QUADERNI NAPOLETANI
DI ASSIRIOLOGIA
1
A10
126/1
Pietro Mander
L’origine del cuneiforme
1. CARATTERISTICHE, LINGUE E TRADIZIONI
2. ARCHIVI E BIBLIOTECHE PRE–SARGONICHE
Copyright © MMV
ARACNE editrice S.r.l.
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via Raffaele Garofalo, 133 A/B
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tel. (06) 93781065
ISBN 978-88–548–0019–9
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: marzo 2005
Indice
Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7
Parte Prima
Caratteristiche, lingue e tradizioni
1. Origini e caratteristiche del sistema di scrittura cuneiforme . . . 11
1.1
1.2
1.3
1.4
1.5
1.6
La rivoluzione urbana e l’origine della scrittura . . . . . . . . . . . . . . . .
Mnemotecniche: token, involucri sigillati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Rapporto tra segno e parola, tra segno e suono linguistico . . . . . . . .
Lingua dei più antichi testi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Necessità di rappresentare i nomi propri
e gli elementi grammaticali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
I caratteri del sistema cuneiforme:
a) omofonia e b) polifonia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
11
12
14
15
16
17
2. Diffusione del cuneiforme; rifiuto del sistema alfabetico.
Limiti temporali e culturali. Lingue con esso rappresentate.
Le due lingue dell’antica Mesopotamia.
Loro caratteristiche generali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
2.1
2.2
2.3
Diffusione del cuneiforme . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
Conservatorismo degli ambienti scribali.
Basi culturali della tradizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
Le due lingue mesopotamiche, sumerico e accadico . . . . . . . . . . . . 21
3. Il sistema di scrittura cuneiforme
applicato alle due lingue mesopotamiche . . . . . . . . . . . . . . . . . 23
4. Il bilinguismo mesopotamico.
Il paradosso dell’uso degli ideogrammi . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26
5. Scuole, tradizioni e centri. Anonimato. Canonizzazione . . . . . 29
5.1
La tradizione accademica:
liste lessicali, vocabolari, traduzioni.
Anonimato degli autori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29
5.1.1 Sviluppi della tradizione accademica delle liste lessicali . . 34
5
5.2
5.3
5.4
5.6
Cenni di storia letteraria. Canonizzazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
La scuola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
La tradizione lessicografica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Origine della scrittura secondo i Sumeri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
35
36
37
41
6. L’importanza della parola. Origini dei testi.
Colofoni e piriåtu e naΩirtu . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42
7. Eterogrammi (UD.GAL.NUN),
glossolalia (esorcismi Abracadabra; KAR 4) . . . . . . . . . . . . . . 53
Parte Seconda
Archivi e biblioteche pre-sargoniche
1. Archivi e biblioteche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61
2. Mappe dei siti considerati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66
3. Tabella cronologica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67
4. Uruk IVa e Uruk III . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 68
5. Djemdet Nasr . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70
6. Ur arcaico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72
7. Åuruppak (Fara) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73
7.1 “Tablet House” (= XV h) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75
7.2 XVII c,d . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76
7.3 Ulteriori ambienti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76
8. Abu-S…alÂbÎkh . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77
9. Ebla . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79
10. La pentapoli di Lagaå . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87
6
Prefazione
Con questo volumetto inizia una collana, dei “Quaderni napoletani
di assiriologia” (QNAss), Serie E2-dub-ba (serie rivolta alla didattica) che
si spera di poter portare a compimento, dedicata a chi intraprende gli studi
assiriologici. Concepita quindi come strumento didattico, la serie fungerà
d’ausilio alle lezioni in aula, riassumendo gli argomenti (e le impostazioni con cui essi sono presentati) che lì si svolgono e fornendo le relative
indicazioni biliografiche sulla letteratura scientifica fondamentale. La
serie comprenderà diversi volumetti a carattere monografico dedicati a
singoli argomenti, oggetto di corsi semestrali sia in ambito di laurea triennale sia di quella specialistica.
