1 Geometria euclidea 1.0 Scopi del capitolo Secondo Galileo Galilei l’universo è un libro scritto in lingua matematica e i caratteri sono triangoli, cerchi ed altre figure geometriche. Lo studio dei pianeti in astronomia, ad esempio, presenta forme geometriche riconducibili a cerchi, sfere ed ellissi. Le celle degli alveari hanno tipicamente carattere esagonale e offrono un esempio di simmetria che, in natura, è sinonimo di ordine e stabilità. L’importanza del linguaggio geometrico per capire il mondo reale era già nota nell’antico Egitto e poi in Grecia, dove, intorno al 300 a.C., Euclide, nei suoi celeberrimi Elementi, riassunse il sapere matematico allora esistente ed elaborò una prima trattazione sistematica delle proprietà fondamentali delle figure geometriche. Gli Elementi di Euclide sono costituiti da tredici libri: i primi sei riguardano la geometria piana, dal settimo al nono vengono discusse alcune questioni aritmetiche, il decimo affronta questioni geometriche legate ai numeri irrazionali e negli ultimi tre viene trattata la geometria solida. In questo primo capitolo, considerata la notevole complessità e vastità dell’argomento, ci limiteremo a lavorare essenzialmente nel contesto della geometria piana; per completezza, nel §1.5 richiameremo però alcune importanti formule di geometria solida. 2 Geometria euclidea L’impostazione di Euclide, in seguito ripresa e formalizzata in senso moderno da molti illustri matematici, quali ad esempio D. Hilbert intorno al 1900, è basata sul cosiddetto metodo assiomatico-deduttivo, i cui punti caratterizzanti possono, almeno a questo livello di trattazione, essere sintetizzati come segue: 1. Si assumono alcuni cosiddetti concetti primitivi, cioè per i quali non si fornisce nessuna esplicita definizione (ad esempio: punto, retta, piano). 2. Si assumono alcune proposizioni, dette assiomi o postulati1 , che si decide di accettare come vere senza ulteriori giustificazioni. 3. Si definisce ogni nuovo oggetto della teoria mediante precise definizioni (ad esempio: un poligono si dice regolare quando ha tutti i lati e gli angoli congruenti). Si noti che, per poter dare questa definizione, bisogna prima aver fatto il (non immediato!) lavoro di definire i concetti di poligono, angolo, lato e congruenza. 4. Mediante un insieme di ragionamenti logico-deduttivi, chiamati dimostrazioni, si deducono (usando assiomi, concetti primitivi, eventuali definizioni) altre proposizioni, dette teoremi (ad esempio: il Teorema di Pitagora). Per ulteriori complementi sul concetto di dimostrazione, si veda anche il §2.4 del Capitolo 2. Detto questo, è bene sottolineare da subito che i più naturali e importanti sviluppi di ogni teoria deduttiva sono, nella pratica reale, stimolati da ragionamenti di tipo induttivo, cioè mirati ad evincere proprietà di carattere generale mediante l’osservazione di casi particolari (sinteticamente, diciamo dal particolare al generale). In questo ordine di idee, osservando la Figura 1.1 possiamo senz’altro congetturare che, fissati i due lati a, b 1 I cinque postulati di Euclide: I Tra due punti qualsiasi è possibile tracciare una ed una sola retta. II Si può prolungare un segmento oltre i due estremi indefinitamente. III Dato un punto e una lunghezza, è possibile descrivere un cerchio. IV Tutti gli angoli retti sono uguali. V Se una retta taglia altre due rette determinando dallo stesso lato angoli interni la cui somma è minore di quella di due angoli retti, prolungando le due rette esse si incontreranno dalla parte dove la somma dei due angoli è minore di due retti. 1.0 Scopi del capitolo 3 b α a Figura 1.1 – Due lati e l’angolo tra essi compreso individuano un unico triangolo. e l’angolo α, risulti individuato in modo univoco un triangolo. Guidato da questa intuizione il matematico, attraverso il metodo logico-deduttivo, perviene a stabilire il seguente: Teorema 1.1 (Primo criterio di congruenza per i triangoli). 2 Due triangoli che hanno ordinatamente congruenti due lati e l’angolo tra essi compreso sono congruenti. Con queste premesse, possiamo ora passare ad una prima descrizione e motivazione dei contenuti di questo primo capitolo. Innanzitutto, riteniamo di importanza fondamentale il fatto che ogni studente di una Facoltà scientifica sia in grado di affrontare, in modo autonomo e matematicamente corretto, naturali questioni relative a problemi di geometria euclidea classica. Questa capacità si forma normalmente attraverso gli studi effettuati nella scuola superiore, ma, in questa sede, ci proponiamo di svilupparla ulteriormente mediante l’esame critico e dettagliato di alcune specifiche istanze, quali ad esempio l’analisi del legame tra angoli al centro e angoli alla circonferenza, oppure la dimostrazione e le applicazioni di alcuni teoremi chiave (ad esempio, il Teorema di Pitagora o quello di Talete). Infatti, un trattamento completo e rigoroso della geometria euclidea classica sarebbe ovviamente sproporzionato rispetto agli scopi di un’opera di questo tipo (il lettore interessato ad approfondimenti potrà consultare le referenze indicate nel §1.7); invece, siamo convinti che rileggere e 2 Gli altri due criteri di congruenza per i triangoli sono: 2◦ due triangoli sono congruenti se hanno congruenti un lato e i due angoli ad esso adiacenti; 3◦ due triangoli sono congruenti se hanno tutti i lati ordinatamente congruenti. 4 Geometria euclidea lavorare su alcuni esempi sicuramente già noti, ma fondamentali, possa essere di grosso giovamento per intraprendere nel modo migliore questo percorso di avviamento alla matematica universitaria. Ribadiamo, infine, che questo capitolo è comunque scritto per un lettore che abbia già studiato in precedenza gli argomenti fondamentali della geometria euclidea e quindi, all’occorrenza, sia in grado di completare la nostra esposizione consultando altri testi: in particolare, per ragioni di spazio, ma anche per non appesantire troppo la presentazione, abbiamo deciso di non fornire una definizione rigorosa di tutti i concetti che useremo. Ad esempio, daremo per scontato che il lettore sappia che cos’è un poligono ed abbia anche familiarità con concetti come la congruenza di segmenti, angoli o figure geometriche. Concludiamo questa introduzione con un commento di carattere più generale. Tradizionalmente, la geometria euclidea classica è considerata, insieme all’aritmetica elementare, il punto di partenza di tutto il sapere matematico. Inoltre, ognuno di noi entra in contatto con essa fin dalle scuole elementari e medie: questo ha contribuito a diffondere un atteggiamento, estremamente superficiale, che porta a considerare questo ramo della matematica come elementare, o facile. Riteniamo opportuno mettere in guardia il lettore, precisando che si tratta invece di temi molto profondi e complessi. In particolare, anche se in questo capitolo forniremo solo una guida introduttiva e semplificata all’argomento, non deve essere motivo di scoraggiamento, per il lettore, constatare di incontrare qualche difficoltà a comprendere certi passaggi o concetti. Tutto ciò è infatti normale e, in ogni caso, non pregiudica la comprensione dei capitoli successivi. 1.1 Circonferenza e poligoni inscritti o circoscritti Per poter convenientemente trattare l’argomento che dà il titolo a questa sezione è indispensabile richiamare dapprima alcune proprietà fondamentali degli angoli nei triangoli. Iniziamo descrivendo l’importante relazione che c’è tra un angolo esterno e gli angoli interni non adiacenti (si veda anche la Figura 1.2). 1.1 Circonferenza e poligoni inscritti o circoscritti 5 A α β B C D ! è un angolo esterno del triangolo △ABC. Figura 1.2 – ACD Teorema 1.2 (Teorema dell’angolo esterno). Ciascun angolo esterno di un triangolo è congruente alla somma degli angoli interni ad esso non adiacenti. Dimostrazione. Con riferimento alla Figura 1.2, dobbiamo dimostrare che ! ∼ ACD = α+β , (1.1.1) dove, qui ed in seguito, il simbolo ∼ = esprime la relazione di congruenza. Tracciamo da C la retta parallela al lato AB, indicando con α′ e β ′ gli ! resta diviso da tale retta (si veda la Figura 1.3). angoli in cui ACD A α E α′ β′ β B C D Figura 1.3 – CE è parallelo a AB. Abbiamo che, per costruzione, ! ∼ ACD = α′ + β ′ . (1.1.2) 6 Geometria euclidea Poi α ∼ = α′ , (1.1.3) in quanto angoli alterni interni3 rispetto alle rette parallele individuate da AB e CE, tagliate dalla trasversale AC. Infine, β ∼ = β′ , (1.1.4) in quanto angoli corrispondenti rispetto alle rette parallele individuate da AB e CE, tagliate dalla trasversale BD. Ora la tesi (1.1.1) è una conseguenza immediata di (1.1.2)–(1.1.4). Dal precedente teorema deduciamo una fondamentale conseguenza relativa alla somma degli angoli interni di un triangolo. Corollario 1.1. La somma delle ampiezze degli angoli interni di un triangolo è pari all’ampiezza di un angolo piatto. Introduciamo ora il concetto di circonferenza. Definizione 1.1. Siano dati R > 0 e un punto O del piano. Si chiama circonferenza di centro O e raggio R il luogo di punti del piano aventi distanza dal punto O pari a R. Definizione 1.2. Si chiama corda di una circonferenza γ ogni segmento che ha per estremi due qualsiasi punti di γ. Una corda passante per il centro è detta diametro. Una prima domanda naturale da porsi è la seguente: quali condizioni individuano una circonferenza? Teorema 1.3. Siano A, B e C tre punti non allineati. Allora esiste un’unica circonferenza γ che li contiene. Dimostrazione. Con riferimento alla Figura 1.4, tracciamo gli assi dei segmenti AB e BC (ricordiamo che, per definizione, l’asse di un segmento AB è il luogo di punti del piano equidistanti da A e B; esso coincide con la retta perpendicolare al segmento, passante per il suo punto medio). Dato che i tre punti A, B e C non sono allineati, gli assi dei due segmenti 3 Si noti che la dimostrazione della proprietà degli angoli alterni interni fa uso in modo esplicito del V postulato di Euclide. 1.1 Circonferenza e poligoni inscritti o circoscritti 7 non sono paralleli e quindi si incontrano in un punto che chiamiamo O. Osserviamo che: OA ∼ = OB in quanto O appartiene all’asse del segmento AB. Analogamente, OB ∼ = OC . Dalla transitività4 della relazione di congruenza segue che OA ∼ = OB ∼ = OC . Dunque O è equidistante da A, B e C, per cui la circonferenza di centro O e raggio pari alla lunghezza del segmento OA contiene i tre punti dati, come richiesto. L’unicità della circonferenza con questa proprietà segue dal fatto che O è l’unico punto equidistante da A, B e C. asse di BC A O asse di AB B C Figura 1.4 – Costruzione della circonferenza passante per tre punti non allineati. Definizione 1.3. Si chiama angolo al centro ogni angolo che ha il vertice coincidente col centro della circonferenza. 4 La relazione di congruenza è una relazione di equivalenza, cioè soddisfa le seguenti proprietà: a∼ riflessiva =a ∼ ∼ se a = b, allora b = a simmetrica se a ∼ =beb∼ = c, allora a ∼ = c transitiva . 8 Geometria euclidea " insiste sull’arco Con riferimento alla Figura 1.5, si dice che l’angolo AOB ⌢ AB (precisiamo che la nostra notazione è riferita alla circonferenza per" la corda AB corsa in senso antiorario). Si dice anche che l’angolo AOB, ⌢ e l’arco AB si corrispondono, ovvero sono elementi corrispondenti. B O ⌢ ! AB AOB AB A ⌢ ! insiste sull’arco AB. Figura 1.5 – L’angolo al centro AOB Vale il seguente teorema, intuitivamente evidente, di cui omettiamo la dimostrazione: Teorema 1.4. In una circonferenza, ad angoli al centro congruenti corrispondono corde e archi congruenti. Viceversa, a corde o ad archi congruenti corrispondono angoli al centro congruenti. Definizione 1.4. Si chiama angolo alla circonferenza ogni angolo convesso5 che ha il vertice sulla circonferenza e i due lati secanti la circonferenza stessa, oppure un lato secante e l’altro tangente (si veda la Figura 1.6). L’intersezione tra un angolo alla circonferenza e la circonferenza è un arco. Si dice che l’angolo alla circonferenza insiste su tale arco o che tale angolo " è sotteso dall’arco. Ad esempio, l’angolo alla circonferenza AV B nella ⌢ " Figura 1.6a insiste sull’arco AB. Invece l’angolo AV B nella Figura 1.6b ⌢ insiste sull’arco AV . 