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Programma di sala a cura di Marina Grasso
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Per la trentottesima volta, Asolo Musica realizza gli “Incontri Asolani”.
Anche quest’anno la manifestazione si è potuta realizzare grazie ad altri felici
incontri, quelli con i generosi sostenitori privati che supportano il Festival, in
questo lungo periodo nel quale vengono sempre più a mancare risorse pubbliche a
sostegno della cultura.
Incontri musicali, ma anche di generi artistici e culturali, abbattendo le tradizionali
suddivisioni.
Il Festival si aprirà con l’incontro tra due dei più autorevoli pianisti internazionali,
Ramin Bahrami e Danilo Rea, e la somma arte di J.S. Bach.
Proseguirà poi con l’incontro con David Riondino e la letteratura sul cibo, che
diventa anche un dialogo con la musica nuova composta da Giovanni Seneca.
Ospiteremo un inconsueto omaggio alle romanze di Paolo Tosti nel centenario della
morte, con il pianoforte “classico” di Nazzareno Carusi, la voce “pop” di Valentina
Cortesi e l’armonica “jazz” di Max De Aloe, in una serata al termine della quale
potremo forse togliere le “virgolette” dalle qualifiche di genere.
Ritornerà al festival anche Bruno Giuranna, nuovamente a San Gottardo per
incontrare giovani e talentuosi artisti. Con lui ci sarà, infatti, il Quartetto Lyskamm,
giovane formazione italiana ospite dei più importanti festival internazionali.
Ma non è tutto. Quest’anno gli Incontri Asolani si arricchiscono di un inedito
Incontro Veneziano, all’Auditorium “Lo Squero” della Fondazione Giorgio Cini
sull’Isola di San Giorgio Maggiore, dove Asolo Musica e il Quartetto di Venezia
stanno proponendo l’esecuzione integrale dei Quartetti di Beethoven.
Ai cento orizzonti asolani aggiungiamo, quindi, l’incantevole visione del bacino di
San Marco, sontuosa scenografia oltre la parete vetrata del nuovo Auditorium.
Buoni Incontri.
Maurizio Jacobi
Presidente di Asolo Musica
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p. 09 LUNEDÌ 5 SETTEMBRE ...IN BACH?
Ramin Bahrami & Danilo Rea, pianoforti
Musiche di Johann Sebastian Bach
p. 15 VENERDÌ 9 SETTEMBRE
CIBUS
David Riondino, voce
Giovanni Seneca, chitarra
Fabio Battistelli, clarinetti
Divagazioni Letterarie Conviviali
p. 19 LUNEDÌ 12 SETTEMBRE ROMANZE ITALIANE
Valentina Cortesi, voce
Max De Aloe, armonica cromatica
Nazzareno Carusi, pianoforte
Musiche di Paolo Tosti nel centenario della morte
su testi di Gabriele D’Annunzio
p. 25 SABATO 17 SETTEMBRE
Auditorium “Lo Squero” - Fondazione Giorgio Cini
Venezia, Isola di San Giorgio Maggiore
INCONTRO VENEZIANO
Quartetto di Venezia
Andrea Vio, violino
Alberto Battiston, violino
Giancarlo Di Vacri, viola
Angelo Zanin, violoncello
Musiche di Ludwig van Beethoven
p. 31 DOMENICA 18 SETTEMBRE
INCONTRO ASOLANO
Quartetto Lyskamm
Cecilia Ziano, violino
Clara Franziska Chötensack, violino
Francesca Piccioni, viola
Giorgio Casati, violoncello
Bruno Giuranna, viola
Musiche di Robert Schumann e Johannes Brahms
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Lunedì 5 settembre 2016 - ore 20,45
...IN BACH?
Ramin Bahrami & Danilo Rea, pianoforti
Johann Sebastian Bach (1685 - 1750) Sarabanda in Sol minore, BWV 839
Fuga in La minore, BWV 897/2
Preludio e fuga sul nome Bach, BWV 898
Aria sulla quarta corda
Aria dalla Suite per orchestra n. 3, BWV 1068
Fantasia in Sol minore, BWV 920
Preludio in Si minore arrangiamento di Alexander Siloti
dal Preludio in Mi minore, BWV 855
Allegro, III tempo dal Concerto per clavicembalo e archi
in Re maggiore, BWV 1054
Fuga in Mi minore, BWV 945
Fuga in Mi minore (frammento), BWV 960
Preludio dalla prima Partita, BWV 825
Aria e I variazione dalle Variazioni Goldberg, BWV 988
Preludio n.1 in Do maggiore
da Il clavicembalo ben temperato, BWV 846
Invenzione a due voci n.1 in Do maggiore, BWV 772
Allegro, I tempo dal Concerto per clavicembalo e archi
in Re minore, BWV 1052
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… In Bach?
Uno di fronte all’altro, due pianoforti. Due pianisti, due scuole, due “generi”.
Da una parte Ramin Bahrami, tra i più noti e apprezzati interpreti del repertorio di Johann Sebastian Bach, sul quale ha lavorato nel corso degli ultimi anni dando vita a una vasta produzione
discografica. Al Kantor di Lipsia, Bahrami ha dedicato anche un libro (“Come Bach mi ha salvato
la vita”), in cui il pianista iraniano racconta la sua infanzia e poi gli anni durissimi arrivati con
l’ascesa al potere dell’ayatollah Khomeyni e con la guerra tra Iran e Iraq. L’arma per sconfiggere
la paura, è stata per lui la musica di Bach. Ascoltando la quale, in special modo quella eseguita da
un leggendario interprete del Kantor come Glenn Gould, il giovane Ramin decise che quello era
il suo scopo nella vita.
All’altro pianoforte c’è Danilo Rea, affermatosi sulla scena musicale internazionale con un suo
stile personale, maturato attraverso la carriera come jazzista e oculate scelte musicali, audaci
quanto originali.
Bach l’ha frequentato molto anche lui, soprattutto durante i suoi studi al conservatorio di Santa
Cecilia, durante i quali ha incontrato il jazz e il rock musicalmente più colto degli anni Settanta.
Avvinto dal mondo di possibilità e di libertà che l’improvvisazione offre, si è sempre misurato
con un repertorio che non conosce limiti di genere. Spaziando dai Beatles alle arie d’opera, dagli
standard jazz alle canzoni d’autore, la sua musica dimostra un eclettismo e una versatilità che
fanno del jazz un linguaggio applicabile a qualunque tipo di brano senza limiti di sorta. Anche alla
musica di Bach, appunto.
Un concerto dedicato alla produzione per tastiera meno conosciuta del compositore tedesco
le cui opere occupano una posizione di assoluto rilievo nella storia della musica, sia per il loro
valore intrinseco che per il ruolo storico dell’intera produzione. Un dialogo “tra generi” che annulla il concetto di “generi”, e rende più accessibile il mistico mondo bachiano anche alle nuove
generazioni.
Un recital, oltretutto, che vuole dare nuova linfa e vitalità a un repertorio di dubbia attribuzione.
“Negli anni successivi alla sua scomparsa, della musica bachiana si persero quasi completamente
le tracce - spiega Ramin Bahrami. Ecco perché i brani che entrano a far parte di questo progetto
sono stati per lungo tempo oggetto di studi filologici da parte del Bach Archiv di Lipsia (che li
possiede tutt’ora), ma la complessità polifonica non lascia più dubbi sull’attribuzione di questi
brani a Bach. Brani meno eseguiti di tante altre opere, ma ricchi di spiritualità. Considerando
l’estetica, la struttura e lo spirito, non possono non essere che del genio tedesco”.
Senza questa riscoperta, queste splendide pagine rimarrebbero sugli scaffali polverosi degli archivi. “Abbiamo il dovere morale di restituire questi tesori all’umanità e liberarli dalla vincolante
prassi esecutiva che ne ha fatto dei brani incompresi e dimenticati svuotandoli della loro originalità” racconta il pianista iraniano. Le incertezze cronologiche non fanno che rendere più affascinante la costruzione di percorsi di scoperta e ascolto sempre nuovi, dai molti possibili profili. E
la musica di Bach si pone nuovamente come un monumento aperto, dialogante.
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Bach: moderno comun denominatore
intervista a Danilo Rea
Che cosa ci prepariamo ad ascoltare, Maestro Rea?
Sono un improvvisatore, quindi non so dirlo! A parte la facile battuta, veritierà, però, poiché
ogni concerto è diverso, ogni volta diventiamo registri ed interpreti di una nuova sceneggiatura
sonora sui testi, immensi e ricchissimi, di Bach. Di certo ascolterete uno dei più grandi pianisti
del mondo, che ha consacrato la sua vita artistica all’opera di Bach, dialogare con un pianista jazz
che ha studiato tanto Bach fin da giovanissimo, durante gli studi in Conservatorio, ma che contemporaneamente ha scoperto la libertà dell’improvvisazione, e non ha più potuto farne a meno.
Anche Bach, però, era uno straordinario improvvisatore…
Certo! Come lo sono sempre stati tutti i grandi musicisti. Oggi per noi il musicista è soprattutto
interprete, ma la capacità di improvvisare di Bach, Mozart, Liszt e tanti altri è addirittura leggendaria. Ma, appunto, è rimasta leggenda perché non trascritta e, ovviamente, non registrata.
La differenza tra una composizione “scritta” ed una improvvisazione sta proprio nel momento in
cui nascono: la prima mediata dalla scrittura e da tutta la sua ponderatezza, mentre la seconda
è proprio quel che il compositore estemporaneo, l’improvvisatore, riesce ad esprimere in quel
dato momento. Ed è questo il dialogo che Ramin ed io affrontiamo da un anno, sia nei festival
jazz sia nei teatri più tradizionali, davanti quindi ad ascoltatori molto diversi tra loro esponendo,
credo, soprattutto la modernità dell’opera di Bach.
Lei non è nuovo a questa “contaminazioni” tra jazz e musica classica, anche come solista con orchestre sinfoniche. Inoltre, aveva già duettato, qualche tempo fa, con un grande pianista classico come Bruno Canino a
Napoli. E’ solo una sorta di retaggio di studi accademici oppure una scelta ben precisa?