Poiché l’assiriologia è nata allorché nei primi anni del XIX secolo
Grotefend decifrò i caratteri cuneiformi, questo primo volumetto, siglato
QNAss 1, è quello che descrive il sistema di scrittura cuneiforme (sezione A) per poi delinearne la più antica fase di esistenza, con brevi cenni ai
ritrovamenti e alle tipologie dei testi (sezione B). Con il QNAss 2 si intende entrare nel pensiero che il sistema cuneiforme ci ha svelato; si esploreranno aspetti della cultura mesopotamica considerando le fonti testuali.
Il primo quaderno ad essere rivolto alle conoscenze degli antichi
mesopotamici, il QNAss 2 (primo quadreno della sotto-serie “Alle origini
delle scienze”), tratta di medicina ed esorcistica, mentre il QNAss 3 (=
“All’origine delle scienze 2”) esporrà il penisiero astronomico ed astrologico e quello matematico. Siamo ben consapevoli che questa scansione
degli argomenti non risponde ai criteri tassonomici degli antichi, per i
quali l’osservazione del cielo altro non era se non una specialità – tra le
altre – della molto più ampia disciplina della divinazione, ma si è voluto
privilegiare l’aspetto monografico dei corsi universitari, in cui la divinazione, nel suo complesso, potrebbe essere trattata unitariamente solo a
prezzo di eccessive semplificazioni.
Sono in progettazione quaderni dedicati:
— all’epistolografia (sumerica, accadica ed elamica),
— al pensiero religioso (= sotto-serie “Pensiero religioso mesopotamico”),
7
— a succinti sketch delle grammatiche delle tre lingue, resi necessari dal fatto che i testi disponibili non sono scritti in lingua italiana,
— quaderni dedicati a fasi diverse delle letterature delle tre lingue
(= sotto-serie “Per una storia delle letterature cuneiformi di
Mesopotamia”),
— e infine quaderni sui testi amministrativi (= sotto-serie “Archivi
amministrativi cuneiformi di Mesopotamia”), sia economici che
giuridici.
Se il pubblico – e, quindi, in primo luogo, gli studenti – mostrerà di
apprezzare questo tipo di impegno, altri argomenti saranno considerati per
la pubblicazione.
Chi scrive è sempre stato convinto dell’unità di ricerca e didattica,
da realizzarsi attraverso una continua convergenza. Per questa ragione ho
dato particolare rilievo alle mie pubblicazioni, parte delle radici delle
quali ha tratto linfa vitale dalla didattica e i cui contenuti sono sempre stati
riversati in quest’ultima. In nessun modo, pertanto, questa impostazione
deve essere scambiata per una “scorciatoia” che possa esimere dalla consultazione dei lavori degli altri studiosi, la cui autorevolezza non è assolutamente posta in dubbio.
Sperando che gli studenti trovino in questi volumetti un utile strumento per la preparazione degli esami a conclusione dei corsi, chiudo
quuesta breve presentazione
I seguenti colleghi, collaboratori e amici si sono generosamente
offerti di prestare la loro opera, consentendo l’organizzazione della
seguente “squadra di lavoro”:
Direttore della collana
Pietro Mander
Comitato scientifico
Prof. F. Pomponio, Dott. F. D’Agostino, Dott.
