Stralcio volume

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I.
Il diritto tra finito e infinito:
Cotta e la fenomenologia ontologica
SOMMARIO: 1. Metodo e merito dell’indagine. – 2. Finitudine dell’uomo e formatività del diritto. – 3. Per una fenomenologia realistica del diritto: l’in sé.
1. Metodo e merito dell’indagine
«Prendere in considerazione il diritto prescindendo dalle valutazioni, positive o negative, che ne vengono date in seguito a uno
sguardo dall’esterno. Occorre (…) procedere a una indagine attenta
che ne individui il senso e possa accertarne o meno l’autenticità esistenziale» 1.
Sono queste le parole con le quali Cotta enuncia il metodo ed
entra nel merito della sua ricerca sulla ‘genesi onto-esistenziale
della giuridicità’, ed è col medesimo intento ed assumendo lo stesso metodo fenomenologico che anche queste pagine intendono
svolgere un percorso (‘con’ e ‘a partire’ da Cotta) volto a questionare il diritto, evidenziandone la condizione iniziale, il momento di
origine non – come pure si può precisare con lo stesso Cotta –
«storico, bensì ontologico, ossia richiesto dall’essere stesso dell’uomo» 2.
In questo senso e per una maggiore chiarificazione dell’itinerario che attende di essere intrapreso, è bene specificare le parti che
paiono comporre l’espressione iniziale:
a) ciò che interessa non è un’idea del diritto – precisa o generica, condivisa o elitaria, comune o tecnica, semplificatoria o forbita
1
2
S. COTTA, Il diritto nell’esistenza, Milano, 1991, p. 45.
Ivi, p. 16.
18
Profili di filosofia del diritto
– che nasca dall’osservazione esterna degli effetti di ciò che il diritto comporta;
b) ciò su cui, con Cotta, si deve concentrare l’attenzione è il
senso del diritto colto ‘autenticamente’ come condizione dell’esistenza;
c) ciò da cui bisogna muovere, a partire da Cotta, circa l’ontologia giuridica è dunque l’‘esistenziale’, ovvero il nesso inscindibile tra diritto e uomo.
La convinzione cottiana, che qui cerca una sintetica argomentazione, è che «senza la comprensione dell’essere dell’uomo, non si
comprenderà mai la piena ragione della realtà e del senso del diritto» 3; ciò consente di ulteriormente precisare come se da un lato
non si intende rimanere sul piano meramente osservativo di ciò che
il diritto appare e di come il diritto empiricamente e pragmaticamente si orienta nella contemporaneità di volta in volta contingente, dall’altro lato si ritiene di non poterne discutere l’origine ontologica senza considerare del diritto la realtà 4, anche dunque il profilo «concreto» 5 che qui si intende come ‘forma-formatività’ (§ 2),
da discutere secondo una fenomenologia, ovvero ciò che il diritto è
«in sé» 6, nel nucleo ontofenomenologico che dice il diritto in
quanto tale e che, attraverso e oltre Cotta, diviene una fenomenologia realistica del diritto (§ 3).
La vitalità di un pensiero, e dunque anche di chi l’ha pensato, è
forse strettamente connessa con la sua ripresa e continua messa in
discussione; nella convinzione che quello cottiano sia un pensiero
del tutto vitale come – conseguentemente – l’insegnamento di
Cotta, si sono scelte quali coordinate per questa occasione di lettura il ‘con’ e l’‘a partire’ che consentono, con la distanziazione dai
testi, di azzardare successivamente e conclusivamente anche un
3
Ivi, p. 20.
Chiara l’esortazione di J. BINDER (La fondazione della filosofia del diritto, Torino, 1945, p. 7): «non ha senso affermare un diritto che fa appello alla
ragione ma è privo di realtà».
5
La concretezza è intesa nella direzione di G. MARCEL, Dal rifiuto all’invocazione, Roma, 1976 e di C. FABRO, Essere e libertà, dispense pro manuscripto, Perugia, a.a. 1967-1968.
6
S. COTTA, Il diritto nell’esistenza, cit., pp. 161, 164.
4
I. Il diritto tra finito e infinito
19
‘attraverso’, apertura ad orizzonti di una riflessione in itinere 7.
