La respirazione cellulare (seconda parte) LA LEZIONE Introduzione Terza fase: catena di trasporto degli elettroni e fosforilazione ossidativa Il ciclo di Krebs è seguito da un processo che ha come risultato finale la sintesi di ATP a partire da ADP e fosfato inorganico. In estrema sintesi, tale processo utilizza come materiale di partenza i cofattori NADH e il FADH2 prodotti durante il ciclo di Krebs, i quali fungono da donatori di elettroni lungo un percorso che termina con l’ossigeno molecolare e che consiste in una catena formata da molecole che trasportano gli elettroni. In questo modo, si crea un flusso di elettroni e parte dell'energia liberata è recuperata per sintetizzare molecole di ATP, attraverso la fosforilazione ossidativa. I cofattori, tornati allo stato ossidato, possono poi rientrare nel ciclo di Krebs. È bene sottolineare che il ciclo non usa ossigeno, utilizzato invece nella fosforilazione ossidativa. I protagonisti Nella membrana mitocondriale interna, schematizzata in fig.1, è localizzato un insieme di proteine con funzione enzimatica che formano la catena di trasporto degli elettroni, detta anche catena respiratoria. Tali proteine costituiscono quattro complessi integrati nella membrana: ■ complesso I, noto anche come NADH-CoQ reduttasi o coenzima Q reduttasi o NADH deidrogenasi; ■ complesso II, noto anche come succinato-CoQ reduttasi; ■ complesso III, noto anche come citocromo c reduttasi o CoQ-citocromo c reduttasi; ■ complesso IV, noto anche come citocromo ossidasi o citocromo c ossidasi. Sono inoltre presenti due complessi enzimatici relativamente mobili (il coenzima Q, o ubichinone, e il citocromo c) e altri enzimi, come glicerofosfato deidrogenasi, ETF (Electron-transferring flavoprotein) deidrogenasi ecc., che cedono elettroni direttamente al coenzima Q. fig.1 Rappresentazione schematica del mitocondrio con i principali processi biochimici alla base della respirazione cellulare La NADH deidrogenasi (fig.2) e la succinato-CoQ reduttasi (fig.3) hanno una natura lipoproteica, sono costituite da numerose subunità e contengono, rispettivamente, i cofattori FMN (flavinmononucleotide) e FAD. Si tratta di cofattori molto simili, impegnati nell'ossidazione del NADH. Nei due complessi enzimatici sono presenti inoltre proteine Fe-S (gruppi prostetici o cluster) che, grazie all'ossidazione del ferro, permettono il trasferimento di elettroni all'ubichinone. fig.2 Modello tridimensionale del complesso I; fig.3 Modello tridimensionale del complesso II nel batterio Escherichia coli Per quanto riguarda i citocromi, ne esistono diversi tipi. Nella catena di trasporto degli animali superiori sono presenti i citocromi a, a3, b, c, c1, che sono differenziati in base allo specifico spettro di assorbimento della luce visibile. Il sistema redox dei citocromi è il gruppo eme, contenente uno ione ferro, che può passare da uno stato ferroso, ridotto (Fe2+), a uno ferrico, ossidato (Fe3+), e viceversa. La citocromo c reduttasi (fig.4) è un complesso proteico contenente più citocromi, di tipo b e c1, oltre a proteine Fe-S. fig.4 Modello del complesso III Invece, la citocromo c ossidasi (fig.5) è formata dai citocromi a e a3, oltre a proteine Cu-S. Il citocromo c (fig.6), al contrario dei precedenti, non è parte della membrana interna, bensì in posizione periferica; inoltre è di piccole dimensioni e soprattutto è mobile, ossia può passare da una parte all'altra della membrana. Questa proprietà gli permette di costituire un ponte tra i complessi III e IV, poiché è in grado di trasferire elettroni dall'uno all'altro. fig.5 Modello del complesso IV; fig.6 Modello del citocromo c, con il gruppo eme in posizione centrale Infine, il coenzima Q (fig. 7) è un benzochinone liposolubile dotato di una lunga catena isoprenoide. Ha piccole dimensioni e può facilmente muoversi attraverso la membrana interna. Trasferisce elettroni tra i complessi I e II e nella forma ridotta prende il nome di ubichinolo. fig.7 Le diverse forme del coenzima Q durante il trasporto degli elettroni: in A, la forma ossidata; in B, la forma semichinonica; in C, la forma ridotta Oltre che nel trasporto degli elettroni, i