5 Un angolo si dice convesso quando, scelti due punti qualunque interni all’angolo, anche il segmento che li unisce è interno (in pratica, gli angoli convessi sono quelli inferiori o uguali a 180◦ ). 1.1 Circonferenza e poligoni inscritti o circoscritti V V A 9 B A B (b) (a) Figura 1.6 – Angoli alla circonferenza: (a) due lati secanti; (b) un lato secante e l’altro tangente. Definizione 1.5. Un angolo al centro e un angolo alla circonferenza si dicono corrispondenti quando insistono sullo stesso arco. Osservazione 1.1. (i) Per ogni angolo alla circonferenza c’è un unico angolo al centro corrispondente. (ii) Per ogni angolo al centro, vi sono infiniti angoli alla circonferenza corrispondenti. Queste osservazioni sono visualizzabili nella Figura 1.7: l’angolo al centro ′ B, AV ′′ B, etc. " corrisponde agli angoli alla circonferenza AV " ! ! AOB B, AV V V ′′ O V ′ B A Figura 1.7 – Angoli alla circonferenza corrispondenti allo stesso angolo al centro. 10 Geometria euclidea Teorema 1.5. Ogni angolo alla circonferenza è la metà del corrispondente angolo al centro. Dimostrazione. Con riferimento alla Figura 1.8, dobbiamo verificare che 1" " AV B ∼ = AOB 2 (1.1.5) V O B A Figura 1.8 – Un angolo alla circonferenza ed il corrispondente angolo al centro. La dimostrazione si effettua distinguendo tre casi. Caso 1: O appartiene ad uno dei due lati dell’angolo alla circonferenza " AV B. A seconda che i lati siano entrambi secanti, oppure uno secante e uno tangente, si possono presentare le due situazioni illustrate nella Figura 1.9. Consideriamo il primo caso (due lati secanti). Indichiamo con α l’ampiezza " degli angoli AV B e V" AO, che sono uguali perché △AV O è un triangolo " Per il Teorema isoscele sulla base AV 6 . Sia β l’ampiezza dell’angolo AOB. dell’angolo esterno (Teorema 1.2) possiamo concludere che β = α + α = 2α , ovvero (1.1.5). 6 Per verificare che in un triangolo isoscele △ABC gli angoli alla base AB sono uguali si tracci la bisettrice di ! ACB, la quale incontra AB in un punto H. Adesso, ! e BHC, ! si conclude che applicando il primo criterio di congruenza ai triangoli AHC ! ∼ ! CAH = CBH. 1.1 Circonferenza e poligoni inscritti o circoscritti V A 11 A α B β α O O V B (a) (b) Figura 1.9 – Caso 1 del Teorema 1.5. Nel secondo caso (un lato secante e uno tangente) la tesi è immediata, in quanto l’angolo alla circonferenza è retto e quello al centro piatto. " Caso 2: O è interno all’angolo alla circonferenza AV B. A seconda che i lati siano entrambi secanti, oppure uno secante e uno tangente, si possono presentare le due situazioni illustrate nella Figura 1.10. La dimostrazione può essere effettuata riconducendosi al Caso 1 sopra. Più precisamente, con riferimento alla Figura 1.10a, in base a quanto dimostrato nel Caso 1 possiamo scrivere: " = 2α e BOC ! = 2β . AOC Ma allora " AV B = α+β " = 2α + 2β = 2(α + β) , e AOB da cui (1.1.5) segue. Nel caso in cui un lato sia secante e uno tangente la (1.1.5) si evince immediatamente osservando la Figura 1.10b (si noti però che, in questo caso, !). " la tesi è: AV B ∼ = 21 BOV 12 Geometria euclidea V A A α C 2α O 2β O α β V B B 2α C (a) (b) Figura 1.10 – Caso 2 del Teorema 1.5. " Caso 3: O è esterno all’angolo alla circonferenza AV B. A seconda che i lati siano entrambi secanti, oppure uno secante e uno tangente, si possono presentare le due situazioni illustrate nella Figura 1.11. V A B A 2α 2β α C O α β O 2α V C (a) (b) Figura 1.11 – Caso 3 del Teorema 1.5. B 1.1 Circonferenza e poligoni inscritti o circoscritti 13 La dimostrazione è simile a quella del Caso 2, con la seguente variazione: con riferimento alla Figura 1.11a abbiamo " AV B = α−β " = 2α − 2β = 2(α − β) , e AOB da cui la (1.1.5) ancora segue. Il Caso 3(b) è analogo al Caso 2(b). Dal teorema precedente discendono immediatamente due importanti conseguenze: Corollario 1.2. Tutti gli angoli alla circonferenza che insistono sullo stesso arco (o su archi congruenti) sono congruenti tra loro (si riveda ancora la Figura 1.7). Corollario 1.3. Ogni angolo alla circonferenza che insiste su una semicirconferenza è retto (si veda la Figura 1.12). V A O B Figura 1.12 – Angolo alla circonferenza che insiste su una semi-circonferenza. Come applicazione del Corollario 1.3 possiamo costruire, con riga e compasso, le due rette tangenti ad una circonferenza e passanti per un punto esterno P dato. Per prima cosa, costruiamo il punto medio M come indicato nella Figura 1.13a . Poi, tracciamo la circonferenza con centro M passante per O e P , e chiamiamo A e B le sue intersezioni con la circonferenza originaria, come in Figura 1.13b. Infine, tracciamo le rette individuate da P A e P B, come in Figura 1.13c. Queste due rette sono tangenti alla circonferenza di parten" e! za, in quanto gli angoli OAP OBP sono retti grazie al Corollario 1.3. 14 Geometria euclidea A M O A M P O M P O P B (a) (b) B (c) Figura 1.13 – Costruzione delle due tangenti passanti per un punto esterno. In (a) l’asse del segmento OP passa per i punti di intersezione di due circonferenze aventi lo stesso raggio, centrate in O e P rispettivamente. Dopo questo lavoro preliminare su triangoli e circonferenze possiamo introdurre il concetto di poligono circoscritto o inscritto rispetto ad una circonferenza. Definizione 1.6. Un poligono si dice inscritto in una circonferenza se tutti i suoi vertici appartengono alla circonferenza. In tal caso la circonferenza si dice circoscritta al poligono. Definizione 1.7. Un poligono si dice circoscritto ad una circonferenza se tutti i suoi lati sono tangenti alla circonferenza. In tal caso la circonferenza si dice inscritta nel poligono. Nella Figura 1.14a vediamo un pentagono inscritto in una circonferenza. Nella Figura 1.14b abbiamo invece un quadrilatero circoscritto ad una circonferenza. Una prima domanda che viene spontaneo porsi è la seguente: dato un poligono, sotto quali condizioni è possibile determinare una circonferenza inscritta, o circoscritta, rispetto al poligono? Le Figure 1.15a e 1.15b mostrano che la risposta al quesito precedente non sempre è affermativa. Possiamo però ragionare nel modo seguente: se un poligono è inscritto in una circonferenza, i suoi lati sono corde di questa circonferenza, per cui gli assi del segmento dei suoi lati passano tutti per un unico punto, cioè il centro della circonferenza. Viceversa, se gli assi dei 1.1 Circonferenza e poligoni inscritti o circoscritti C B A 15 D A D C E B (a) (b) Figura 1.14 – (a) Pentagono inscritto. (b) Quadrilatero circoscritto. A D B C A B D C (a) Figura 1.15 – (a) Quadrilatero non inscrivibile. circoscrivibile. (b) (b) Quadrilatero non lati di un poligono hanno un punto in comune, esso risulta equidistante dai vertici del poligono. Quindi la circonferenza, che ha centro in questo punto e passa per uno dei vertici del poligono, necessariamente contiene anche tutti gli altri vertici, risultando così circoscritta al poligono (si veda la Figura 1.16). Riassumendo, possiamo enunciare il seguente teorema. Teorema 1.6 (Condizione di inscrivibilità). Un poligono è inscrivibile in una circonferenza se e solo se gli assi dei suoi lati si incontrano in uno 16 Geometria euclidea B C O A D E Figura 1.16 – Pentagono (non regolare) inscrivibile. stesso punto (che è il centro della circonferenza circoscritta). Se un poligono è circoscritto ad una circonferenza, ogni coppia di lati consecutivi costituisce la coppia di segmenti di tangente condotti alla circonferenza dal loro punto di intersezione, quindi le bisettrici degli angoli passano tutte nello stesso punto, il centro della circonferenza inscritta. Viceversa, se le bisettrici degli angoli di un poligono hanno un punto in comune, esso risulta equidistante dai lati del poligono, per cui la circonferenza che ha centro in questo punto e raggio pari a tale distanza è inscritta nel poligono (si veda la Figura 1.17). A D O C B Figura 1.17 – Quadrilatero circoscrivibile. 1.1 Circonferenza e poligoni inscritti o circoscritti 17 Tutto ciò può essere riassunto nel seguente teorema. Teorema 1.7 (Condizione di circoscrivibilità). Un poligono è circoscrivibile ad una circonferenza se e solo le bisettrici dei suoi angoli si incontrano in uno stesso punto (che è il centro della circonferenza inscritta). Come già accennato nell’introduzione, abbiamo la seguente definizione. Definizione 1.8. Un poligono si dice regolare quando ha tutti i lati e tutti gli angoli congruenti, ossia quando è equilatero ed equiangolo. Nelle Figure 1.18 sono illustrati alcuni primi esempi di poligoni regolari: il lettore può constatare che, in ognuno dei quattro casi rappresentati, effettivamente gli assi dei lati e le bisettrici degli angoli hanno un punto in comune. Infatti, per i poligoni regolari, vale il seguente teorema che enunciamo senza dimostrazione. (a) (b) (c) (d) Figura 1.18 – Esempi di poligoni regolari: (a) triangolo equilatero, (b) quadrato, (c) pentagono regolare, (d) esagono regolare. Teorema 1.8. Un poligono regolare è sia inscrivibile sia circoscrivibile ad una circonferenza, ed il centro della circonferenza inscritta coincide con quello della circonferenza circoscritta. Il centro della circonferenza circoscritta (o della circonferenza inscritta) ad un poligono regolare è detto centro del poligono. Il raggio della circonferenza circoscritta si dice raggio del poligono; il raggio della circonferenza inscritta si chiama invece apotema del poligono (si veda la Figura 1.19). Un’altra importante classe di poligoni, per i quali esistono sempre sia la circonferenza inscritta sia quella circoscritta, è costituita dai triangoli. Si può affermare ciò in base al seguente classico teorema, che ci limitiamo ad enunciare. 18 Geometria euclidea O r a Figura 1.19 – Apotema, centro e raggio di un poligono regolare. Teorema 1.9 (Punti notevoli di un triangolo). In un triangolo: (i) gli assi dei lati si incontrano in uno stesso punto, detto circocentro (Figura 1.20a); (ii) le bisettrici degli angoli si incontrano in uno stesso punto, detto incentro (Figura 1.20b); (iii) le mediane si incontrano in uno stesso punto, detto baricentro (Figura 1.21a); (iv) le rette che contengono le altezze dei lati si incontrano in uno stesso punto, detto ortocentro (Figura 1.21b). È importante fare alcuni commenti al teorema precedente. 1. L’esistenza della circonferenza circoscritta per ogni triangolo segue dal punto (i) e dal Teorema 1.6. Il punto che hanno in comune gli assi dei lati di un triangolo si chiama circocentro proprio perché è il centro della circonferenza circoscritta al triangolo. 2. L’esistenza della circonferenza inscritta per ogni triangolo segue dal punto (ii) e dal Teorema 1.7. Il punto che hanno in comune le bisettrici degli angoli di un triangolo si chiama incentro proprio perché è il centro della circonferenza inscritta al triangolo. 3. In generale, circocentro, incentro, ortocentro e baricentro non coincidono tra loro. In particolare, il centro della circonferenza inscritta non necessariamente coincide con quello della circonferenza circoscritta. 4. L’incentro e il baricentro sono sempre interni al triangolo, perché tali sono bisettrici e mediane. Invece, il circocentro e l’ortocentro possono 1.1 Circonferenza e poligoni inscritti o circoscritti A 19 A B B C C (a) (b) Figura 1.20 – (a) Circocentro. (b) Incentro. A A B B C (a) C (b) Figura 1.21 – (a) Baricentro. (b) Ortocentro. cadere sia internamente al triangolo, sia esternamente, sia sui lati stessi del triangolo. Ad esempio, nella Figura 1.22b vediamo che il circocentro O si trova sul lato AB: necessariamente, O risulta essere il punto medio del lato AB e tale lato è un diametro della circonferenza circoscritta; inoltre, l’altezza rispetto al lato AB deve essere congruente alla metà di AB stesso. Nella Figura 1.22a l’ortocentro O è esterno al triangolo. 