“E’ soprattutto un vero atto d’amore per la musica. Un amore passato dai piano solo dedicati alle
grandi arie liriche ai concerti per piano ed orchestra, aggiungendo l’improvvisazione a ciò che i
grandi compositori avevano scritto. Un sogno di libertà interpretativa che trova coronamento in
questo duo dedicato all’arte del grande Bach, fonte inesauribile di ispirazione per la musica che
è stata e di quella che sarà”.
Com’è nato questo duo che sembra oramai consolidato?
“Ramin ed io continuiamo, ben inteso, a suonare distintamente in altri progetti e contesti, ma
qualche tempo fa un suo grande ammiratore mi propose di incontrarlo per ipotizzare un concerto da fare insieme. Concerto che, va detto, poi non si fece. Ma dopo quel ghiotto piatto di pasta
all’Amatriciana che ha caratterizzato il nostro primo incontro (perché anche a tavola ci capiamo
bene...), “...in Bach” era praticamente già nato”.
E questo programma che alterna brani semisconosciuti, lungamente - anzi - ritenuti apocrifi, e pagine notissime come lo avete ideato?
“Quando si va a «toccare un Mostro sacro» come Bach bisogna sempre fare attenzione. All’inizio
abbiamo proprio pensato che improvvisare su pagine meno note, ma così fortemente bachiane
come quelle suggerite da Ramin tra quelle «dimenticate», non ci avrebbe fatto sentire dei violatori di partiture. Ma poi, forti anche dell’approccio sempre filologico e accademico di Ramin stesso
con le opere su cui abbiamo cominciato a lavorare, abbiamo pensato fosse anche opportuno inserire nel programma pagine facilmente riconoscibili anche dal pubblico meno avvezzo all’ascolto
di Bach, proprio per evidenziare la differenza tra i brani originali e quelli sui quali improvviso”.
Se avete “contagiato” l’opera di Bach forse vi siete contagiati anche un po’ tra di voi?
“Beh, devo ammettere che spesso Ramin mi sorprende con qualche sua invenzione, così come
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avverto che questa esperienza influenza anche tutta l’altra musica che suono, perché Bach è Bach,
e non si può restare insensibili alla sua grandezza e alla sua lezione, ancora così moderne”.
...Che, detto da un pianista jazz…
“Già. Penso che la grandezza di Bach sia anche questa: saper essere nello stesso tempo gigantesco
e fruibile, comprensibile e complesso. Unico, insomma. Per ogni persona sensibile alla musica, al
di sopra dei generi e al di là della preparazione specifica di ciascuno”.
Poiché “.. in Bach” cambia ogni sera e quindi certo non vi annoia, ci si può aspettare da voi anche qualche
altro progetto?
“Anzitutto penso sia giunto il momento di realizzare un CD, e a breve lo metteremo in cantiere
anche perché ci sono giunte numerose richieste. E poi, chissà… Il dialogo è iniziato. Ci diverte,
ci appassiona e probabilmente ci porterà a intenderci e a confrontarvi anche su altri temi o su altri
fronti. Con un denominatore comune come Bach, tutto è possibile”.
Gli Interpreti
“Ramin Bahrami scompone la musica di Bach e la ricompone in modi che risentono di un modello, Glenn Gould,
senza veramente assomigliare al modello. Io gli ho insegnato a sopportare il morso, ma non l’ho domato; e spero che
continui ad essere com’è”
Piero Rattalino.
Ramin Bahrami
È considerato uno tra i più importanti interpreti bachiani viventi a livello internazionale. Dopo l’esecuzione dei Concerti di J.S. Bach a Lipsia nel 2009 con la Gewandhausorchester diretta da Riccardo Chailly, la critica tedesca lo considererà: “un mago del suono, un poeta della tastiera; artista straordinario che
ha il coraggio di affrontare Bach su una via veramente personale”(Leipziger Volkszeitung).
La ricerca interpretativa del pianista iraniano è attualmente rivolta alla monumentale produzione tastieristica di Johann Sebastian Bach, che Bahrami affronta con il rispetto e la sensibilità cosmopolita della
quale è intrisa la sua cultura e la sua formazione. Le influenze tedesche, russe, turche e naturalmente
persiane che hanno caratterizzato la sua infanzia, gli permettono di accostarsi alla musica di Bach esaltandone il senso di universalità che la caratterizza.
Bahrami si è esibito in importanti festival pianistici tra cui “La Roque d’Anthéron”, Festival di Uzés,
il Festival “Piano aux Jacobins” di Toulose, il Tallin Baroque Music Festival in Estonia e il Beijing Piano
Festival in Cina, Festival di Brescia e Bergamo, Ravello Festival ed in prestigiose sedi italiane come La
Scala di Milano, la Fenice di Venezia, l’Accademia di Santa Cecilia a Roma ecc…
Nato a Teheran si diploma con Piero Rattalino al Conservatorio “G. Verdi” di Milano,approfondisce gli
studi all’Accademia Pianistica di Imola e con Wolfgang Bloser alla Hochschule für Musik di Stoccarda.
Si perfeziona con Alexis Weissenberg, Charles Rosen, András Schiff, Robert Levin e in particolare con
Rosalyn Tureck.
Ramin Bahrami incide esclusivamente per Decca-Universal, i sui CD sono dei best seller e riscuotono
sempre molto successo di pubblico e di critica tanto da indurre il Corriere della Sera a dedicargli una
collana apposita per 13 settimane consecutive.
Ramin Bahrami ha scritto due libri per la Mondadori e il terzo edito Bompiani dal titolo “Nonno Bach”
Recentemente ha avuto il privilegio di inaugurare la stagione di musica da camera di Santa Cecilia a
Roma e al Beethoven Festival di Varsavia in collaborazione con il flautista Massimo Mercelli, con cui ha
registrato le sonate per flauto e piano per Decca.
Reduce da un concerto trionfale nella sala grande dell’Accademia Liszt a Budapest e alla Tonhalle di
Zurigo, recentemente si è esibito con Yuri Bashmet e I Solisti di Mosca, ha avuto anche il privilegio di
suonare in una gala di beneficenza con la clarinettista Sabine Meyer, clarinettista preferita di Karajan.
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Ha inciso l’Offerta Musicale di J.S. Bach con le prime parti di Santa Cecilia
E’ stato insignito del premio Mozart Box per l’appassionata e coinvolgente opera di divulgazione della
musica, bachiana e non solo, inoltre è stato insignito del Premio “Città di Piacenza–Giuseppe
Verdi” dedicato ai grandi protagonisti della scena musicale, riconoscimento assegnato prima di lui a
Riccardo Muti, Josè Cura, Leo Nucci e Pier Luigi Pizzi.
“Per me è stato sempre assolutamente naturale ascoltare e improvvisare, “impadronirmi” di un brano, reinterpretarlo
e farlo mio”.
Danilo Rea
Danilo Rea
Nasce a Vicenza nel 1957 e si trasferisce a Roma da piccolo, consegue il diploma di pianoforte al Conservatorio di Santa Cecilia, debuttando nel 1975 nella musica jazz con Enzo Pietropaoli e Roberto Gatto,
formando il Trio di Roma. Contemporaneamente al jazz sviluppa particolare interesse per la musica progressive e partecipa alla formazione del gruppo New Perigeo, di cui è leader e fondatore il contrabbassista
Giovanni Tommaso. Il New Perigeo affrontò una lunga tournée (settantadue concerti in settanta giorni)
insieme a Rino Gaetano e a Riccardo Cocciante, di cui rimane testimonianza registrata l’album intitolato
Q Concert.
Si fa strada nell’ambiente jazzistico sino a suonare con alcuni tra i più grandi solisti statunitensi, come Chet
Baker, Lee Konitz, John Scofield, Joe Lovano, Art Farmer. Nel 1989 partecipa al lavoro di Roberto De
Simone, Requiem per Pier Paolo Pasolini, rappresentato al teatro San Carlo di Napoli per la direzione di
Zoltan Pesko; nello stesso anno pubblica assieme a Roberto Gatto il disco Improvvisi. Nel 1997 dà vita, con
il contrabbassista Enzo Pietropaoli e il batterista Fabrizio Sferra ai Doctor 3, un trio che da un decennio
calca i più importanti palcoscenici del jazz italiani.
Il suo disco The Tales of Doctor 3 viene premiato miglior disco di jazz italiano nel 1998, mentre il lavoro
successivo The songs remain the same vince il titolo di miglior disco jazz di Musica&Dischi nel 1999. In Italia sono numerose le sue collaborazioni nell’ambito del pop, come pianista di fiducia di artisti quali Mina,
Claudio Baglioni, Pino Daniele e come collaboratore occasionale, tra gli altri, di Domenico Modugno,
Fiorella Mannoia, Riccardo Cocciante, Renato Zero, Gianni Morandi e Adriano Celentano.
Nel 2006 prende parte al Concerto per l’Europa, sull’isola di Ventotene, che lo vede protagonista assieme a
Baglioni, Nicola Piovani e Luis Bacalov. Nella stagione 2007-2008 partecipa allo spettacolo Uomini in frac
insieme ad altri musicisti come Peppe Servillo, Fausto Mesolella, Mimì Ciaramella degli Avion Travel, Fabrizio Bosso, Furio Di Castri, Javier Girotto, Gianluca Petrella e Cristiano Calcagnile. Lo spettacolo è stato
allestito per festeggiare i cinquant’anni di Nel blu dipinto di blu e per l’occasione il gruppo esegue alcune
canzoni di Domenico Modugno. Le sue improvvisazioni, che spaziano su qualsiasi repertorio, sono apprezzate durante i concerti che tiene nelle tournée per il mondo e durante i principali festival jazz. Nel 2009
è uno dei 70 artisti ospiti del doppio cd di Baglioni, Q.P.G.A., dove Rea suona il pianoforte nella canzone
“Centocelle”. Nel 2010 crea le musiche per lo spettacolo “Commedia” di e con Giorgio Barberio Corsetti.