Il cammino così annunciato rimane orientato dall’esistenziale
assunto come condizione che chiede di essere indagata nella condivisione dell’idea di Fabro per la quale «la lotta decisiva della filosofia contemporanea (…) [è] non fra l’Esistenzialismo e le altre
filosofie, ma dentro lo stesso Esistenzialismo» 8. Nei limiti di queste pagine, la comprensione dell’esistenziale nei termini di una fenomenologia realista del diritto guarda alla sinteticità della finitudine umana, discussa attraverso il sinolo finito-infinito. È in questa
ottica che si mettono in questione – riprendendo il lessico di Cotta
– ‘struttura’ e ‘ontologia’ dell’uomo e del diritto muovendo dalla
differenziazione – interna all’esistenziale – tra estraneità ed alterità ed interrogando l’alterità e la trascendenza, le dimensioni che
illuminano diversamente la struttura e l’ontologia dell’umanità del
singolo e della giuridicità nel suo agere in comunità.
2. Finitudine dell’uomo e formatività del diritto
La riflessione filosofica esistenzialistica 9 trova una certa convergenza attorno alla dimensione dell’ipseità che con una semplifi-
7
È quella molto sinteticamente accennata nel § 3 attraverso l’enunciazione di alcune tesi da sviluppare successivamente.
8
C. FABRO, Introduzione a S. KIERKEGAARD, Diario, vol. 1, Brescia,
1980, p. 37.
9
Si ha presente come il termine ‘esistenzialismo’ abbia assunto una specificità storiografica ben definita che, a volte, lo collega con figure e filosofie
ben determinati; così come si tiene in considerazione lo stesso dibattito circa
cosa possa racchiudere l’istanza esistenzialistica. Richiamando l’esistenziale
qui si assume la linea speculativa di S. COTTA (Il diritto nell’esistenza, cit., p.
3) e B. ROMANO (Il riconoscimento come relazione giuridica fondamentale,
Roma, 1986, p. 1); quanto alle accennate difficoltà, si rinvia agli studi di L.
PAREYSON, Studi sull’esistenzialismo, Milano, 2001, spec. Parte prima e C.
FABRO, Introduzione all’esistenzialismo, Milano, 1943, nei quali sono discusse efficacemente le questioni sollevate dalle varie direzioni dell’esistenzialismo. Di primo interesse, con specifico riferimento al taglio di queste pagine,
H. ARENDT, Che cos’è la filosofia dell’esistenza?, Milano, 2009; si ha anche
presente, per altro, la sollecitazione a pensare l’esistenza solo manualistica
dell’esistenzialismo avanzata da P. RICOEUR, Kierkegaard. La filosofia e
l’‘eccezione’, Brescia, 1995, p. 36.
20
Profili di filosofia del diritto
cazione può essere discussa, a seconda dei casi, attraverso le due
dimensioni dell’estraneità o dell’alterità riferite al soggetto 10. Si
riconosce in tal modo una certa componente di non identificabilità
né identificazione del sé con se stesso ovvero di non corrispondenza, di non compiutezza del soggetto e si individua nell’apertura esistenziale (dell’estraneità o dell’alterità) una condizione dell’essere dell’uomo 11.
Un tale plesso d’indagine incontra – almeno questa è una delle
idee che si discutono – la riflessione sul diritto capace, per la ‘rivelatività’ che la informa 12, di ‘andare alla cosa stessa’ 13 delle due
dimensioni esistenziali dell’estraneità e dell’alterità, consentendone
una chiarificazione critica rispetto alla soggettività ed alla giuridicità. Proprio Cotta, a ben vedere, ha contribuito in maniera rilevan10
La proposizione della differenziazione tra estraneità ed alterità costituisce una di quelle tracce da ulteriormente precisare e questionare di cui si è
detto in principio nella nota asteriscata; in queste pagine viene proposta quale
possibilità teoretica per specificare l’estraneità cosmologica e distinguerla da
quella alterità che pare differenziare l’uomo dagli altri enti mondani. Si ha
presente l’ambiguità che può pervadere entrambi i termini nonché le analisi
dell’estraneità che si dirigono in direzione diversa da questa presentata; ad
esempio tratta di una «estraneità interiore» A. RIGOBELLO, L’estraneità interiore, Roma, 2001.
11
In questa direzione si sono mossi, ad esempio, L. PAREYSON, Esistenza
e persona, Genova, 1985; E. LÉVINAS, Totalità e infinito, Milano, 1990; P.
RICOEUR, Sé come un altro, Milano, 1999; J. DERRIDA, L’ospitalità, Milano,
2000; M. MERLEAU-PONTY, Fenomenologia della percezione, Milano, 2003;
C. FABRO, L’Io e l’esistenza e altri scritti brevi, Roma, 2006; B. WALDENFELS, Fenomenologia dell’estraneo, Milano, 2008; riferimenti essenziali si
rintracciano anche nel cosiddetto personalismo dialogico su cui cfr. R. GUARDINI, Mondo e persona, Brescia 2007; F. EBNER, La parola e le realtà spirituali, Cinisello Balsamo, 1998; G. MARCEL, Essere e avere, Napoli, 1999; M.