complessi I, III e IV funzionano anche come pompe protoniche, perché con la loro attività permettono la formazione di un gradiente di protoni a livello della membrana interna del mitocondrio, necessario alla formazione di ATP. Tutti i costituenti della catena respiratoria si presentano in una disposizione estremamente ordinata, tale che essi si susseguono in funzione dell’aumento del proprio potenziale di ossidoriduzione (−320 mV il potenziale del NADH, +820 mV il potenziale dell’O2, con una differenza totale di 1.140 mV). In tal modo, si viene a creare una catena di trasporto degli elettroni nella quale ogni costituente è fisicamente posto tra il suo riducente (che lo precede) e il suo ossidante (che lo segue), permettendo un flusso di elettroni dal substrato (NADH o FADH 2) all’accettore finale degli elettroni stessi (O2). Dal momento che gli elettroni sono trasportati da uno stato energetico più alto a uno più basso si ha una diminuzione di energia libera pari a 52,6 kcal. È bene sottolineare che, in condizioni fisiologiche, l’ossidazione dei substrati e la fosforilazione dell'ADP sono accoppiate; infatti, i protoni generati dall’ossidazione del NADH (o del FADH2) si accumulano tra la matrice racchiusa dalla membrana mitocondriale interna e la matrice esterna alla membrana, creando, come già detto, una differenza di concentrazione di ioni H+ (e quindi un potenziale di membrana). La presenza di questo potenziale di membrana permette la sintesi dell’ATP a opera di un sistema enzimatico complesso denominato ATP sintetasi (o complesso V; fig. 8). fig.8 Modello del funzionamento dell'ATP sintetasi Si tratta di una proteina di membrana costituita da due subunità: F 0 e F1. La subunità F0 è un polipeptide che attraversa la membrana del mitocondrio (negli Eucarioti) o della cellula (nei Procarioti) e costituisce un canale ionico per il passaggio di H +, dal momento che la membrana interna del mitocondrio è impermeabile ai protoni; F 0 è formata a sua volta da una subunità a, due b e 14 c, queste ultime organizzate a corona. Invece F1 consiste di tre subunità α e tre β, accoppiate tra loro a formare dimeri intorno alla subunità γ, collegata alla porzione F0; sono anche presenti subunità δ ed ε. Il passaggio di protoni attraverso il canale ionico costituito dalle subunità c determina la rotazione della subunità γ che, a sua volta, causa un cambiamento conformazionale dei dimeri, esponendo il sito che lega ADP e Pi e permettendo la sintesi di ATP. Tappe della catena di trasporto degli elettroni Nella prima tappa della catena respiratoria il NADH è ossidato con la liberazione di due elettroni e la riduzione di FMN a FMNH2, che a sua volta si riossida e passa due elettroni al gruppo prostetico (costituito da quattro centri Fe-S) del complesso I. Da qui, gli elettroni si trasferiscono da Fe 2+ (che diviene Fe3+) al coenzima Q, che è ridotto a QH2 (ubichinolo). L'energia liberata nel corso di questa tappa serve per trasportare quattro protoni fuori dalla matrice mitocondriale interna; inoltre, per ogni NADH sono mobilitati due elettroni. Esiste anche una via alternativa di ossidazione, nella quale, al posto dell'FMNH2, è utilizzato il FADH2, successivamente ossidato dal gruppo prostetico come sopra. L'enzima catalizzante la reazione di questa via è il complesso II. In questo caso, non c'è trasporto di protoni. Nella seconda tappa (nota anche come ciclo Q), il QH2 riduce a Fe2+ il Fe3+ contenuto nel citocromo b, che a sua volta torna allo stato ossidato riducendo il Fe 3+ presente nel citocromo c1; questo trasmette la sua capacità riducente al ferro contenuto nel citocromo c. Il sistema enzimatico che catalizza questa tappa è il complesso III. Durante la catena di reazioni nello spazio intermembrana del mitocondrio sono rilasciati quattro protoni. Nella terza e ultima tappa, il Fe 2+ nel citocromo c si ossida riducendo il Fe3+ del citocromo a, che a sua volta riduce il Fe3+ del citocromo a3, che a sua volta riduce a Cu+ il Cu2+ presente nel complesso IV. Infine, il rame ridotto reagisce con l'ossigeno molecolare, riducendolo a H 2O e utilizzando due H+ per ogni atomo di ossigeno. Nello