Il 15 giugno del 2011, insieme a Paolo Damiani e Rashmi V. Bahtt, al crepuscolo, ha improvvisato un
memorabile concerto sui tetti di Roma; l’intero incasso è stato devoluto a Emergency, l’ONLUS di Gino
Strada. Nel 2012 ha accompagnato in alcune serate estive Gino Paoli, sia da solo sia col gruppo composto
da Flavio Boltro (tromba), Rosario Bonaccorso (contrabbasso) e Roberto Gatto (batteria), nell’ambito del
progetto Incontro in jazz, nato sulla scia della collaborazione all’album Milestones del 2007. Il 21 febbraio
2014 partecipa al Festival di Sanremo 2014 sempre con Paoli, cui segue una tournée primaverile.
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BELLUSSI SPUMANTI s.r.l.
Valdobbiadene (TV)
W W W. B E L L U S S I . C O M
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Venerdì 9 settembre 2016 - ore 20,45
CIBUS
Divagazioni Letterarie Conviviali
David Riondino, voce
Giovanni Seneca, chitarra
Fabio Battistelli, clarinetti
Programma musicale:
Giovanni Seneca
Mare aperto
(- 1967)
L’omino dei sogni
Per la strada
Ti guardo
Onirico
Traumfabrik
Balkan fantasy
Brina
Nel cuore la taranta
Telescopio
Approdo latino
Vacanza a Parigi
Pata blanca
Programma letterario:
Pablo Neruda
(1904 - 1973)
da Odi elementari
Ernesto Regazzoni
(1870 - 1920)
da Buchi nella sabbia
David Riondino
(- 1952)
da Lo sgurz
Giovanni Boccaccio
(1313 - 1375)
da Decamerone
Miguel de Cervantes
(1547 -1616)
da Don Chisciotte della Mancia
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Parlando di Cibus…
Da qualche anno a questa parte, con lo sviluppo della cultura enogastronomica, si è creato intorno al
banchetto, alla cena, alla degustazione, un fiorire di eventi letterari o comunque di animazioni, una
rinnovata abitudine al convivio rallegrato da letture e canti.
Nell’antichità, i banchetti erano allietati da racconti: in genere racconti brevi, solitamente satirici ed
anche qualche secolo dopo, dal Boccaccio, nel suo Decameron, ci vengono descritte scene analoghe.
Di cibo si parla molto anche nelle fiabe (case di marzapane, divoramenti di nonne), insomma, in
qualsiasi opera, letteraria o poetica, si trovano continui riferimenti al cibo, descrizioni di banchetti,
pagine su certi piatti, per non dire di odi dedicate ad agrumi, carciofi, selvaggina e quant’altro. E oltre
al celebre esempio di Neruda, con le sue odi al limone, al carciofo, alla patata, il cibo è stato “utilizzato”
dagli scrittori per similitudini e di satire, per studi o trattati semiseri di costume.
David Riondino, più volte chiamato a narrare con la sua verve questo mondo letterario poco noto
ma molto godibile, ha raccolto numerose “chicce” tra le più e le meno conosciute sul tema, come il
prontuario delle cose da non farsi a tavola scritto da Leonardo da Vinci (peraltro cuoco sopraffino e
precursore della novelle cuisine, in alcune sue ricette) o il pamphlet satirico “Una modesta proposta”
del 1729 dello scrittore irlandese Jonathan Swift, famoso per “I viaggi di Gulliver”. Il quale propone
di far ingrassare i bambini denutriti e darli da mangiare ai ricchi proprietari terrieri anglo-irlandesi,
fornendo anche dati specifici sul numero di bambini da vendere, il loro peso, il prezzo e i possibili
modi di consumazione.
Perché non è moda solo d’oggi “s-parlare” di cibo. E Riondino, in questo viaggio parallelo tra letteratura e musica attraverso il cibo senza dimenticare il buon bere, propone alcune di queste pagine
alquanto inconsuete.
Ricordando, così, che anche nella musica il cibo ha un repertorio sconfinato: tutti i compositori almeno una volta si sono ispirati al cibo. Il repertorio spazia, infatti, dalle composizioni di Mozart e Rossini
fino ai giorni nostri passando attraverso le colonne sonore dei film fino alla musica dei cantautori.
Repertorio al quale contribuisce, qui, anche Giovanni Seneca, con alcune opere composte per l’occasione, e da lui stesso interpretate alla chitarra, assieme al clarinettista Fabio Battistelli.
Gli Interpreti
“Lo guardi e ti sembra un comico per caso. Anzi neanche un comico, perché ti appare troppo colto per la sua categoria,
perché non si lascia scappare neanche una parolaccia e perché non accenna mai a quelle parti anatomiche che molti
suoi colleghi considerano indispensabili allo scatenamento dell’applauso (…) David Riondino è una forma formalizzata in acido toscano. Ed è qui il suo segreto.”
Osvaldo Guerrini – La Stampa
David Riondino
Nato a Firenze nel 1952, dal 1970 al 1980 nella Biblioteca Nazionale della città. Come cantautore,
partecipa più volte al Club Tenco. Apre nel 1979 lo storico Tour di De André e PFM. Tra i suoi successi
più noti, Maracaibo, pezzo cult dell’estate ’81, e il personaggio di Joao Mesquinho. Dal suo debutto,
oltre la musica e la scrittura poetica, esplora instancabilmente il teatro (ha lavorato con Paolo Rossi,
Giuseppe Bertolucci, Sabina Guzzanti, Sandro Lombardi, Enrico Rava, Stefano Bollani, e attualmente è
in scena con Dario Vergassola in “Riondino accompagna Vergassola ad incontrare Flaubert)“, il cinema (ha
lavorato con Marco Tullio Giordana, Gabriele Salvatores, Sabina Guzzanti, oltre a dirigere i film “Cuba
libre - Velocipedi ai tropici”) la radio (tra gli altri programmi da lui condotti, “Il Dottor Djembé”, con
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Stefano Bollani, su RaiRadio3 e “Vasco de Gama”, con Vergassola, su RaiRadio2) e la televisione (“Maurizio Costanzo Show”, “Quelli che il calcio”, “A tutto volume”, “Velisti per caso” e “Una poltrona per due”).
Verseggiatore satirico per «Tango», «Il male», «Cuore», «Comix», tra il suoi libri ricordiamoRombi
e Milonghe (Feltrinelli, 1993) e, illustrato da Milo Manara, Il trombettiere (Magazzini Salani, 2012).
Documentarista, ha girato e prodotto vari lavori sulla improvvisazione in versi a Cuba, uno per tutti
“Shakespeare in Avana”, nel 2010.
Giovanni Seneca
Chitarrista e compositore, ha realizzato produzioni in vari ambiti scrivendo e interpretando canzoni, brani solistici, cameristici e orchestrali. Ha inoltre composto musica per il cinema, il teatro e la pubblicità.
Si è esibito nelle maggiori città italiane ma anche a Parigi, New York, Philadelphia, Tel Aviv,Sarajevo e
Belgrado, Izmir, il Cairo, Istanbul, Alexandria. Propone concerti in ensemble con brani di sua composizione, ma anche in solo, in formazioni da camera e concerti per chitarra e orchestra. E’ stato ospite solista
nelle stagioni di molte orchestre tra cui: Orchestra Sinfonica della Rai di Roma, Orchestre des Concerts
Lamoreux di Parigi, Orchestre Symphonique Français di Parigi, Orchestre Philarmonique di Cannes in
costa azzurra, Orchestra Filarmonica Marchigiana di Ancona E’ docente presso l’istituto superiore di
studi musicali Pergolesi di Ancona e consulente artistico di diverse iniziative culturali. In ambito teatrale
ha scritto musiche per spettacoli con attori come Valeria Moriconi, Neri Marcorè, David Riondino e
Maddalena Crippa, Lunetta Savino.
Ennio Morricone, che ha scritto e dedicato un concerto per chitarra e orchestra a Giovanni Seneca eseguito in prima assoluta a Parigi e inciso su cd con Orchestra Nazionale dell’Accademia di Santa Cecilia di
Roma, ha così commentato la musica di Seneca: “posso onestamente dire che mi è sembrato un ascolto
piacevolissimo pieno di spirito favolistico e di originalità E’ tutto positivo e mi compiaccio sinceramente
del risultato finale”.
Fabio Battistelli
Brillantemente diplomato presso il Conservatorio di Perugia. Si propone al pubblico indifferentemente
quale solista o come membro di gruppi cameristici ed ha svolto attività concertistica in alcune fra le più
prestigiose sale da concerto del territorio nazionale ed europeo, oltre che in Sud America, Stati Uniti,
Canada e Nord Africa. Ha inciso per la Fonit-Cetra Raitrade ed ha partecipato a diverse trasmissioni
televisive e radiofoniche della RAI.
Profondo conoscitore della musica contemporanea, ha suscitato molto interesse da parte di alcuni tra i
più autorevoli Autori del nostro tempo, che hanno voluto dedicare al musicista alcune opere. Ha effettuato alcune prime esecuzioni assolute di brani scritti da importanti compositori del nostro tempo tra cui
B. Ferneyough, S. Bussotti, G. Battistelli, R. Friedl, A. Guarnieri, C. Crivelli, A. Clementi, P. Cangialosi,
F. Festa, S. Tagliett, F. Del Corno, F. Antonioni, R. Vacca, S. Bollani, C. Siliotto, F.E. Scogna, C.Carrara,
M.Dall’Ongaro.
