Laboratorio di Biotecnologie applicate alle Scienze Mediche
IBIM-CNR Palermo
Responsabile Dott. Giovanni Duro
Anderson-Fabry: malattia rara?
Paolo Colomba, Carmela Zizzo, Giuseppe Albeggiani, Giuseppe Cammarata, Simone Scalia,
Caterina Bartolotta, Marcello Filogamo, Daniele Francofonte, Emanuela Marsana,
Francesco Iemolo, Vincenzo Savica, Riccardo Alessandro
Giovanni Duro
Istituto di Biomedicina e Immunologia Molecolare “A. Monroy”
Consiglio Nazionale delle Ricerche – Via Ugo La Malfa, 153 - Palermo
Introduzione
La malattia di Anderson-Fabry (o Fabry) è una patologia da accumulo lisosomiale,
ereditaria, progressiva e multisistemica, caratterizzata da manifestazioni cliniche e decorso
variabili che possono portare alla morte del paziente entro la quinta decade di vita, se non
tempestivamente diagnosticata. Si tratta di un disordine metabolico dovuto al deficit
funzionale dell’enzima α-galattosidasi A (α-GAL A)[1]. Tale deficit determina un’alterazione
del metabolismo di alcuni glicosfingolipidi, prevalentemente il globotriaosilceramide (Gb3),
che di conseguenza si accumula nei lisosomi di numerosi tipi cellulari, soprattutto delle
cellule dell’endotelio vascolare[2]. Dal punto di vista eziologico, la Fabry è una enzimopatia
lisosomiale X-linked determinata da mutazioni nel gene GLA, che codifica per l’α-GAL A,
localizzato nel braccio lungo del cromosoma X in regione q21-22 [3]. Ad oggi sono state
descritte più di 1000 mutazioni nelle regioni codificanti di GLA, in pazienti Fabry.
Il sospetto di Fabry viene avanzato in base ai dati clinici, a quelli anamnestico-familiari ed
infine confermato attraverso analisi genetiche e biochimiche quali l’individuazione
dell’alterazione genica specifica e il dosaggio dell’attività dell’α-galattosidasi A, che può
essere nulla o deficitaria. Anche la determinazione dei substrati dell’enzima (Gb3 e LysoGb3), accumulati nei lisosomi delle cellule di diversi organi e tessuti, potrebbe fornire un
supporto diagnostico.
Il quadro clinico della malattia si manifesta generalmente nell’infanzia o nella prima
adolescenza con:
- angiocheratomi, espressi principalmente nelle aree della “mutandina” o, addirittura, come
angiocheratoma corporis diffusum e la presenza di un linfedema soprattutto degli arti
inferiori;
- l’occhio come in molte malattie neuro-metaboliche è interessato con espressioni che vanno
dalla cornea verticillata, alla cataratta, alle teleangectasie della congiuntiva;
- microalbuminuria o proteinuria;
- sintomi che riflettono il coinvolgimento del sistema nervoso periferico, come crisi
episodiche di dolore acuto, acroparestesie, anidrosi o ipoidrosi.
In particolare, il coinvolgimento del sistema nervoso autonomo è responsabile
dell’alterazione della sudorazione che, diviene elemento critico in situazioni come la febbre e
lo sforzo fisico, momenti in cui, per il disordine della termoregolazione, si possono avere
delle tipiche crisi di dolore. Anche le manifestazioni dolorose gastrointestinali, associate a
diarrea alternata a senso di pienezza addominale, trovano spiegazione nel coinvolgimento
del sistema vegetativo locale.
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TEL: (+39) 0916809507– FAX: (+39) 0916809603 – e-mail: [email protected] – Sito web: http://www.ibim.cnr.it/index.php/giovanni-duro
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La progressione della malattia è caratterizzata dal graduale peggioramento della funzione
renale, fino all'insufficienza renale terminale, e dallo sviluppo di gravi complicanze
cardiovascolari e neurologiche su base cerebrovascolare. L’accumulo di glicosfingolipidi nelle
cellule renali ne compromette la funzione, portando ad una nefropatia progressiva che è una
delle caratteristiche della malattia. Il cuore nei soggetti affetti presenta un’ipertrofia
ventricolare sinistra, apparentemente idiopatica, una diretta compromissione dell’apparato
valvolare e di conduzione intracardiaca con complicanze che vanno dall’insufficienza
cardiaca alla patologia aritmica sino alla morte per infarto del miocardio. Il sistema
endocrino è stato esplorato in tutti i suoi aspetti e frequentemente presenta deficit legati
alle caratteristiche di elevata vascolarizzazione ed al basso turnover cellulare proprie del
tessuto endocrino. Oltre che la compromissione del sistema nervoso periferico, il paziente
con malattia di Fabry, presenta un coinvolgimento diretto dell’encefalo con stroke ischemici
giovanili e possibili episodi emorragici. Ulteriori studi condotti anche con l’ausilio di tecniche
di risonanza magnetica non convenzionale dimostrerebbero nella malattia un danno
neurologico per un coinvolgimento diretto del metabolismo intrinseco della cellula nervosa.