5. Il baricentro gode anche della seguente sorprendente proprietà, che enunciamo senza dimostrazione nel seguente teorema. Teorema 1.10. Il baricentro divide ciascuna mediana in due parti, di cui quella che contiene il vertice è doppia dell’altra. 20 Geometria euclidea A C B O C A (a) O B (b) Figura 1.22 – (a) Ortocentro esterno. (b) Circocentro su un lato. 1.2 Il Teorema di Pitagora Il Teorema di Pitagora è da molti considerato come il primo grande teorema della matematica: la sua dimostrazione, dovuta appunto a Pitagora o a qualche allievo della sua scuola, risale al VI secolo a.C., ma pare che l’enunciato del teorema fosse già noto ai Babilonesi intorno al 1600 a.C. Per inquadrare questo teorema in un contesto opportuno, premettiamo alcune considerazioni sul concetto di area. L’area A di un rettangolo, notoriamente, è data dalla formula A = base × altezza , sulla quale vale la pena di riflettere un attimo con riferimento alla Figura 1.23. In particolare, supponendo che l’unità di misura delle lunghezze sia, ad esempio, il centimetro, diventa evidente il significato di esprimere A in centimetri al quadrato. Da un punto di vista operativo, diventa importante ragionare sul concetto di figure equivalenti, dove per equivalenti intendiamo aventi la stessa area. Un primo risultato elementare, ma fondamentale, è l’equivalenza tra un qualunque triangolo ed un opportuno rettangolo: più precisamente, abbiamo il seguente teorema. 1.2 Il Teorema di Pitagora 21 Figura 1.23 – Rettangolo con base e altezza misurate in centimetri. Teorema 1.11. Ogni triangolo è equivalente ad un rettangolo avente per base un lato qualunque del triangolo, e per altezza la metà dell’altezza relativa a quel lato. Dimostrazione. Dato un triangolo △ABC come in Figura 1.24, tracciamo l’altezza CH relativa ad AB, indicando con M il suo punto medio. Poi costruiamo le proiezioni A′ e B ′ di A e B sulla retta parallela ad AB e passante per M. Dobbiamo dimostrare che il triangolo △ABC è equivalente al rettangolo ABB ′ A′ . Sempre riferendoci alla Figura 1.24, analizziamo i due triangoli rettangoli △AA′ D e △DMC: abbiamo AA′ ∼ = CM , in quanto questi due segmenti sono congruenti alla metà di CH. Inoltre, ′ DA ∼ ! ! , A = CDM in quanto opposti al vertice. Quindi, applicando il Corollario 1.1, con′ AD e DCM ! ! sono congruenti. Riassumendo, i due cludiamo che anche A triangoli rettangoli △AA′ D e △DMC hanno uguali gli angoli e un lato, e pertanto, per il secondo criterio di congruenza per i triangoli, sono congruenti. In modo analogo, si verifica che anche i 2 triangoli rettangoli △CME e △EB ′ B sono congruenti, dalla qual cosa la tesi discende facilmente. Ora possiamo senz’altro passare all’illustrazione del Teorema di Pitagora. Teorema 1.12 (Teorema di Pitagora). L’area del quadrato costruito sull’ipotenusa di un triangolo rettangolo coincide con la somma delle aree dei quadrati costruiti sui cateti. 22 Geometria euclidea C A′ D E B′ M A B H Figura 1.24 – Equivalenza tra un triangolo ed un opportuno rettangolo. Dimostrazione. Rappresentiamo il Teorema mediante la Figura 1.25, in cui △ABC è un triangolo rettangolo, Qa e Qb sono i quadrati costruiti sui cateti, mentre Q è il quadrato costruito sull’ipotenusa. C Q Qb b A a B Qa Figura 1.25 – Teorema di Pitagora: Area(Q) = Area(Qa ) + Area(Qb ). Per dimostrare il teorema costruiamo il quadrato di lato a + b e lo scomponiamo in due modi diversi, cioè come indicato rispettivamente nelle Figure 1.26a e 1.26b. Gli otto triangoli rettangoli 1–8 nelle Figure 1.26a e 1.26b sono tutti equivalenti perché, per costruzione, hanno i 2 lati a, b, e l’angolo (retto) tra essi compreso congruenti: quindi sono congruenti per il Teorema 1.1. Inoltre, il quadrilatero equilatero Q è effettivamente un quadrato, in quanto i suoi quattro angoli risultano retti per il Corollario 1.1. A questo punto il lettore dovrebbe riconoscere che la conclusione della dimostrazione è immediata. 1.2 Il Teorema di Pitagora a b a 23 1 a b 2 b b 5 Qb b 6 Q a b 4 a 3 a a 7 Qa 8 a b b (b) (a) Figura 1.26 – 1–8 sono tutti triangoli rettangoli equivalenti. Vediamo adesso alcune applicazioni del Teorema di Pitagora. ◃ Esercizio 1.1. Due torri, alte rispettivamente 30 e 40 metri, distano fra loro 50 metri. Tra le due torri si trova una fontana, verso la quale discendono contemporaneamente due uccelli, uno da ogni torre, alla stessa velocità. Sapendo che i due uccelli raggiungono la fontana nello stesso momento, determinare la distanza della fontana dalle due torri. Q 30 metri 40 metri P A x F B 50 metri Figura 1.27 – Problema della fontana e delle torri. 24 Geometria euclidea Soluzione. Il problema può essere schematizzato come nella Figura 1.27, in cui AP e QB rappresentano le due torri, mentre F indica la posizione (non nota) della fontana. Inoltre, indichiamo con x la distanza di F dalla torre AP , per cui la distanza di F dalla torre QB risulta essere pari a (50 − x). Visto che i due uccelli si muovono alla stessa velocità, la condizione da imporre per determinare la posizione di F è PF ∼ (1.2.1) = QF . Ora, applicando il Teorema di Pitagora ai triangoli rettangoli △P AF e △QBF , deduciamo che la (1.2.1) equivale a ! ! (1.2.2) x2 + 302 = (50 − x)2 + 402 . Elevando al quadrato si trova x2 + 302 = 502 + x2 − 100x + 402 , da cui x= 50 · 50 + 40 · 40 − 30 · 30 = 5 · 5 + 4 · 4 − 3 · 3 = 25 + 16 − 9 = 32 . 10 · 10 Il centro della fontana dista 32 metri dalla torre AP e 18 metri dall’altra. ▹ ◃ Esercizio 1.2. Consideriamo la Figura 1.28. Assumendo che la lunghezza di AO sia pari a r, esprimere la lunghezza del raggio della circonferenza con centro in O3 in funzione di r. r/ 2 x O3 A O1 r O O2 B Figura 1.28 – Illustrazione relativa all’Esercizio 1.2. Soluzione. Per prima cosa impostiamo il problema come in Figura 1.28, dove x è il raggio incognito che dobbiamo determinare. Ora possiamo applicare il Teorema di Pitagora al triangolo rettangolo △O1 OO3 , ottenendo "r #2 " r #2 + (r − x)2 = +x . (1.2.3) 2 2 1.3 Teorema di Talete e concetto di similitudine 25 Sviluppando i calcoli in (1.2.3), si trova r 2 − 3xr = r(r − 3x) = 0 la cui unica soluzione è r , 3 che è accettabile in quanto compresa tra 0 e r/2. x= ▹ 1.3 Teorema di Talete e concetto di similitudine Ingrandire o rimpicciolire oggetti, mantenendo inalterate le proporzioni, è alla base di molte attività diversissime fra loro. Gli architetti si servono spesso di un plastico per riprodurre un modello in scala di un progetto. I biologi utilizzano ingrandimenti per esplorare le cellule o per studiare gli insetti. In questa sezione vedremo come formalizzare, da un punto di vista matematico e geometrico, queste idee di cui abbiamo dato una prima descrizione: in particolare, arriveremo al concetto di figure simili, cioè, a parole, figure aventi la stessa forma, anche se non necessariamente congruenti. Il punto di partenza è il Teorema di Talete, sicuramente uno dei più importanti della geometria euclidea piana. Teorema 1.13 (Teorema di Talete). Dato un fascio di rette parallele tagliate da due trasversali, il rapporto tra le misure di due segmenti AB e CD, individuati dal fascio su una trasversale, è uguale al rapporto tra le misure dei loro corrispondenti A′ B ′ e C ′ D ′ sull’altra trasversale. Omettiamo la dimostrazione di questo teorema, ma riteniamo che sia molto importante per il lettore capirne pienamente il significato osservando la Figura 1.29. In particolare, identificando i segmenti con la loro misura, possiamo scrivere che la conclusione del Teorema di Talete può essere espressa mediante l’uguaglianza dei due seguenti rapporti: AB A′ B ′ = ′ ′ . CD CD (1.3.1) 26 Geometria euclidea A′ A a B′ B b C′ C D′ D c d r r′ Figura 1.29 – Fascio di rette parallele tagliate da due trasversali. Per uso futuro, è anche utile notare che la precedente equazione è equivalente alla seguente proporzione: (1.3.2) AB : CD = A′ B ′ : C ′ D ′ . Ora possiamo introdurre il concetto di similitudine tra triangoli. Definizione 1.9. Diremo che due triangoli sono simili se: (a) hanno gli angoli ordinatamente congruenti; (b) il rapporto tra le misure dei lati opposti ad angoli congruenti è costante. C C′ A′ A B Figura 1.30 – Due triangoli simili. B′ 1.3 Teorema di Talete e concetto di similitudine 27 Con riferimento alla Figura 1.30, la definizione di similitudine fra triangoli equivale alle condizioni: Â ∼ = Â′ , B̂ ∼ = B̂ ′ , Ĉ ∼ = Ĉ ′ e A′ B ′ B′C ′ A′ C ′ = = . AB BC AC (1.3.3) Il numero reale A′ B ′ (1.3.4) AB in (1.3.3) viene chiamato rapporto di similitudine: in particolare, se k = 1, i due triangoli sono congruenti; se k < 1 il triangolo △A′ B ′ C ′ risulta più piccolo rispetto a △ABC; infine, se k > 1, il triangolo △A′ B ′ C ′ è allora più grande rispetto a △ABC. Per indicare che due triangoli sono simili useremo la scrittura seguente: k= △ABC ∼ △A′ B ′ C ′ . Nelle applicazioni risultano molto utili i seguenti cosiddetti criteri di similitudine, per la cui dimostrazione lo strumento principale è il Teorema di Talete. Per illustrare meglio questa affermazione forniremo la dimostrazione del primo criterio. Teorema 1.14 (Primo criterio di similitudine). Se due triangoli hanno due angoli ordinatamente congruenti, allora sono simili. Dimostrazione. Con riferimento alla Figura 1.31, l’ipotesi è: Â ∼ = Â′ e B̂ ∼ = B̂ ′ , mentre la tesi è △ABC ∼ △A′ B ′ C ′ . Osserviamo preliminarmente che, dalle ipotesi e dal Corollario 1.1, si ricava immediatamente che Ĉ ∼ = Ĉ ′ . Sovrapponiamo i due triangoli in modo che abbiano un vertice in comune, diciamo A = A′ , e i lati a coppie paralleli, come illustrato mediante la Figura 1.32: grazie al Teorema di Talete deduciamo che AB : AC = A′ B ′ : A′ C ′ . 28 Geometria euclidea C C′ A′ A B′ B Figura 1.31 – Due triangoli simili. In modo simile (il lettore verifichi come esercizio questa affermazione) la precedente proporzione può essere completata arrivando a AB : AC = A′ B ′ : A′ C ′ = BC : B ′ C ′ . In conclusione, abbiamo così ottenuto tutte le condizioni richieste dalla Definizione 1.9, per cui la dimostrazione è completa. C C′ A=A′ B′ B Figura 1.32 – Dimostrazione del primo criterio di similitudine. Teorema 1.15 (Secondo criterio di similitudine). Se due triangoli hanno due lati proporzionali e l’angolo compreso congruente, allora sono simili. Teorema 1.16 (Terzo criterio di similitudine). Se due triangoli hanno i lati proporzionali, allora sono simili. Come prima importante conseguenza dei precedenti criteri possiamo illustrare due risultati molto utili, noti col nome di Teoremi di Euclide. 1.3 Teorema di Talete e concetto di similitudine 29 Teorema 1.17 (Primo Teorema di Euclide). In un triangolo rettangolo ciascun cateto è medio proporzionale tra l’ipotenusa e la sua proiezione sull’ipotenusa. Dimostrazione. Con riferimento alla Figura 1.33, dobbiamo dimostrare le seguenti proporzioni: BC : AB = AB : BH (1.3.5) BC : AC = AC : HC . (1.3.6) A tal fine, possiamo osservare che, come conseguenza del primo criterio di similitudine (Teorema 1.14) i due triangoli △BAC e △BHA sono simili, da cui la (1.3.5) segue immediatamente. In modo analogo, dalla similitudine di △BAC e △AHC si ricava la (1.3.6). A B H C Figura 1.33 – AH è l’altezza relativa all’ipotenusa in un triangolo rettangolo. Teorema 1.18 (Secondo Teorema di Euclide). In un triangolo rettangolo l’altezza relativa all’ipotenusa è media proporzionale tra le proiezioni dei cateti sull’ipotenusa. Dimostrazione. Sempre con riferimento alla Figura 1.33, dobbiamo provare la seguente proporzione: HC : AH = AH : BH . La dimostrazione è molto simile a quella del teorema precedente, per cui i dettagli vengono lasciati al lettore come esercizio. 