Globalizzazione, miliardari, multinazionali e consumo etico Nel “libro che le multinazionali non ti farebbero mai leggere” si possono trovare alcuni dei più sporchi segreti dei miliardari (www.newtoncompton.com, 2009). L’autore è il giornalista austriaco Klaus Werner-Lobo (www.klauswerner.com), che si dichiara radicale e schierato dalla parte dei più deboli. Il libro è nato dopo numerose conferenze sulla globalizzazione e sulle politiche dei grandi marchi e dei gruppi multinazionali che trattano le risorse mondiali come una proprietà personale. In alcuni casi il tono e gli esempi sono discutibili, ma in buona parte è un libro che fa riflettere perché “attacca le multinazionali nel loro punto più debole: la loro reputazione” (“Spiegel”). Quando vengono contestate a livello mediatico “le aziende ci rimettono milioni, perché molti consumatori, in seguito a tali notizie, preferiscono acquistare i loro prodotti altrove”. Il giornalista ha affermato: “nel 2001 siamo riusciti a dimostrare chequasi tutte le grandi marche conosciute traggono profitti dallo sfruttamento, dal traffico di armi, dal lavoro minorile, dal maltrattamento di animali e dalla distruzione dell’ambiente. Le aziende sapevano che le nostre accuse rispondevano a verità: infatti nessun gruppo ci ha fatto causa” (p. 76). Nel passato erano i re e gli imperatori che consideravano i paesi e le persone come una loro proprietà personale e decidevano i destini di intere popolazioni. Dunque il denaro sta schiavizzando sempre di più il mondo: “partiti e politici dipendono dai capi dell’economia e dai multimilionari. Necessitano di contributi per le campagne elettorali, hanno bisogno del sostegno dei media, i quali a loro volta dipendono dal denaro di ricchi investitori e gruppi internazionali, e per finire sono relativamente facili da ricattare, per esempio quando si tratta di creare o cancellare posti di lavoro” (p. 17). Del resto la finanza è un sistema creato dai grandi miliardari delle grandi banche e dei fondi di investimento: è “un gioco nel quale colui che possiede di più detta le regole. E gli altri devono pagare” (p. 19). Si può scommettere su tutto e il cibo diventa una merce su cui si può speculare allegramente indebitando i Paesi più poveri a spese dei più poveri. Così può succedere che “un quarto delle superfici coltivate in Brasile è destinato a produrre foraggio per i Paesi dell’Unione Europea”: quindi in un certo senso “i bovini dei ricchi mangiano il pane dei poveri” (p. 91). Bisogna poi considerare che queste mega-aziende hanno bilanci stratosferici: “Molte multinazionali sono economicamente più forti di interi paesi. La catena americana di supermercati Wal-Mart e il gruppo petrolifero ExxonMobil hanno già superato Austria e Polonia (p. 34). Le multinazionali pagano meno tasse e contributi rispetto alle piccole e medie imprese. Inoltre secondo Christoph Leitl, presidente dell’Unione Europea degli imprenditori, “negli ultimi anni le piccole e medie imprese con meno di cinquecento dipendenti hanno creato 5 milioni di nuovi posti di lavoro, mentre le aziende con più di cinquecento dipendenti hanno tagliato 5 milioni di posti” (www.sme-union.org). In quanto cittadini europei “il problema è che il “governo” europeo – la Commissione europea – fondamentalmente… non viene votata dalla popolazione dei Paesi dell’Unione Europea, ma nominata dal presidente della Commissione. A sua volta questi viene scelto dai capi di Stato e di governo dei singoli paesi membri. L’influenza delle lobby economiche sulla Commissione è enorme e ha ancora più peso, dato che la Commissione europea ha ampi poteri legislativi ed esecutivi. Inoltre ai parlamentari europei l’aiuto di organi di rappresentanza risulta molto gradito, poiché la quantità di lavoro è tanta e sono numerosi i progetti di legge da deliberare. Un gran numero di leggi europee, quindi, viene quasi copiato parola per parola dalle proposte formulate per i politici dai rappresentanti delle multinazionali” (p. 40). Anche i soldi che le multinazionali investono in fondazioni umanitarie sono in realtà un modo per limitare gli esborsi in tasse e spesso solo il 5 per cento dei soldi di una fondazione “viene speso realmente tutti gli anni per progetti di pubblica utilità, somma che corrisponde agli interessi del capitale” (p. 15). E purtroppo le multinazionali preferiscono spendere i loro soldi in costose pubblicità per decantare la loro presunta responsabilità sociale, “invece di pagare salari equi e migliorare le condizioni nei Paesi di produzione. E per noi diventa sempre più difficile stigmatizzare questa penosa situazione, perché molti consumatori e media credono alle bugie” (Jeff Ballinger, p. 79). Ad esempio la costruzione delle centrali nucleari fa arricchire multinazionali e banche e fa indebitare a vita gli sfortunati cittadini e così si può spiegare meglio anche il battage pubblicitario “sull’innocua CO2” e la deviazione dell’attenzione dalle vere fonti di grandi inquinamenti (p. 48). Perciò abbiamo bisogno di nuovi sistemi di relazione e di comunicazione e “dobbiamo tenere presente che spesso le informazioni celano interessi economici e di potere. Per questo è importante informarsi da più fonti. Se poi discutiamo con altri e ci scambiamo le idee non siamo più alla mercé della pubblicità e dei partiti populistici e ci creiamo una nostra opinione” (p. 42). In conclusione la migliore arma che possiamo utilizzare è il portafoglio: dobbiamo imparare a votare con il denaro scegliendo i prodotti e i servizi di piccole e medie imprese che danno lavoro principalmente nel nostro paese o nel nostro continente, non per nazionalismo, ma perché possiamo controllare meglio i prodotti e chi produce. E non pensate che come singoli non valete nulla e non potete essere influenti: prima o poi l’unione farà la forza e come disse Gandhi, “all’inizio ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono e poi hai vinto”. Per avere maggiori informazioni sui movimenti occulti delle multinazionali e sulla libertà di parola:www.sourcewatch.org, http://irrepressible.info, www.businesshumanrights.org, www.nlcnet.org,www.corpwatch.com, www.multinationalmonitor.org, www.corpora tewatch.org.