spazio intermembrana del mitocondrio sono trasferiti due protoni. Tirando le somme, al termine del processo nello spazio intermembrana sono stati espulsi dieci protoni ogni due elettroni trasferiti all'ossigeno. Poiché la membrana del mitocondrio è impermeabile ai protoni, questi escono dalla matrice attraverso i complessi I, III e IV. Tale trasferimento genera il gradiente di concentrazione protonica tra i due lati della membrana interna. Fosforilazione ossidativa I protoni possono rientrare nella matrice racchiusa dalla membrana mitocondriale interna solo grazie ai canali ionici costituiti dal complesso V. Secondo la teoria chemiosmotica, ormai definitivamente accettata, è proprio questo flusso di protoni generato dall’ossidazione dei substrati ad agire da attivatore del sito catalitico del complesso V, che così può catalizzare la sintesi di ATP a partire da ADP e P i. Si tratta quindi di un processo endoergonico in cui l'energia elettrochimica è trasformata nell'energia chimica necessaria alla fosforilazione dell'ADP, con la sintesi di una molecola di ATP ogni quattro protoni. Una conferma indiretta della correttezza di tale ipotesi è data dai cosiddetti agenti disaccoppianti della fosforilazione (per es., il 2,4dinitrofenolo), i quali inducono la fuoriuscita dalla membrana mitocondriale interna degli ioni H+ prodotti dalla catena respiratoria, impedendo quindi la produzione di ATP. In loro presenza, l’energia libera rilasciata dal trasporto degli elettroni viene dispersa sotto forma di calore. La regolazione della fosforilazione ossidativa è basata soprattutto sulle esigenze energetiche della cellula. Infatti, quando aumenta la quantità di lavoro che questa deve svolgere (ossia cresce l'utilizzazione dell'ATP e quindi diminuisce la sua concentrazione cellulare), aumenta la velocità della catena di trasporto degli elettroni e della fosforilazione ossidativa; avviene il contrario quando la cellula è in stato di riposo (situazione in cui diminuisce la necessità di energia). Bilancio finale del processo respiratorio Al termine del processo di ossidazione completa in aerobiosi di una mole di glucosio a CO2 e H2O, sono prodotte 32 moli di ATP, 28 delle quali generate dalla fosforilazione ossidativa. Infatti, partendo dalla glicolisi aerobica, la resa energetica è: glucosio + 2 NAD+ + 2 ADP → 2 acido piruvico + 2 NADH + 2 ATP Il processo di decarbossilazione ossidativa produce 2 acido piruvico + 2 NAD+ → 2 acetilCoA + 2 NADH + 2 CO2 Nel ciclo di Krebs, l'acetilCoA è demolito ad anidride carbonica e la resa finale è: 2 acetilCoA + 2 ADP + 6 NAD+ + 2 FAD → 4 CO2 + 2 ATP + 6 NADH + 2 FADH2 In totale, si ricavano dieci NADH, due FADH2 e quattro ATP. Quando i coenzimi cedono il proprio potere riducente, si ha il rilascio di dieci ioni H + per ogni molecola di NADH e sei H+ per ogni molecola di FADH2. Poiché la sintesi di una molecola di ATP richiede l'entrata nella matrice mitocondriale di quattro protoni, e poiché l’ossidazione di una molecola di NADH produce circa 2,5 molecole di ATP, mentre quella del FADH2 ne produce circa 1,5, si avrà una resa finale di 10 NADH + 2 FADH2 + 6 O2 + 28 ADP → 10 NAD+ +2 FAD + 6 H2O + 28 ATP Per quanto riguarda le molecole di ATP, 25 derivano dal NADH e 3 dal FADH 2. Al termine del processo di ossidazione completa in aerobiosi di una mole di glucosio a CO2 e H2O, sono quindi prodotte 32 molecole di ATP, 28 delle quali generate dalla fosforilazione ossidativa. Questo imponente risultato rende chiaro che, in termini energetici, la respirazione cellulare è un processo molto più efficiente della glicolisi. Respirazione cellulare nelle piante: Caratteristiche generali Nelle piante, il processo della respirazione cellulare è fondamentalmente simile a quello che avviene negli animali superiori. Per una rapida rassegna al riguardo, si può vedere questo video . Inoltre, anche nelle piante si ha produzione di calore, ma in quantità molto meno elevata che negli animali superiori, tanto più che gran parte del calore prodotto si disperde rapidamente attraverso la grande superficie delle lamine fogliari; tuttavia, in certi casi si può constatare un aumento