António de Oliveira Salazar: l’Estado Novo António de Oliveira Salazar: l’Estado Novodi Davide Quaresima del 27/11/2016 “Tutta la mia esperienza, da quando sono al governo, mi ha mostrato che il potere temporale non è in grado di compiere la sua missione senza il sostegno del potere spirituale. Questo è – per altro – l’insegnamento della storia”. Da questa breve frase possiamo apprendere molto dalla concezione politica di António de Oliveira Salazar. Questi nacque da una famiglia di agricoltori a Santa Comba Dão il 28 aprile 1889. La difficile situazione economica in cui crebbe non gli impedì di compiere gli studi e di laurearsi in giurisprudenza nel 1914. Specializzatosi in economia politica quattro anni dopo, diventerà un rinomato professore presso l’Università di Coimbra. Attuando una breve analisi della nazione iberica, in Portogallo nel 1910 la forma istituzionale – presente nel paese – era la Repubblica, ma di fatto il vero potere si trovava nelle mani dell’esercito. Di lì ad un quindicennio si succedettero ben 45 governi, quasi tutti guidati da militari, e addirittura due capi di governo furono uccisi. I medesimi problemi si potevano riscontrare anche in campo religioso e sociale. Da tempo era in atto uno scontro tra clericali e anticlericali, e continui erano i conflitti tra le diverse anime del mondo sindacale. Salazar, da sempre interessato alla politica, si candiderà alle elezioni del 1921: inaspettatamente il verdetto del popolo lo vedrà vincitore con la “Gioventù Cattolica Portoghese”, ma rinuncia al mandato poco tempo dopo. La sua scelta, molto probabilmente, fu dettata dalla difficile situazione istituzionale del paese. Nel paese portoghese nel 1919, sussisteva la teoria della “vittoria mutilata” – proprio come in Italia – rafforzata da una esaltazione del sacrificio per la patria, che sopravvisse nei monumenti e nella Lega dei combattenti della Grande guerra. La popolazione, appoggiata dalla politica, si costruì l’idea del miracolo religioso, come le apparizioni di Fatima, le quali rappresentavano il bene assoluto. Dunque l’aumento della forza religiosa e la crescita di influenza della chiesa, andarono a rafforzare i movimenti di destra. Possiamo ben comprendere come fosse difficile gestire uno Stato in simili condizioni. Dal 1926 le cose cambiano: il potere passa nelle mani del generale Carmona che con la sua dittatura pose fine allo Stato repubblicano. A Salazar venne offerto il ministero delle Finanze; si dovranno aspettare ancora quattro anni per vederlo leader del paese. Salazar (il secondo partendo dalla destra) in uno scatto fotografico del 1940 all’esposizione internazionale in Portogallo in compagnia del generale António Óscar Carmona. Una piccola precisazione: Salazar non fu mai capo dello Stato, difatti il presidente del Portogallo rimase Carmona fino alla sua morte, avvenuta nel 1951. A succedergli saranno poi Francisco Craveiro Lopes e Américo Thomaz. Di fatto però le chiavi del paese vennero affidate a Salazar in qualità di Presidente del Consiglio, ma riuscì a cumulare temporaneamente le due cariche solo per tre mesi e tre giorni, in attesa del successore di Carmona. La grande conoscenza della materia e la scelta di manovre decisamente austere (impose infatti un rigido controllo della spesa pubblica) porteranno il bilancio del Portogallo in attivo, un risultato epocale ed impensabile al tempo. Inoltre, introdusse organismi di finanziamento come la “Caixa Nacional de Crédito” e la “Caixa Nacional de Depositos” per un sostegno finanziario al mondo agricolo, investì inoltre il denaro pubblico per la costruzione di nuove infrastrutture come ponti, strade e reti per le telecomunicazioni. Prima di parlare di quella che fu a tutti gli effetti la più lunga dittatura del novecento (rimase per ben 35 anni al potere, dal 1932 al 1968) occorre delineare i tratti caratteristici di questo dittatore – molto spesso dimenticato – il quale seppe