Negli ultimi anni sono state descritte varianti atipiche caratterizzate da un fenotipo clinico
lieve, ad esordio tardivo, talvolta di difficile inquadramento clinico per il frequente
coinvolgimento di un solo organo. Queste varianti, cardiache e renali, rappresentano circa il
70% dei pazienti Fabry.
Gli individui di sesso femminile, generalmente eterozigoti, presentano di solito una
sintomatologia più sfumata e variabile.
L’incidenza della malattia di Fabry è stimata intorno a 1:40.000 nella popolazione generale,
sebbene diverse iniziative di screening neonatale abbiano riscontrato una prevalenza
inaspettata, fino a 1 su circa 3.100 neonati in Italia e 1 su 1.500 nei neonati in Taiwan[4,5].
Si tratta di una patologia sistemica lentamente progressiva che, per le sue caratteristiche,
risulta difficile da diagnosticare: studi retrospettivi hanno rilevato un ritardo considerevole
nella diagnosi in circa il 40% dei pazienti maschi e nel 70% delle femmine [6]. In particolare,
dall’insorgenza dei primi sintomi alla corretta diagnosi trascorrono, mediamente, 13 anni per
gli uomini e 17 per le donne [7].
La disponibilità di una terapia enzimatica sostitutiva ricombinante, specifica per la malattia di
Fabry, ha avuto un importante impatto sulla gestione clinica dei pazienti affetti,
modificandone la prognosi e la qualità di vita. I dati disponibili in letteratura concordano
sull’importanza di un intervento terapeutico specifico il più precoce possibile, prima che il
coinvolgimento d’organo diventi irreversibile.
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Studio delle alterazioni enzimatiche e genetiche nella malattia di
Fabry presso l’IBIM-CNR
Dal 2005 presso il Laboratorio di Biotecnologie Applicate alle Scienze Mediche,
dell’Istituto di Biomedicina e Immunologia Molecolare (IBIM) del CNR di Palermo, il nostro
gruppo di ricerca si dedica allo studio delle alterazioni enzimatiche e genetiche nella malattia
di Fabry. In questi anni abbiamo eseguito le analisi su circa 7000 soggetti con segni e sintomi
riconducibili alla malattia e oltre 2000 controlli. I campioni giunti alla nostra attenzione
sono pervenuti da diverse specializzazioni cliniche, distribuite sull’intero territorio nazionale.
Abbiamo riscontrato la presenza di mutazioni nelle regioni codificanti del gene GLA in 152
dei soggetti analizzati. La maggior parte di tali mutazioni sono riportate nelle banche dati
come responsabili della Fabry, mentre altre sono state descritte per la prima volta da noi e
integrando i dati genetici con quelli biochimici e clinici, sono state associate alla malattia
[8,9,10]
.
È importante sottolineare che soltanto per una piccola percentuale dei pazienti affetti, in
cui l’indagine genetica ha confermato la malattia, era stata formulata tempestivamente
l’ipotesi diagnostica di Fabry, mentre la maggior parte di essi aveva, in precedenza,
ricevuto altre diagnosi e pertanto si trattava di casi misconosciuti/misdiagnosticati. Questo
dato confermerebbe le considerazioni di Hoffmann e Mayatepek, secondo cui la malattia di
Fabry è un disordine spesso visto ma raramente diagnosticato [7]. Vari studi osservazionali,
riportati in letteratura, hanno messo in evidenza che spesso i pazienti vengono diagnosticati
come affetti da patologia d’organo, o da un’altra patologia sistemica più comune, prima che
la malattia di Fabry sia riconosciuta [6]. Infatti spesso, a causa della organo-specificità con cui
può manifestarsi la Fabry, il clinico tende a curare il danno d’organo piuttosto che indagare
su altri segni e sintomi tipici, ma a volte più sfumati.
Mutazioni da noi riscontrate
Le mutazioni esoniche, da noi identificate,
possono essere catalogate in tre diversi
gruppi: associate al fenotipo classico, a
varianti
atipiche,
dubbie.
