Il metabolismo - Liceo XXV Aprile

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Il metabolismo
L’insieme delle reazioni chimiche e degli scambi energetici che avvengono all’interno di ciascun organismo prende il nome di metabolismo. Nonostante esso sia costituito da un complesso intreccio di reazioni chimiche, è tuttavia possibile distinguere due diversi settori, il catabolismo e l’anabolismo:
1. Catabolismo
qui sono compresi i processi di demolizione delle molecole complesse, assunte sotto forma di sostanze nutritive, che vengono così ridotte a molecole semplici; lo scopo è quello
di recuperare l’energia in esse contenute e renderla disponibile
2. Anabolismo
qui si ha l’utilizzazione dell’energia resasi disponibile con il catabolismo per svolgere le
numerose attività della cellula e dell’organismo; alcune volte le reazioni anaboliche sono
semplicemente l’inverso di quelle cataboliche, più spesso invece si tratta di reazioni completamente differenti
Le reazioni di degradazione di carboidrati, acidi grassi e amminoacidi costituiscono nel loro complesso quello che viene detto catabolismo, mentre l’insieme delle reazioni di sintesi e condensazione all’interno delle
cellule viene indicato come anabolismo. Le reazioni cataboliche avvengono fondamentalmente per mezzo di
processi di ossidazione e portano alla formazione di prodotti di rifiuto quali diossido di carbonio (CO2), acqua (H2O) e urea (NH2CONH2,). Le reazioni anaboliche, invece, partono da un numero limitato di precursori
di piccole dimensioni e permettono di ottenere una varietà̀ di macromolecole utili alla cellula (come proteine,
polisaccaridi, acidi grassi, eme).Dal punto di vista energetico, le reazioni cataboliche sono principalmente
esoergoniche (o esotermiche) cioè determinano un rilascio di energia, che viene in buona parte immagazzinata sotto forma di ATP. Al contrario le reazioni anaboliche sono prevalentemente endoergoniche (o endotermiche) e avvengono solo grazie alla partecipazione dell’ATP che fornisce l’energia necessaria per il loro
svolgimento. Per valutare la quantità di energia che può essere utilizzata nei processi metabolici si ricorre a
una grandezza termodinamica chiamata energia libera di Gibbs (G), la variazione di energia libera (∆G)
permette di capire se un dato processo chimico avviene spontaneamente oppure no. ∆G corrisponde alla differenza tra l’energia libera finale (quella dei prodotti) e l’energia libera iniziale (quella dei reagenti). Le reazioni esoergoniche hanno un ∆G negativo e avvengono in maniera spontanea, al contrario le reazioni endoergoniche hanno un ∆G positivo e non avvengono in maniera spontanea.
IL TRASPORTO DELL’ENERGIA
Catabolismo e anabolismo costituiscono le due facce di una stessa medaglia: il primo comporta la
liberazione di energia, l’altro la sua utilizzazione. L’energia costituisce dunque il collegamento tra i due settori: possiamo immaginare, infatti, un
continuo flusso di energia dal catabolismo verso l’anabolismo. Al trasferimento provvede una speciale molecola:
l’adenosina-trifosfato o semplicemente ATP. Si tratta di una macromolecola, più precisamente un nucleotide trifosfato, costituita da cinque molecole
più semplici: il ribosio, al quale sono
attaccati da una parte l’adenina e
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dall’altra tre molecole di acido fosforico (o gruppi fosfato) legate assieme (l’insieme di adenina e ribosio è detto adenosina). L’energia
nell’ATP è concentrata nei legami
tra i gruppi fosforici che sono detti,
appunto, legami ad elevato contenuto energetico. Quando nella cellula c’è bisogno di energia interviene uno speciale enzima, chiamato ATPasi, che determina la rottura
per idrolisi di uno o di entrambi
questi legami rendendo così disponibile l’energia in essi contenuta. La rottura di un solo legame energetico
trasforma l’ATP in ADP (adenosina-difosfato), se invece i legami vengono rotti entrambi si ha l’AMP (adenosina-monofosfato). Queste trasformazioni sono reversibili: così, una volta che l’ATP ha completamente
ceduto l’energia che trasporta e di conseguenza si è trasformata in ADP o AMP, è possibile, ovviamente fornendo energia, “ricaricarla”. A questo provvede un altro enzima chiamato ATPsintetasi.