Tiene, come docente di clarinetto, corsi dì interpretazione musicale per l’Associazione Internazionale
Musica di Roma, l’Associazione Culturale “Etruria Classica” di Piombino, Accademia Rospigliosi di Pistoia e Collegium Musicum di Latina. Attualmente insegna presso il Conservatorio di musica “ L. Cherubini”
di Firenze; inoltre è regolarmente invitato a partecipare, come membro, in commissioni di concorso
Nazionali ed Internazionali. Inoltre è impegnato in produzioni di musica e poesia e collabora stabilmente
con gli attori David Riondino, Amanda Sandrelli, Blas Roca-Rey, Lunetta Savino, Paolo Bessegato, Vanessa Gravina, Edoardo Siravo, Elio delle Storie Tese, Roberto Fabbriciani, Massimiliano Damerini e ha
collaborato con Ivana Monti. Pino Micol, Piera degli Esposti, Arnoldo Foà, Massimo Wertmuller, Nando
Gazzolo, Alessandro Haber, Paola Minaccioni, Carlo Lucarelli, Paola Gassman, Ugo Pagliai, Lucrezia
Lante della Rovere, Stefano Bollani e Toni Esposito. E’ componente del “Duo +2” quartet con Fabio e
Sandro Gemmiti e Claudio Campadello di cui è uscito da poco il primo cd. Ha pubblicato, nel 2005, il
suo primo metodo didattico “Guida allo studio del I° Lefevre” per la casa editrice Progetti Sonori.
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ROMANZE ITALIANE
Valentina Cortesi, voce
Max De Aloe, armonica cromatica
Nazzareno Carusi, pianoforte
Musiche di Paolo Tosti nel centenario della morte
su testi di Gabriele D’Annunzio
Francesco Paolo TostiVisione!
(1846 – 1916)
Vorrei
Malinconia:
Dorme la selva
Quand’io ti guardo
L’ora è tarda
Or dunque addio
Chi sei tu che mi parli
Da Amaranta:
Lasciami! Lascia ch’io respiri
L’alba sepàra dalla luca l’ombra
In van preghi
Che dici, o parola del Saggio?
La sera:
Introduzione per pianoforte
Rimanete, vi prego, rimanete qui
Ci ferirebbe, forse, come un dardo, la luce
Ma chi vide più larghi e più profondi occhi
E quale cosa eguaglia nella vita del mio spirito
Piangi, tu che hai nei grandi occhi la mia anima
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Il re italiano della romanza, baronetto alla corte britannica
Francesco Paolo Tosti è stato per oltre cinquant’anni una figura di primo piano nel mondo della musica come compositore, cantante e direttore d’orchestra. Ma il suo nome è soprattutto
legato alle sue “romanze da salotto”, che furono eseguite dai più grandi cantanti del tempo,
risuonarono non soltanto nei teatri più famosi e negli aristocratici salotti, ma anche nei piccoli
villaggi.
Al grande successo di pubblico non sempre ha risposto un eguale consenso della critica, che
ha, a volte, ingiustamente bistrattato chi diede nuova linfa alla romanza in Italia e che, con oltre
500 brani scritti in napoletano, italiano, francese e inglese, ha dato grande intensità alla musica
e alla cultura dell’epoca, conferendo spessore anche alla musica popolare e folkloristica del
“suo” Abruzzo.
Lì nacque, ad Ortona, il 9 aprile 1846,in una famiglia modesta con cinque figli, ai quali i genitori seppero comunque dedicare tutte le attenzioni necessarie all’istruzione. Francesco Paolo
dimostrò subito la sua irrequietezza e una particolare vivacità. Ma anche un incredibile talento
musicale che gli valse una borsa di studio per il Conservatorio S. Pietro a Majella di Napoli,
allora diretto da Saverio Mercadante, dove si diplomò in violino e in composizione nel 1866.
Nel 1869 partì per Ancona, dove visse facendo il maestro di musica e di canto, si trasferì poi a
Roma dove, sfruttando la sua voce tenorile, iniziò a esibirsi come cantante: grazie a quest’attività divenne una celebrità e cominciò a frequentare gli ambienti mondani della capitale. Tanto
che l’allora Principessa Margherita di Savoia lo scelse come proprio Maestro di Canto.
Destinato a succedere a Mercadante alla direzione del Conservatorio di Napoli, nel 1875 decise improvvisamente di trasferirsi a Londra, dove le sue esibizioni come tenore divennero
presto contese dai più importanti salotti londinesi e dove, nel 1880, entrò alla corte della
regina Vittoria come maestro di canto della principessa. Nei salotti londinesi conobbe anche
Berthe de Verrue, compagna discreta che sposò nel 1889 e che costituì un elemento portante
nella vita del compositore.
Tosti mantenne la sua posizione a corte anche sotto, Edoardo VII, che nel 1908 gli conferì il
titolo di baronetto e, anche se riluttante, nel 1906 accettò anche la cittadinanza britannica .
Solo nel 1912, preso dalla nostalgia e in seguito alla morte di Edoardo VII, decise di rientrare
definitivamente in Italia e di stabilirsi a Roma, in una suite dell’Hotel Excelsior dove, quattro
anni dopo, fu stroncato da un attacco di angina pectoris.
Tra “gossip” storici e leggende
Probabilmente ciò avvenne a causa del legame, molto più stretto che tra insegnante e allieva,
che lo unì alla principessa Margherita, in uno dei quei casi che oggi chiameremmo di “gossip”
più delicati della storia italiana del Novecento. Perché la presunta relazione, iniziata già durante il soggiorno di Tosti a Napoli cioè negli anni 1868-1869, non sarebbe stata senza conseguenze. Tanto che ci fu chi vide persino una spiccata somiglianza tra il compositore e Vittorio
Emanuele (nato nel novembre del 1869), soprattutto riferendosi alla bassa statura. E c’è anche
chi, riferendosi al Diario del generale Caviglia, afferma che sarebbe stata Margherita, accesa
sostenitrice del fascismo, a convincere il figlio, che il 28 ottobre del 1922 aveva dichiarato a
Roma lo stadio di assedio, a non firmare la dichiarazione, dando mano libera a Mussolini: in
caso contrario la regina madre avrebbe rivelato “fatti gravissimi della famiglia reale”. Con tutti
i “se” del caso, si sarebbe trattato, quindi, di un ricatto capace di cambiare il corso della nostra
storia.
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Ma torniamo a quel che è certo, della vita di Tosti. Che trascorse tra feste, concerti, ricevimenti nelle grandi corti europee e avventure galanti . “ Ciccio”, com’era soprannominato,
erano persona gioviale dotata di senso umoristico, piccolo di statura dagli occhi vivaci, elegante e mondano, imperterrito dongiovanni e formidabile organizzatore di feste e di scherzi,
ma soprattutto un affascinante cantore che sedusse principi e popolani. Le sue composizioni,
raffinate e orecchiabili al tempo stesso, fecero da sfondo e dettero voce a struggenti amori e
cantate nei salotti aristocratici e per le strade. “Marchiare”, ad esempio, una delle canzoni napoletane più conosciute intitolata all’antico borgo di pescatori, fu musicata da Tosti su poesia
di Salvatore Di Giacomo e, secondo la leggenda, la melodia nacque dalla rielaborazione di un
motivo che Tosti sentì intonare da un musicista ambulante con il flauto.
L’amicizia con D’Annunzio
Nel 1880 Tosti inizia l’amicizia e il sodalizio con il giovane D’Annunzio che nutrirà sempre
un’ammirazione incondizionata per il suo amico: è affascinato dalle sue melodie dalla sua personalità gioiosa ed estroversa con i suoi trionfali successi “Tutte le memorie della lontana
adolescenza mi tornano al cuore accompagnate dalle tue melodie che esaltarono i miei primi
sogni.”, scriverà il poeta. Assetato di soldi e di celebrità D’Annunzio accetta con piacere di
scrivere versi per il compositore.
A cominciare da “Visione”, cantata dai versi semplici che il Vate compose nel 1880 a Francavilla, prima di una serie di romanze su testi di D’Annunzio sconosciuti al grande pubblico - ad
eccezione della notissima “ A Vucchella” - ma di grande suggestione, piene di malinconia, di
amore e desiderio.
Sono versi insolitamente traboccanti d’amore e languore questi composti da D’Annunzio per
le dolci melodie tostiane, nati nelle notti estive nel cenacolo francavillese o nei pomeriggi passati ad ascoltare musica nel salotto di “Ciccio” a Roma D’ Annunzio così descrive gli indimenticabili momenti musicali trascorsi insieme: “Paolo Tosti, quando era in vena, faceva musica per
ore e ore senza stancarsi, obliandosi d’innanzi al pianoforte con una foga e una felicità d’inspirazioni davvero singolare. Noi eravamo distesi o sul divano o per terra, presi da quella specie
di ebrietà spirituale che dà la musica in un luogo raccolto e quieto. Ascoltavamo in silenzio a
lungo, chiudendo talora gli occhi per seguire meglio un sogno. Era una gran dolcezza per tutti
i nostri sensi. La musica ci aveva chiusi in un circolo magico”.
Il re della Romanza da camera
di Nazzareno Carusi
Quest’anno è il primo centenario della morte di Francesco Paolo Tosti, il compositore abruzzese che della Romanza da camera fu (ed è) il re. Allievo a Napoli di Saverio Mercadante,
quindi di scuola altissima, ne compose un’infinità, molte delle quali su versi di gran poeti. Uno
fra tutti, e il più importante, Gabriele D’Annunzio.
Autentiche canzoni d’autore nel senso più nobile dell’ispirazione sia poetica che musicale. E
se canzoni sono, allora perché non affidarle anche a una voce che riesca a illuminarne aspetti
inusitati (forse) per l’usuale esclusività d’esecuzione lirica? Una voce pop e jazz raffinata come
quella di Valentina Cortesi.
La conobbi tre anni fa a Ravenna, in occasione di un saggio dei suoi allievi. Cantò anche lei, e
con bravura impressionante. Mia moglie, che la conosceva, mi aveva praticamente costretto
ad andare ad ascoltarla. La invitai al nostro tavolo e le proposi di cantare, con me al piano21
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forte, il ciclo del Dichterliebe di Schumann e Heine in programma qualche mese dopo per i
Mikrokosmi al Teatro Alighieri della nostra città. “Schumann? In tedesco?” mi fece, interdetta.
“Schumann e in tedesco!”, le risposi.