BUBER, Il principio dialogico ed altri saggi, Cinisello Balsamo, 1993. La
scelta degli autori citati – certo non esaustiva – non è casuale o meramente
nominativa; l’argomentazione di queste pagine darà ragione di tale selezione.
12
Tratta di «pensiero rivelativo» L. PAREYSON, Verità e interpretazione,
Milano, 1971, p. 15 ss.; riprendendo il lessico di Pareyson, evidenzia come il
diritto abbia una ‘capacità rivelativa’ dell’essere dell’uomo B. ROMANO, Ricerca pura e ricerca applicata nella formazione del giurista, Torino, 2008, p.
26 ss.
13
Seconda la nota espressione su cui cfr. E. HUSSERL-M. HEIDEGGER, Fenomenologia, Milano, 1999, spec. pp. 235-238 e l’analisi di J. SEIFERT, Essere e persona, Milano, 1989, spec. Parte prima.
I. Il diritto tra finito e infinito
21
te non solo a questo contatto tra filosofia generale e filosofia del
diritto 14 ma anche – nel merito – alla predisposizione del metodo
(fenomenologico) e del pensiero (ontologico) che esplicita la giuridicità esistenziale dell’uomo e la ‘struttura’ del suo agere mondano
muovendo dal sinolo tra finito ed infinito 15 che marca la differenziazione tra estraneità ed alterità, tra violenza e diritto, tra accadere
e azione 16.
Uno degli elementi più intensamente rilevanti della riflessione
cottiana – almeno per gli interessi che muovono questo contributo
e la ricerca del suo autore – pare essere tale sinolo volto ad esplicitare, con Cotta, il nesso tra la ‘struttura ontologica’ dell’uomo e la
‘giuridicità’ 17: la prima, «sintesi della dualità» che compone la finitudine 18, la seconda, «misura» e «condizione» dell’uomo stesso 19; ma anche, a partire da Cotta (§3), il nesso tra questione della
forma e questione del senso del giuridico: l’una, con il richiamo
alla trascendenza della «formatività» 20; l’altra, nell’«alterità» 21 che
qualifica la coesistenza umana.
14
I riferimenti in tal senso di Cotta possono essere rintracciati (cfr. S.
COTTA, Il diritto nell’esistenza, cit., pp. VII, 26) in G. CAPOGRASSI (di cui cfr.
Analisi dell’esperienza comune, Roma, 1930) ma anche, seppur con le precisazioni che in questa sede non è possibile operare, in P. PIOVANI (di cui cfr.
Normatività e società, Napoli, 1949).
15
S. COTTA, Il diritto nell’esistenza, cit., p. 72 ss. Con intensità teoretica
particolare Kierkegaard – al quale Cotta si riferisce – ha discusso esistenzialmente il sinolo finito-infinito; nel corso di queste pagine si terrà particolarmente presente lo studio dedicato al filosofo danese da parte di B. ROMANO, Il
senso esistenziale del diritto nella prospettiva di Kierkegaard, Milano, 1973.
16
Tutti temi che hanno segnato l’intera riflessione cottiana, trovando momento di sistematizzazione in Il diritto nell’esistenza, cit., p. 65 ss.; cfr. anche
dello stesso autore Perché la violenza?, L’Aquila, 1978, p. 89 ss.; Giustificazione e obbligatorietà delle norme, Milano, 1981, p. 17 ss.; Diritto persona
mondo umano, Torino, 1989, p. 76 ss.; Soggetto umano Soggetto giuridico,
Milano, 1997, p. 104 ss.
17
Cfr. S. COTTA, Il diritto nell’esistenza, cit., p. 89 ss.
18
Ivi, p. 76.
19
Ivi, pp. 300, 292. Cfr. R. GUARDINI, Scritti di metodologia filosofica,
Brescia, 2007, p. 73 ss.
20
Il lessico è di L. PAREYSON, Estetica. Teoria della formatività, Milano,
2002, p. 17 ss. (cfr. anche Problemi dell’estetica, I. Teoria, Milano, 2009,
spec. p. 231 ss.); le ragioni della formatività giuridica possono essere discusse
22
Profili di filosofia del diritto
Il plesso nel quale inquadrare il sinolo è da Cotta delineato a
partire da quella finitezza esistenziale che manifesta l’uomoindividuo quale sempre e necessariamente: 1) incompiuto, 2) particolare, 3) contingente[-storico 22]; si legge infatti: «l’individuo empirico, per il suo stesso agire, si rivela in sé incompiuto, particolare, contingente[-storico], ossia non perfetto, non universale, non
eterno ma, in una parola finito» 23. Proprio questo carattere – continua sempre il filosofo – che rende l’uomo ‘nel’mondo, e ciascun
individuo per parte sua, non assoluto, implica che l’individuo non
può essere pensato né può pensare da solo: «pensare un ente finito
implica necessariamente la pensabilità, nelle dimensioni sincronica
e diacronica, di altri enti similmente finiti» perché ciò che è incompiuto, particolare e contingente[-storico] (ossia finito) non può
esaurire l’essere e presentarsi quale individualità totale e unica (…)
è necessariamente individualità accanto ad altre».