30 Geometria euclidea A beneficio del lettore riassumiamo, attraverso la Figura 1.34, le principali relazioni metriche fra gli elementi di un triangolo rettangolo: (i) a2 + b2 = c2 (Teorema di Pitagora); 2 2 (ii) a = p1 c e b = p2 c (Primo Teorema di Euclide); (iii) h2 = p1 p2 (Secondo Teorema di Euclide). a A B p1 b h H p2 C c Figura 1.34 – Elementi fondamentali di un triangolo rettangolo. Passiamo ora ad alcune applicazioni di questi concetti. ◃ Esercizio 1.3 (Teorema delle secanti). Dimostrare la seguente affermazione: se da un punto esterno ad una circonferenza si conducono due semirette secanti e si considerano i quattro segmenti che hanno un estremo nel punto esterno e l’altro nei punti di intersezione delle secanti con la circonferenza, il prodotto delle misure dei due segmenti appartenenti a una secante è uguale al prodotto delle misure dei due segmenti appartenenti all’altra secante. Soluzione. Come primo passo, il lettore è invitato a costruire una rappresentazione grafica del contenuto di questo esercizio; il risultato da ottenere è illustrato nella Figura 1.35, attraverso la quale bisogna riconoscere che la tesi da verificare è semplicemente: PA · PB = PC · PD . Ora, verifichiamo che i due triangoli △AP D e △BP C sono simili: infatti, ! e ADC ! sono congruenti in quanto angoli alla circonferenza che insistono ABC 1.3 Teorema di Talete e concetto di similitudine 31 " sullo stesso arco; poi, l’angolo AP C è comune, quindi la nostra affermazione è un’immediata conseguenza del primo criterio di similitudine. Ne deduciamo che PD : PB = PA : PC , da cui la tesi è immediata. ▹ B A D C P Figura 1.35 – Illustrazione dell’Esercizio 1.3. ◃ Esercizio 1.4 (Teorema della secante e della tangente). Dimostrare la seguente affermazione: se da un punto esterno ad una circonferenza si tracciano una semiretta tangente ed una secante, il prodotto delle misure dei due segmenti che hanno un estremo nel punto esterno e l’altro nei punti di intersezione della secante con la circonferenza è uguale al quadrato della misura del segmento di tangenza. Soluzione. Come per l’esercizio precedente, per prima cosa costruiamo un’appropriata rappresentazione grafica (si veda la Figura 1.36). Ora, la tesi da verificare è: 2 PT = PA · PB . Dato che i ragionamenti richiesti sono analoghi a quelli dell’esercizio precedente, il lettore è invitato a completare autonomamente la dimostrazione, verificando, in particolare, la similitudine tra i due triangoli △AP T e △T P B. (Suggerimen" to: osservare che AT P e T" BA sono congruenti, in quanto entrambi sono angoli ⌢ alla circonferenza che insistono sull’arco AT ). ▹ Secondo i resoconti di Plutarco, Talete sbalordì i sapienti sacerdoti egiziani per il modo in cui riuscì a determinare l’altezza della piramide di Cheope 32 Geometria euclidea T B A P Figura 1.36 – Illustrazione dell’Esercizio 1.4. mediante l’uso di un semplice bastone e la valutazione delle ombre (dati di facile misurazione): questa applicazione del concetto di similitudine è contenuta nell’esercizio seguente. ◃ Esercizio 1.5. Si osservi la Figura 1.37: dedurre l’altezza della piramide attraverso un uso opportuno del concetto di similitudine. 6.2 m 10 m 240 m Figura 1.37 – Illustrazione dell’Esercizio 1.5: la piramide di Cheope ed il bastone di Talete. Soluzione. Il problema può essere schematizzato attraverso la rappresentazione di una sezione della piramide, come in Figura 1.38. In questa figura, le rette contenenti CF e EG rappresentano raggi del sole, mentre EF rappresenta il bastone. Data la lontananza del sole, si può supporre che i raggi siano paralleli e quindi che CF sia parallelo a EG. Sempre con riferimento alla Figura 1.38, il problema di partenza diventa quindi equivalente al seguente: note le misure di HF , EF e F G, determinare la lunghezza di CH. Osserviamo che i due triangoli rettangoli △CHF e △EF G sono simili grazie al primo criterio, in quanto ! ! CF H ∼ = EGF 1.4 Esercizi di riepilogo 33 perché corrispondenti rispetto a due rette parallele tagliate dalla trasversale AG. Ne segue la validità della seguente proporzione: CH : EF = HF : F G , da cui, usando i dati HF = 240 m. EF = 6, 2 m. F G = 10 m. , è facile ricavare che l’altezza CH misura circa 148,8 m. ▹ C E A H B F G Figura 1.38 – Sezione della piramide di Cheope. 1.4 Esercizi di riepilogo ◃ Esercizio 1.6. In un triangolo △ABC si consideri un punto D su AC " − ACB. " ! ∼ tale che AB = AD. Mostrare che 2CBD = ABC ! ∼ ! Essendo Soluzione. Riferendoci alla Figura 1.39a, si ha CBD ABC−ABD. = ! ! ∼ ! Quindi AB = AD segue che ABD = ADB. ! ∼ !. CBD ABC − ADB = ! (1.4.1) ! è un angolo esterno al triangolo △BCD, da cui segue, per il Inoltre, ADB Teorema 1.2, ! ∼ ! + ACB !. ADB (1.4.2) = CBD ! ∼ !−! Sostituendo (1.4.2) in (1.4.1) si trova CBD ABC − CBD ACB , da cui la = ! tesi. ▹ 34 Geometria euclidea A A L D M D C B C (a) B (b) Figura 1.39 – (a) Illustrazione dell’Esercizio 1.6. (b) Illustrazione dell’Esercizio 1.7. ◃ Esercizio 1.7. Sia △ABC un triangolo con AB > AC. La bisettrice " e la bisettrice dell’angolo esterno in C si incontrano in un dell’angolo ABC punto D. Siano L e M i punti di intersezione della retta per D parallela a CB con AC e AB rispettivamente. Mostrare che LM = MB − LC. Soluzione. La rappresentazione del problema è illustrata in Figura 1.39b. ! ∼ ! Inoltre, DBC ! ∼ ! essendo angoli Per costruzione si ha ABD = DBC. = BDM alterni interni rispetto alle rette parallele individuate da CB e DM tagliate ! ∼ dalla trasversale DB. Per la transitività della relazione di congruenza ABD = ! , da cui △DM B è un triangolo isoscele. Segue che BDM DM = M B . (1.4.3) DL = LC . (1.4.4) In modo analogo si dimostra che Sostituendo (1.4.3) e (1.4.4) in DM = DL + LM si perviene al risultato. ▹ ◃ Esercizio 1.8. Sia △ABC un triangolo rettangolo e siano D, E e F rispettivamente il piede dell’altezza rispetto all’ipotenusa AB, l’intersezione dell’ipotenusa con la bisettrice dell’angolo retto e il punto medio ! ∼ ". dell’ipotenusa. Mostrare che DCE = ECF Soluzione. Si consideri il triangolo rettangolo △ABC inscritto in una semicirconferenza come mostrato in Figura 1.40. Estendiamo CE sino ad incontrare " ∼ ! segue che i la circonferenza in G. Essendo, per costruzione, ACG = BCG, corrispondenti angoli al centro sono congruenti, ovvero: " ! AF G ∼ G. = BF 1.4 Esercizi di riepilogo 35 C F D A B E G Figura 1.40 – Illustrazione dell’Esercizio 1.8. Quindi F G è perpendicolare a AB e, conseguentemente, parallelo a CD. I !eF ! due angoli DCE GE sono quindi congruenti (essendo angoli alterni interni rispetto a rette parallele). Osservando, infine, che CF = F G si ha che il ! ∼ ! !. triangolo △CF G è isoscele, da cui ECF GE ∼ ▹ = F = DCE ◃ Esercizio 1.9. In un triangolo △ABC si estenda l’altezza relativa a AC sino ad un punto G tale che EG = CF , dove E ed F rappresentano i piedi delle altezze relative a AC e AB rispettivamente. Sia H l’intersezione della retta per G, perpendicolare a BG, con il prolungamento di AB. Mostrare che AH = AC. C G E H A F B Figura 1.41 – Illustrazione dell’Esercizio 1.9. Soluzione. Per costruzione (si veda la Figura 1.41) il lettore dovrebbe dedurre ! ∼ ! ∼ " che GHA BAC. Adesso, BGH C in quanto entrambi angoli retti, = ! = AF per cui segue dal Teorema 1.14 che i due triangoli △AF C e △HGB sono simili. Possiamo quindi scrivere AC BH = . (1.4.5) CF GB 36 Geometria euclidea In △BHG, AE è parallelo a HG, da cui, per il Teorema 1.13, AH BH = . EG GB (1.4.6) Dalle (1.4.5) e (1.4.6), tenendo conto che EG = CF , si conclude. ▹ ◃ Esercizio 1.10. Sia △ABC un triangolo qualunque e sia E un punto 2 2 2 2 sull’altezza relativa a CB. Mostrare che AC − CE = AB − EB . A A E E G D B P C C B D (a) (b) Figura 1.42 – (a) Illustrazione dell’Esercizio 1.10. (b) Illustrazione dell’Esercizio 1.11. Soluzione. Sia D il piede dell’altezza relativa a AB (si veda la Figura 1.42a). Applicando il Teorema di Pitagora ai triangoli △ADC e △EDC si trova: 2 2 2 2 2 2 CD + AD = AC , CD + ED = EC . Sottraendo membro a membro queste due relazioni si trova 2 2 2 2 AD − ED = AC − EC . (1.4.7) In modo analogo, considerando i triangoli △ADB e △EDB, si perviene a 2 2 2 2 AD − ED = AB − EB . Infine, combinando (1.4.7) e (1.4.8) si ha la tesi. (1.4.8) ▹ 1.4 Esercizi di riepilogo 37 ◃ Esercizio 1.11. Due corde AC e DB di una circonferenza son tra loro perpendicolari e si intersecano in un punto G. Si estenda l’altezza relativa a AD del triangolo △ADG, sino ad incontrare BC in un punto P . Mostrare che BP = CP . Soluzione. Per prima cosa rappresentiamo il problema come mostrato in Fi! è complementare a gura 1.42b. Nel triangolo rettangolo △AEG l’angolo DAG " il quale è complementare a EGD. ! Segue che DAG ! ∼ ! Inoltre, AGE, = EGD. ! ∼ !. Gli angoli DAC ! e DBC ! sono angoli alla cirosserviamo che EGD = BGP conferenza che insistono sullo stesso arco e quindi sono congruenti. Segue che ! ∼ !, da cui BP = GP . In modo analogo si dimostra che CP = GP . CBG = BGP ▹ √ ◃ Esercizio 1.12. Si consideri un cubo di lato pari a 3 cm. Calcolare la misura delle diagonali (ovvero, i segmenti che congiungono due vertici non appartenenti alla stessa faccia). Soluzione. Indichiamo con ℓ la lunghezza del lato del cubo. Applicando il Teorema di Pitagora, deduciamo che la diagonale Dfaccia di una faccia del cubo misura: ! √ Dfaccia = ℓ2 + ℓ2 = 2 ℓ . Adesso possiamo calcolare la misura della diagonale del cubo Dcubo applicando ancora il Teorema di Pitagora: $ ! √ 2 + ℓ2 = 2 ℓ2 + ℓ2 = 3 ℓ . Dcubo = Dfaccia √ Nella nostra situazione abbiamo ℓ = 3 cm , per cui: √ √ Dcubo = 3 · 3 cm = 3 cm . ▹ ◃ Esercizio 1.13. Calcolare il rapporto tra la diagonale di un quadrato e la lunghezza della circonferenza in esso inscritta. Soluzione. Indichiamo con ℓ la lunghezza del lato del quadrato. Allora la diagonale del quadrato, come conseguenza del Teorema di Pitagora, misura: √ Dquadrato = 2 ℓ . 38 Geometria euclidea Poiché ℓ è anche il diametro della circonferenza inscritta, il rapporto richiesto vale: √ √ 2ℓ 2 = . πℓ π ▹ 1.5 Elementi di geometria solida In questo paragrafo presentiamo le formule per il calcolo dell’area e del volume di alcuni solidi notevoli. Prima di far questo ricordiamo le formule per il calcolo dell’area di un poligono regolare e del cerchio. Con riferimento alla Figura 1.43 si ricava immediatamente che l’area di un poligono regolare con n lati (in figura un pentagono) è pari a n volte (nel caso del pentagono 5 volte) l’area del triangolo avente base di lunghezza ℓ ed altezza l’apotema a. Quindi, denotato con Pn un poligono regolare con n lati, la sua area è: A(Pn ) = n p·a ℓ·a = , 2 2 (1.5.1) dove con p = n ℓ abbiamo indicato il perimetro del poligono. r a ℓ Figura 1.43 – Pentagono regolare. Sempre con riferimento alla Figura 1.43, il lettore non dovrebbe aver difficoltà a comprendere che, man mano che il numero n dei lati aumenta, il poligono regolare tende ad approssimare il cerchio circoscritto. Il perimetro del poligono tenderà quindi alla lunghezza della circonferenza, cioè 1.5 Elementi di geometria solida 39 2 π r, mentre l’apotema si avvicinerà al raggio r. Usando la (1.5.1) si intuisce che l’area di un cerchio di raggio r vale π r 2 . Ricordiamo adesso le definizioni di alcuni solidi notevoli. 1. Si chiama prisma un poliedro avente come basi due poligoni congruenti posti su piani paralleli, e come facce laterali dei parallelogrammi. Un prisma che ha gli spigoli laterali perpendicolari alle basi si dice retto. Infine, un prisma retto si dice regolare quando le basi sono dei poligoni regolari. Un prisma con base rettangolare si chiama parallelepipedo. 2. Si chiama piramide un poliedro i cui vertici, tranne uno, appartengono ad uno stesso piano chiamato piano della base. Il vertice esterno alla base è detto vertice della piramide. Una piramide si dice regolare se i vertici appartenenti alla base descrivono un poligono regolare e il vertice della piramide si trova sulla retta perpendicolare alla base passante per il centro del poligono. 