Grazia Giovinazzo
Comitato redazionale
Dott. Giampiero Basello (elamico), Dott. P. Notizia
(sumerico), Dott. Lorenzo Verderame (accadico)
Direttore di redazione
Dott. P. Notizia
Grafica di copertina e logo Dott. P. Notizia
Pietro Mander
Professore titolare dell’area disciplinare L-OR03 “Assiriologia”
presso l’Università di Napoli “L’Orientale”
Roma, gennaio 2005
8
PARTE PRIMA
Caratteristiche, lingue e tradizioni
9
® 1. Origini e caratteristiche del sistema di scrittura cuneiforme
® 1.1 La rivoluzione urbana e l’origine della scrittura
® 1.2 Mnemotecniche: token, involucri sigillati
® 1.3 Rapporto tra segno e parola, tra segno e suono linguistico
® 1.4 Lingua dei più antichi testi
® 1.5 Necessità di rappresentare i nomi propri e gli elementi grammaticali
® 1.6 I caratteri del sistema cuneiforme: a) omofonia e b) polifonia
® 1.1 La rivoluzione urbana e l’origine della scrittura
Un cambiamento climatico, nel V millennio a. C., causò un minor afflusso d’acque
piovane nell’alluvio meridionale tra i due fiumi, il Tigri e l’Eufrate.
Mappa della Mesopotamia meridionale, con il percorso antico dei fiumi e le località archeologiche.
(Da: Th. Jacobsen, “The Waters of Ur” Iraq 22 (1960), pp. 174-185)
11
La piana (vedi cartina), dapprima un immenso pantano d’acque dolci, cominciò di
conseguenza ad asciugarsi, emergendo gradualmente alla luce: la maggior
disponibilità di spazio abitabile e la facilità per raggiungere l’acqua necessaria
all’irrigazione, costituirono un formidabile richiamo per nuove popolazioni, che
vennero ad insediarsi nella zona. La crescita continua della densità abitativa consentì
una sempre più ampia rete di scambi, fatto questo che a sua volta, in virtù del dilatarsi
del mercato, permise la formazione di attività produttive ad alto livello di
specializzazione (metà del IV millennio a. C.).
Ulteriore gradino in questo processo, diretta conseguenza degli eventi ricordati, fu
la stratificazione della popolazione in insediamenti gerarchicamente strutturati (città
principale, capoluoghi di provincia ad essa subalterni, centri minori a loro volta
subalterni ai capoluoghi di provincia, villaggi subalterni ai singoli centri minori) e in
un sistema sociale anch’esso gerarchicamente strutturato.1
La città principale divenne metropoli, centro di movimenti di produzione: per ora
ci è noto solo il caso di Uruk, ma si ipotizza un analogo sviluppo nella Mesopotamia
settentrionale. Il modello cittadino s’espanse in gran parte dell’area del Vicino
Oriente. In questo contesto, attorno al 3.100 a. C., si verificò la nascita della scrittura.
Nella cartina (tratta dal libro di Nissen, Protostoria del Vicino Oriente, p. 81) vediamo il confronto tra
le aree urbane di Uruk all’inizio del III millennio a. C. e quelle di grandi città dell’evo antico.
® 1.2 Mnemotecniche: token, involucri sigillati
Le transazioni venivano registrate utilizzando diversi sistemi (mnemotecniche).
Il loro sviluppo è alquanto articolato e complesso, così in questa sede ci limiteremo
a delinearne uno schizzo estremamente sommario a carattere esemplificativo, che, se
certamente troppo riduttivo, tuttavia fornisce un’immagine significativa.
1
Cfr. H. Nissen, Protostoria del Vicino Oriente, Roma - Bari (ed. Laterza), 1990 e M. Liverani, Uruk.
La prima città, Roma - Bari (ed. Laterza), 1998.