L’ATP interviene durante lo svolgimento delle reazioni endotermiche. In esse, infatti, l’energia dei
prodotti è maggiore di quella dei reagenti così, per farle avvenire, le cellule utilizzano lo stratagemma di accoppiarle all’idrolisi dell’ATP: si hanno le cosiddette reazioni accoppiate, nelle quali il distacco di gruppi
fosfato dall’ATP fornisce l’energia che rende possibile la reazione endotermica. L’accoppiamento si realizza
attraverso la formazione di intermedi fosforilati; è questo un presupposto imprescindibile poiché non è ovviamente possibile liberare semplicemente l’energia contenuta nell’ATP: essa si disperderebbe immediatamente come calore ed avrebbe come unica conseguenza quella di innalzare lievemente la temperatura
della cellula. Il gruppo fosfato dell’ATP non viene quindi semplicemente rimosso, ma trasferito ai reagenti
attraverso un processo detto di fosforilazione. Assieme al
gruppo fosfato si ha anche il trasferimento di una parte
dell’energia. L’intermedio fosforilato, partendo da un livello
glucosio-fosfato e fruttosio-fosfato
energetico più elevato di quello dei prodotti della reazione, può
ora trasformarsi spontaneamente: l’intervento dell’ATP ha, per
così dire, trasformato la reazione endotermica in una esotermica. Consideriamo ad esempio la formazione del saccarosio, un
disaccaride composto da glucosio e fruttosio: si tratta di una
reazione endotermica che per poter avvenire presuppone la fosforilazione dei due monosaccaridi che lo costituiscono. Infatti,
solo facendo reagire il glucosio-fosfato con il fruttosio-fosfato
saccarosio
si ha la possibilità di formare un legame tra i due zuccheri:
1. glucosio + ATP  glucosio~fosfato + ADP
2. fruttosio + ATP  fruttosio~fosfato + ADP
glucosio e fruttosio
3. glucosio~fosfato + fruttosio~fosfato  saccarosio + 2 P
la cui somma dà:
4. glucosio + fruttosio + 2 ATP  saccarosio + 2 ADP + 2 P
È un po’ come se, energeticamente parlando, il glucosio ed il fruttosio avessero preso l’ascensore: il
livello energetico di questi due zuccheri è infatti minore dei corrispondenti fosforilati e, a loro volta, questi
ultimi hanno un livello energetico maggiore del saccarosio, così l’unione del glucosio-fosfato con il fruttosio-fosfato diventa una reazione esotermica.
LE VIE METABOLICHE
Le migliaia di reazioni chimiche anaboliche e cataboliche che avvengono in una cellula non si verificano simultaneamente né in modo indipendente l’una dall’altra: esse sono regolate e coordinate all’interno di
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vie metaboliche. Una via metabolica è una sequenza di reazioni in cui il prodotto della prima reazione è il
reagente della seconda, che a sua volta è il reagente della terza e così via fino al prodotto ultimo della via. Le
molecole prodotte e utilizzate in una via metabolica prendono il nome di intermedi metabolici e ognuno di
questi può essere impiegato da un’altra via, così le diverse vie metaboliche possono intersecarsi l’una con
l’altra. Alcune vie cataboliche sono apparentemente uguali e contrarie alle corrispondenti vie anaboliche, in
realtà la perfetta sovrapposizione tra vie cataboliche e anaboliche non si verifica quasi mai e ciò consente di
regolare in modo diverso e indipendente i processi catabolici e anabolici a seconda delle esigenze. Si distinguono vie convergenti, divergenti e cicliche. Le vie cataboliche che consentono di ricavare energia dai nutrienti sono in genere convergenti, cioè partono da numerosi substrati diversi e portano alla produzione di un
numero limitato di molecole semplici. Il catabolismo è dunque costituito da un insieme di vie convergenti.
Le vie divergenti caratterizzano invece l’anabolismo. Qui si parte da un limitato numero di piccole molecole
e, attraverso una serie di processi differenti, si ottengono molte molecole diverse. L’anabolismo è pertanto
costituito da un insieme di vie divergenti. Infine, le vie cicliche sono tipicamente quelle situate tra il catabolismo e l’anabolismo. In esse una molecola viene gradualmente modificata fino a ritornare esattamente
com’era. A prima vista sembra del tutto inutile, ma l’importanza delle vie cicliche sta nella formazione di
numerosi composti intermedi che possono essere indirizzate verso altre vie metaboliche.
Ma qual è il vantaggio di organizzare il metabolismo per vie invece che per singole reazioni? I vantaggi sono più d’uno. Innanzitutto così facendo si ha a che fare ogni volta con piccole quantità di energia che
possono essere più facilmente gestite, un’unica trasformazione libererebbe, infatti, una grande quantità di
energia che per gran parte si trasformerebbe in calore con grave danno della cellula e dell’organismo. Poi vi
è il vantaggio dell’intersecazione tra diverse vie, in questo modo se una via è bloccata è sempre possibile
trovare vie alternative per superare l’ostacolo. Infine, un ultimo, importantissimo vantaggio, sta nel fatto che
è più facile la regolazione del metabolismo se questo è organizzato per vie e non per singole reazioni.
