questo è lo spirito che pervade il mondo culturale greco-romano: la divinità più alta non è un essere con il quale l’uomo possa comunicare. Per i greci non può esistere una relazione personale con la divinità assoluta. È quindi una verità senza religione. Uno dei contributi decisivi della rivelazione cristiana è stato quello di affermare che l’unico vero Dio è quello che ha creato tutto con la sua intelligenza e con il suo amore. In linea con questo dato fondamentale e con la fede nell’Incarnazione, i primi teologi affermarono che Dio è un essere con cui l’uomo può comunicare. È un essere personale che instaura con l’essere umano una relazione personale di conoscenza e di amore. In questo senso, la verità e la religione hanno tra loro un’armonia perfetta. Fonte: http://www.zenit.org