12
L’alienazione di un gregge di 10 pecore come “pagamento” di un bene o servizio
ricevuti, poteva esser registrato racchiudendo in un involucro chiuso d’argilla, sul
quale venivano poi fatti rotolare i sigilli cilindrici personali delle due parti interessate
al rapporto, 10 oggettini d’argilla (in inglese: token, la cui resa italiana “gettone”
copre solo parte dell’area semantica del termine; meglio sarebbe – come suggerisce
Michalowski – usare il latino calculus)2, ognuno convenzionalmente rappresentante
un ovino. Qualora fossero sorte contestazioni, il pagamento avvenuto poteva esser
documentato, davanti ai giudici, rompendo l’involucro “ricevuta” sigillato ed
esibendo i 10 “gettoni” in esso racchiusi. In seguito, per semplificare la procedura, si
impressero sulla superficie esterna dell’involucro, le forme dei gettoni contenuti
all’interno dell’involucro stesso. Un primo livello di discussione avrebbe potuto esser
risolto semplicemente mostrando l’involucro ancora intatto, e, d’altro canto, chi
possedeva più involucri, avrebbe agevolmente potuto riconoscere quale fosse quello
relativo alla contesa in corso. Solo nei casi più gravi, davanti al giudice si sarebbe
aperto l’involucro, provando così la veridicità dell’informazione data all’esterno con
le impressioni dei gettoni.
Un passo successivo fu “l’appiattimento” dell’involucro,3 senza che fosse più
necessario chiudervi dentro i gettoni, fungendo da garanzia l’impronta dei sigilli.
“Gettoni” e grafemi cuneiformi (in realtà: pittografici) arcaici a confronto. Da: D. Schamandt-Besserat,
Gli antecedenti della scrittura, Le scienze 120 (Agosto 1978), vol. xxi, pp. 12-13. I gettoni sono posti a
confronto con i rispettivi pittogrammi.
2
Cfr. P. Michalowski, Early Mesopotamian Communicative System: Art, Literature, and Writing, in:
Gunther, A. C. ed., Investigating Artistic Enviroments in the Ancient Near East, Washington DC 1990,
pp. 53-69.
3
Cfr. Liverani, Uruk, cit. p. 78.
13
Attraverso percorsi non certo lineari, come l’esempio proposto, si giunse a
semplificare le procedure basate sui “gettoni”, raffigurando su una superficie d’argilla
una sola sagoma del gettone raffigurante la merce, preceduta da segni che ne
indicassero la quantità trattata. Questi tocchi d’argilla appiattiti in due superfici ben
levigate, recto e verso, su cui vennero tracciati quei segni, furono le prime “tavolette”
scritte. Naturalmente tutto l’insieme dei segni impiegati era stato organizzato in
sistema: forma, numero e significati (referenti semantici) dei grafemi era stato
codificato e definto in maniera stabile.
Come si vede, la scrittura non nacque per rappresentare il linguaggio, ma per
indicare beni e relative quantità. Questo risultato costituì l’esito estremo, il fiume –
quale in seguito diventerà – formato dai tanti rivoli di mnemotecniche (simili a quella
descritta come esempio) confluenti tutte, sotto la spinta della necessità di chiarezza,
duttilità, facilità d’impiego, verso il medesimo alveo: la scrittura.
® 1.3 Rapporto tra segno e parola, tra segno e suono linguistico
Il repertorio dei segni (grafemi) – circa 1.200, con i segni numerici – del primo
stadio della scrittura (Uruk IV, databile attorno al 3.100 a. C.) era composto di segni
pittografici, ovvero disegni che evocavano l’oggetto rappresentato. Come ha
dimostrato Schmandt-Besserat alcuni segni copiano la sagoma dei token che
rappresentavano l’oggetto considerato: esemplare è il segno udu “pecora” che consiste
in una circonferenza in cui due diametri s’incrociano ortogonalmente. In nessun modo
questo segno può rappresentare un ovino o parte di esso.
Occorre dire che molti concetti, in particolare le azioni o anche i rapporti, espresse
nella lingua dai verbi o da sostantivi astratti, non avrebbero potuto esser “disegnate”
come venivano invece raffigurati gli oggetti concreti. Per questo motivo si ricorse alla
polisemia, impiegando lo stesso segno sia per raffigurare l’oggetto da esso raffigurato,
sia per indicare azioni o concetti astratti (o comunque non rappresentabili
iconicamente) ad esso in qualche modo correlati. Disegnando la parte inferiore di una
gamba veniva indicato gub “stare (in piedi), gin (andare), tum2 “portare” ecc.