È
molto
interessante notare che il 50% di tali pazienti
presenta mutazioni che sono riconducibili al
fenotipo classico, mentre soltanto nel 19% di
essi sono state riscontrate alterazioni
genetiche responsabili delle forme atipiche.
Questa osservazione, ricondotta al dato
secondo cui il rapporto tra le forme classica e
atipica è rispettivamente di 3:7, risulta
inaspettata e potrebbe indicare che un
numero elevato di pazienti con fenotipo
clinico lieve ed esordio tardivo, difficile da
identificare, sfugge ancora alla diagnosi.
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Cliniche di provenienza
Suddividendo i 152 pazienti secondo le specializzazioni cliniche di provenienza, emerge che:
47 di essi sono giunti alla nostra attenzione in seguito a manifestazioni cardiache, 37
neurologiche, 34 renali, 19 da pediatria, 2 da dermatologia e tre da altre cliniche.
Il dato interessante, in questo caso,
riguarda il raffronto rispetto al numero
di campioni pervenuti dalle varie
specializzazioni: il 45.5% dei campioni
dai reparti di neurologia, il 9.6% da
nefrologia, l’8.3% da cardiologia. La
distribuzione osservata evidenzia che
una elevata percentuale di pazienti
con sintomi renali e cardiaci che
abbiamo analizzato presentava la
malattia di Fabry, a fronte di relativamente pochi campioni arrivati da queste due cliniche.
I disturbi renali sono tra le principali manifestazioni cliniche della Fabry che, come la maggior
parte dei sintomi tipici della malattia, peggiorano con l’età. Uno studio giapponese ha
identificato la malattia di Fabry nell’1.2% dei pazienti maschi con insufficienza renale
terminale, che avevano precedentemente ricevuto diagnosi di glomerulonefrite cronica [11].
La maggior parte di questi pazienti (83%) non presentava manifestazioni cliniche classiche
che avrebbero agevolato la diagnosi di Malattia di Fabry, suggerendo che essa potrebbe
essere sottodiagnosticata tra i pazienti sottoposti a dialisi renale e/o trapianto. In uno studio
europeo, la prevalenza della malattia di Fabry tra gli individui maschi dializzati è risultata
essere dello 0.264% [12]. Il coinvolgimento cardiaco, tra cui ipertrofia ventricolare sinistra,
aritmia, angina e dispnea, sono stati riscontrati in circa il 40-60% dei pazienti con malattia di
Fabry [13]. Inoltre, studi di casi non selezionati di maschi adulti con ipertrofia ventricolare
sinistra hanno mostrato nel 3-4% dei soggetti la presenza di Fabry misconosciuta[14]. Tra i
pazienti che avevano ricevuto precedentemente diagnosi di cardiomiopatia ipertrofica la
percentuale è dello 0.5% [15].
Pertanto, per le peculiarità della malattia di Fabry, ci aspetteremmo di ricevere il maggior
numero di campioni provenienti dai reparti di nefrologia e cardiologia, seguiti poi da
neurologia. Invece, nella realtà, come sottolineato in precedenza, arrivano pochi campioni
di pazienti con sintomi renali e cardiaci. Questo indica che, probabilmente, le relative
cliniche non sono state sufficientemente coinvolte e/o non hanno ancora la giusta
percezione della malattia. Quindi, al fine di ridurre il numero di casi misconosciuti, sarebbe
necessario sensibilizzare soprattutto i nefrologi e i cardiologi a prendere in considerazione la
Fabry fra le ipotesi diagnostiche nei pazienti con manifestazioni riconducibili alla malattia.
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Misdiagnosi, alcuni esempi
Per quanto riguarda la possibilità che pazienti Fabry ricevano una errata diagnosi, a causa
dell’espressione clinica della malattia che può essere facilmente confusa con altre patologie
sistemiche, abbiamo condotto uno studio su pazienti i cui sintomi e le origini geografiche
avevano portato alla diagnosi clinica di Febbre Mediterranea Familiare (FMF), un disordine
reumatico con alcune manifestazioni sovrapponibili a quelle della Fabry. Su 42 soggetti
analizzati, il 7.2% aveva mutazioni nel gene GLA associate alla malattia di Fabry [16,17].
Questi risultati confermano che l’errore diagnostico è un rischio concreto e determina una
sottostima del reale numero di soggetti affetti. Studi su altre patologie con possibili casi di
Fabry misconosciuta/misdiagnosticata, sono attualmente in corso nei nostri laboratori.