L’uomo-individuo è colto, in tal modo, secondo il lessico heideggeriano che Cotta fa proprio, come Mit-sein nell’In-der-Weltsein: «il mondo è il ‘con-esserci’» 24. Un con-esserci che non rima sia con S. COTTA, spec. cfr. Giustificazione e obbligatorietà delle norme, cit.,
p. 18 ss., sia con B. ROMANO, spec. cfr. Scienza giuridica senza giurista: il
nichilismo ‘perfetto’, Torino, 2006, p. 65 ss.
21
Si rinvia alla qualificazione teoretica dell’alterità pensata da P. RICOEUR,
Sé come un altro, cit., p. 75 ss.; la dimensione dell’alterità quale qualificazione dell’ipseità è discussa, in modi differenti ma coerenti, sia da S. COTTA, Il
diritto nell’esistenza, cit., p. 74 ss., con riferimento al ‘sinolo finito-infinito’,
sia da B. ROMANO, Filosofia del diritto, Roma-Bari, 2002, p. 37 ss., con la
struttura ortonoma del ‘desiderio dell’altro’.
22
Si chiariranno progressivamente le ragioni che sollecitano a intendere
quanto indicato da Cotta col termine contingente nel senso dello storico, così
differenziando la temporalità degli enti non umani dalla storicità dell’uomo;
del resto, coerentemente allo stesso Cotta che intende il ‘contingente’ come
specificazione di ‘non eterno’. Per evitare possibili confusioni, ogni volta che,
citando Cotta, si indicherà la contingenza nel senso della storicità umana si
aggiungerà storico.
23
S. COTTA, Il diritto nell’esistenza, cit., p. 66.
24
Ivi, pp. 66-67. Cfr. M. BUBER, Il principio dialogico e altri saggi, cit.,
p. 309 (dove si legge: «l’uomo, antropologicamente parlando, non è un essere
esistente nell’isolamento, ma nella pienezza della relazione tra l’uno e l’altro:
solo l’azione reciproca rende possibile la comprensione adeguata dell’umanità»).
I. Il diritto tra finito e infinito
23
ne limitato dalla constatazione della semplice «estraneità» 25 ma
che accede alla sintetica «alterità» 26. A ben vedere, infatti, la finitezza esistenziale dell’uomo è qualificata ontologicamente 27 non da
un «semplice esserci-accanto» riconosciuto tra l’io e l’altro, dove
‘altro’ è tutto ciò che non è ‘io’ (estraneità), ma da un «più profondo esserci-insieme (…) modo specifico, tra l’io e l’altro io», dove
l’altro, allora, è sintesi di sé ed altro, è – in altri termini – l’altro
desiderato dal sé in quanto altro sé (alterità) 28.
Nella direzione della ‘semplice estraneità’, il tentativo di cogliere in modo radicale ed assolutizzante l’essere finito dell’uomo
conduce, osserva Cotta, ad una duplice fallacia: «da un lato (…)
comporterebbe la negazione (…) dell’alterità. Dall’altro lato, la
chiusura nella esclusiva finitezza e contingenza delle varie espressioni esistenziali del soggetto lo renderebbe incomunicabile ed incomprensibile all’altro» 29. È questo un tentativo che forse bene incarna – per riprendere l’efficace espressione di Waldenfels – il
«progetto della modernità» 30, controverso e dagli esiti a volte fal25
S. COTTA, Il diritto nell’esistenza, cit., p. 67.
Ivi, p. 80.
27
Appare di particolare rilevanza metodologica e teoretica evidenziare
come il percorso ontologico di Cotta sia tracciato dalla problematizzazione
del reale all’ontologico.
28
Come scrive B. ROMANO (Il giurista è uno ‘zoologo metropolitano’?,
Torino, 2007, p. 153): «Il desiderio sorge come ansia del dirsi, che consiste
nel rispondere al domandare dell’altro parlante; pertanto il desiderio è alimentato dal desiderio dell’ascoltare il desiderio dell’altro (…) Il desiderio è desiderio del ‘per l’altro’, che attiva la ripresa del mio desiderare il senso».