L’idea le sembrò pazza, ma era la stessa di pochi anni prima con Danila Satragno qui ad Asolo,
complice felice Federico Pupo. Fatto fu che Valentina cantò quei lieder con una grazia tanto luminosa che pensare a un séguito con Tosti mi venne naturale, pur con la difficoltà in più, quasi
incredibile dictu, che certa musica vocale da camera italiana pone rispetto anche alla altissima
tedesca. Una difficoltà dettata dalla necessità d’immedesimazione in testi (per esempio molti
di quelli dannunziani di questo programma) che hanno spesso più di filosofico che di poetico
in senso stretto.
Con noi ci sarà l’armonica di Max De Aloe. Un’idea del Vecio, come chiamo da sempre il mio
sodale di scorribande musicali Pupo.
Buon ascolto.
Un jazzista in casa d’altri
di Max De Aloe
Per un musicista jazz, l’approccio con la musica cosiddetta “classica” è sempre nel segno di una
sorta di timore reverenziale. Ma anche in quello, giocoso ma rispettoso, dell’invito a trovare
all’interno dell’accademismo delle formule delle vie proprie. Non diverse o “altre”, solo proprie.
Così, questo che - lo confesso - è il mio primo rapporto diretto con la musica di Tosti, lo vivo
con grande curiosità, rispetto, responsabilità. Ma anche respirandone a fondo tutte le possibilità.
A dire il vero, in passato mi sono già confrontato con la musica “classica”, sia con quella di
Wagner, sia con le arie d’opera, che ho anche proposto qui agli Incontri Asolani, nel 2013, in
“Lirico Incanto”, con il mio quintetto. Ed è stato oltremodo divertente e arricchente.
Tornare in questo straordinario festival dove ho la sensazione d’entrare a casa d’altri - ma di
altri curiosi e aperti alle contaminazioni come me, stante l’invito! - significa nuovamente rilevare affinità e vicinanze, sorprendermi scoprendo modelli di scrittura che non sono poi così
lontani da quelli che abitualmente frequento, meravigliarmi della ricchezza del dialogo che
con quei modelli posso instaurare.
Così è stato con Nazzareno Carusi, che mi ha aperto le porte di quella “casa d’altri” senza farmi sentire un ospite ma uno “di famiglia”; così è stato con le partiture di Tosti, nelle quali ho
trovato molta somiglianza con le strutture armoniche di George Gershwin e di Cole Porter,
non a caso suoi coevi - poiché nelle tessiture delle sue romanze sono evidenti i linguaggi contemporanei alla nascita del jazz.
Quindi v’invito a fare come ho fatto io: non lasciatevi impressionare da questi tre musicisti così
diversi alle prese con un repertorio - a torto - poco frequentato. Lasciatevi, piuttosto, sedurre
dalla ricchezza di questa musica e dai percorsi che apre, che tre “scuole” diverse vi suggeriranno. E dalla ricchezza senza tempo e senza generi della bellezza di questi brani. Struggenti,
imprevedibili, accademici quanto occorre e mondani quel tanto che basta per avere ancora
tante cose da dirci e tante idee da darci.
Vi divertirete, ne sono certo. E noi di più.
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Gli Interpreti
Valentina Cortesi
Allieva di Diana Torto, ha frequentato l’Accademia di Sanremo e si è diplomata col massimo dei voti in
Musica Jazz al Conservatorio “Martini” di Bologna.
Ha duettato con Gianni Morandi e Fabrizio Bosso.
Il pianista Nazzareno Carusi ne ha intuito la versatilità e l’ha invitata a cantare, con lui stesso al pianoforte, Schumann e Tosti per alcune delle stagioni musicali italiane più importanti: l’Orchestra Verdi di
Milano, gli Incontri Asolani, l’Amiata Piano Festival, il Teatro Salieri di Legnago e i Mikrokosmi al Teatro
Alighieri di Ravenna. Nel mese di maggio 2016 il loro concerto tostiano è stato inserito dall’Istituto
Italiano di Cultura di Buenos Aires nel programma delle celebrazioni per l’Anno dell’Italia in America
Latina.
Lo storico della musica Paolo Isotta, già critico del Corriere della Sera, dopo averla ascoltata ha scritto:
“Valentina Cortesi, piccolina, cianciosella, come si dice nella lingua di Tosti e mia, occhietti vispi e intelligenti, umile e timida, artista, intonatissima, piena di comunicativa, è un talento che mostra ancora il
talento di Nazzareno Carusi quale talent scout”. Il critico del mensile Musica Luca Segalla ha notato che
“per lei il paragone con Antonella Ruggiero forse non è del tutto fuori luogo”.
Insegna Canto Pop e Jazz alla Scuola di Musica “Mikrokosmos” di Ravenna.
Max De Aloe
Tra i più attivi armonicisti jazz in Europa, annovera nel suo curriculum prestigiose collaborazioni in
sala di registrazione e/o dal vivo con musicisti del calibro di Kurt Rosenwinkel, Adam Nussbaum, Paul
Wertico, Bill Carrothers, John Helliwell dei Supertramp, Eliot Zigmund, Mike Melillo, Don Friedman,
Garrison Fewell, Dudu Manhenga, Franco Cerri, Renato Sellani, Gianni Coscia, Gianni Basso, Dado
Moroni e molti altri.
Ha all’attivo dieci album come leader e più di venti come ospite, ma anche spettacoli in solo, realizzazioni di colonne sonore per spettacoli teatrali e documentari, oltre a collaborazioni con poeti, scrittori
e registi. Tra i tanti da annoverare Lella Costa, Oliviero Beha, Paolo Nori, Alessandro Mari, Giuseppe
Conte, ecc. In ambito pop ha collaborato con Mauro Pagani e Massimo Ranieri.
Si è esibito in festival e prestigiose rassegne in diversi Paesi tra cui Germania, Francia, Danimarca, Sud
Africa, Zimbabwe, Mozambico, Madagascar, ecc.
Nel Top Jazz 2011, il referendum che il mensile Musica Jazz realizza ogni anno tra sessanta giornalisti di
jazz in Italia, Max De Aloe si è aggiudicato il secondo posto come “Musicista dell’anno” nella categoria
“Miscellanea” e primo armonicista jazz in Italia (stesso risultato ottenuto nel 2008, 2009, 2010, 2011).
Divide la sua attività professionale tra quella concertistica e quella didattica. E’ fondatore e direttore
dal 1995 del Centro Espressione Musicale di Gallarate, dove insegna tecnica d’improvvisazione jazz,
pianoforte, fisarmonica e armonica cromatica ed è stato docente dell’Accademia d’Arti e Mestieri dello
Spettacolo del Teatro alla Scala di Milano per i corsi finanziati dal fondo sociale europeo. La prestigiosa
casa editrice americana SHER MUSIC ha da poco edito il suo metodo didattico Method for Chromatic
Harmonica, con presentazione, tra i tanti, di Toots Thielemans. E’ endorser dell’azienda tedesca Hohner.
Nazzareno Carusi
Nato a Celano nel 1968, vive a Ravenna per amore.
Dopo gli studi nei Conservatori di Firenze e Mosca e alla Hochschule für Musik di Trossingen, ha avuto
una fondamentale esperienza d’arte e vita come allievo di Alexis Weissenberg che, già dopo averlo ascoltato suonare la prima volta a Nizza nel 1990, scrisse: “I suoi doni artistici e l’ampiezza del suo repertorio
mi hanno impressionato”.
Ha dato il primo concerto all’età di dieci anni e, da allora, si è esibito nei più importanti Teatri del mondo e nell’ambito dei maggiori Festival.
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Ha diviso il palcoscenico con grandi artisti quali, fra gli altri, Alessio Allegrini, Francesco Di Rosa, il Fine
Arts Quartet, Davide Formisano, Mischa Maisky, Fabrizio Meloni, Domenico Nordio e Danilo Rossi.
Nell’ottobre 2016 suonerà per la prima volta in Duo con il soprano Eleonora Buratto, con la quale è
atteso alla Wigmore Hall di Londra e al Teatro Bibiena di Mantova.
È Consigliere Artistico del Concorso Pianistico Internazionale “Ferruccio Busoni” di Bolzano.
È titolare “per chiara fama” della cattedra di Musica da Camera all’Accademia Pianistica Internazionale
“Incontri col Maestro” di Imola ed è ordinario della stessa materia al Conservatorio “A. Buzzolla” di
Adria.
La maggior parte dei suoi dischi è stata pubblicata dalla casa discografica EMI.
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Sabato 17 settembre - ore 17,00
Auditorium “Lo Squero” - Fondazione Giorgio Cini
Venezia, Isola di San Giorgio Maggiore
INCONTRO VENEZIANO
Quartetto di Venezia
Andrea Vio, violino
Alberto Battiston, violino
Giancarlo Di Vacri, viola
Angelo Zanin, violoncello
Ludwig van Beethoven Quartetto in Sol maggiore op.18 n.2
(1770 - 1827)
Allegro
Adagio cantabile
Scherzo e Trio
Allegro molto, quasi presto
Quartetto in Fa minore op.95 “Serioso”
Allegro con brio
Allegretto, ma non troppo
Allegro assai vivace ma serioso. Più Allegro
Larghetto espressivo. Allegretto agitato. Allegro
Quartetto in Do# minore op.131
Adagio ma non troppo e molto espressivo
Allegro molto vivace
Allegro moderato
Andante, ma non troppo e molto cantabile
Presto
Adagio quasi un poco andante
Allegro
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Perché un INCONTRO VENEZIANO?
Asolo Musica, in collaborazione con la Fondazione Giorgio Cini e il Quartetto di Venezia, ha
programmato l’esecuzione integrale dei quartetti di Ludwig van Beethoven in sei concerti
nel nuovo auditorium dell’Isola di San Giorgio Maggiore, ricavato grazie alla ristrutturazione
nello Squero, antica officina per la riparazione delle imbarcazioni risalente alla metà dell’Ottocento. L’intervento di recupero della struttura ha trasformato questo spazio in una moderna
concert hall con 200 posti a sedere; grazie alla sua eccezionale acustica e alla sua posizione
privilegiata che si affaccia direttamente sulla laguna.