ritagliare per se e per il suo paese, un ruolo di primo piano nello scacchiere globale a cavallo degli anni della Seconda Guerra Mondiale. L’aspetto più interessante, che colpisce, è il suo carattere, legato all’enorme carisma. Tutti coloro che lo conobbero ne parlarono come di un uomo tenace e di grande tempra, un esempio di integrità morale. Molto probabilmente fu grazie a queste caratteristiche, unite alle sue grandi conoscenze in settori chiave come l’economia e la politica a farlo divenire Presidente del Consiglio. Solitario, distaccato ed eclettico sono alcuni degli termini più utilizzati per tratteggiare quello che divenne un eroe del popolo portoghese (verrà amato fino gli anni ’50-’60, quando in Portogallo si inizieranno a risentire i primi effetti negativi della sua politica), in grado di ingraziarsi militari, agrari, esponenti del mondo cattolico fino a divenire con il suo stato, membro della NATO nel 1949 (unica dittatura presente al suo interno). Amante dell’ordine e contrario al “potere della folla”, riprese il concetto mussoliniano del “Tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato, nulla contro lo Stato” trasformandolo in “tutto per la nazione, nulla contro la nazione“. Voleva rendere reale la visione corporativa della società che aveva in mente. Prese molti spunti dallo Stato Fascista italiano (pur discostandosene pubblicamente) e molte idee dalla Chiesa Cattolica di cui ammirava l’aspetto moralizzante. “Dio, Patria e Famiglia” saranno i capisaldi del pensiero salazarista. António Oliveira Salazar formatosi in un partito cattolico – al contrario di Mussolini – non aveva una formazione “rivoluzionaria”. Tuttavia, la sua ammirazione per il Duce fu grande almeno fino al 1938, motivata dalla comune avversione per democrazia liberale e comunismo, nonché da comuni obiettivi politico-sociali. Come tutti i nazionalisti, voleva creare un regime “originale”: si collocò al fianco di Mussolini, cercando di attenuare quei tratti della dittatura fascista che giudicava strettamente legati alla realtà italiana. Si potrebbe dire che Salazar volle dar vita a un “Mussolini portoghese” in vesti sacerdotali e dall’aspetto severo di un docente universitario. Sul piano ideologico, attiva una ricerca per una “terza via” – tra la democrazia liberale e il socialismo – comune a vari movimenti politici europei. Cattolici, integralisti monarchici, nazional-sindacalisti, repubblicani nazionalisti all’autoritarismo, e presidenzialisti intellettuali modernisti con (figure tendenze simili a D’Annunzio o Marinetti), formavano un’élite che si rappresentava come una “generazione nuova”, proponeva una cultura differente dalla “cultura borghese”, e aspirava alla creazione di uno “Stato nuovo”. Da qui deriva l’istituzione “dell’Estado Novo“. La Repubblica – per i suoi errori politici – preparò il terreno fertile per la nascita dello “Stato Nuovo”, difatti molti repubblicani, sia liberal-democratici, sia conservatori come Cunha Leal, finirono per opporsi al regime di Salazar. Ma nel frattempo altri autentici repubblicani – sul piano culturale attratti da Bergson, Nietzsche, Wagner, D’Annunzio e da un nazionalismo che trovava espressione in movimenti come la Cruzada Nacional Nun´Álvares manifestarono la loro sintonia con il progetto dell’Estado Novo. Analogamente, anche tra gli anarchici vi fu chi si trasformò in nazional-sindacalista o in repubblicano di destra. Si noti, inoltre, che da un punto di vista costituzionale l’Estado Novo rimase uno stato repubblicano: era infatti una “Repubblica corporativa”, non del tutto difforme da quella liberal-democratica. Tanto che si continuò a celebrare come festa nazionale il 5 ottobre – in ricordo del 5 ottobre 1910, quando venne proclamata la Repubblica portoghese – e non il 28 maggio, sebbene il golpe del 1926 fosse considerato una sorta di “marcia su Roma” del “fascismo alla portoghese”, ossia l’avvio del processo che portò