Un recente studio effettuato su 187 pazienti con diagnosi di Sclerosi Multipla ha mostrato
che 11 pazienti (1 maschio e 10 femmine) (5,9%) in realtà erano affetti da malattia di Fabry
[18]
. In tali pazienti la diagnosi di FD è stata fatta in media circa 8 anni dopo quella di SM e
circa 13 anni dopo la comparsa dei primi sintomi. La sintomatologia comprende
acroparestesie e problemi neurologici vari (solo 7 pazienti mostravano, però, episodi classici
con dolore neuropatico – neuropatia delle piccole fibre). Nessun paziente mostra eventi
cerebrovascolari, stroke ed emorragia intracerebrale. Sette pazienti hanno la tipica
manifestazione cardiaca di FD, ovvero l’ipertrofia ventricolare sinistra; 8 pazienti mostrano il
classico coinvolgimento renale con proteinuria. Tutti i pazienti mostrano alla risonanza
magnetica lesioni della materia bianca, che ad una attenta analisi risulta: subcorticale con
lesioni diffuse in 4 casi, periventricolare confluente in 3 casi, sia periventricolare che
subcorticale in altri 3 pazienti, con un coinvolgimento severo e asimmetrico delle regioni
corticale, subcorticale e dei gangli della base in un paziente. Caratteristica comune in molti
dei pazienti Fabry “misdiagnosticati” è la presenza di sintomi cerebellari o del cervello quali
atassia, alterazioni dei movimenti, visione doppia, vertigini. Tali sintomi sono considerati
come attacchi ischemici transitori, tipici di FD, nonostante l’assenza di infarti cerebrali o
lesioni della materia bianca nel tronco encefalico o nel cervelletto. La diagnosi di SM in
pazienti Fabry è supportata dalla risonanza magnetica; ad ogni modo, c’è una differenza nel
pattern delle lesioni tra SM e FD, in particolare l’assenza di lesioni del corpo calloso,
caratteristica tipica di SM. Il 77% delle pazienti Fabry mostra eventi di tipo cerebrale prima
di qualsiasi altra manifestazione clinica e il 67% delle pazienti Fabry al di sotto dei 30 anni ha
sintomi cerebrali come UNICA manifestazione clinica.
Altri studi hanno dimostrato che in un’elevata percentuale di soggetti Fabry misdiagnosticati
la prima diagnosi formulata è quella di SM: nel lavoro di Lidove et al 2012[6], addirittura il
22% dei soggetti da loro studiati rientra in questa categoria.
Mutazioni introniche
Grazie all’approccio sperimentale utilizzato, lo studio genetico di GLA non è stato limitato
alle regioni codificanti, ma esteso alle regioni introniche loro fiancheggianti, in cui si trovano
i siti di regolazione dell’espressione genica. I risultati ottenuti hanno mostrato che il 28% dei
soggetti con sintomi clinici riconducibili alla malattia di Fabry presentavano esclusivamente
alterazioni nelle sequenze non codificanti del gene. Il coinvolgimento di tali alterazioni
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geniche nelle manifestazioni cliniche di questi soggetti non è ad oggi chiaro. In alcuni casi
l’accumulo di glicosfingolipidi nelle cellule renali riscontrato mediante biopsia ha condotto il
clinico a considerare la diagnosi di malattia di Fabry [19].
Malattia X linked - Fenomeno della Lyonizzazione nella malattia di Fabry
Gli individui di sesso femminile, di solito eterozigoti, i cui organi sono chimere di cellule
normali e malate a causa dell’inattivazione random del cromosoma X, hanno generalmente
sintomi meno evidenti e quindi di più difficile individuazione. Fino a qualche anno fa le
donne venivano considerate portatrici, questo concetto è stato rivisto ed oggi è noto che
anche la donna può presentare manifestazioni gravi della malattia. Dal momento che anche
le donne eterozigoti possono sviluppare un danno d'organo vitale, irreversibile, un attento
follow-up clinico deve essere effettuato a prescindere dai loro valori di attività enzimatica.
Attività enzimatica
Dal punto di vista dell’analisi enzimatica il Dried Blood Filter Paper (DBFP) test, un metodo
comunemente usato per la determinazione dell’attività dell’α-galattosidasi A nel sangue, nel
nostro laboratorio è stato ulteriormente migliorato ed ottimizzato, trovando con puntuale
regolarità piena corrispondenza tra attività enzimatica, genetica e clinica. I nostri dati
mostrano che nella totalità dei soggetti maschi studiati che presentano mutazioni nel gene
GLA, associate alla malattia di Fabry, l’attività dell’α-galattosidasi A è inferiore ai valori
normali, confermando la validità del metodo. La stessa corrispondenza non si osserva nelle
pazienti di sesso femminile dove, a causa del fenomeno della inattivazione casuale di uno dei
due cromosomi X, nelle diverse cellule dell’organismo, l’attività enzimatica è estremamente
variabile e oscilla tra valori normali e patologici [20]. Pertanto nelle donne l’analisi genetica
costituisce l’unico mezzo per confermare la diagnosi clinica di malattia di Fabry.