In questo scenario di esaltante suggestione, con il bacino di San Marco oltre la vetrata sullo
sfondo, ascoltare il ciclo beethoveniano interpretato da una delle formazioni italiane più prestigiose, già più volte ospite del Festival Incontri Asolani, è un’esperienza unica, cui Asolo
Musica è entusiasta di poter invitare il suo pubblico, per un “Incontro Veneziano” in una cornice
d’incanto.
Guida all’ascolto dei Quartetti di Beethoven
di Mauro Masiero
Quartetto in Sol maggiore op. 18 n. 2
La levigatezza dei profili tematici e la loro simmetria, l’equilibrio tra le voci e la countenance galante sembrano preludere a un quartetto perfettamente classico, sapiente e bilanciato,
equilibrato e fluido, senza particolari sorprese dal punto di vista armonico e tematico: pura
forma, limpida e oggettiva. Sembra. Tutto questo può essere utile a descrivere l’Esposizione
dell’Allegro iniziale ma, quando si apre lo Sviluppo, il mondo di inchini, merletti e parrucche
incipriate salta in aria. Lo Sviluppo è annunciato da una incursione al modo minore, che inizia
a destabilizzare la serenità di fondo. I temi vengono frammentati e completamente variati,
procedimento che non si esaurisce in fase di Sviluppo, ma che continua anche nella Ripresa,
gesto haydniano che diviene regola in Beethoven. Il secondo movimento è un Lied tripartito;
la sezione A si apre con un motivo dolce del violino con fioriture vocali, su un tappeto armonico delicato e quasi in secondo piano degli altri archi. La sezione B, Allegro, segna un totale e
inaspettato cambio di dinamica e agogica, per poi tornare ad A, questa volta con uno splendido
dialogo tra violino e violoncello. Lo Scherzo è brillante e giocoso, leggero ma con sonorità e
accenti che tradiscono la mano beethoveniana, completato da un trio di carattere popolare,
di grande e lineare semplicità. Dal secondo tema dello Scherzo sorge il tema del finale travolgente ed energico, turbato di quando in quando da improvvisi arresti in cui l’esuberante
protagonista pare incupirsi.
Quartetto in Fa minore op. 95, Serioso
Occorre la violazione di una precisa volontà di Beethoven per avvicinarsi all’ascolto del secondo dei due “Quartetti Intermedi”: l’esecuzione in pubblico. Beethoven si era, infatti, sincerato
che l’editore non autorizzasse l’esecuzione concertistica dell’op. 95, riservato a una ristretta
cerchia di musicisti e intenditori. Un quartetto privato dunque ermetico, esoterico, che sembra socchiudere l’uscio dello studiolo fumoso di un Paracelso o di un Athanasius Kircher, o
dello studio gotico di Faust intento a tradurre il Nuovo Testamento (1). Il “Serioso” è, da un
certo punto di vista, musica per la mente, opera teorica e speculativa, trattatello di architettura
e scienza musicale.
Eccezionalmente breve, dura all’incirca la metà rispetto alla durata media dei Rasumovsky,
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poiché tutto in esso è concentrato, distillato all’essenza, compatto. Im Anfang war die Tat!(2)
Il gesto iniziale inconsulto e irruente esposto all’unisono e forte da tutta la compagine dà
l’impressione di un demone che Beethoven abbia voluto esorcizzare squarciando l’ingresso del
suo antro, per guardarlo negli occhi. La tonalità è rara, Fa minore, come l’Appassionata op.
57, della quale ricorre il medesimo scarto “napoletano” tra le prime due ripetizioni del gesto
iniziale. Ogni elemento tematico o di raccordo viene esposto nella sua più scarna essenzialità e
rivestirà un preciso ruolo nello Sviluppo – che, superfluo rimarcarlo, è di estrema compattezza. Beethoven agisce per rimozione anziché per accumulazione, in un procedimento scultoreo
in cui la materia assume esattezza geometrica, disadorna, levigatissima inserita in una forma
sonata asciutta, ipostatizzata. Una distanza incommensurabile separa la tonalità del primo movimento dal Re maggiore a mezza voce del secondo. Qui un nudo basso quasi di passacaglia
apre a un tema chiaroscurale e sospeso, il quale prelude a un fugato misterioso che sembra
sondare un antidiluviano stylus chromaticus il quale, dopo una breve parentesi in cui ricompare il basso iniziale, torna, delineando così una struttura chiastica: ABBA. Attacca il tempo
successivo nonostante il contrasto insanabile che li allontana come due identici poli magnetici.
L’inquietudine nera che ne pervade l’apertura è sospesa dal trio che, introdotto con l’oramai
consueto “scarto napoletano”, contraddice la tonalità in accollatura, oramai solo una prescrizione. Il Finale tocca l’apice della condensazione: tre diversi tempi in meno di cinque minuti
di musica. Gli ampi salti del Larghetto portano calore e pathos rari nell’op. 95. Esitanti, a poco
a poco si chiudono e si trasformano nel motivo di un Allegretto splendidamente cantabile che
a tratti s’irrigidisce in sezioni aspramente ritmiche. Il finale è sorprendentemente energico,
in un altrettanto sorprendente Fa maggiore che, squarciando i vapori alchemici, irradia luce
aurea.
“Lavoro di frontiera e di cerniera”(3), apre la strada per l’esplorazione dell’ultimo stile, preludendo al linguaggio espressionista avanti lettera della Grande Fuga, ma anche al viaggio verso
la luce dell’op. 131.
Quartetto in Do# minore op. 131
Torniamo alla rinserrata officina alchemica dopo la finestra aperta sulla luce che ne ha fugato
i fumi. L’apertura dell’op 131 riaddensa vapori densi di saperi misterici con la lenta fuga che,
meditabonda, accantona – o forse ingloba – la forma sonata. Nel soggetto di quattro note riecheggia lo spettro bachiano del tema della Grande Fuga, filo conduttore degli ultimi quartetti:
Sol, Si#, Do#, La.
Il soggetto cruciforme(4) e l’incedere solenne delle voci fanno pensare a un antico ricercare,
simile alla quarta fuga del Wohltemperiertes Klavier, nella medesima tonalità. Misterioso e libero nella strutturazione, trova sbocco nel secondo movimento: una breve danza al contempo
graziosa e forte, in una tonalità distantissima, collocata mezzo tono sopra, sul Re maggiore.
Ancor più breve, un istante fugace, è il tempo seguente, in cui ciascuno strumento fa sentire
la propria voce scoperta in un breve motivo e il primo violino si produce in un recitativo
che conduce al successivo Andante. Questo è il movimento più esteso dell’intero quartetto,
nonché suo centro aritmetico (il quarto di sette) e ideale. Si tratta di un tema con variazioni,
forma cui Beethoven nel tardo stile affida le sue più profonde riflessioni musicali. Abbandonato
lo sguardo severo e cogitabondo, l’alchimista sorride e schiude finalmente la finestra alla luce
del La maggiore. Piano e dolce, il tema presenta subito una caratteristica straordinaria: scorre
diviso tra i due violini, su un pedale iniziale della viola e un delicato pizzicato del violoncello.
Nella prima variazione il tema compare più stretto e frammentato in gure più minute, nella
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seconda dialogano dapprima violino e violoncello, poi quasi timidamente s’inseriscono secondo e viola, per poi giungere a un cordiale finale d’insieme. La terza variazione procede per
imitazione in un rarefatto contrappunto dialogico che va infittendosi; nella quarta del tema
non rimane quasi più nulla: è completamente liquefatto in rivoli di sedicesimi che corrono tra
i quattro archi. L’estrema rarefazione arriva con la quinta variazione, nella quale del tema non
rimangono che poche eco sparse nel tessuto polifonico; permangono tracce di dialogo, che a
loro volta scompaiono nella sesta, omoritmica e isoritmica a eccezione della seconda parte, in
cui il violoncello ricorda un frammento non del tema, ma di una sua variazione. Il finale è un
vagheggiare nella purezza più limpida e astratta del raggiunto Empireo, “somma luce che tanto
ti levi da’ concetti mortali”(5).
Una scossa ridesta dal sogno luminoso e riporta giù nei campi brulicanti di vita: è il quinto movimento, variopinto di almeno tre diverse idee musicali giocose e spiritose, che al suo termine
vengono ricapitolate, per terminare nella spiazzante sonorità dei quattro archi sul ponticello.
Segue un Adagio brevissimo, denso e dolente, un canto malinconico che funge da passaggio tra
il gioco frenetico del Presto e l’attacco energico, gestuale dell’Allegro finale. Le note del tema
sono le stesse del movimento d’apertura, le quali vengono poi permutate e sviluppate in una
frase di tesa, disperata cantabilità del violino primo.
Un quartetto che è più un poema per due violini, viola e violoncello: i sette movimenti sono
strettamente collegati tra di loro, separati in partitura da una doppia barra sottile e identificati, caso unico, da un numero. Ogni numero racchiude uno stile diverso, diverso linguaggio,
diversa espressione, diverso carattere; diversi ma sempre collegati, mai contrastanti, com’era
avvenuto nell’op. 130. Le tonalità infatti, per quanto lontane, sono affratellate da un percorso
armonico deducibile, come deducibile è una simmetria d’insieme nella macrostruttura.
Guardando alla prosaica realtà, era il periodo dell’insediamento di Napoleone a Vienna, cosa che certamente non
poté lasciare indierete il compositore.
(2)
GOETHE, Faust, v. 1237, “in principio era l’Azione!”
(3)
PRINCIPE, I quartetti per archi di Beethoven, Anabasi, Milano, 1993
(4)
Elemento della retorica musicale barocca in cui le due note esterne sono contigue (in questo caso Sol
e La, distanti un tono) così come lo sono le due interne (Si# e Do#, distanti mezzo tono)
(5)
DANTE, Paradiso, Canto XXXIII, vv. 67, 68
(1)
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Gli Interpreti
Quartetto di Venezia
Della loro vocazione ai vertici più ardui del camerismo è testimone Bruno Giuranna:
“È un complesso che spicca con risalto nel pur vario e vasto panorama musicale europeo. La perfetta
padronanza tecnica e la forza delle interpretazioni, caratterizzate dalla spinta verso un valore assoluto
propria dei veri interpreti, pongono il “Quartetto di Venezia” ai vertici della categoria e fra i pochissimi
degni di coprire il ruolo dei grandi Quartetti del passato”.