3. Si chiama cono circolare retto il solido ottenuto dalla rotazione di un segmento attorno ad una retta passante per uno, ed uno solo, dei suoi estremi. 4. Si chiama cilindro circolare retto il solido ottenuto dalla rotazione di un segmento attorno ad una retta ad esso parallela. Siamo ora pronti per richiamare le principali formule per il calcolo dell’area e del volume dei solidi appena definiti. Prisma regolare con base un n-gono regolare Area laterale Aℓ = n(ℓ · h) Area totale h At = Aℓ +2 Ab = n(ℓ·h)+n(ℓ·a) = n ℓ(h+a) Volume a ℓ V = Ab · h = n l·a·h 2 40 Geometria euclidea Parallelepipedo Area laterale Aℓ = 2(a · h) + 2(b · h) = 2(a + b) · h Area totale At = Aℓ + 2Ab = 2(a + b) · h + 2(a · b) h a Volume b V = Ab · h = a · b · h Piramide regolare con base un n-gono regolare Area laterale Aℓ = n ℓ·d 2 Area totale d At = Aℓ + Ab = n h Volume a V= ℓ Tronco di piramide regolare ℓ′ d h a ℓ Ab · h ℓ·a·h =n 3 6 Area laterale con base un n-gono regolare a′ ℓ·d ℓ·a nℓ +n = (d + a) 2 2 2 Aℓ = n (ℓ + ℓ′ ) · d 2 Area totale At = Aℓ + Ab + Ab′ √ Volume (Ab + Ab′ + Ab · Ab′ ) · h V= 3 1.5 Elementi di geometria solida Cono circolare retto 41 Area laterale Aℓ = π r · d Area totale d h At = Aℓ + Ab = π r · d + π r 2 Volume r Cilindro retto π r2 · h Ab · h = V= 3 3 circolare Area laterale Aℓ = 2 π r · h Area totale At = Aℓ + 2Ab = 2 π r · h + 2π r 2 h Volume r V = Ab · h = π r 2 · h Sfera Area r Volume A = 4 π r2 V= 4 3 πr 3 42 Geometria euclidea Alcune di queste formule hanno una spiegazione piuttosto semplice ed intuitiva. Per esempio, è facile convincersi che il volume di un parallelepipedo sia pari all’area della base moltiplicata per l’altezza. Concettualmente molto più profonde sono invece le formule necessarie a calcolare il volume di una piramide o di una sfera. Nei prossimi due esercizi, il cui studio potrebbe ragionevolmente avvenire in una fase successiva, ne daremo una dimostrazione intuitiva e sostanzialmente completa. ◃ Esercizio 1.14 (*). Dimostrare che il volume di una piramide regolare è A·h , V= 3 dove con A abbiamo indicato l’area di base e con h l’altezza. Soluzione. Consideriamo, per semplicità espositiva, il caso di una piramide regolare con base quadrata. L’idea è di approssimare la piramide con una pila di parallelepipedi come mostrato nella Figura 1.44, dove riportiamo una sezione piana della suddivisione. Sia n il numero di parti in cui abbiamo suddiviso la piramide e siano (n − 1) i parallelepipedi costruiti come in Figura 1.44. Si noti che la parte più alta della piramide non contiene alcun parallelepipedo. La somma dei volume dei parallelepipedi non sarà il volume della piramide ma, man mano che aumenta il numero n delle suddivisioni, questa tenderà al volume della piramide7 . Le aree A1 , . . . , An−1 delle basi dei parallelepipedi P1 , . . . , Pn−1 sono proporzionali all’area A della base della piramide secondo le proporzioni seguenti (si osservi la Figura 1.44): An−1 7 % &2 h = A : h2 A1 : n % &2 2h = A : h2 A2 : n .. . % &2 (n − 1)h : = A : h2 . n Questo argomento è esattamente quello utilizzato da Eudosso di Cnido nel quarto secolo a.C. 1.5 Elementi di geometria solida 43 h n P1 P2 2h n (n−1)h n .. . h Pn−2 Pn−1 Figura 1.44 – Approssimazione della piramide con i parallelepipedi P1 , . . . , Pn−1 . Da ciò si deduce che: Ak = A k2 , n2 k = 1, 2, . . . , n − 1 . Detti V1 , . . . , Vn−1 i volumi dei parallelepipedi P1 , . . . , Pn−1 si trova h h + · · · + An−1 · n n A·h 2 (1 + 22 + · · · + (n − 1)2 ) . n3 V1 + · · · + Vn−1 = A1 · = Adesso, con metodi che vedremo nel Capitolo 2, ed in particolare tenendo conto dell’Esercizio 2.21, si può verificare che 2n3 − 3n2 + n 1 + 2 + · · · + (n − 1) = . 6 2 2 2 Segue che 2n3 − 3n2 + n 3 % 36 n & 2n n2 n = A·h − + 6 n3 2 n3 6 n3 & % 1 1 1 − + . = A·h 3 2 n 6 n2 V1 + · · · + Vn−1 = A · h 44 Geometria euclidea Per finire il lettore deve convincersi (provando a valutare queste espressioni numeriche) che per valori di n molto grandi si trova: 1 ≈0. 6 n2 1 ≈ 0, 2n Matematicamente, queste approssimazioni possono essere rese rigorose mediante il concetto di limite (che non tratteremo però in questo libro). ▹ Osservazione 1.2. Con un procedimento analogo a quello visto nell’Esercizio 1.14, approssimando un cono con una pila di cilindri si perviene alla formula per il calcolo del volume di un cono. ◃ Esercizio 1.15 (*). Dimostrare che il volume di un tronco di piramide regolare è √ (Ab + Ab′ + Ab · Ab′ ) · h V= , 3 dove con Ab e Ab′ abbiamo indicato rispettivamente l’area della base inferiore e superiore del tronco di piramide, mentre con h l’altezza. Soluzione. Con riferimento alla Figura 1.45 il volume del tronco di piramide è dato dalla differenza tra i volumi di due piramidi. Indicando con h + x l’altezza della piramide completa, si ha che il volume del tronco di piramide è V= 1 Ab · (x + h) Ab′ · x − = [x(Ab − Ab′ ) + h Ab ] . 3 3 3 (1.5.2) x h Figura 1.45 – Il volume di un tronco di piramide è la differenza tra i volumi di due piramidi. 1.5 Elementi di geometria solida 45 Adesso, le aree Ab e Ab′ sono proporzionali secondo la proporzione Ab : (x + h)2 = Ab′ : x2 . Segue che x è soluzione dell’equazione (Ab − Ab′ )x2 − 2hAb′ x − h2 Ab′ = 0 che ammette, anticipando risultati che verranno illustrati nel Capitolo 4, la soluzione positiva √ Ab′ + Ab Ab′ . x=h Ab − Ab′ Sostituendo, nella (1.5.2), il valore di x trovato si ha immediatamente la tesi. ▹ ◃ Esercizio 1.16 (*). Dimostrare che il volume di una sfera di raggio r è 4 V = π r3 . 3 Soluzione. Si consideri una semi-sfera S di raggio r e la si circoscriva con un cilindro con altezza pari al raggio della sfera. Si consideri poi un cono circolare retto con il vertice nel centro della sfera e base il cerchio superiore del cilindro. Nella Figura 1.46 mostriamo una sezione verticale della costruzione descritta sopra. Figura 1.46 – Illustrazione dell’Esercizio 1.16. Adesso dimostriamo la seguente affermazione: In ogni piano orizzontale che interseca la configurazione dei tre solidi, l’area della sezione di semi-sfera è pari all’area della sezione del cilindro meno l’area della sezione del cono. 46 Geometria euclidea Dimostrazione. Supponiamo che il piano orizzontale sia ad una certa quota h. Il raggio di Pitagora, √ della sezione Sh di semi-sfera sarà, usando il Teorema 2 2 2 2 rSh = r − h . Quindi l’area di Sh diventa A(Sh ) = π · (r − h ). L’area della sezione di cilindro non dipende da h ed è sempre pari all’area della base, cioè π · r 2 . Il piano orizzontale interseca il cono in una circonferenza di raggio h (si costruisca un opportuno triangolo isoscele per verificare questa proprietà). Segue che l’area della sezione di cono è π ·h2 . Calcolando ora l’area della sezione di cilindro meno l’area della sezione di cono si ottiene: π · r 2 − π · h2 = π · (r 2 − h2 ) = A(Sh ) . Per concludere utilizziamo il seguente principio del volume: Se due solidi hanno tutte le sezioni orizzontali di pari area, allora i solidi hanno lo stesso volume. Usando questo criterio deduciamo che il volume della semi-sfera è la differenza del volume del cilindro meno il volume del cono: 2 π · r2 · r = π · r3. 3 3 Il volume della sfera, essendo due volte quello della semisfera, è proprio dato dalla formula cercata. ▹ V(S) = π · r 2 · r − 1.6 Esercizi proposti ◃ Esercizio 1.17. In un quadrato ABCD, sia M il punto medio di AB. Una retta per M, perpendicolare a MC, incontra AD in un punto K. ! ∼ !. Mostrare che BCM = KCM ◃ Esercizio 1.18. Dato un quadrato ABCD sia E un punto interno tale ! ∼ ! = 15◦ , mostrare che △ABE è equilatero. che EDC = ECD ◃ D G di Esercizio 1.19. Sia △ABC un triangolo rettangolo retto in C. Siano e E due punti su AB tali che BD = BC e AE = AC. Indicata con la proiezione ortogonale di D su AC e con F la proiezione ortogonale E su BC, mostrare che DE = EF + DG. ◃ Esercizio 1.20. La misura della base maggiore DC di un trapezio A, B, C, D è 97. La misura del segmento che unisce i punti medi E e F delle diagonali misura 3. Determinare la misura della base minore AB. 1.7 Commenti e note bibliografiche 47 ◃ Esercizio 1.21. Due pali di una linea elettrica sono alti 40 e 60 metri rispettivamente. Dei cavi di supporto sono tirati dalla cima di ogni palo alla base dell’altro. A che altezza h dal suolo si trova il punto di intersezione dei due cavi? ◃ Esercizio 1.22. Una circonferenza è inscritta in un triangolo isoscele di base 12 e altezza 8. Una seconda circonferenza è inscritta in modo da risultare tangente alla prima circonferenza e ai lati uguali del triangolo. Determinare il raggio r della seconda circonferenza. ◃ Esercizio 1.23. Una piramide retta a base quadrata ha l’area della superficie totale di 800 cm2 . Sapendo che l’area della superficie di base è 8/17 dell’area della superficie laterale, calcolare il volume del solido. ◃ Esercizio 1.24. La misura del perimetro di un trapezio rettangolo è di 42 cm; il lato obliquo è 10 cm e la differenza delle basi è 6 cm. Calcolare l’area totale ed il volume del solido ottenuto dalla rotazione completa del trapezio attorno alla base maggiore. 1.7 Commenti e note bibliografiche Il notissimo V postulato della geometria euclidea classica, nella sua formulazione più moderna, risulta equivalente alla seguente asserzione: Per un punto passa una ed una sola parallela ad una retta data. Nel corso dei secoli, numerosi matematici tentarono di dimostrare che il V postulato era conseguenza dei primi quattro (Proclo, Posidonio, Tolomeo, e inoltre alcuni matematici arabi). Nel 1733, il matematico Giovanni Gerolamo Saccheri credette di aver dimostrato il V postulato, ragionando nel seguente ordine di idee: se si assumono solo i primi quattro postulati, la geometria (alternativa a quella euclidea) che ne deriva è contraddittoria. In realtà, nei ragionamenti di Saccheri non era presente alcuna contraddizione e il suo lavoro altro non fece che spianare la strada allo sviluppo delle geometrie non euclidee (si veda [11]): in particolare, nella cosiddetta geometria iperbolica le parallele sono infinite (modello del disco di Poincaré), mentre nella geometria ellittica (modello della sfera di Riemann) due rette distinte hanno sempre due punti in comune. Le geometrie non 48 Geometria euclidea euclidee hanno importanti applicazioni in vari campi, come ad esempio l’architettura (geometria proiettiva e descrittiva). Forse non sorprende che la formula per il calcolo del volume di una piramide o di una piramide tronca fosse già nota agli antichi egizi. Però meraviglia che nel famoso papiro di Rhind (anche noto come papiro di Ahmes dal nome dello scriba che lo trascrisse verso il 1650 a.C) sia indicata una dimostrazione rigorosa di queste formule (si veda, per esempio, [3, pag. 31]). Non è molto noto nei paesi occidentali che nel secolo III il grande matematico cinese Liu Hui arrivò, utilizzando il metodo costruttivo (algoritmico), a molti dei risultati della geometria ellenica, quali il Teorema di Pitagora o il calcolo del volume di una piramide (si veda, per esempio, [21, pag. 37]). Per una trattazione moderna e completa della geometria euclidea classica il lettore può consultare [20]. Alternativamente, si possono consultare vari testi per le scuole superiori, come ad esempio [25]. 2 Insiemi, funzioni e linguaggio logico-matematico 2.0 Scopi del capitolo In questo capitolo introduciamo simboli e nozioni di base inerenti alla teoria degli insiemi. Illustriamo gli insiemi numerici fondamentali partendo dai numeri naturali sino ad arrivare ai numeri reali. Poi procediamo all’illustrazione del concetto di funzione tra due insiemi. Il capitolo termina con una sezione in cui vengono presentate alcune delle tecniche usuali di dimostrazione: si tratta di un argomento importante per sviluppare le capacità critiche di ragionamento e il rigore matematico del lettore. Questo capitolo è estremamente importante e va quindi studiato con molta attenzione. D’altra parte, sicuramente la comprensione del concetto di funzione progredirà attraverso lo studio degli altri capitoli: per questo motivo il lettore potrebbe beneficiare, in una fase successiva, di una rilettura critica di questi primi argomenti. 