29
S. COTTA, Il diritto nell’esistenza, cit., p. 80; cfr. anche Perché la violenza?, cit., p. 121 ss. La tematica, affrontata nella direzione della questione
dell’inizio e dell’ontologia dell’alterità, trova un’intensa linea di sviluppo del
fichtiano ‘diritto come condizione dell’autoscienza’, sulla quale cfr. A. PUNZI,
L’intersoggettività originaria, Torino, 2000.
30
B. WALDENFELS, Estraneazione della modernità, Troina, 2005, p. 19.
Rilevante in argomento la differenziazione rispetto alla posizione di Habermas che vede il moderno come progetto di ancora possibile realizzazione (cfr.
J. HABERMAS, Il discorso filosofico della modernità, Roma-Bari, 1991, p.
336). Di primo interesse – anche per la successiva argomentazione – quanto
osserva R. GUARDINI (Mondo e persona, cit., p. 19 ss.) circa l’incertezza sull’essere proprio dell’uomo, nonché quanto scrive C. FABRO (non a caso nell’Introduzione a S. KIERKEGAARD, Briciole di filosofia e Postilla non scienti26
24
Profili di filosofia del diritto
laci là dove – tornando alle linee argomentative di Cotta – costruito
sull’estraneità e non sull’alterità, la differenziazione che progressivamente dovrà essere discussa.
Diversamente rispetto a tale ipotesi di assolutizzazione, il ‘conesserci sintetico’ al quale Cotta riferisce la genesi onto-esistenziale
della giuridicità è quello nel quale ciascuno è – ‘socionomamente’ 31, si direbbe riprendendone il lessico – se stesso in quanto ego
ed in quanto alter, specificando così l’essere del Dasein nel «ristretto ambito del con-esserci (il con-esserci umano) che qui va
preso ora in considerazione per intendere il fenomeno giuridico nel
suo significato esistenziale» 32.
Al di là di una quantificazione meramente formalistica e originata da un’analisi eteronoma della giuridicità, il fenomeno diritto
rintraccia il proprio «nascimento» 33 nel «garantire l’essere-sestesso d’ogni individuo nell’ambito cooperativo dell’esser-insieme
(il Selbstsein nell’ambito del Mitdasein): è questo – continua Cotta
fica, Bologna, 1962, vol. I, p. 3) sul «tradimento dell’essenza stessa dell’uomo compiuto dal principio moderno dell’immanenza». H. ARENDT (Che
cos’è la filosofia dell’esistenza?, cit., p. 52), del resto, rileva come «la filosofia moderna più originale cerca in vari modi di rassegnarsi al fatto che l’uomo
non è il creatore del mondo. A tal fine essa cerca sempre più nella direzione
indicata dalle sue migliori tendenze: porre l’uomo (…) nella posizione di ‘Signore dell’essere’». Dal punto di vista della riflessione sul diritto è anche necessario ricordare – ponendo la differenziazione tra principi della modernità
ed esiti della modernità – il contributo in termini di chiarificazione della genesi giuridica fornito dalla riflessione dell’età moderna; principi e genesi che
– come messo in questione nello studio introduttivo di M. VOGLIOTTI (a cura
di), Il tramonto della modernità giuridica, Torino, 2008 – proprio il superamento dell’umanesimo moderno vuole sostituire con nuove forme di legalità.
In tal senso si comprende bene quanto Arendt (op. cit., p. 53) rileva che la
filosofia moderna comincia con il riconoscimento che il che cosa non è mai in
grado di spiegare il che, comincia con il terribile choc di una realtà vuota in
sé. (…) tutto l’irrazionalismo moderno, tutta la moderna ostilità verso lo spirito e la ragione hanno le loro basi in tale disperazione [dovuta alla presa di
consapevolezza che] «il pensiero puro, non più in grado di ‘spiegare la contingenza e la realtà effettiva delle cose’».
31
S. COTTA, Il diritto nell’esistenza, cit., p. 290.
32
Ivi, p. 67.
33
L’espressione appartiene a S. SATTA, Norma, diritto giurisdizione, in
Quaderni del diritto e del processo civile, vol. II, Padova, 1969, p. 12.
I. Il diritto tra finito e infinito
25
– il suo senso esistenziale che ne rivendica l’appartenenza a ciò che
caratterizza la vita reale d’ogni individuo umano» 34.