Sfogliando il volume delle testimonianze critiche, l’elogio più bello sembra quello formulato sul “Los
Angeles Times” da Daniel Cariaga: ”questo quartetto è più che affascinante, è sincero e concreto”.
Rigore analitico e passione sono i caratteri distintivi dell’ensemble veneziano, qualità ereditate da due
scuole fondamentali dell’interpretazione quartettistica: quella del “Quartetto Italiano” sotto la guida
di Piero Farulli e la Scuola Mitteleuropea del “Quartetto Vegh”, tramite i numerosi incontri avuti con
Sandor Vegh e Paul Szabo.
Il “Quartetto di Venezia” ha suonato in alcuni tra i maggiori Festival Internazionali in Italia e nel mondo
tra cui la National Gallery a Washington, Palazzo delle Nazioni Unite a New York, Sala Unesco a Parigi,
IUC e Accademia Filarmonica Romana a Roma, Serate Musicali - Società del Quartetto - Società dei
Concerti di Milano, Kissinger Sommer, Ossiach/Villach, Klangbogen Vienna, Palau de la Musica Barcellona, Tivoli Copenhagen, Societè Philarmonique a Bruxelles, Konzerthaus Berlin, Gasteig Monaco.
È stato recentemente invitato dal CIDIM per una lunga tournée in Sud America: Argentina, Brasile e
Uruguay. Ha avuto l’onore di suonare per Sua Santità Papa Giovanni Paolo II e per il Presidente della
Repubblica Italiana. Il repertorio del “Quartetto di Venezia” è estremamente ricco ed include, oltre al
repertorio più noto, opere raramente eseguite come i quartetti di G.F.Malipiero (“Premio della Critica
Italiana” quale migliore incisione cameristica).
La vasta produzione discografica include 19 CD per la Dynamic, Fonit Cetra, Unicef, Aura, Koch.
Ultime produzioni sono l’uscita dell’integrale dei sei quartetti di Luigi Cherubini, registrati per la
DECCA in tre cd e per la NAXOS con musiche di Casella e Turchi. Numerose sono anche le registrazioni radiofoniche e televisive per la RAI & RAI International, Bayerischer Rundfunk, New York Times
(WQXR), ORF1, Schweizer DRS2, Suisse Romande, Radio Clasica Espanola, MBC Sudcoreana.
Spinto dal piacere del suonare assieme, l’ensemble ha collaborato con artisti di fama mondiale tra i quali
Bruno Giuranna, ”Quartetto Borodin”, “Quartetto Prazak”, Piero Farulli, Paul Szabo, Oscar Ghiglia,
Danilo Rossi, Dieter Flury (Primo Flauto dei Wiener Philarmoniker), Pietro De Maria, Alberto Nosè.
In occasione del 30° anniversario, il “Quartetto di Venezia” ha ricevuto una targa di rappresentanza dal
Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano.
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Domenica 18 settembre - ore 20,45
INCONTRO ASOLANO
o
Quartetto Lyskamm
Cecilia Ziano, violino
Clara Franziska Chötensack, violino
Francesca Piccioni, viola
Giorgio Casati, violoncello
Bruno Giuranna, viola
Robert Schumann Quartetto in La minore, Op. 41 n. 1
(1810 - 1856) Introduzione. Andante espressivo. Allegro
Scherzo. Presto
Adagio
Presto
_______
Johannes Brahms Quintetto per archi in Sol maggiore, Op. 111
(1833 - 1897) Allegro non troppo, ma con brio
Adagio
Un poco Allegretto.Trio
Vivace ma non troppo presto
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Ad Asolo col Maestro
di Cecilia Ziano
Una fortuna che si ripete, per noi, suonare con il Maestro Giuranna. Lo abbiamo già fatto
qualche mese fa al Montebello Festival di Bellinzona, e personalmente ho vissuto l’esperienza
con la grande gioia di condividere finalmente con i miei colleghi, l’incontro con un musicista,
e prima ancora con una persona, per me molto importante.
L’incontro con Bruno Giuranna è stato, infatti, decisivo per me: avevo solo quindici anni quando lo conobbi e da allora lo considero il mio mentore, una delle persone che più mi ha incoraggiato e che continua a farlo, genuinamente e con una stima che sento sincera e profonda. Avevo
parlato molto, di lui, ai miei colleghi e quindi è stato particolarmente significativo, non solo
artisticamente ma anche umanamente poter suonare tutti accanto a lui. Trovo davvero incredibile come un uomo con la sua esperienza abbia ancora la voglia e la curiosità di “ ristudiare”
con dei ragazzi giovani dei brani che ha sviscerato migliaia di volte con i più grandi musicisti.
Penso che tra le mille qualità del Maestro, la più preziosa sia proprio la curiosità continua
verso la musica e la ricerca. Anche per questo non vediamo l’ora di incontrarlo nuovamente
ad Asolo…
Anche la storia del nostro quartetto è fatta di incontri. Anzitutto quello avvenuto nel 2008 al
Conservatorio di Milano tra Franziska, violino, e Giorgio, violoncello, con il maestro Roberto
Tarenzi, che li ha spronati a costituire un quartetto. E qui mi piace sottolineare che fin da allora nacque con il nome Lyskamm, non intitolato ad un musicista, quindi, ma ad una cima del
monte Rosa, come ispirato da Giorgio, l’alpinista del quartetto.
Poi c’è stato l’incontro che ci ha portati alla formazione di oggi, avvenuto - tra intrecci e
coincidenze - all’Università delle Arti Berlino, durante due anni di studio con il Quartetto Artemis, quando Franzisca, viola, ed io, primo violino, ci siamo integrate nell’organico che poi si
è consolidato nel tempo, sia artisticamente sia umanamente. Perché la vita di quartetto è fatta
di passione sia per la musica, sia per la condivisione, tanto artistica quanto umana. E’ una vita
particolare, durante la quale si sta tanto insieme, si studia tanto e viaggia tanto. E’ fatta di una
condivisione continua che a volte sacrifica un po’ la vita privata, anche se abbiamo la fortuna di
avere tutti delle persone vicine che ci incoraggiano e alleggeriscono, quindi, il problema della
frequente lontananza da casa e dai nostri affetti.
Per questo concerto asolano abbiamo scelto di iniziare con il quartetto in la minore di Schumann, opera che sentiamo molto vicina, anche perché pensiamo che i tre quartetti Op. 41
costituiscano uno dei cicli più emozionanti e profondi che siano mai stati scritti. Il quintetto di
Brahms, invece, è un capolavoro che ho già avuto la fortuna di suonare con il Maestro Giuranna
in altre formazioni, e che lui stesso ha deciso di riproporre anche con noi.
Buon ascolto.
Guida all’ascolto
I tre Quartetti dell’op. 41, i soli scritti da Schumann per questa formazione, furono composti
nel 1842, assieme al Quintetto op. 44 e il Quartetto per archi e pianoforte.
Secondo una classificazione largamente accettata, Schumann compose tra il 1830 e il 1839
esclusivamente musica pianistica, nel 1840 rimase impegnato nella composizione di oltre cento Lieder per canto e pianoforte, mentre nel 1841 rivolse la sua attenzione alle grandi forme
musicali e compose, fra l’altro, le Sinfonie in si bemolle e in re minore, in cui riversò la pie32
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nezza di sentimento del suo animo, “ricco di musica sino a scoppiare”. Così lo descrisse egli
stesso in una delle ardenti lettere indirizzate a Clara Wieck, che era riuscita a sposare proprio
nel 1840 dopo una lunga, tormentata e tenace opposizione dell’austero padre della ragazza,
Friedrich Wieck, suo maestro di pianoforte a Lipsia.
L’8 aprile 1842 Schumann aveva chiesto all’editore Breitkopf di mandargli tutte le partiture
dei Quartetti di Mozart e di Beethoven e nel suo quaderno di appunti aveva scritto le seguenti
annotazioni: «28 aprile: ho studiato i Quartetti di Beethoven; 6 maggio: ho studiato i Quartetti
di Mozart; 2 giugno: schizzi per un mio Quartetto; 4 giugno: ho iniziato un Quartetto in la minore». Nel mese di luglio concluse non soltanto il primo Quartetto, ma anche il secondo in fa
maggiore e il terzo in la maggiore, e li dedicò a Felix Mendelssohn, il quale si dimostrò amico
sincero e ammiratore senza riserve verso il musicista di Zwickau. Ecco perché per gli studiosi
dell’opera di Schumann, il 1842 è considerato “l’anno della musica da camera”.
Sin dall’Introduzione grave e solenne del Quartetto op. 41 n. 1 si avverte un’influenza del
modo di comporre beethoveniano, secondo cui il tema melodico scorre e acquista densità
di espressione da uno strumento all’altro, nel rispetto della forma-sonata. Il tema principale
rimane sempre dominante, ma diventa più articolato e vivo nell’Andante e nell’Allegro successivi, dove non manca quell’affettuosa cantabilità intimistica, che è tipica della sensibilità
romantica schumanniana. La frase ritmicamente tagliente e ansiosa dello Scherzo sembra che
sia stata ricavata da un trio di Heinrich Marschner e utilizzata da Schumann anche in uno dei
suoi mirabili Lieder per canto e pianoforte. Di linea liederistica, così pura e intensa nello
svolgimento della poesia melodica, è l’Adagio che fa pensare a quei movimenti ascensionali e
spiritualmente disincantati presenti nelle sinfonie dello stesso autore. Di travolgente musicalità è il finale, in cui affiorano accenti anche popolareschi con richiami al suono della cornamusa.