50 Insiemi, funzioni e linguaggio logico-matematico 2.1 Elementi di teoria degli insiemi Conviene considerare il concetto di insieme come primitivo, cioè non riconducibile a nozioni più elementari. Più precisamente, diremo che un insieme è una collezione di oggetti, determinati e distinti, della nostra percezione o del nostro pensiero, concepiti come un tutto unico. Tali oggetti si chiamano elementi dell’insieme. Generalmente, indichiamo gli insiemi con le lettere maiuscole A, B, C, D, etc., mentre per i suoi elementi useremo le lettere a, b, c, d, etc. Se a è un elemento di A scriviamo a ∈ A (a appartiene a A) . Se invece b non appartiene a A, si scrive: b∈ /A. Quando un insieme A possiede un numero finito di elementi, chiameremo questo numero cardinalità1 di A, e lo indicheremo con il simbolo #(A). In certi testi, come sinonimo di cardinalità si può trovare numerosità o potenza. Prima di continuare, è utile introdurre alcuni altri simboli e notazioni che saranno regolarmente usati in tutto il resto del libro: : ∃ ∀ ⇒ significa significa significa significa tale che 2 esiste per ogni implica . (2.1.1) Altri simboli verranno di volta in volta introdotti all’occorrenza. ♦ Esempio 2.1. (i) Un insieme si può definire in modo estensivo, cioè esibendo i suoi elementi. Ad esempio, l’insieme A dei numeri naturali da 0 a 5 si scrive come A = {0, 1, 2, 3, 4, 5} (si noti l’uso delle parentesi graffe) . (2.1.2) In questo esempio #(A) = 6 . 1 Nella teoria assiomatica degli insiemi viene data una definizione rigorosa di cardinalità, che si adatta al caso di insiemi infiniti. 2 A volte si possono usare i simboli alternativi t.c. oppure |. 2.1 Elementi di teoria degli insiemi 51 (ii) Un insieme può essere definito in modo intensivo, cioè a partire da una proprietà comune a tutti i suoi elementi; per esempio, se denotiamo con N l’insieme dei numeri naturali (si veda il §2.2), allora l’insieme A definito in (2.1.2) si può ridefinire come A = {n ∈ N : n ≤ 5} e si legge: l’insieme degli n appartenenti ai numeri naturali tali che n è minore o uguale a 5. (iii) L’insieme privo di elementi si chiama insieme vuoto3 e si indica con ∅. Consideriamo ora gli insiemi: A = {a, b, c, d}, B = {a, b, d} . (2.1.3) Confrontando i due insiemi A e B possiamo facilmente dedurre la veridicità della seguente affermazione: x∈B ⇒ x∈A. (2.1.4) A parole, la (2.1.4) significa semplicemente che il generico elemento x di B è anche elemento di A. Questo può essere riscritto nel modo seguente: B⊆A, (2.1.5) dove il nuovo simbolo ⊆ esprime appunto il fatto, intuitivamente evidente, che l’insieme B è contenuto nell’insieme A. Alternativamente, possiamo anche dire che B è un sottoinsieme di A. Notiamo anche che nella nostra situazione A ̸⊆ B , (2.1.6) 3 L’accettazione dell’insieme vuoto induce spesso resistenze psicologiche simili a quelle che hanno accompagnato lo zero nel corso della sua storia. Contrariamente a quanto qualcuno è forse portato a credere, sia in un caso che nell’altro non si tratta del “nulla”. L’insieme vuoto, per quanto particolare, è comunque un insieme soggetto alle stesse regole di tutti gli altri. Se ci convince poco definirlo come un insieme (in effetti: l’unico insieme) privo di elementi, possiamo far uso (tra le altre possibili) della definizione formale seguente: ∅ = {x : x ̸= x}. Siccome la proprietà “x ̸= x” è, per ogni x, sicuramente vera o falsa (in effetti è sempre falsa), abbiamo correttamente definito un insieme, che per l’appunto risulta privo di elementi. 52 Insiemi, funzioni e linguaggio logico-matematico cioè A non è contenuto in B. (In generale, una / su un simbolo indica la negazione del simbolo stesso: per esempio # significa non esiste). Tra due insiemi A e B si possono definire le seguenti operazioni: Unione: Intersezione: Differenza: A ∪ B = {x : x ∈ A oppure x ∈ B} A ∩ B = {x : x ∈ A e x ∈ B} A \ B = {x ∈ A : x ∈ / B} . Inoltre, se A ⊆ B, definiamo il complementare di A rispetto a B come: CB (A) = {x ∈ B : x ∈ / A} . ♦ Esempio 2.2. Se A = {1, 2, 3, 5, 7} e B = {0, 2, 3, 6, 8}, allora A ∪ B = {0, 1, 2, 3, 5, 6, 7, 8}, A ∩ B = {2, 3}, A \ B = {1, 5, 7} . Se A = {1, 2, 3, 5, 7} e B = {1, 2, 3, 5, 7, 9, 11}, allora CB (A) = {9, 11} . Le operazioni elementari con gli insiemi si possono visualizzare in modo grafico con l’ausilio dei diagrammi di Venn, come mostrato nella Figura 2.1. ◃ Esercizio 2.1. Siano A e B due sottoinsiemi di C. Verificare, con l’ausilio dei diagrammi di Venn, le seguenti uguaglianze, note col nome di formule di De Morgan: (i) CC (A ∪ B) = CC (A) ∩ CC (B) (ii) CC (A ∩ B) = CC (A) ∪ CC (B) . (2.1.7) Suggerimento: Pensare C come il foglio in cui sono rappresentati A e B, oppure, in altre parole, considerare C come l’ambiente in cui si trovano A e B. Adesso il lettore non dovrebbe avere difficoltà a svolgere in modo autonomo il seguente: 2.1 Elementi di teoria degli insiemi A B 53 A (a) A ∩ B A B (b) A ∪ B B (c) A \ B A B (d) CB (A) Figura 2.1 – Diagrammi di Venn. ◃ Esercizio 2.2. Siano A e B gli insiemi definiti in (2.1.3). Siano poi: C = {a, b, 1} , D = {a, c, 2} , E = {c, 1} . Verificare che: (i) (iii) (v) (vii) (ix) A∪B =A (ii) A ∩ B = B A ∪ C = {a, b, c, d, 1} (iv) A ∩ C = {a, b} A ̸⊆ (C ∪ D) (vi) D ∩ C = {a} B∩E =∅ (viii) E ⊆ (C ∪ D) B\A=∅ (x) CA (B) = {c} . (2.1.8) Si noti che, al fine di interpretare correttamente, da un punto di vista logico-matematico, l’uguaglianza fra due insiemi, si deve tenere conto del fatto che ( A = B ) ⇔ (A ⊆ B e B ⊆ A) , (2.1.9) dove il simbolo ⇔ denota equivalenza fra due proposizioni. Per concludere questa breve introduzione al concetto di insieme illustriamo il significato di prodotto cartesiano tra due insiemi. Dati due insiemi A e 54 Insiemi, funzioni e linguaggio logico-matematico B, si considerino tutte le coppie {a, b} dove a ∈ A e b ∈ B. Una coppia si dice ordinata se il primo elemento appartiene al primo insieme ed il secondo al secondo insieme. Le coppie ordinate si indicano con [a, b]4 . Due coppie ordinate [a, b] e [a′ , b′ ] sono uguali se a = a′ e b = b′ . Ora possiamo dare la seguente: Definizione 2.1. Siano A e B due insiemi. Allora il prodotto cartesiano di A e B, denotato con il simbolo A × B, è l’insieme di tutte le coppie ordinate [a, b] con a ∈ A e b ∈ B. ♦ Esempio 2.3. Se A = {1, 2} e B = {a, b, c} il prodotto cartesiano è A × B = {[1, a], [1, b], [1, c], [2, a], [2, b], [2, c]} . 2.2 Insiemi numerici fondamentali Prima di illustrare il concetto di funzione, che sarà argomento del §2.3, conviene prendere familiarità con i principali insiemi numerici. In particolare, abbiamo5 : (i) N = {0, 1, 2, . . . , n, . . . } (ii) Z = {. . . , −2, −1, 0, 1, 2, . . . } m (iii) Q = { : m, n ∈ Z, n ̸= 0, m e n sono primi tra loro} , n (2.2.1) che rappresentano rispettivamente l’insieme dei numeri naturali , dei numeri interi relativi, e dei numeri razionali . È evidente che N ⊆ Z ⊆ Q. Talvolta può essere utile anche utilizzare il simbolo $, che indica l’inclusione stretta. Più precisamente, N $ Z in quanto N ⊆ Z ma Z % N. Osserviamo anche che, a differenza degli esempi incontrati nel §2.1, gli insiemi in (2.2.1) sono costituiti da un numero infinito di elementi. Un insieme numerico fondamentale per i nostri scopi è poi quello dei cosiddetti numeri reali : questo insieme sarà indicato con il simbolo R. Una definizione formalmente rigorosa dell’insieme dei numeri reali richiede conoscenze matematiche avanzate che esulano dai nostri scopi. Quindi ci 4 5 In altri testi si può trovare la notazione (a, b) per indicare le coppie ordinate. Due numeri interi si dicono primi fra loro se il loro massimo comune divisore è 1. 2.2 Insiemi numerici fondamentali 55 accontentiamo di dire che operativamente possiamo identificare l’insieme dei numeri reali R con i punti di una retta su cui sono fissati, come mostra la Figura 2.2, l’origine O, corrispondente al valore 0, l’unità di misura u ed il verso. u −3 −2 −1 0 1 2 √ 2 3 e π Figura 2.2 – Corrispondenza fra numeri reali e punti di una retta. Si può osservare che√Q $ R: in questo caso, l’inclusione è stretta, in / Q (si veda quanto, ad esempio, 2 ∈ √ il Teorema 2.3). D’altra parte, sottolineiamo che 2 compare in modo naturale sia in contesti geometrici (ad esempio, rappresenta la misura della diagonale di un quadrato di lato 1), sia in ambito algebrico, come una soluzione dell’equazione: x2 − 2 = 0 . (2.2.2) √ I numeri reali non razionali, come ad esempio 2, vengono detti irrazionali . La rappresentazione decimale di un numero irrazionale ha un numero infinito di cifre, senza andamento periodico. Inoltre all’interno dei numeri 6 irrazionali esistono dei √ numeri reali, come π o il numero di Nepero e che, diversamente da 2, non sono soluzione di alcuna equazione polinomiale a coefficienti interi (si veda il Capitolo 4 per la definizione rigorosa di polinomio). Questi numeri, concettualmente più complicati, vengono chiamati numeri trascendenti. Infine, precisiamo che anche certi numeri razionali hanno, nell’usuale rappresentazione decimale, un numero infinito di cifre dopo la virgola, ma queste si ripetono con periodicità. I seguenti esempi fissano le idee e la terminologia: 1 = 0, 3333 . . . = 0, 3 . 3 1, 45357 = 1, 45357575757 . . . In questo secondo esempio 1 è la parte intera, 453 sono le cifre del cosiddetto antiperiodo, mentre 57 è il periodo. Numeri di questo tipo vengono 6 Le prime quindici cifre del numero di Nepero e sono 2.71828182845905 . 56 Insiemi, funzioni e linguaggio logico-matematico comunemente chiamati periodici. Per effettuare correttamente le operazioni con i numeri periodici è opportuno preliminarmente trasformarli nella corrispondente frazione (ad esempio, sostituire 0, 3 con (1/3)). Per non spezzare il flusso dell’esposizione, rimandiamo agli esercizi di riepilogo nel §2.5 l’illustrazione di questa tecnica di trasformazione. Chiudiamo questa sezione conducendo il lettore a fare alcune riflessioni di tipo algebrico. Partiamo dal fatto che le due operazioni definite sull’insieme R, cioè la somma ed il prodotto a, b a, b 3→ 3 → a+b ab, soddisfano le seguenti proprietà: commutativa associativa a+b= b+a a + (b + c) = (a + b) + c inverso a + (−a) = 0 elemento neutro a+0=a ab = ba a(bc) = (ab)c 1 a( ) = 1 se a ̸= 0 a a1=a Vale inoltre una proprietà che coinvolge le due operazioni: distributiva (a + b)c = ac + bc In certe situazioni, quando la scrittura di una data formula dovesse risultare ambigua, inseriremo un · tra due simboli per denotare la moltiplicazione. In altre parole, scriveremo equivalentemente a b oppure a · b. Osservazione 2.1. Le proprietà delle operazioni definite su R risultano ovvie e potrebbero essere omesse. Averle inserite in modo esplicito dovrebbe servire al lettore per riflettere su due aspetti importanti. Per prima cosa, queste sono le uniche proprietà algebriche soddisfatte dalle operazioni di somma e prodotto tra numeri reali. In secondo luogo, il lettore dovrebbe esercitarsi ad utilizzare le proprietà formali delle operazioni per semplificare espressioni algebriche complesse. A titolo di esempio, il lettore dovrebbe fare tutti i passaggi, riflettendo su quale proprietà ha utilizzato in ciascun passaggio, per verificare la seguente identità: a(1 + 1/a) 2 (b − b) + (1 − b)(1 + a) = 0 , b a, b ̸= 0. 