notevole della temperatura (termogenesi). In generale, una pianta superiore verde emette nell’atmosfera, in 24 ore, da 5 a 10 volte il proprio volume di CO2, equivalente a 1/5-1/3 della quantità di CO2 che essa ha fissato per fotosintesi durante la giornata. Respirazione cellulare nelle piante: Ciclo dell'acido gliossilico Molte piante e batteri hanno la capacità di utilizzare acidi grassi o acido acetico come unica fonte di carbonio, soprattutto per produrre carboidrati. Questo è possibile grazie a un processo (assente nella maggior parte dei viventi) simile al ciclo di Krebs e che è noto come ciclo dell'acido gliossilico o del gliossilato. Nelle piante, i primi due passaggi di tale ciclo avvengono in organelli cellulari specializzati chiamati gliossisomi, appartenenti al gruppo dei perossisomi. Come nel ciclo di Krebs, l'acetilCoA, derivante dalla β-ossidazione degli acidi grassi, insieme all'acido ossalacetico porta alla formazione di acido citrico e acido isocitrico. Successivamente, quest'ultimo composto è scisso in acido succinico e acido gliossilico, in una reazione catalizzata dall'isocitrico liasi. L'acido succinico entra nei mitocondri e imbocca il ciclo di Krebs, per essere trasformato in acido malico che, passato nel citosol, è convertito in acido ossalacetico, intermedio della gluconeogenesi. Invece l'acido gliossilico si combina con acetilCoA per produrre acido malico secondo una reazione catalizzata dalla malico sintetasi. Questo acido malico fomerà poi acido ossalacetico, garantendo la continuità del ciclo di Krebs. Si sottolinea che, negli organismi incapaci di svolgere il ciclo dell'acido gliossilico, sono assenti i suoi enzimi chiave, ossia l'isocitrico liasi e la malico sintetasi. Il risultato netto del ciclo del gliossalato è il seguente: 2 acetilCoA + NAD+ + H2O → acido succinico + 2 CoA + NADH + H+ Respirazione cellulare nelle piante: Fotorespirazione Le piante, soprattutto quelle C3, sono dotate di un processo stimolato dalla luce chiamato fotorespirazione, grazie al quale una parte del carbonio organicato ottenuto attraverso la fotosintesi viene immediatamente ossidata ed eliminata in forma di anidride carbonica. La fotorespirazione è legata in modo particolare alle proprietà dell'enzima ribulosiodifosfato carbossilasi (o RuDP carbossilasi o Rubisco), la cui attività è di fondamentale importanza nei processi fotosintetici di fissazione del carbonio. Nel ciclo di Calvin il Rubisco interagisce con l'anidride carbonica, catalizzando la trasformazione del ribulosio 1-5-difosfato in due molecole di acido 3-fosfoglicerico. L'enzima è però in grado di interagire anche con l'ossigeno, comportandosi come un'ossidasi e determinando la sintesi di acido 3-fosfoglicerico e acido 2-fosfoglicolico. Quest'ultimo composto non entra nel ciclo di Calvin, ma viene ossidato a CO 2 e acido 3-fosfoglicerico (che continuerà il ciclo). Questo doppio aspetto del Rubisco è dovuto al fatto che la sua attività è modulata dalla concentrazione delle molecole dei due diversi gas, in una sorta di competizione: quando la pressione cellulare di O 2 è molto elevata, il Rubisco lo trasforma in CO2, che rappresenta una modo per eliminare l'ossigeno in eccesso, abbassandone la concentrazione in prossimità dei cloroplasti e forse proteggendoli da processi fotossidativi; quando è elevata la pressione cellulare di CO2, l'enzima fissa il carbonio nel processo fotosintetico. Le proprietà del Rubisco sono responsabili del cosiddetto effetto Warburg (ovvero l’inibizione della fotosintesi da parte di concentrazioni crescenti di O 2), noto sin dall’inizio del XX secolo. Il ciclo fotorespiratorio è comunque molto complesso e si completa nelle cellule delle foglie, principalmente C3, interessando tre diversi comparti: i cloroplasti, i perossisomi e i mitocondri. Bibliografia Berg J., Tymoczko J. L. e Stryer L. "Biochimica", 2008, Zanichelli, Bologna Garrett R. H., Grisham C. M. "Principi di biochimica", 2004, Ed. Piccin, Padova Nelson D. L. e Cox M. M., "Principi di biochimica di Lehninger", 2006, Zanichelli, Bologna Voet D., Voet J. G. e Pratt C. W., "Fondamenti di biochimica", 2001, Zanichelli, Bologna