A questo punto, però, bisogna completare il quadro sin qui tracciato rilevando che il diritto può davvero essere inteso come iscritto nell’esistenza (così informato dall’alterità e non dall’estraneità),
in quanto non si limita a essere semplice «misura»-misurata-misurante 35 ma ne è anche condizione 36; c’è da approfondire allora
maggiormente tale nesso percorrendo a ritroso il cammino che dal
giuridico (diritto) conduce all’esistenziale (uomo), questa volta sull’altro versante del sinolo. Quanto sin qui discusso, infatti, ha potuto solo annunziare la possibile differenziazione tra uomo e nonumano, tra diritto e violenza, accadere e azione, estraneità ed alterità, ma per argomentarne la reale qualificazione ontologica e veritativa è necessario richiamare l’infinità esistenziale.
A ben vedere, infatti, se ci si fermasse alla finitezza, questa identificherebbe l’essere-finito che appartiene ad ogni ente (-forma
formata) cosale o animale 37; in questo caso l’essere-finito indica la
compiutezza dell’ente. Il diritto, in specie e correlativamente, non
sarebbe ‘autenticamente’ (§ 1) presente sin dal momento iniziale
dell’uomo ma – ancora una volta – «di per sé il diritto stabilirebbe
un ordine che, essendo eteronomo, non sarebbe in grado di tener
conto della sostanza (ossia della personalità e dell’intenzione degli
agenti) bensì solo della forma esteriore del loro esserci e agire: un
ordine formalistico e estrinseco» 38.
Con e a partire da Cotta, è infatti possibile osservare come l’uomo non è solamente ‘incompiuto, particolare, contingente’, i caratteri che – come si è rilevato – dicono la «finitezza dell’essereuomo» 39, ma è anche colui che ‘avverte’ – scrive Cotta – tale fini34
S. COTTA, Il diritto nell’esistenza, cit., p. 80.
Cfr. S. COTTA, Perché la violenza?, cit., p. 75 ss.
36
S. COTTA, Soggetto umano Soggetto giuridico, cit., p. 111 (si legge:
«dove c’è l’uomo c’è il diritto. L’individuo ne reca in sé la necessità»).
37
Sulla differenziazione tra uomo ed enti non umani cfr. B. ROMANO, Il
giurista è uno zoologo metropolitano?, cit., p. 117 ss.; ed ancora Sistemi biologici e giustizia, Torino, 2009, p. 51 ss.
38
Ivi, p. 42. Quanto al formalismo, anche per una differenziazione con il
positivismo, si rinvia alla trattazione svolta da A. NEGRI, Alle origini del formalismo giuridico, Padova, 1962.
39
S. COTTA, Il diritto nell’esistenza, cit., p. 72.
35
26
Profili di filosofia del diritto
tezza «come mancanza del proprio essere, come difettività di questo» 40. La mancanza qui non è fattuale assenza 41 ma «tratto che
segna la differenza radicale (…) [è] la prima caratteristica ontologica dell’uomo» 42; caratteristica dell’infinito – come si dirà tra
breve – come possibilità 43.
La duplice apertura alla quale l’uomo (e solo l’uomo) è esposto,
l’apertura del sinolo (al finito ed all’infinito), si avverte teoreticamente osservando che «se l’uomo è cosciente della propria indigenza, ciò significa che si pone al di là della finitezza, ha la capacità di trascenderla, ossia si colloca nella prospettiva dell’infinito».
Una prima considerazione fondamentale è dunque, con Cotta, da
trarre rispetto alla condizione esistenziale dell’uomo finito nel senso che la finitezza è una finitezza qualificata dall’infinità. Da qui
nasce, a partire da Cotta, una seconda considerazione: l’infinità
non è semplice indefinitezza; si legge: «solo nel confronto con
questo [l’infinito] e non con l’indefinito che è nozione previa e
neutrale rispetto a quella di finito e infinito, tra loro opposte – il
finito è avvertibile come indigente» 44.
È a partire da questa differenziazione, proposta ed evidenziata
teoreticamente nella portata giuridica da Cotta, tra indefinito e infinito che pare possibile articolare (filosoficamente e giuridicamente 45 in modo non ideologico 46 una prima differenziazione tra
estraneità ed alterità, nonché le altre, già nominate (violenza e diritto, accadere e azione), che a questa si ritengono collegate.
40
Ivi, p. 73.
Riprendendo una tesi centrale di Heidegger: la mancanza non è ‘povertà
(di mondo)’; cfr. M. HEIDEGGER, Concetti fondamentali della metafisica, Milano, 1999, p. 250 ss.
42
S. COTTA, Il diritto nell’esistenza, cit., p. 73, corsivo mio.
43
Sulla kierkegaardiana possibilità cfr. B. ROMANO, Diritto ed assoggettamento, Roma, 1990, p. 11 ss.; S. COTTA, Il diritto nell’esistenza, cit., p. 91.