2.3 Il concetto di funzione 57 Infine, in R è definito un ordinamento totale, indicato con il simbolo # , in virtù del quale, dati due numeri reali a e b, si ha: a # b oppure b # a . Questo ordinamento verifica le seguenti proprietà: riflessiva antisimmetrica transitiva a#a se a # b e b # a allora a = b se a # b e b # c allora a # c Osservazione 2.2. La scrittura a < b significa che a è strettamente minore di b. Si noti che se a = b è corretto affermare che a # b. Inoltre si può utilizzare la notazione a $ b la quale è equivalente a b # a. Valgono le seguenti relazioni tra l’ordinamento di R e le operazioni di somma e prodotto: se se se 2.3 a#b allora a + c # b + c ∀c ∈ R a # b e c > 0 allora ac # bc a # b e c < 0 allora ac $ bc Il concetto di funzione Il concetto di funzione7 riveste un ruolo fondamentale non solo in matematica, ma in tutte le discipline scientifiche. Questa duttilità universale deriva dalla semplicità dell’idea che ne sta alla base. Una funzione possiamo intenderla come un apparecchio di Input-Output (Ingresso-Uscita): prende un Input e fornisce un Output. Questo avviene secondo una prescrizione (legge) precisa (univoca): gli stessi Input daranno sempre gli stessi Output. ♦ Esempio 2.4. Ogni volta che il valore di una grandezza dipende dal valore di un’altra grandezza, si ha una funzione. La natura e la nostra vita sono piene di questo tipo di dipendenze. Si consideri, ad esempio, un termometro in una posizione fissa. La temperatura segnata non sarà sempre la stessa, ma varierà con il tempo, ad esempio con l’escursione termica giornaliera o stagionale. Quindi la temperatura dipende dall’istante 7 In matematica, un sinonimo di funzione è applicazione. 58 Insiemi, funzioni e linguaggio logico-matematico in cui viene misurata. Ciò rappresenta una funzione: in un dato istante t (Input) viene segnata una certa temperatura T (Output). Diremo che la temperatura è una funzione della variabile tempo. Nel caso in cui si vari anche la posizione spaziale del termometro, la temperatura verrebbe a dipendere non solo dal tempo, ma anche dalla posizione. In questi casi, si parla di funzioni dipendenti da più variabili. Ora possiamo formalizzare il concetto di funzione tra due insiemi qualsiasi. Definizione 2.2. Siano A, B due insiemi. Una funzione f : A → B (si legge: funzione f dall’insieme A all’insieme B) è una legge che a ogni elemento a ∈ A associa un elemento b ∈ B. Si scrive f (a) = b e si dice che b è l’immagine di a (attraverso f ). L’insieme A è detto dominio di f (oppure insieme di definizione di f ), mentre B si chiama codominio di f . ♦ Esempio 2.5. Siano A = {a, b, c, d}, B = {1, 2, 3}. Sia poi f : A → B definita da f (a) = 1 , f (b) = 2 , f (c) = 1 , (2.3.1) f (d) = 2 . La legge (2.3.1) definisce correttamente una funzione f : A → B. Questa stessa funzione può anche essere rappresentata mediante il diagramma in Figura 2.3. a b c 1 d A 2 3 B Figura 2.3 – Visualizzazione della funzione dell’Esempio 2.5. ♦ Esempio 2.6. Siano A = {a, b, c, d}, B = {1, 2, 3}. Sia poi g : A → B la legge definita da g(a) = {1, 2} , g(b) = 2 , g(c) = 3 . 2.3 Il concetto di funzione 59 La legge g non definisce una funzione poiché l’elemento a ha due immagini e l’elemento d non ha nessuna immagine. Si veda il diagramma in Figura 2.4. a b c 1 d 2 A 3 B Figura 2.4 – Esempio di una legge che non è una funzione. Riprendendo l’Esempio 2.5, si può osservare che gli elementi a, c ∈ A hanno la stessa immagine. Inoltre l’elemento 3 ∈ B non è l’immagine di alcun elemento di A. Tutto ciò non contraddice la Definizione 2.2, ma rientra in quelle che sono le proprietà della funzione f . Più precisamente, abbiamo: Definizione 2.3. Sia f : A → B una funzione. Diremo che essa è surgettiva (o suriettiva) se: ∀y ∈B, ∃ x ∈ A t.c. f (x) = y . (2.3.2) Con riferimento all’Esempio 2.5, abbiamo già osservato che: # x ∈ A t.c. f (x) = 3, (2.3.3) per cui la funzione f dell’Esempio 2.5 non è surgettiva. Definizione 2.4. Sia f : A → B una funzione. Diremo che f è iniettiva se: ∀x1 , x2 ∈ A ( f (x1 ) = f (x2 ) ) ⇒ ( x1 = x2 ) . (2.3.4) Un’alternativa equivalente alla (2.3.4) è ∀x1 , x2 ∈ A ( x1 ̸= x2 ) ⇒ ( f (x1 ) ̸= f (x2 ) ) . (2.3.5) 60 Insiemi, funzioni e linguaggio logico-matematico (L’equivalenza logica tra (2.3.4) e (2.3.5) sarà verificata nell’Esercizio 2.5). La funzione dell’Esempio 2.5 non è iniettiva, in quanto f (a) = f (c) contraddice la (2.3.4). ◃ Esercizio 2.3. Siano A e B come nell’Esempio 2.5. (i) (ii) (iii) (iv) (v) Definire una funzione f : A → B surgettiva. Definire una funzione f : B → A iniettiva. ∃ una funzione f : A → B iniettiva? ∃ una funzione f : B → A surgettiva? Definire una funzione f : A → A iniettiva e surgettiva. Soluzione. (i) Ad esempio, si può porre f (a) = 1, f (b) = 2, f (c) = 3, f (d) = 1. (ii) Ad esempio, si può porre f (1) = a, f (2) = b, f (3) = c. (iii) No, poiché #(A) > #(B). Infatti, dovendo ogni elemento di A avere un’immagine in B, necessariamente almeno due elementi di A dovranno avere la stessa immagine. (iv) No. Affinché la funzione f : B → A sia surgettiva ci dovrebbe essere almeno un elemento di B per ogni elemento di A. (v) Ad esempio, si può porre f (a) = a, f (b) = c, f (c) = d, f (d) = b. ▹ Definizione 2.5. Sia f : A → B. Diremo che f è bigettiva (o corrispondenza biunivoca) se f è surgettiva e iniettiva. Per esempio, la funzione descritta nella soluzione dell’Esercizio 2.3 (v) è bigettiva. Ora, al fine di arrivare rapidamente ad esempi a cui siamo maggiormente interessati, passiamo ai casi più significativi in cui dominio e codominio di f sono insiemi aventi infiniti elementi, con particolare attenzione al caso di insiemi numerici. ♦ Esempio 2.7. Sia f : N → Z definita da: f (n) = n , ∀n∈N. Questa funzione è iniettiva ma non surgettiva. 2.4 Tecniche di dimostrazione 61 ♦ Esempio 2.8. Sia f : N → N definita da: ' f (n) = 0 se n è pari n+1 se n è dispari . f (n) = 2 (2.3.6) Questa funzione non è iniettiva, ma è surgettiva (verificarlo!). ◃ Esercizio 2.4. Definire una funzione bigettiva f : N → Z. Soluzione. Si può porre, per esempio: ⎧ n ⎨ f (n) = 2 ⎩ f (n) = − n + 1 2 se n è pari se n è dispari . (2.3.7) ▹ Osservazione 2.3. Lo zero è un numero pari. Per capire meglio l’Esempio 2.8 e l’Esercizio 2.4, può essere d’aiuto scrivere esplicitamente le immagini di alcuni valori numerici. Per esempio, per (2.3.6) possiamo scrivere f (1) = 1, f (2) = 0, f (3) = 2, f (4) = 0, f (5) = 3, etc. Invece per (2.3.7) si ha: f (0) = 0, f (2) = 1, f (4) = 2, f (6) = 3, etc. e poi f (1) = −1, f (3) = −2, f (5) = −3, etc. 2.4 Tecniche di dimostrazione Per proposizione intendiamo un enunciato per il quale si può stabilire il suo valore di verità, cioè se è vero (V ) o falso (F ). Vediamo, a titolo di esempio, alcune proposizioni: p1 : 2 è un numero naturale p2 : 2+2≥7 p3 : π∈R. I corrispondenti valori di verità sono V per p1 e p3 , F per p2 . Proposizioni più complesse possono essere ottenute mediante l’uso dei cosiddetti connettivi logici, che elenchiamo di seguito ponendo a fianco di ognuno di essi il suo significato: 62 Insiemi, funzioni e linguaggio logico-matematico ∼ ∧ ∨ ⇒ ⇔ non e oppure implica (se . . . , allora . . .) doppia implicazione (se e solo se) La costruzione delle proposizioni più complesse richiede l’uso di parentesi per rendere il linguaggio non ambiguo. Ecco due esempi: (i) p1 ⇒ (p2 ⇒ p3 ) (ii) (p1 ∧ p2 ) ⇔ p3 , che in parole diventano: (i) Se vale p1 , allora p2 implica p3 (ii) p1 e p2 valgono se e solo se vale p3 . Se una proposizione complessa p è ottenuta, mediante l’uso dei connettivi logici, a partire da proposizioni p1 . . . pn , è naturale chiedersi quale sia il suo valore di verità in funzione dei valori di verità delle proposizioni p1 . . . pn mediante le quali essa è costruita. Il punto di partenza è dato dalle tavole di verità mostrate nella Tabella 2.1. Queste tavole di verità hanno un significato intuitivamente molto chiaro: ad esempio, nessuno dovrebbe meravigliarsi, leggendo la Tabella 2.1b, del fatto che p1 ∧ p2 risulta vera se, e solo se, entrambe p1 e p2 sono vere. Solo la tabella 2.1d potrebbe generare qualche perplessità nel lettore, per cui ora la discutiamo brevemente: poniamo p1 : c’è il sole p2 : faccio una passeggiata La proposizione p1 ⇒ p2 (Se c’è il sole, allora faccio una passeggiata) 2.4 Tecniche di dimostrazione p V F p1 V F V F ∼p F V (a) 63 p1 ∧ p2 V F F F p2 V V F F p1 V F V F (b) p1 V F V F p2 V V F F p1 ⇒ p2 V V F V (c) p1 V F V F (d) p1 ∨ p2 V V V F p2 V V F F p1 ⇔ p2 V F F V p2 V V F F (e) Tabella 2.1 – Tavole di verità. è falsa solo se c’è il sole e non faccio una passeggiata; cioè, p1 ⇒ p2 è falsa solo se p1 è vera e p2 è falsa. In parole, se non c’è il sole, il fatto che io faccia la passeggiata o meno non cambia il valore di verità, che è V in entrambi i casi. Ora, concentrandosi un momento, si può anche riconoscere che tutto ciò è equivalente al fatto che la proposizione (2.4.1) sotto è una tautologia (dove tautologia significa proposizione vera sempre, indipendentemente dai valori di verità delle proposizioni usate per costruirla): (p1 ⇒ p2 ) ⇔ ((∼ p1 ) ∨ p2 ) . (2.4.1) Il fatto che la (2.4.1) sia una tautologia deriva dall’osservazione, innanzitutto, che la tavola di verità di ((∼ p1 ) ∨ p2 ) coincide con la Tabella 2.1d; poi, si applica la Tabella 2.1e. Il seguente esercizio risulterà utile quando discuteremo le tecniche di dimostrazione di un teorema. ◃ Esercizio 2.5. Verificare che la seguente proposizione è una tautologia: (p1 ⇒ p2 ) ⇔ ((∼ p2 ) ⇒ (∼ p1 )) (2.4.2) 64 Insiemi, funzioni e linguaggio logico-matematico Soluzione. La tavola di verità di (∼ p2 ) ⇒ (∼ p1 ) è la seguente: p1 V F V F p2 V V F F (∼ p2 ) ⇒ (∼ p1 ) V V F V (2.4.3) Poiché (2.4.3) coincide con Tabella 2.1d, la conclusione segue immediatamente dalla Tabella 2.1e. ▹ In particolare, useremo la (2.4.2) nelle cosiddette dimostrazioni per contrapposizione. Tecniche di dimostrazione Adesso illustriamo, mediante esempi semplici, dimostrazioni (i) : costruttive; (ii) : per contrapposizione; (iii) : per assurdo; (iv) : per induzione. Teorema 2.1. Esiste una funzione bigettiva f : N → Z. Dimostrazione. (costruttiva) : Questo teorema può essere dimostrato costruendo esplicitamente la f : N → Z con le proprietà richieste. I dettagli di questa costruzione sono stati forniti nell’Esercizio 2.4. Teorema 2.2. Sia n ∈ N. Se n2 è pari, allora n è pari. Dimostrazione. (per contrapposizione): Poniamo p1 : n2 è pari p2 : n è pari 2.4 Tecniche di dimostrazione 65 L’asserto da dimostrare è p1 ⇒ p2 . In virtù della tautologia (2.4.2) possiamo, in modo equivalente, dimostrare che (∼ p2 ) ⇒ (∼ p1 ). In parole, è sufficiente dimostrare che: se n è dispari, allora n2 è dispari. (2.4.4) Ma, se n è dispari, allora si può scrivere n = 2k + 1, dove k ∈ N. Dunque n2 = (2k + 1)2 = 4k 2 + 4k + 1 = 2(2k 2 + 2k) + 1 è dispari, come richiesto. √ Teorema 2.3. 2 ̸∈ Q. Dimostrazione. (per assurdo): In questo caso, la dimostrazione consiste nel mostrare che, negando la tesi,√si arriva ad una contraddizione (assurdo). Supponiamo dunque che 2 ∈ Q: allora deve essere possibile scrivere √ n (2.4.5) 2= , m dove m, n ∈ Z, m, n ̸= 0 e m, n sono primi fra loro. Elevando al quadrato la (2.4.5), si ottiene facilmente 2m2 = n2 . Dunque n2 è pari e, per il Teorema 2.2, anche n è pari, cioè n = 2k. Quindi m2 = 2k 2 , da cui anche m è pari, cosa che contraddice il fatto che m e n siano primi tra loro. Per chiudere questa sezione, illustriamo ora il principio di induzione matematica. Il modo più semplice per enunciarlo è il seguente: Proprietà 2.1 (Principio di induzione). Sia pn , n ∈ N, una famiglia di proposizioni. Se (i) p0 è vera; (ii) (pk vera) ⇒ (pk+1 vera), 66 Insiemi, funzioni e linguaggio logico-matematico allora pn è vera ∀ n ∈ N. Per visualizzre il significato del principio di induzione si può pensare ad una fila di soldati in cui (i) il primo soldato cade; (ii) (la caduta del soldato al posto k) ⇒ (la caduta del soldato al posto k + 1). Allora tutti i soldati cadono. Introduciamo l’utile simbolo di sommatoria Σ. In particolare, precisiamo che, se a1 , . . . , an sono n numeri reali, allora vale la regola di scrittura: n + ai = a1 + a2 + . . . + an (2.4.6) i=1 (si legge sommatoria per i da 1 a n di ai ). Il simbolo i viene chiamato indice di sommatoria. Altre lettere comunemente usate per denotare un indice di sommatoria sono j, k oppure ℓ, ad esempio. Teorema 2.4. ∀ n ∈ N, si ha n + ℓ= ℓ=0 n (n + 1) . 