Anche la combinazione tra due pittogrammi consentiva l’espressione di ulteriori
significati: associando quello per “testa” (sag) con quello per “pane” (ninda)
Tratto da: H. Nissen - P. Damerow - R. K. Englund, Archaic Bookkeeping, Chicago & London 1993, p.
15
14
o con quello per “acqua” (a), si ottenevano rispettivamente i grafemi per “mangiare
(gu7) e per “bere” (nag). Ma lo stesso pittogramma per “bocca” poteva esser usato per
indicare “dente” (zu2), “parola” (inim), “parlare” (du11-g).
Come si vede, per acquisire duttilità d’impiego, si veniva a creare una certa
ambiguità, superabile solo avendo già chiaro di cosa il contesto trattasse, in modo da
poter scegliere i significati corretti dei singoli grafemi.
Il problema non era probabilmente acuto nei primi stadi della scrittura, grazie alla
semplicità dei messaggi, tutti relativi a registrazioni economiche, a loro volta limitate
ad ambiti alquanto ristretti, ma sarebbe divenuto grave con l’espansione dell’uso della
scrittura da un lato e delle aree controllate amministrativamente dall’altro.
® 1.4 Lingua dei più antichi testi
Finora abbiamo riferito parole sumeriche negli esempi, come lettura dei grafemi;
tuttavia – anche se, come diremo appresso, è questa la lingua degli inventori della
scrittura – non può esser dato per certo a priori che fosse il sumerico la lingua dei testi
di Uruk IV e dello strato successivo, Uruk III.
I segni pittografici – come abbiamo visto – erano usati come ideogrammi, e
avrebbero potuto esser letti in qualsiasi lingua.
Per fare un esempio, al giorno d’oggi il segno “2” è chiaramente compreso anche
da persone che parlano lingue diverse, e che poi lo leggeranno con suoni totalmente
diversi (“two”, “deux”, “zwei”, “due”, “dos”, “iki” ecc.). Si presenta quindi il
problema di conoscere quale fosse la lingua degli estensori delle prime tavolette.
Falkenstein, per risolvere la questione, cercò di riconoscere i nomi di persona, dal
momento che l’onomastica mesopotamica era formata in gran parte da teonimi,
ovvero nomi di persona che contenevano un nome divino inserito in un’espressione o
frase (oggi abbiamo nomi simili nei cognomi Diotallevi, Salvidio, Laudadio ecc.);
egli individuò il nome di persona Enlil-ti, nome che dà senso solo in sumerico: “Enlil
(è) vita”.
Infatti Enlil è il re del pantheon sumerico, e il segno TI rappresenta una freccia
(appunto ti, in sumerico), parola omofona (o quasi) di til “vivere”, “vita”. La stretta
connessione di Enlil con la vita risulta inoltre confermata dai testi religiosi posteriori.
Questo nome di persona ricorre in testi del periodo successivo ad Uruk IV, quello
di Djemdet-nasr (= Uruk III, posteriore di circa un secolo), in cui venne quindi
compiuta la seconda grande invenzione, dopo quella della scrittura: la fonetizzazione
(secondo alcuni è con il conseguimento di questa invenzione che si può parlare di
scrittura vera e propria). I grafemi del sistema non venivano più usati per indicare
l’oggetto raffigurato, ma potevano anche esser usati per rappresentare il suono che
indicava quello stesso oggetto.
Il segno che raffigura la freccia è stato impiegato per esprimere la parola “vita”, in
base all’omofonia delle due parole, “freccia” (ti) e vita” (til). Ma, come s’è detto, oltre
a prove come questa, i testi, essendo scritti con ideogrammi, avrebbero potuto esser
stati scritti da persone di qualsiasi lingua. Il metodo somiglia molto ai nostri rebus;
potrei scrivere “3nto” per indicare la città di Trento. In questo caso però diventa
chiaro: a) che il concetto di “numero tre” è privo d’importanza, poiché mi serve solo il
15
“suono” associato al segno “3”; b) conseguenza diretta di a) è che la lingua è
certamente l’italiano. Il nome tedesco della città, “Trient”, non avrebbe potuto esser
rappresentato neppure parzialmente col segno della cifra 3, in tedesco: drei.