allo “Stato Nuovo”. António de Oliveira Salazar (Santa Comba Dão, 28 aprile 1889 – Lisbona, 27 luglio 1970) è stato un politico ed economista portoghese, dittatore del Portogallo dal 1932 al 1968. La sua venerazione per il mito del Duce d’Italia, Benito Mussolini, era talmente forte da arredare parte del suo studio con una cornice del leader della rivoluzione fascista italiana. L’antropologo rumeno Mircea Eliade definì il salazarismo “una forma cristiana di totalitarismo” – intendendo con ciò, sottolineare che attraverso il cristianesimo veniva proposta una particolare pratica totalitaria. In quell’epoca, il cristianesimo manifestava una tendenza totalitaria, benchè avversa al modello “cesarista”, perché riteneva che l’unica via alla salvezza passasse dalla piena adesione alla propria dottrina. Analogamente, per Salazar la democrazia liberale e il comunismo dovevano essere sconfitti attraverso la “conversione” – concetto centrale nell’ideologia dell’Estado Novo. Beninteso, non si trattava di un “totalitarismo totale” – poiché il totalitarismo perfettamente compiuto rimane sempre una meta irraggiungibile – né di un espediente puramente retorico, ma di una pratica di governo tendenzialmente totalitaria. Per esempio, Salazar permise lo svolgimento delle elezioni con regolare scadenza come stabilito dalla Costituzione, ma tutte furono falsate per impedire il ritorno a un sistema liberal-democratico. Quando per le elezioni presidenziali del 1958 si candidò Humberto Delgado, Salazar modificò immediatamente la legge, facendo passare l’elezione del Presidente della Repubblica attraverso un collegio formato da figure necessariamente aderenti al regime (membri dell’Assemblea nazionale e della Camera corporativa, presidenti delle Camere ecc.). Da tale punto di vista, Marcelo Caetano (suo futuro successore) era più coerente: già nel 1938 affermò che uno Stato corporativo non doveva prevedere elezioni, ma l’adesione incondizionata all’União nacional (Unità nazionale). Si trattò, dunque, di un corporativismo non integrale. In altri termini, il sistema era presentato come un corporativismo nazionale – espressione della comune volontà di lavoratori e datori di lavoro – ma in realtà tutte le istituzioni corporative erano di formazione statale. D’altra parte, Salazar difficilmente avrebbe accettato l’idea di uno Stato nel quale gli organi di potere fossero costituiti davvero in modo corporativo, anche se in prospettiva le assemblee legislative avrebbero dovuto essere sostituite da nuovi organi composti per metà da tecnici. Questa forma ambigua e incompleta di Stato corporativo non soddisfaceva Marcelo Caetano, che aspirava a un corporativismo più compiuto e rapidamente costruito. La sua fu una dittatura a tutti gli effetti; e come ogni totalitarismo che si rispetti aveva la propria polizia segreta, la PIDE (Polícia Internacional e de Defesa do Estado), formata nel 1933, e delle strutture di inquadramento di massa, tra le quali troviamo “l’Estatudo do Trabalho Nacional” e il “Segretariado pela Propaganda Nacional”. Pochissime furono le associazioni riconosciute nel paese e molto dure furono le repressioni perpetrate nei confronti di coloro che si fossero avvicinati ad ideali “distanti” dal regime salazarista (come il comunismo). Venne limitata la libertà di stampa e l’unico partito riconosciuto fu “l’União Nacional”, fondato nel 1931. Una grande afflusso culturale, venne anche dal continente europeo, in particolare la Francia: senza dubbio la tradizione letteraria, filosofica e sociologica francese ebbe grande influenza, poiché se da un lato svolse un ruolo di opposizione alle dottrine razionaliste, dall’altro suscitò un particolare interesse per la produzione filosofica, musicale, giuridica e letteraria tedesca, nonché per quella italiana. Inoltre, l’ordinamento corporativo dell’Estado Novo traeva ispirazione sia dal corporativismo cattolico di Leone XIII, sia dal corporativismo