2 (2.4.7) Dimostrazione. (per induzione): dobbiamo verificare che sono soddisfatte le due ipotesi induttive (i) e (ii) del principio di induzione (Proprietà 2.1). Per la (i), si ha semplicemente 0 + ℓ=0 ℓ= 0 (0 + 1) =0, 2 che effettivamente risulta vera. Per quanto invece riguarda la (ii), possiamo scrivere k+1 + ℓ=0 ℓ = k + ℓ=0 ℓ + (k + 1) = k (k + 1) + (k + 1) 2 k (k + 1) [(k + 1) + 1] = (k + 1) ( + 1) = , 2 2 (2.4.8) 2.5 Esercizi di riepilogo 67 dove, per la seconda uguaglianza in (2.4.8), abbiamo usato il fatto che la (2.4.7), per l’ipotesi induttiva, è vera per n = k. A questo punto la (2.4.8) non è altro che la (2.4.7) con n = k + 1. Aneddoto: Si narra che Gauss, all’età di 7 (sette!) anni, abbia ottenuto la (2.4.7) nel modo seguente: 1 n + + Ognuno dei 2 (n − 1) + + 3 (n − 2) vale (n+1), e di + + ······ + + (n − 1) 2 + + n 1 ce ne sono n. Quindi la somma delle due righe vale n (n + 1). Dividendo per 2, si ottiene la (2.4.7)! 2.5 Esercizi di riepilogo ◃ Esercizio 2.6. Sia A l’insieme dei naturali multipli di 2 e sia B l’insieme dei naturali multipli di 6. Descrivere i seguenti insiemi: A∩B ; CB (A) ; CN (A) ; A×B . Soluzione. Osserviamo preliminarmente che A = {2k ∈ N : k ∈ N} ; B = {6k ∈ N : k ∈ N} . Quindi B ⊂ A, per cui A ∩ B = B. Poi, CB (A) = {(2 + 6k) ∈ N : k ∈ N} ∪ {(4 + 6k) ∈ N : k ∈ N} . Proseguendo, troviamo: CN (A) = {(2k + 1) ∈ N : k ∈ N} . Infine A × B = {[2k, 6ℓ] ∈ N × N : k, ℓ ∈ N} . Si può notare che A × B è un sottoinsieme del prodotto cartesiano di N con se stesso. ▹ 68 Insiemi, funzioni e linguaggio logico-matematico ◃ Esercizio 2.7. Siano A e B gli insiemi definiti nell’Esercizio 2.6; sia poi D = {[k, k] ∈ N × N : k ∈ N} . Descrivere l’insieme (A × B) ∩ D . Soluzione. (A × B) ∩ D = {[6k, 6k] ∈ N × N : k ∈ N} . ▹ ◃ Esercizio 2.8. Siano A e B gli insiemi definiti nell’Esercizio 2.6. Si consideri la funzione f : A → B definita da: f (n) = 6n ∀ n ∈ A . f è iniettiva? f è surgettiva? Soluzione. 6n1 = 6n2 ⇒ n1 = n2 , quindi f è iniettiva. Per quanto riguarda la surgettività, è sufficiente osservare che, dato che 1 ̸∈ A, # n ∈ A tale che f (n) = 6 . Quindi f non è surgettiva. ▹ ◃ Esercizio 2.9. Siano A e B gli insiemi definiti nell’Esercizio 2.6. Si definisca, se possibile, una funzione bigettiva f : B → A. Soluzione. Basta porre: f (n) = n , 3 ∀n∈B . ▹ Vediamo ora alcuni esercizi che ci consentiranno di acquisire la tecnica necessaria per trasformare un numero periodico nella corrispondente frazione, in cui numeratore e denominatore sono numeri interi (in molti testi questa, una volta ridotta ai minimi termini, viene chiamata frazione generatrice del numero periodico). 2.5 Esercizi di riepilogo 69 ◃ Esercizio 2.10. Verificare che (2.5.1) 0, 9 = 1 . Soluzione. Poniamo x = 0, 9. Possiamo scrivere: 10x = 9, 9 , da cui 10x − x = 9, 9 − 0, 9 = 9 . Da questo si ricava subito 9x = 9 , e quindi x = 1. Alternativamente, il lettore avrebbe potuto procedere per assurdo, supponendo 1 − 0, 9 > 0 e derivando una contraddizione. ▹ Il metodo dell’esercizio precedente consente in realtà di costruire la frazione generatrice di qualunque numero periodico, come adesso mostriamo in dettaglio. Rappresentiamo un generico numero periodico in forma decimale mediante la scrittura: (2.5.2) x = r1 . . . rn , a1 . . . ap b1 . . . bq Tutte le cifre che compaiono nella scrittura di x sono numeri naturali, con r1 ̸= 0: in particolare x ha q cifre nel periodo e p cifre nell’antiperiodo. Per abbreviare la scrittura poniamo: R = r1 . . . rn , Ap = a1 . . . ap , Bq = b1 . . . bq , (2.5.3) per cui x = R, Ap Bq . Ora osserviamo che: 10p · x = R Ap , Bq e 10p+q · x = R Ap Bq , Bq . Da questo possiamo scrivere: 10p+q · x − 10p · x = R Ap Bq , Bq − R Ap , Bq = R Ap Bq − R Ap , da cui si deduce: 10p · (10q − 1) · x = R Ap Bq − R Ap , 70 Insiemi, funzioni e linguaggio logico-matematico ovvero: x= R Ap Bq − R Ap , 99 . . . 900 . . . 0 (2.5.4) dove il numero di 9 nella frazione generatrice (2.5.4) è pari a q, mentre il numero di 0 è esattamente p. Si noti però che, per completare il processo, può risultare necessario ridurre la frazione generatrice trovata in (2.5.4) ai minimi termini. ◃ Esercizio 2.11. Determinare la frazione generatrice di: x = 34, 23 . (2.5.5) Soluzione. Applichiamo la (2.5.4) (con q = 2 e p = 0). Si ottiene: x= 3423 − 34 3389 = . 99 99 Notiamo che gli unici numeri primi che dividono 99 sono 3 e 11: dato che il numeratore non è divisibile per nessuno di questi due numeri, concludiamo che la frazione generatrice trovata è già ridotta ai minimi termini. ▹ ◃ Esercizio 2.12. Determinare la frazione generatrice di: x = 37, 7241 . (2.5.6) Soluzione. Applichiamo la (2.5.4) (con q = 2 e p = 2). Otteniamo: x= 377241 − 3772 373469 = . 9900 9900 Notiamo che gli unici numeri primi che dividono 9900 sono 2, 3, 5 e 11: dato che il numeratore non è divisibile per nessuno di questi quattro numeri, concludiamo che la frazione generatrice trovata è già ridotta ai minimi termini. ▹ ◃ Esercizio 2.13. Dimostrare la seguente formula per induzione: % & n + n+2 ℓ = 2− . 2ℓ 2n ℓ=1 (2.5.7) 2.5 Esercizi di riepilogo 71 Soluzione. Come primo passo, verifichiamo che la (2.5.7) è soddisfatta per n = 1. Abbiamo: % & 1+2 3 1 2− =2− = . 1 2 2 2 D’altra parte, anche 1 + 1 ℓ = , ℓ 2 2 ℓ=1 come richiesto. Adesso dobbiamo utilizzare l’ipotesi induttiva per dimostrare che: % & n+1 + ℓ n+3 = 2− . 2ℓ 2n+1 ℓ=1 Abbiamo: n+1 + ℓ=1 n + ℓ (n + 1) ℓ = + n+1 . ℓ ℓ 2 2 2 ℓ=1 Ora, usando l’ipotesi induttiva, si ha: n+1 + ℓ=1 ℓ 2ℓ % & n + ℓ (n + 1) n+2 (n + 1) = + n+1 = 2 − + n+1 n ℓ 2 2 2 2 ℓ=1 2(n + 2) − (n + 1) 2&n+1 % n+3 = 2− , 2n+1 = 2− come richiesto. ▹ ◃ Esercizio 2.14. Un vecchio saggio dice: (i) nessuna persona irrazionale è un matematico; (ii) tutte le persone razionali che si impegnano per far fortuna diventano ricche. In base a questi principi di saggezza si può dedurre che: (a) nessuno che non si impegni può essere un matematico; (b) i matematici che si impegnano per far fortuna diventano ricchi; (c) i matematici diventano ricchi solo se si impegnano per far fortuna; 72 Insiemi, funzioni e linguaggio logico-matematico (d) le persone razionali sono sempre dei matematici; (e) tutti i ricchi sono persone razionali oppure sono dei matematici. Soluzione. Le due affermazioni del saggio possono essere schematizzate come segue: (i) matematico ⇒ razionale (ii) ( razionale e impegno) ⇒ ricco (si noti che per (i) abbiamo usato l’Esercizio 2.5). Ora, applicando (i), deduciamo che: (iii) ( matematico e impegno) ⇒ ( razionale e impegno) Infine, da (iii) e (ii): (iv) ( matematico e impegno) ⇒ ricco Quindi la risposta (b) è corretta. Il lettore completerà lo studio di questo esercizio verificando che le altre possibili risposte NON sono accettabili. ▹ 2.6 Esercizi proposti ◃ Esercizio 2.15. Ordinare i seguenti numeri razionali in ordine crescente 3 5 13 1 , , , . 4 6 10 2 ◃ Esercizio 2.16. Gigi ha una torta: dopo un’ora, ne ha mangiato i (2/7) e, nell’ora seguente, ne mangia i (2/7) di ciò che rimaneva dopo la prima ora. Quale parte di torta viene mangiata da Gigi in queste due ore? ◃ Esercizio 2.17. Scrivere in forma di quoziente di interi il numero periodico 2, 1331 . ◃ Esercizio 2.18. Si consideri la funzione f : N → N definita da: f (n) = n3 , ∀n∈N. Stabilire se f è: iniettiva, surgettiva, bigettiva. 2.6 Esercizi proposti 73 ◃ Esercizio 2.19. Calcolare la somma dei primi n numeri dispari: n−1 + (2k + 1) . k=0 ◃ Esercizio 2.20. Calcolare la somma dei primi n numeri pari. ◃ Esercizio 2.21. Dimostrare che la somma dei quadrati dei primi n numeri naturali è: n + k=0 k2 = n(n + 1)(2n + 1) . 6 ◃ Esercizio 2.22. Dimostrare le seguenti affermazioni: (i) la somma di due numeri pari è un numero pari; (ii) la somma di due numeri dispari è un numero pari; (iii) il prodotto di due numeri dispari è un numero dispari. ◃ Esercizio 2.23. Dati due numeri reali a e b, con a < b, poniamo: (a, b) = {x ∈ R : a < x < b} . L’insieme (a, b) viene chiamato intervallo aperto di estremi a e b (si noti che a ̸∈ (a, b) e b ̸∈ (a, b)). Ora si consideri l’insieme , (k, k + 1) I= k∈Z (questa simbologia significa che l’insieme I è l’unione degli (infiniti) intervalli aperti (k, k + 1) , dove k è un numero intero). Determinare CR (I) . ◃ Esercizio 2.24. Si consideri la proposizione seguente: (i) ogni uomo politico ha qualche buona qualità; Dire che la proposizione (i) è falsa equivale a dire che: (a) esiste almeno un uomo politico senza alcuna buona qualità; 74 Insiemi, funzioni e linguaggio logico-matematico (b) tutti gli uomini politici sono senza alcuna buona qualità; (c) se un uomo non ha nessuna buona qualità, allora è un politico; (d) ogni uomo politico è senza buone qualità; (e) se un uomo ha almeno una buona qualità, allora è un politico. 2.7 Commenti e note bibliografiche La teoria degli insiemi è stata inizialmente sviluppata, nella seconda metà del secolo XIX, dal matematico tedesco G. Cantor. Una sistemazione più moderna (assiomatica) dei fondamenti di questa teoria è stata iniziata da Zermelo, intorno al 1908. Attualmente, questa teoria svolge un ruolo importante per i fondamenti della matematica e si colloca nell’ambito della cosiddetta logica matematica. Per un approccio elegante a questi argomenti si può consultare il libro di Halmos [18]. In questo capitolo abbiamo lavorato, in modo operativo e diretto, con l’insieme dei numeri naturali N : segnaliamo però che un’introduzione matematicamente rigorosa dei numeri naturali richiede, anche nell’ordine di idee di quanto visto nel Capitolo 1 per la geometria euclidea classica, un approccio assiomatico di cui il principio di induzione è una conseguenza (si veda [8]); gli assiomi relativi ai numeri naturali sono noti come assiomi di Peano, in onore del matematico che, rielaborando un precedente lavoro di Dedekind, per primo li introdusse nel 1889. Riprendiamo ora brevemente il concetto di numero trascendente: formalmente, si tratta di un numero irrazionale che non è algebrico, cioè non è soluzione di nessuna equazione polinomiale della forma: an xn + an−1 xn−1 + . . . + a1 x + a0 = 0 , dove n ≥ 1 e i coefficienti ai sono numeri interi, non tutti nulli. L’insieme dei numeri trascendenti non è chiuso rispetto all’addizione e al prodotto; ad esempio, se x è trascendente, così sarà −x, ma la loro somma (che è 0) è evidentemente un numero algebrico. L’insieme dei numeri algebrici è numerabile, cioè ammette una corrispondenza biunivoca (= funzione 2.7 Commenti e note bibliografiche 75 bigettiva) con l’insieme dei numeri naturali N. Al contrario, l’insieme di tutti i numeri reali R è non numerabile; ciò implica che l’insieme dei numeri trascendenti è non numerabile, cioè esistono infinitamente più numeri trascendenti che algebrici (lasciamo al solo livello intuitivo il significato di questa affermazione). Tale risultato fu dimostrato da Cantor alla fine del secolo XIX. In generale, diciamo che dimostrare che un dato numero è trascendente può essere molto difficile: l’esistenza dei numeri trascendenti fu dimostrata per la prima volta nel 1844 dal grande matematico francese J. Liouville, che riuscì a costruire un’intera importante classe di numeri trascendenti, i cosiddetti numeri di Liouville. In particolare, la scoperta dei numeri trascendenti consentì la dimostrazione dell’impossibilità di risolvere diversi antichi problemi geometrici riguardanti costruzioni con riga e compasso. Il più famoso, cioè la cosiddetta quadratura del cerchio, consiste nel costruire, mediante riga e compasso, un quadrato avente la stessa area di un dato cerchio: l’impossibilità a risolvere questo problema equivale alla trascendenza di π, che fu dimostrata rigorosamente da F. Von Lindemann nel 1882.