44
Idem. Sul punto è di primo interesse – e verrà successivamente ripreso –
il nesso con la riflessione su finitezza ed incompiutezza dell’individuo svolta
da P. PIOVANI, Normatività e società, cit., p. 18 ss.
45
Sulle ragioni filosofiche e giuridiche che stanno alla base del porsi della
stessa filosofia del diritto cfr. B. ROMANO, Filosofia del diritto, cit., p. 10 ss.
46
Sulla critica all’ideologia nel senso qui impiegato cfr. L. PAREYSON,
Verità e interpretazione, cit., p. 93 ss.
41
I. Il diritto tra finito e infinito
27
L’indefinito non è l’infinito così come l’estraneità non è l’alterità.
L’«estraneo» – seguendo solo in parte Waldenfels che ne ha approfondito fenomenologicamente l’indagine – «è qualcosa che si
mostra nella misura in cui si sottrae» 47, è esprimibile nei termini
del topos, il non-luogo («l’estraneo non è pensabile senza una certa
forma dell’‘altrove’» 48 che è possibile individuare sempre e soltanto «occasionalmente»; si legge infatti: «Diversamente dall’ontologico altro (Ïteron, aliud), che si contrappone al medesimo (taôtán, idem) e scaturisce da un gesto di delimitazione reciproca,
l’estraneo, che si contrappone al sé (ipse) e a ciò che gli è proprio,
nasce da un processo di inclusione e di esclusione. Questo processo
non si gioca fra due termini, ma fra due topoi. Il ‘dentro’, ossia la
sfera del proprio, in opposizione al ‘fuori’, ossia alla sfera
dell’estraneo, può essere determinato solo occasionalmente, cioè
dal luogo che volta per volta occupa colui che parla o che agisce;
per questo motivo esso si contrappone a un ordine universale» 49. In
tal modo qualificata, l’estraneità è l’indefinito sottrarsi che è tale,
e rimane tale, ‘nella misura in cui’ non è, non solo perché non appartiene al proprio (inteso nel senso dei grandi generi 50, ma soprattutto perché è ciò che sottraendosi non si dà, è – si può osservare
tornando a Cotta – «semplice esserci-accanto, nella separatezza» 51
di ciò che rimane (di volta in volta) estraneo in quanto indefinito.
L’estraneità si manifesta quale condizione contingente e fattuale
(occasionale) dell’indefinitezza.
Diversamente, l’infinito «è una capacità reale dell’essere dell’essente (…) fonte di possibilità e della dinamicità dialettica dell’esistenza» 52; così inizia a profilarsi come l’alterità è l’infinita
47
B. WALDENFELS, Estraneazione della modernità, cit., p. 89; ne discutono F.G. MENGA, La «passione» della risposta, in Aut-Aut, 2003, n. 316-317,
pp. 209-237 e A. ARGIROFFI, Responsabilità, diritto, morale e postmoderno,
in A. ARGIROFFI-L. AVITABILE, Responsabilità, rischio, diritto e postmoderno, Torino, 2008, p. 62 ss.
48
B. WALDENFELS, Fenomenologia dell’estraneità, Napoli, 2002, p. 217.
49
Idem.
50
Sui grandi generi del Medesimo e dell’Altro cfr. P. RICOEUR, Sé come
un altro, cit., p. 431 ss.; E. LÉVINAS, Totalità e infinito, cit., p. 31 ss.
51
S. COTTA, Giustificazione e obbligatorietà delle norme, cit., p. 149.
52
Ivi, p. 148.
28
Profili di filosofia del diritto
possibilità; è l’‘esserci-insieme’ tra ciò che è e ciò che infinitamente può essere, presentandosi come condizione della possibilità.
L’alterità si manifesta quale condizione esistenziale e «controfattuale» 53 della finitudine.
Questa rapida differenziazione attiene al diritto nella misura in
cui nell’estraneità il giuridico è elemento secondario ed eteronomo
(contingente e fattuale) mentre nell’alterità è condizione originaria
dell’esistenza (storico e ‘controfattuale’) 54.
A questo punto c’è da chiedersi se l’alternativa sia tra ‘visioni
del mondo’ (le Weltanschauung di Dilthey e Jaspers) o se – riprendendo l’iniziale intento dal quale si è preso avvio (§1) – non si possa parlare ‘veritativamente’ 55 di autenticità ed inautenticità; più
specificatamente se l’estraneità sia una visione (‘misconoscente’) 56
53
Si impiega il lessico e si assume il pensiero di B. ROMANO (Filosofia
del diritto, cit., p. 171) secondo cui «la controfattualità, fenomenologicamente
differenziante il diritto, è temporalmente ec-statica, incide nel presente verso
il futuro, ma ha la sua ragione di essere nel non lasciare affermare il presente
così come si forma nell’assolutezza fattuale di ogni puntistico momento, secondo la mutevolezza del sentire dei singoli o delle combinatorie fattuali».
