Steinsaltz: “Il Talmud? È l`elettrocardiogramma della religione ebraica”

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LA STAMPA
SABATO 2 APRILE 2016
cogente da divenire preoccupante. Se
«crisi» indica una situazione che imbocca una direzione incontrovertibile, verso il peggio o verso il meglio, verrebbe
da dire che l’Europa è già oltre la crisi e
si trova in un’agonia inarrestabile. Ma
dalle lucide pagine della Spinelli emergono dei bagliori di speranza, perché
l’opinionista ora parlamentare europea
è capace di riandare con ostinata franchezza ai principi fondanti il progetto
europeo: non un sogno utopico, ma la
ferrea pragmatica volontà di una generazione che aveva patito sulla propria
carne il disastro delle sovranità nazionali gettatesi le une contro le altre in
una lotta mortifera paradossalmente
«senza confini».
Barbara
Spinelli
«La sovranità
assente»
Einaudi
pp. 78+XVI
10
Il ricondurre la riflessione al Manifesto
di Ventotene non è un tributo dell’autrice
al padre che ne fu uno degli autori, tanto
meno nostalgia di una stagione irripetibile, ma l’amara costatazione che solo un ritorno agli ideali di federazione europea e
di welfare diffuso possono trarre i cittadini europei, e quanti ad essi guardano ancora con fiducia e speranza, fuori dalle sabbie mobili di un’economia – meglio sarebbe dire una finanza – che come «pilota automatico» procede, prescindendo da qualsiasi scelta democraticamente espressa,
attraverso «la tempesta niente affatto paradisiaca che ci si ostina a chiamare progresso». Solo rinunciando a una sovranità
nazionale – che nei settori decisivi sovrana non è più da tempo – i «popoli sovrani»
V
.
potranno riprendere in mano le loro vite e
scongiurare il trionfo delle paure che dipingono tutti «gli altri» come nemici.
La sapienti e inascoltate pagine della
Spinelli restano ancora oggi un pressante
appello a un rinsavimento collettivo, una
difesa di «un’Europa pesante», con regole
radicalmente nuove capaci di stimolare e
organizzare la politica e la discussione
democratica. Non sono in gioco la vittoria
di un’ideologia o di un’altra, il prevalere di
un modello economico o di un’identità nazionale a scapito delle altre, ma i valori di
giustizia, libertà e solidarietà che pensavamo di non dover più vedere minacciati
dopo le tragiche carneficine della «guerra dei trent’anni» del XX secolo.
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ELENA LOEWENTHAL
Q
uesta non è un’intervista. Avrebbe
dovuto esserlo, ma
con rav Adin Steinsaltz, il più grande
talmudista dei nostri giorni
che martedì sarà in Italia per
la presentazione del primo volume della traduzione italiana
del Talmud (che reca la sua
introduzione), è andata diversamente. Il suo primo nome
significa in ebraico «delicato»
e la sua voce è proprio così, un
suono sottile eppure profondo
carico di età e conoscenza. Però dopo la prima domanda
non è arrivata una risposta
ma un fiume in piena di parole, il privilegio di una lezione
talmudica capace di aprire
l’orecchio che ascolta in un
modo tutto speciale che va
dritto al cuore e alla testa. È
vero che l’ebraismo non ha
l’estetica nelle sue fibre. Riserva alla bellezza una quasi
indifferenza. Ma no, non è così. Ascoltando rav Steinsaltz
parlare di Talmud ci si confronta prima di tutto con la
bellezza delle parole, con la
capacità delle parole di costruire capolavori di immagini, suggestioni, ricordi, speranze, nostalgie, sogni.
Rav Steinsaltz, che cos’è il Talmud?
«Che cos’è il Talmud? (Nella più classica tradizione
ebraica, il più grande talmudista dei nostri tempi risponde
a una domanda con una domanda. Ma per fortuna non si
ferma qui). Il Talmud è sostegno dell’ebraismo, della cultura ebraica. Non è il fondamento, perché quello è la Torah,
cioè la Bibbia. Non è la destinazione finale, perché quello è
il mondo a venire. È, come si
direbbe in ebraico, la amud
hatawwek – la colonna portante. Quella che sta in mezzo
e sostiene tutto. (Non a caso,
amud significa anche “pagina”). Vede, io vivo con il Talmud. Amo il Talmud. So che è
fonte di vita per il popolo
ebraico. Colonna portante. Un
po’ come in quella immagine
della parola “Emet” che in
ebraico significa “verità” ed è
composta da tre consonanti,
la prima che è la alef, l’ultima
che è la taw e in centro la mem
che è a metà dell’alfabeto. Come a dirci che la parola “verità” contiene tutto.
«Talmud
Babilonese»
(a cura di
Riccardo
Di Segni e
Clelia Piperno)
Giuntina
pp. 416, 40
La presentazione
martedì a Roma
GIL COHEN MAGEN/REUTERS
IL MAGGIOR STUDIOSO DEL TESTO SACRO ARRIVA IN ITALIA
Steinsaltz: “Il Talmud?
È l’elettrocardiogramma
della religione ebraica”
“L’abbiamo letto e ci siamo vissuti insieme per millenni:
è un ponte tra noi umani e il senso del mondo, crea equilibrio
tra il particolare della legge e l’universale della mistica”
stro Mosè sino a Mao Tse
Tung… Ebbene queste due cose il mondo le ha già ricevute.