fascista e sia dal “socialismo della cattedra” tedesco. La forma culturale portoghese si plasmò nel contesto europeo, in una logica di scambi e circolazione di idee. Non fu assolutamente una cultura autoctona, esclusivamente riversa su se stessa e sui suoi valori, anche se questi – come da visione nazionalista – fossero affermati con grande impeto. Intanto nella vicina Spagna, scoppia la guerra civile e per il regime portoghese una vittoria dei “rossi” era percepita come una forte minaccia. Così nella guerra civile spagnola (1936-1939), Salazar annunciò la neutralità del suo paese, inviando reparti di volontari – chiamati “viriatos” – i quali si recarono in Spagna a sostegno delle truppe del generale Francisco Franco. Provenienti in parte dalla Legião Portuguesa (LP), Salazar permise il passaggio di materiale bellico a favore dei franchisti (anche se storicamente i documenti che lo comprovano sono andati distrutti o persi). Di sicuro resta anche il fatto che alcuni portoghesi, si arruolarono volontariamente anche a fianco delle truppe repubblicane, nella lotta contro le forze nazionaliste. A destra una foto di gruppo in terra spagnola dei volontari portoghesi “Viriatos”. A destra, tre figurini rappresentanti le divise di questi. La parola d’ordine per il Portogallo nel secondo conflitto mondiale fu: neutralità. A costo di perseguitare fascisti e nazisti sul proprio territorio Salazar non vorrà mai entrare in guerra, professandosi sempre estraneo al conflitto in corso, anzi, sforzandosi di essere un vero e proprio equilibratore tra le potenze in gioco. Si avvicinerà molto alla Gran Bretagna e agli Stati Uniti ancora una volta per sottolineare la sua distanza dalle forze dell’Asse; intraprese relazioni economiche con la Germania alla quale fornì tungsteno, metallo ideale per armamenti e proiettili perforanti; con la Spagna intavolò trattative diplomatiche che sfociarono in un accordo nel quale quest’ultima si impegnava a non entrare in guerra, un grande successo per Salazar poiché evitava di far allargare il conflitto anche alla penisola iberica; ed infine permise agli USA di istallare delle basi nelle Azzorre per controllare l’Atlantico e l’accesso occidentale al Mediterraneo. Salazar fu un politico ed un diplomatico accorto, in grado di ragionare lucidamente in un’Europa impazzita, sapendo sempre scegliere la via meno dolorosa per il suo paese. La vicinanza alla Gran Bretagna e agli Stati Uniti permetteranno al Portogallo nel 1949 di aderire alla Nato e di essere ammesso poi nell’Onu. Il portoghese è stato un innovatore anche nella comunicazione, come lo fu parallelamente Mussolini in Italia. Per tutti i totalitarismi la propaganda rappresenta uno strumento fondamentale. Nel caso del Portogallo salazarista questa funzione-chiave venne affidata ad António Ferro, che diresse il Secretariado de propaganda nacional dal 1933 al 1949 – elemento che sta a significare la “moderna” concezione del potere. Saggia la scelta anche di Ferro, il quale proveniva dalla corrente del modernismo lusitano e poteva vantare conoscenze dirette con Fernando Pessoa e Almada Negreiros, dandogli un forte spessore e rendendolo una figura centrale all’interno del salazarismo. Come per Ferro, un ruolo fondamentale lo giocarono anche i nuovi cineasti, come António Lopes Ribeiro (che andò in Russia, incontrò Eisenstein e realizzò documentari di regime e film di finzione e propaganda) o Leitão de Barros (regista di opere di genere storico e organizzatore di grandi spettacoli popolari). António Ferro, però, fu la vera mente della propaganda, il grande amplificatore dell’ideologia salazarista. Se il ruolo della propaganda in uno Stato totalitario è quello di riprodurre fedelmente l’ideologia ufficiale, attraverso grandi marce e pubbliche acclamazioni, nel caso del Portogallo vennero adottate modalità più discrete che portavano alla collaborazione di “tutti”. Per questo la rivista “Panorama” (organo del Secretariado nacional de informação che alla fine della guerra sostituì il Secretariado de propaganda nacional) arrivò a pubblicare testi di oppositori che raccontavano il paese senza manifestare dissenso verso l’Estado Novo. 1932. Simpatica fotografia che vede immortalati Mendes dos Remedios, Antonio de Oliveira Salazar e Antonio Ferro. Da notare come Salazar abbia una scarpa “bucata”. Lo stesso accadde con le raccolte di poesia o di racconti curate da scrittori che non s’identificavano con il salazarismo, o con le opere architettoniche e artistiche commissionate dal regime. Ritengo insomma che, soprattutto nel periodo in cui fu guidato da Ferro, il Secretariado ebbe poteri molto significativi. Un altro aspetto fondamentale del regime portoghese fu il suo rapporto con le colonie. Storicamente queste ultime ricoprirono sempre un ruolo decisivo per quel piccolo paese ai margini della penisola iberica. Nel XV secolo, a fronte di una oggettiva impossibilità ad espandersi verso il continente il popolo portoghese diventò molto esperto di cose di mare. Alla corte di Enrico “il Navigatore” e dei suoi successori si svilupparono strumenti sofisticati per migliorare la navigazione e alle soglie dell’età moderna venne progettata la caravella, passata alla storia per il viaggio di Cristoforo Colombo. Il legame con il grande impero coloniale portoghese dei secoli XV e XVI era troppo forte per non essere difeso dalla dittatura salazarista. Era necessario mantenere quelle terre per ovvi motivi: per l’acquisto di materie prima sconosciute e molto ricercate in Europa e per garantire allo stesso tempo al Portogallo una valida valvola di sfogo in caso di eccesso di manodopera metropolitana. In Africa ne facevano parte la Guinea-Bissau, il Mozambico, le Isole di capo verde, Sao Tome e Principe e l’Angola; Timor e Goa erano invece in Asia. Salazar decise di tenere sotto controllo quelle terre mediante l’afflusso di popolazione bianca mandata in loco con lo scopo di arginare le sommosse e le rivendicazioni degli anni cinquanta. Per Salazar, queste, saranno sempre dei territori, da sfruttare e sottomettere anche con la forza. Sicuramente qui, il portoghese riprende a piene mani la tradizione dello sfruttamento coloniale europeo. Tutte le colonie dell’impero portoghese con le date della perdita dei territori. Il Portogallo salazarista dava l’immagine dell’Impero, un’espressione usata fino agli anni Cinquanta, quando le “colonie” divennero “province d’oltremare”, avviando un processo che portò nel 1962 alla revoca della “legge sull’indigenato” e al riconoscimento di tutti gli abitanti d’oltremare, bianchi o neri che fossero, come “cittadini portoghesi”. E la difesa di questo impero era il principale compito delle forze armate, in un secolo in cui il Portogallo non avrebbe comunque potuto giocare alcuna politica di potenza “offensiva”. Tale situazione accentuava, più che uno stato di soddisfazione, un diffuso orgoglio imperiale, un sentimento che accompagnerà il “fascismo portoghese” fino al suo capolinea nel 1974. Nonostante un’educazione scolastica fortemente ideologicizzata, pochi conoscevano la Guinea, Capo Verde, S. Tomé e Príncipe, l’Angola, il Mozambico, Timor o Macao (che non era propriamente una colonia), ma la maggioranza aveva una relazione sentimentale con l’Impero o con queste colonie. Perciò, solo tardivamente l’opposizione cominciò a parlare con chiarezza di autodeterminazione, il che avvenne nel 1958 con la candidatura alla Presidenza della Repubblica di Arlindo Vicente, appoggiata dai comunisti (designato come candidato del Fronte democratico nazionale, Vicende poi rinunciò a favore di Delgado, candidato unico dell’opposizione). Questa relazione sentimentale con “l’Oltremare” cominciò a svanire con la guerra coloniale. Fu il contatto con la realtà bellica a depotenziare il mito delle colonie, soprattutto per chi si ritrovò nel 1968-69 in Guinea, il “piccolo Vietnam” portoghese. La guerra contribuì allo sfaldamento del regime e alla formazione del Movimento das Forças Armadas, artefice del golpe del 25 aprile 1974. Proprio il problema coloniale, iniziò a far delineare nel paese gruppi antisalazaristi – alcuni provenienti dalle file repubblicane più conservatrici, altri da quelle anarchiche o comuniste, mentre i cattolici mantennero quasi sempre una posizione filo-governativa – e il lento processo di formazione dell’opposizione, approdò a risultati significativi solo negli anni Sessanta-Settanta, con la disillusione nei confronti di Caetano, con la guerra coloniale e la nascita del movimento militare. Quando l’Onu riconobbe, nel 1961 l’autodeterminazione dei popoli d’Oltremare, immediatamente si accentuarono ancor di più i focolai delle rivolte (anche in patria). Il secolare impero portoghese, iniziò così a sgretolarsi di fronte ad un fenomeno oramai mondiale ed impossibile da arginare. Negli anni ’60 si iniziò a comprendere quale direzione avrebbe preso il paese. Una dialettica più aperta e democratica all’interno della politica fece perdere molti consensi al partito salazarista e studenti, insegnati, operai e liberi professionisti si sentirono sempre più lontani da quegli ideali così opprimenti e asfissianti che avevano soggiogato il paese per così tanto tempo. Nel 1968 Salazar venne colpito da un infarto invalidante a seguito di un incidente domestico e per questo fu costretto a lasciare il potere all’ex allievo Caetano, pronto a ricercare una politica di compromesso tra le varie anime del paese con l’intento, forse, di mantenere la situazione vigente ed evitare grossi sconvolgimenti. Caetano si annunciava portatore di un “rinnovamento nella continuità”, ma alla fine la successione prevalse nettamente sul rinnovamento. Se si prende ad esempio la rinuncia ad una politica aperta verso le colonie, creata per non turbare i “falchi” del regime, si può capire la sua debolezza politica. Paradossalmente, furono simili decisioni a provocare la rivolta militare contro la dittatura; rivolta animata non solo da ufficiali di basso grado, ma anche da alcuni esponenti di alto rango delle forze armate come i generali Costa Gomes e Spínola. Di fronte alle oggettive difficoltà economiche (vi erano enormi squilibri fra le diverse aree del paese) e ai moti insurrezionali delle colonie pronte a raggiungere la loro libertà anche attraverso la guerra, il governo Caetano resse fino – come detto – al 25 aprile 1974. “Rivoluzione dei garofani” è la denominazione assegnata all’incruento colpo di Stato che riportò la democrazia in Portogallo. Venne chiamata così per un gesto di una fioraia che in una piazza di Lisbona offrì dei fiori ai soldati che li inseriranno nelle canne dei fucili. L’intento era quello di calmare le truppe governative ed evitare spargimenti di sangue. Il regime dittatoriale che aveva guidato il paese per quasi mezzo secolo era concluso. António de Oliveira Salazar se ne era già andato da quattro anni. Spirò a Lisbona il 27 luglio 1970. Per approfondimenti: _Adinolfi G., Ai confini del fascismo. Propaganda e consenso nel Portogallo salazarista (1932-1944), Edizioni Franco Angeli. _Costa Pinto A., Fascismo e nazionalsindacalismo in Portogallo: 1914-1945, Roma: Antonio Pellicani (ed. or. 1994); _Documenti diplomatici italiani 1994,Ottava serie 1935-1939, vol.V, Roma: Istituto poligrafico e Zecca dello Stato; _Gentile E., La via italiana al totalitarismo. Il partito e lo Stato nel regime fascista – Edizioni Carocci, Roma 2006 _Martins H. 1968, Portogallo, in: S.J. Woolf (ed.) 1968; _Payne S.G., Il fascismo. Origini, storia e declino delle dittature che si sono imposte tra le due guerre – Edizioni Newton Compton, Roma _Torgal L.R. 2009, Estados Novos Estado Novo Edizioni Imprensa da Universidade, Coimbra _Woolf S.J., Il fascismo in Europa- Edizioni Laterza, Bari © L’altro – Das Andere – Riproduzione riservata