54
Cfr. B. ROMANO, Scienza giuridica senza giurista: il nichilismo ‘perfetto’, cit. (si legge in particolare, pp. 314, 46-47: «L’assolutezza della momentaneità scorre nello stato di innocenza; la durata qualifica la condizione
del rispondere-di-a (…) la libertà non è un fatto ‘innocente’, senza l’unitàdifferenza delle dimensioni temporali – passato, presente, futuro –, non si
svuota nel ‘declino nichilistico del senso’; è l’esercizio della responsabilità
che memora il passato e, nel presente, progetta il futuro del mondo condiviso e disciplinato dall’ortonomia del diritto dell’uomo, che conferisce
senso esistenziale all’incidere delle norme giuridiche nelle relazioni tra gli
uomini».
55
Nel senso di L. PAREYSON, Verità e interpretazione, cit., p. 53. Scrive
emblematicamente F.M. SCIACCA (L’interiorità oggettiva, Palermo, 2003, p.
18, secondo corsivo mio): «Io credo che ogni pensatore abbia il dovere
d’inserire la sua meditazione nel momento storico in cui egli vive. (…) c’è il
filosofare perenne come verità. ‘Scoperta’ non ‘sviluppo’: la filosofia come
‘sviluppo’ della verità è dell’idealismo storicista, che in definitiva la nega perché in partenza annulla ogni vero. La filosofia come ‘scoperta’ della verità è
di un altro idealismo, di quello oggettivo che non fa nascere quest’ultima dallo sviluppo del pensiero, ma fa nascere lo sviluppo del pensiero dalla verità,
come tale superstorica: non c’è storia della verità, ma dell’umana scoperta di
essa».
56
Cfr. S. COTTA, Il diritto nell’esistenza, cit., p. 91.
I. Il diritto tra finito e infinito
29
inautentica dell’uomo e del diritto e se l’alterità sia (riconoscente)
una ‘più autentica’ 57 condizione giuridica dell’esistenza.
Pensando l’estraneità quale ‘semplice essere accanto, nella separatezza’ tra ciò che è (il singolo uomo) e ciò che, estraneo, rimane indefinito, il ‘ciò che è’ si monadizza, assolutizzandosi. È quanto accade all’uomo nel momento in cui afferma la propria libertà
identificando sé quale ‘unico’ 58, separato da quanto non gli corrisponde (indefinita estraneità), e, in quanto unico, titolare di una
«pura volontà» 59, espressione di un «puro egoismo» 60. Come scrive Cotta, «il soggetto nella sua unità incentrica, nella sua esistenza
e volontà particolari, ritenute autosufficienti e autofondante» 61 è
colui per il quale si deve rilevare che «le volontà pure non dialogano né s’accordano: si minacciano e s’impongono. Il loro rapporto è
quello tra un forte e un debole volere» 62.
L’assolutizzazione del puro egoismo conduce all’«estraneità
dell’altro» 63 ed alla affermazione del ‘soggetto puro’ 64, con la
conseguente riduzione del diritto all’impiego autoritario della
violenza: «la legge dovrebbe così sancire la supremazia del sestesso sul rapporto (e sulla responsabilità) sociale e interpersonale» 65.
Ad essere misconosciuti sono non soltanto il diritto, in fondo
57
Si nomina l’autenticità nel senso di G. MARCEL (Présence et Immortalité, Paris, 1959, pp. 23, 20): «il pensiero filosofico più autentico mi sembra
situarsi alla giuntura del sé e dell’altro» e si legge poco prima (ivi, p. 20):
«un’autentica filosofia dell’essere non è una filosofia della cosa (…) e non è
(…) una filosofia dello statico: (…) l’essere (…) trascende l’opposizione dello statico e del dinamico».
58
Cfr. M. STIRNER, L’unico e la sua proprietà, Milano, 1990.
59
S. COTTA, Perché la violenza?, cit., p. 119.
60
Ivi, p. 128.
61
Ivi, p. 117.
62
Ivi, p. 119.
63
S. COTTA, Perché la violenza?, cit., p. 132.
64
Con riferimento a Husserl, tratta criticamente dell’«io puro» portando
evidenziando le conseguenze coerenti della volontà pura come egoismo assolutistico B. ROMANO, Due studi su forma e purezza del diritto, Torino, 2008,
p. 81 ss.
65
S. COTTA, Perché la violenza?, cit., p. 126.
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