® 1.5 Necessità di rappresentare i nomi propri e gli elementi grammaticali
I successivi sviluppi della tecnica scrittoria resero sempre più necessario produrre
documenti il cui contenuto fosse inequivocabile, anche per chi avesse ventura di
leggerlo senza esser stato presente alla sua stesura.
Le convenzioni nell’uso dei pittogrammi non consentivano la duttilità che lo
strumento scrittura richiedeva per poter adeguatamente documentare le transazioni e i
rapporti amministrativi.
In queste condizioni, mentre era chiaro agli estensori del documento cosa
esattamente significasse la registrazione “10 udu En-lil2-ti” (lettralmente: “10 pecore
Enlil-ti (Nome proprio di persona)”, dal momento che conoscevano le circostanze in
cui era stato redatto, per noi è impossibile stabilire se la registrazione si riferisca ad un
apporto o ad un’uscita: “10 pecore da parte di Enlil-ti” o “10 pecore per Enlil-ti”.
Lo “sganciamento” del referente fonetico da quello semantico apriva perciò la
porta ad una maggiore precisione nella stesura dei messaggi, poiché permetteva di
rappresentare, accanto ai grafemi – limite estremo delle mnemotecniche – gli elementi
del linguaggio: sarebbe stato possibile inserire i morfemi indicanti provenienza (ki- ...
-ta) o destinazione (-åe3) per rendere quel messaggio inequivocabile. In altre parole, la
scrittura cambiava natura, o, meglio, con Bottéro, solo ora, con l’acquisita possibilità
di rappresentare il linguaggio, si aveva la “scrittura” in senso proprio.
La prassi di indicare elementi grammaticali e sintattici (morfemi) che
relazionassero chiaramente tra loro – come avveniva nel linguaggio – i rapporti tra le
diverse “parole” indicate dai pittogrammi, di “trascrivere” i nomi propri, sia di
persona che di luoghi – che fino ad un certo punto potevano esser resi dai pittogrammi
– si sviluppò molto gradualmente.
Dal periodo di Uruk IV, attraverso le fasi di Djemdet-Na r/ Uruk III (2.800 a. C.
=) e Ur arcaica (2.700 a. C.) e infine Fara (2.600 a. C.) si assiste al graduale impiego
dei grafemi in funzione fonetica, e nel periodo di Fara divenne possibile rendere
anche – cosa impossibile precedentemente – i nomi semitici, che appaiono già in
questo periodo.
Lo sviluppo dell’uso fonetico dei segni rese allora anche possibile la stesura di testi
a struttura “narrativa” (i testi economici e amministrativi sono strutturati come
“liste”), quali, tra gli altri, le iscrizioni reali, che celebravano gli atti pii dei sovrani. In
parallelo a tale processo, si assiste ad una conseguente semplificazione del sistema,
che decresce nel numero dei grafemi in repertorio: all’epoca di Fara sono scesi a circa
800, ma in seguito scenderanno a circa 600.
16
La sempre maggiore utilizzazione della scrittura porta un’altra graduale
semplificazione: i grafemi vengono resi evitando i tratti curvilinei, facili da tracciare
con colori su materiale di tipo cartaceo (cfr. la scrittura geroglifica egizia su papiri)
ma difficili da incidere sull’argilla umida. Divenne usuale affondare lo stilo di canna
nell’argilla lasciando una traccia, più profonda nel primo punto di penetrazione, che
determinò la caratteristica forma “a cuneo” o “a chiodo” dei tratti che componevano i
grafemi.