Il Quintetto in Sol maggiore di Brahms nasce durante un soggiorno estivo a Ischl, nel 1890. Il
musicista, cinquantasettenne, aveva già alle spalle le quattro Sinfonie e tutti i maggiori lavori orchestrali e cameristici - che avevano reso glorioso il suo nome nell’Europa intera. Il numero
d’opera 111, sacro per Brahms alla memoria dell’ultima Sonata pianistica beethoveniana, veniva a cadere, così sull’elaborazione di un materiale destinato, in origine, a una Quinta Sinfonia,
poi mai scritta.
Materiale che si ritrova tutto nel primo movimento del Quintetto, poiché Brahms preferì
concentrarsi, piuttosto che sulle grandi forme, sulla musica cameristica, arricchita di ogni
conquista armonica, timbrica e ritmica. Anche perché è noto che, con l’op. 111, il musicista
avrebbe voluto chiudere la propria carriera.
Il primo movimento si apre quindi come un’improvvisa rivelazione onirica, dove il materiale
sinfonico (primo tema al violoncello sullo sfondo ondeggiante degli altri archi) si decanta in
una visione più raccolta, e pure ugualmente espansiva.
La misteriosa, specifica necessità espressiva - che da Schubert a Schumann e a Brahms è vera
“costante” nel carattere del secondo tema sonatistico - sembra, qui, valersi d’inafferrabile ironia, con un’idea melodica semplicissima, cantilenante, che potrebbe intendersi sia come reminiscenza viennese, sia come allusione canzonettistica o indiretta citazione di un passo leggero
di Carmen (tanto cara a Vienna). Lo sviluppo, con il fittissimo lavorìo degli archi, è dominato
da queste profilature melodiche, riemergenti di continuo nell’allure scopertamente vitalistica
dell’intero pezzo.
Profondo è il contrasto con il secondo tempo, che adotta la forma del tema con variazioni
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e si svolge in un’ambientazione espressiva segnata da un pathos malinconico così tipicamente brahmsiano. Non a caso, il tema viene esposto dalla voce opaca della viola, prediletta da
Brahms. Come in altri movimenti dello stesso tipo, le variazioni centrali seguono la strada di
una progressiva “lievitazione”, espressiva anche se l’intensificazione degli accompagnamenti
non disattende mai il pathos dell’esordio; una cadenza conduce alla IV e ultima variazione, che
si ripiega nella ambientazione iniziale. In continuità si pongono le scelte espressive del terzo
tempo, anch’esso in minore, che più che di Scherzo ha il carattere d’intermezzo, animato da
un ritmo di valzer triste e segnato da un lirismo e da una cristallinità di scrittura. Il Trio passa
al modo maggiore e accoglie movenze di danza viennese che, dopo la riesposizione, riappaiono
nella coda.
Il finale si riallaccia invece al tempo iniziale per la complessità dell’impostazione; sembra sorgere spontaneamente dal terzo tempo, tuttavia, per l’incipit in si minore che solo in seguito
passa al “regolare” sol maggiore. Il tema principale è, come spesso nella cameristica brahmsiana, di ascendenza ungherese e il movimento è tuttavia in forma sonata piuttosto che in quella
di rondò, come più spesso avviene nei numerosi finali “zigani” di Brahms. Ma anche lo sviluppo
è pervaso dallo spunto ritmico iniziale, riproposto sia testualmente sia in complesse elaborazioni, anche contrappuntistiche; e la ripresa, che modifica la disposizione strumentale rispetto
all’esposizione, conferma come l’idea base del finale consista nello sfruttare tutte le trasformazioni possibili del nucleo tematico. Un vibrante unisono di tutti gli archi conduce alla coda,
corsa felicissima che accentua il carattere ungherese del movimento.
Gli Interpreti
Bruno Giuranna
Direttore d’orchestra e violista italiano, nato a Milano da una famiglia di musicisti, ha compiuto gli studi
musicali a Roma. Tra i fondatori del complesso I Musici, e particolarmente attivo come membro del
Trio Italiano d’Archi, ha iniziato la carriera solistica presentando, in prima esecuzione assoluta, con la
direzione di Herbert von Karajan, la Musica da Concerto per viola e orchestra d’archi composta per
lui da Giorgio Federico Ghedini. Da allora ha suonato con orchestre quali i Berliner Philharmoniker, il
Concertgebouw di Amsterdam o il Teatro alla Scala di Milano, e con direttori come Claudio Abbado, Sir
John Barbirolli, Sergiu Celibidache, Carlo Maria Giulini e Riccardo Muti.
La sua vasta discografia registrata per Philips, Deutsche Grammophon e EMI comprende la Sinfonia
Concertante di Mozart con Franco Gulli, Henryk Szeryng e Anne-Sophie Mutter, l’integrale dei concerti per viola d’amore di Vivaldi ed i Quartetti con pianoforte di Mozart con il Beaux Arts Trio. Nel
1990 l’incisione dei Trii di Beethoven, realizzata con la violinista Anne-Sophie Mutter ed il violoncellista Mstislav Rostropovich, ha ottenuto una Grammy Award Nomination. Come direttore ha vinto il
Grand Prix du Disque dell’Académie Charles Cros di Parigi per la registrazione, con David Geringas,
dei Concerti per violoncello di Boccherini. Nella sua ultima realizzazione discografica della Sinfonia
Concertante di Mozart, ha collaborato con la violinista Anne-Sophie Mutter e l’Academy of St Martinin-the-Fields diretta da Sir Neville Marriner.
Titolare fino al 1998 della cattedra di viola presso la Hochschule der Künste di Berlino, ha insegnato
nella Musik-Akademie di Detmold, nel Conservatorio S.Cecilia di Roma, nel Royal College e nella
Royal Academy di Londra ed in master classes in tutto il mondo. Frequentemente invitato al Festival di
Marlboro negli Stati Uniti, insegna attualmente nei corsi della Fondazione Stauffer di Cremona, dell’Università di Limerick in Irlanda e dell’Accademia Chigiana di Siena. Dal 1983 al ‘92 è stato direttore
artistico dell’Orchestra da Camera di Padova e del Veneto e nel 1988 ha presieduto la giuria della “First
International Bruno Giuranna Viola Competition” in Brasile. Profondamente convinto dell’importanza
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del “suonare insieme” come strumento insostituibile nello sviluppo della personalità musicale, si dedica
da anni alla realizzazione di progetti di musica da camera che lo vedono impegnato al fianco di giovani
musicisti in Europa e negli Stati Uniti.
Cavaliere di Gran Croce al merito della Repubblica Italiana, ha ricevuto nel 2003 una laurea in lettere
honoris causa dall’Università di Limerick. Dopo averne presieduto la sezione italiana, è stato eletto
nel 2011 presidente europeo di ESTA, associazione che riunisce gli insegnanti di strumenti ad arco in
Europa.
Quartetto Lyskamm
Fondato nel 2008 al Conservatorio di Milano da quattro musicisti italiani, dal 2009 al 2011, è stato
allievo del Quartetto Artemis all’Università delle Arti di Berlino e ha in seguito incontrato importanti
docenti tra i quali Hatto Beyerle, Johannes Meissl, Ferenc Rados, Claus Christian Schuster, Eberhardt
Feltz e il Cuarteto Casals. Il Quartetto Lyskamm prosegue il proprio perfezionamento sotto la guida di
Heime Müller presso l’università di Lubecca.
Nel 2016 il Borletti Buitoni Trust ha assegnato al Quartetto Lyskamm il premio speciale per la musica
da camera intitolato alla memoria di Claudio Abbado.
Nei due precedenti anni, il quartetto ha ricevuto il premio Vittorio Rimbotti dell’Accademia Europea
del Quartetto, il secondo premio e il premio speciale Pro Quartet al concorso internazionale Franz
Schubert und die Musik der Moderne di Graz, il premio della Jeunesse Musicale Deutschland, la borsa
di studio della Ad Infinitum Foundation ed il primo premio al concorso della Possehl Stiftung di Lubecca.
Il Quartetto Lyskamm è stato ospite di numerose società concertistiche tra le quali la Società del Quartetto di Milano, Orta Festival, il Festival Mito, l’Unione Musicale e Lingotto Musica a Torino, il Teatro
Verdi di Trieste, il festival I Suoni delle Dolomiti, il festival internazionale Quatuor à Bordeaux (Francia), l’Aldeburgh Music Festival (Gran Bretagna), il Brahms Festival di Lubecca e il Rheingau Musik
Festival (Germania). Ha collaborato in quintetto con Mario Brunello, Alessandro Taverna e Simone
Rubino.
Dal 2014 il Quartetto Lyskamm è impegnato nei progetti di circuitazione promossi, in Italia e in Europa, dal Cidim (Comitato Nazionale Italiano Musica). Partecipa inoltre al progetto Le dimore del
Quartetto, promosso dall’Associazione Piero Farulli.
Il quartetto è in residenza per il biennio 2016-17 presso gli Amici della Musica di Padova.
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Un sentito ringraziamento alla generosità del Signor Innocente Pivetta.
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Presidente
Maurizio Jacobi
Direttore artistico
Federico Pupo
Segreteria artistica e organizzazione
Claudio Sartorato, Gianfranco Spigolon Meneguzzo, Sara Zanchetta
Segreteria amministrativa e organizzativa
Anna Lydia Dalla Rosa, Maria Rosa Florian, Sergio Pavan
Consulente amministrativo
Stefano Fibbia
Stampa e comunicazione
Marina Grasso
CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE
Maurizio Jacobi, presidente
Anna Maria Gasparini, vicepresidente
Maria Bortoletto
Sandro De Vecchi
Battista Parolin, presidente onorario
Michele Pedoja
Vittorio Zaglia
COLLEGIO SINDACALE
Giuliano Saccardi, presidente
Monica Berna
Luciano Bovinelli
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Finito di stampare nel mese di settembre 2016
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ASOLO MUSICA
VENETO MUSICA
Via E. Fermi, 14 /E4
31011 ASOLO (TV)
Tel. 0423 950150 - Fax 0423 529890
E-mail: [email protected]
www.asolomusica.com
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