La terza deve ancora riceverla, ed è il Talmud. Che è l’equilibrio fra le prime due. L’asse
portante che sostiene quella
mobile dinamica che
«Questa traduzione in italiano corre fra l’osservanza della legge, cioè la
è molto importante perché
halakhah, e la mistiriporta il testo alle sue origini» ca, cioè la metafisica, quel porsi le doVede, il popolo ebraico ha mande universali sul senso
inventato tre cose. All’epoca del mondo e di noi. In mezzo
biblica del Primo Tempio ha c’è il Talmud, cioè lo studio.
inventato il monoteismo. La L’interrogazione. Se lei apre
Torah e la profezia hanno por- una pagina di questo testo,
tato al mondo la fede nel Dio che cosa trova? Trova dei diaunico, che è arrivata ovunque. loghi vivi. La gente che parla
La seconda cosa che l’ebrai- nel Talmud è viva: la vediamo
smo ha inventato è la gheul- davanti agli occhi. Ma la parolah. L’idea di redenzione, di ri- la viva vola via. Eppure il Talscatto. La fede nella possibili- mud è un testo scritto. Questo
tà che il mondo cambi radical- è il suo paradosso. Non è l’unimente. Anche questa idea è co: c’è nel Talmud un equiliarrivata ovunque. Voglio dire brio molto ardito fra il generache sì, c’è una linea di conti- le e il particolare. Si parte da
nuità che va dal nostro mae- una questione estremamente
VkVSIyMjVm9sb0Vhc3lSZWFkZXJfQ2FtZXJhIyMjbWlzdG8uY29tcCMjI1Jpc3VsdGF0aSBSaWNlcmNhIyMjMDItMDQtMjAxNiMjIzIwMTYtMDQtMDNUMTQ6MTE6NTRaIyMjVkVS
Adin Steinsaltz
è nato a
Gerusalemme
nel 1937.
Nel 1965
ha fondato l’Israel
Institute
for Talmudic
Publications,
cominciando
la traduzione
del testo sacro
in diverse lingue,
tra cui ebraico,
francese,
spagnolo e russo
specifica e in un brevissimo
spazio di testo si arriva a qualcosa di universale. Il Talmud è
fatto di libere associazioni,
non di rado vertiginose. E poi
la sua lingua. È la lingua del
pensiero ebraico, che ti racconta non solo il “cosa” ma anche il “come” si pensa, una
specie di codice mentale oltre
che espressivo. È una lingua
molto originale. Matematica
ma al tempo stesso poetica,
anche se le due cose paiono
contraddittorie».
Colonna portante ma anche
testo dinamico, mobile. Come spiegare questa doppia
natura?
«L’immagine che mi viene
in mente è quella dell’elettrocardiogramma. Il Talmud è
come l’elettrocardiogramma
dell’ebraismo, fatto di onde, di
continue oscillazioni. Ma sostiene tutto. Crea equilibrio
fra il particolare della legge e
l’universale della mistica. C’è
una parola inglese che secon-
do me definisce questa vocazione tutta speciale del Talmud: sanity. Lucidità? Forse
in italiano non c’è, una parola
così. Per secoli e millenni gli
ebrei l’hanno studiato, ci hanno vissuto insieme. Il Talmud
ha tenuto insieme l’identità, si
è trasmesso di generazione in
generazione. Badi bene, è un
testo difficile e profondo, ma
senza di esso non si compren-
«È fatto di dialoghi, interpretazioni
libere associazioni vertiginose:
è matematica, ma anche poesia»
de l’ebraismo, e l’ebraismo non
comprende se stesso. La cultura ebraica si costruisce nello studio. Nell’interrogazione
che va alla radice. Alla fonte:
meqor haiim, “fonte di vita”».
Che cosa pensa di questa prima
traduzione in italiano? C’è
qualcosa che vuol dire a coloro
che in questa lingua si avvicineranno al Talmud?
Il Talmud è l’opera
fondamentale della religione
ebraica. Raccoglie le
discussioni degli studiosi
intorno alla Legge Orale e si
articola in due livelli: la
Mishnah che raccoglie il
sapere dei maestri più
antichi, e la Ghemara che è
un commento alla Mishnah.
La prima è scritta in
ebraico, la seconda in
aramaico. Il Talmud
Babilonese, conclusosi nel V
secolo nelle accademie della
Mesopotamia e successivo di
circa un secolo a quello di
Gerusalemme, è il più
ampio: 5422 pagine e 36
trattati. La sua traduzione,
affidata a 50 studiosi e
realizzata nell’ambito di un
progetto diretto dal rabbino
Riccardo Di Segni e dalla
professoressa Clelia
Piperno, si è avvalsa del
software «Traduco», un
complesso sistema
informatico messo a punto
dall’Istituto di Linguistica
computazionale del Cnr. Il
primo volume, in libreria a
partire da martedì, sarà
presentato lo stesso giorno
all’Accademia dei Lincei di
Roma e la prima copia sarà
donata al Presidente della
Repubblica.
«Questa traduzione italiana è molto importante perché
riporta il testo alle sue origini.
L’ebraismo italiano è stato
nella tarda antichità il ponte
fra la Terra d’Israele e l’Europa. L’Italia è stata la prima
tappa dell’esilio. E ha una lunga e gloriosa storia di studi
talmudici, di testi nati dal Talmud. È, come si direbbe in
ebraico, una “fonte di acqua
viva” della cultura ebraica.
L’ebraismo italiano ha saputo
nei secoli conservare e tramandare il Talmud anche
quando ne era vietata la trasmissione. Malgrado i suoi
scarsi numeri, l’ebraismo italiano è stato grande centro di
produzione culturale. A incominciare dallo Shulchan
Arukh, “Tavola Apparecchiata”: il testo che dà ordine al
materiale normativo talmudico. Quindi questa traduzione
in italiano è un ritorno a casa,
per il Talmud».
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