Conclusioni
La malattia di Fabry è una patologia lisosomiale in cui il metabolismo glicosfingolipidico è
fortemente compromesso. Il deficit dell’α-galattosidasi A conduce al progressivo accumulo
principalmente di globotriasilceramide nelle cellule parenchimali di diversi organi e nelle
cellule endoteliali. E’ una patologia considerata rara ma in realtà, come risulta dalla recente
letteratura, sarebbe più giusto considerarla un disordine non comune, poco conosciuto. La
diagnosi risulta ad oggi ancora difficile proprio per le peculiarità della malattia, che si
presenta con manifestazioni cliniche sovrapponibili a quelle di altre patologie ed un’ampia
possibilità di diagnosi differenziali che coinvolgono diverse specializzazioni mediche[21].
Soprattutto i soggetti affetti dalle forme atipiche risultano più difficili da diagnosticare
rispetto a quelli che manifestano un fenotipo classico.
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Nel complesso, sulla base della nostra esperienza, i pazienti che presentano manifestazioni
cliniche riferibili alla malattia di Fabry possono essere raggruppati in 4 categorie:
• soggetti con la forma classica della malattia e mutazioni negli esoni del gene che
codifica l’α-galattosidasi A;
• soggetti con varianti atipiche della malattia (forma lieve ed esordio tardivo) e
mutazioni negli esoni del gene (diverse da quelle responsabili della forma classica)
che codifica l’α-galattosidasi A;
• soggetti con sintomi riconducibili alla malattia di Fabry con mutazioni negli introni del
gene che codifica l’α-galattosidasi A (prevalentemente in regioni coinvolte nella
regolazione dello splicing);
• soggetti con sintomi riconducibili alla malattia di Fabry e privi di mutazioni negli esoni
e negli introni del gene che codifica l’α-galattosidasi A.
Nei primi due gruppi, la dimostrazione della presenza di una mutazione nelle regioni
codificanti del gene GLA è sufficiente a dare una conferma della diagnosi clinica avanzata
dal medico. In questi casi l’analisi genetica è uno strumento utile a fornire al clinico la
conferma diagnostica.
Invece, nei soggetti che presentano i sintomi della Fabry ma sono privi di alterazioni
genetiche nelle regioni codificanti di GLA - circa il 98% dei soggetti che giungono alla nostra
attenzione - si rende necessario l’utilizzo di strumenti diagnostici innovativi. La scoperta di
nuovi marcatori diagnostici è di fondamentale importanza sia per aiutare nella
determinazione della diagnosi di Fabry, sia per migliorare le conoscenze cliniche e molecolari
in merito alla patogenesi della malattia.
La malattia di Fabry dovrebbe essere sempre presa in considerazione quando giungono
all’osservazione pazienti con decorsi clinici atipici, diagnosi incerte, o quadri clinici non chiari,
soprattutto in presenza di crisi dolorose non giustificate, parestesie, intolleranza al freddo o
al caldo, ipoidrosi, angiocheratomi, crampi addominali e cornea verticillata. In soggetti adulti
in cui vengono rilevati ictus criptogenetico, cardiomiopatia ipertrofica o danno renale
manifestato con proteinuria può essere sospettata la forma classica o possibili varianti
atipiche della malattia. Anche lo studio della storia clinica familiare può indirizzare il clinico,
tenendo conto della trasmissione della patologia legata al cromosoma X.
Diversi algoritmi diagnostici sono stati elaborati per guidare i clinici verso la diagnosi di
malattia di Fabry e nei soggetti in cui viene avanzata l’ipotesi diagnostica la conferma può
venire dalle analisi genetiche e biochimiche. Anche la determinazione dell’accumulo di Gb3 e
Lyso-Gb3 può aiutare a confermare o escludere la presenza della Fabry.
Una diagnosi precisa e tempestiva è essenziale per avviare precocemente i pazienti alla
terapia enzimatica sostitutiva, che è in grado di rallentare o arrestare la progressione della
malattia, migliorandone così la qualità della vita.
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Consiglio Nazionale delle Ricerche - Istituto di Biomedicina ed Immunologia Molecolare “Alberto Monroy”
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Laboratorio di Biotecnologie applicate alle Scienze Mediche
IBIM-CNR Palermo
Responsabile Dott. Giovanni Duro
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