Evoluzione grafica dei segni cuneiformi. Da: S. N. Kramer, History begins at Sumer, New York 1959,
p. xxi
Dobbiamo concludere questo paragrafo con un’osservazione di grande rilievo per il
tema che stiamo per affrontare: il processo di fonetizzazione, pur sviluppandosi ed
affinandosi ulteriormente, anche dopo il periodo di Fara, non sostituirà mai il vecchio
sistema ideografico.
Un sistema sillabico puro (come quello di meno di 100 segni, che troviamo a Cipro
alla fine del Tardo Bronzo), adatto a rappresentare solamente la lingua, non si troverà
mai nella tradizione del cuneiforme. Questo sarà sempre un sistema misto,
ideogrammi e fonogrammi (in particolare: sillabogrammi) , fino alla sua estinzione.
® 1.6 I caratteri del sistema cuneiforme: omofonia e polifonia
L’origine del sistema di scrittura cuneiforme determinò i successivi sviluppi di
questa tecnica, in quanto essa venne sempre “aggiustata”, senza che avesse mai luogo
un momento “rivoluzionario” che cancellasse i caratteri della tradizione. Abbiamo
detto prima che il sistema cuneiforme resterà sempre misto, ideogrammi e
sillabogrammi, ma abbiamo anche visto che lo stesso ideogramma poteva avere
letture e significati diversi. Questa caratteristica influenzerà anche lo sviluppo dell’uso
dei grafemi in funzione fonetica, ragione per cui avremo grafemi diversi che
17
indicheranno lo stesso suono e, per converso, uno stesso suono rappresentato da
grafemi diversi.
Le due regole che governano il sistema cuneiforme sono quindi:
a) la omofonia,
b) la polifonia.
® 1.6.a) Omofonia.
Lo stesso suono può esser rappresentato da grafemi diversi. Vediamo l’esempio del
suono /du/ che può esser reso con:
L’esigenza di far capire, nelle trascrizioni dal cuneiforme, quale grafema sia stato
impiegato per ogni suono, ha spinto gli assiriologi ad usare un codice di riferimenti
diacritici, che qui abbiamo – per semplicità – espresso mediante numeri in pedice.
Così, se leggendo una trascrizione in caratteri latini, incontro du11, io so con certezza
che il segno così trascritto - che si trova sulla tavoletta - è “KA”.
Non si è trovata una spiegazione per tanta sovrabbondanza di valori; si è postulata
l’esistenza di toni (come hanno oggi le lingue cinesi) nel sumerico, ma non è possibile
provare questo assunto e comunque resterebbe troppo alto il numero di referenti
grafici per certe sillabe.
® 1.6.b) Polifonia.
Abbiamo già incontrato la polifonia quando abbiamo visto come un medesimo
grafema potesse assumere diversi significati, ognuno dei quali, rappresentando una
parola diversa, aveva suoni diversi. Ripetiamo qui il grafema KA per l’esempio.
Come si vede, il sistema cuneiforme è una “macchina” abbastanza complessa, e le
ragioni del mantenimento di questa complessità sono difficili da capire secondo i
criteri di giudizio del nostro pensiero occidentale.
18
KA =
inim / enem
dug
zu
gu
“parola”
“parlare”
“dente”
“gridare”
ecc.
® 2. Diffusione del cuneiforme; rifiuto del sistema alfabetico. Limiti
temporali e culturali. Lingue con esso rappresentate. Le due lingue
dell’antica Mesopotamia. Loro caratteristiche generali.
® 2.1 Diffusione del cuneiforme
® 2.2 Conservatorismo degli ambienti scribali. Basi culturali della tradizione
® 2.3 Le due lingue mesopotamiche, sumerico e accadico
® 2.1 Diffusione del cuneiforme
Il sistema di scrittura cuneiforme si diffuse abbastanza celermente anche fuori dalla
Mesopotamia. Allo stato attuale dei ritrovamenti, esso è già presente in Siria del Nord,
all’inizio della seconda metà del III millennio a. C., dove lo troviamo ad Ebla (odierna
Tell Mardikh, 70 km. circa a Sud di Aleppo), a Tell Beydar e a Mari (odierna Tell
Hariri sull’Eufrate). Nella Siria del Nord in questo periodo erano parlate lingue
semitiche.
Il cuneiforme nel II millennio venne usato per scrivere l’ittita (lingua indoeuropea), il hurrita (Anatolia orientale e Armenia) e, nel I millennio a. C., anche
l’elamico (parlato nell’area dell’attuale Iran) e l’urarteo (Armenia) (tutte e tre lingue
agglutinanti, ma molto diverse dal sumerico: vedi appresso). Il cuneiforme
sopravvisse fino al III sec. d. C.,4 ma nella sola Mesopotamia, essendosi estinto
altrove.
® 2.2 Conservatorismo degli ambienti scribali. Basi culturali della tradizione
Va rammentato come in Mesopotamia continuasse a venir usato questo sistema,
così rudimentalmente agganciato alla lingua parlata, anche dopo che ad Ugarit (città
portuale nella Siria del Nord, odierna Ras Åamra, fiorita nella seconda metà del II
millennio a. C.) venne inventato il cuneiforme alfabetico. Questo alfabeto era
perfettamente adatto a rendere una lingua semitica, linguisticamente affine quindi a
quella che era parlata allora in Mesopotamia, l’accadico (il sumerico si era estinto da
tempo, ed era tramandato solo come lingua scritta, in maniera simile al latino nel
medioevo: si veda appresso).
Nonostante questo pregio, l’alfabeto non venne “importato” in Mesopotamia, dove
l’accadico continuò ad esser molto più imprecisamente scritto con il cuneiforme
d’origine sumerica (su questo aspetto, vedi oltre).
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Cfr. M. Geller,The Last Wedge, Zeitschrift für Assyriologie 87 (1997), pp. 43-93.
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Si può speculare sulle ragioni che hanno impedito questo progresso, perché
l’introduzione dell’alfabeto tale appare ai nostri occhi e non solo, considerando che si
è imposto come strumento per rappresentare spazialmente la sequenza temporale del
parlato. Piuttosto che menzionare i casi attuali, come in Cina, dove si è potuto
constatare come non sia affatto semplice adottare l’alfabeto, preferiamo ricondurre il
problema nei termini propri al contesto culturale mesopotamico.
La scrittura nasce per rappresentare oggetti, non il linguaggio, come s’è detto. Un
tratto peculiare del pensiero mesopotamico è la concezione del nome: non un mero
flatus vocis, un simbolo fonico arbitrario - scelto dai parlanti una data lingua - per
indicare qualcosa, bensì un’emanazione scaturita dalla cosa nominata stessa: nomina
sunt essentia rerum è una frase che può perfettamente definire il modo di pensare
mesopotamico. Ma il legame tra nome e oggetto (dal nome rappresentato) comporta
ulteriori considerazioni.
Ancora una volta un detto latino risulta perfettamente pertinente: nomen est omen.
Infatti, come vedremo appresso, al nome è connesso il destino. Come si può
agevolmente desumere da queste considerazioni, le circostanze della nascita della
scrittura, sorta per rappresentare – lo ripetiamo – oggetti e non la lingua, si
armonizzano fin troppo compiutamente con questo modo di pensare. Se poi
consideriamo che il segno, sia esso scritto che orale, costituisce, per corollario di
quanto esposto, anch’esso una rivelazione di realtà profonde, come la pratica della
divinazione dimostra, vediamo come anche il grafema rimanga “fissato” al nome che
rappresenta.
Le considerazioni che abbiamo qui esposte saranno riprese oltre; per il momento ci
limitiamo a delinearne sommariamente i contorni, per posizionare nel contesto
culturale appropriato i fenomeni che trattiamo.
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