LA REGOLAZIONE DEL METABOLISMO
L’insieme delle vie metaboliche formano un fitto intreccio che dev’essere accuratamente regolato,
così da evitare una situazione caotica ed incontrollata; inoltre l’intero metabolismo deve adeguarsi di volta in
volta alle esigenze della cellula, in modo che quest’ultima sia messa in condizione di far fronte alle diverse
necessità; infine, negli organismi pluricellulari, vi è anche l’esigenza di dover armonizzare le attività metaboliche dei diversi tessuti ed organi. Devono quindi esistere efficaci sistemi di regolazione che intervengano
opportunamente sul metabolismo. Di questi, il più importante è rappresentato dagli enzimi. Naturalmente vi
sono anche altri meccanismi che contribuiscono alla regolazione del metabolismo, come l’organizzazione
degli enzimi in complessi multienzimatici, la compartimentazione cellulare, la disponibilità dei substrati…
Gli enzimi
Molto spesso le reazioni, per poter avvenire, hanno bisogno di venire innescate, occorre cioè fornire
un po’ di energia ai reagenti (energia di attivazione) in modo da avviare la reazione che, una volta iniziata
procede poi autonomamente. Per esempio, per bruciare un foglio di carta è necessaria l’energia di attivazione
data dal fiammifero e, una volta avviata, la combustione si mantiene da sola grazie all’energia prodotta dalla
reazione stessa. La necessità di un innesco per dare inizio alla reazione dimostra che esiste una barriera energetica fra i reagenti e i prodotti. L’energia di attivazione è l’energia necessaria per rompere i legami dei reagenti in modo che si possano riorganizzare formando i prodotti. Ogni reazione chimica possiede una propria
energia di attivazione. Da dove proviene l’energia di attivazione? Normalmente le molecole sono in movimento e possono utilizzare la propria energia cinetica per superare la soglia energetica e reagire. Tuttavia, a
temperatura ambiente sono poche le molecole che possiedono energia sufficiente e la reazione avviene molto
lentamente o anche per niente (la carta reagisce ugualmente con l’ossigeno ingiallendo e deteriorandosi, ma
con tempi infinitamente più lunghi). Se si riscaldasse il sistema, tutte le molecole si muoverebbero più in
fretta e avrebbero una maggior energia cinetica; aumentando il numero di molecole dotate di un’energia superiore all’energia di attivazione, la reazione sarebbe più veloce. Nelle cellule, però, la temperatura non può
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raggiungere livelli elevati altrimenti si ha la denaturazione delle proteine, così l’innesco di una reazione è ottenuto con l’impiego di catalizzatori: sostanze che abbassando l’energia di attivazione rendono molto più
veloci le reazioni. L’energia di attivazione dipende dai cosiddetti “urti efficaci”, ovvero dal numero di urti tra
le molecole dei reagenti che determinano una loro trasformazione in prodotti. Perché una reazione possa avvenire è necessario, infatti, che le molecole dei reagenti si urtino tra loro con una determinata “forza” e un
determinato orientamento. I catalizzatori aumentano il numero degli urti efficaci – e quindi abbassano
l’energia di attivazione – intervenendo sull’orientamento delle molecole dei reagenti. Nelle cellule i catalizzatori sono rappresentati dagli enzimi: una normale cellula ne contiene da 1000 a 4000 diversi, ognuno
capace di catalizzare una specifica reazione. Vi è infatti una stretta specificità tra enzima e reazione: non ci
sono, in altre parole, enzimi “tuttofare” ma ce n’è uno specifico per ogni reazione. I diversi enzimi, il cui
nome è femminile e termina sempre in -asi, vengono distinti in diversi gruppi sulla base del tipo di reazione
da essi catalizzata: vi sono così le transferasi (determinano il trasferimento di atomi o di gruppi di atomi), le
idrolasi (determinano la rottura di legami per aggiunta di una molecola d’acqua), le isomerasi (provocano il
riarrangiamento degli atomi in una molecola), le deidrogenasi (tolgono atomi di
idrogeno), e così via…
Il meccanismo d’azione di un enzima si basa essenzialmente sulla sua particolare configurazione tridimensionale.
Gli enzimi sono infatti proteine sulla cui
superficie vi sono una o più regioni, denominate siti attivi, ciascuna delle quali è
conformata in modo da poter accogliere in
modo specifico solo le sostanze che devono reagire, dette genericamente substrato. Una volta che tale legame è avvenuto, l’enzima innesca la reazione liberando i prodotti che si sono formati. In questo modo esso non viene consumato e rimane inalterato al
termine della reazione, ancora disponibile per altro substrato: sono così necessarie minime quantità di enzima
per ottenere la trasformazione di una gran quantità di substrato. Questo meccanismo, detto “a chiave e serratura” (la chiave è rappresentata dal substrato e la serratura dal sito attivo dell’enzima), conferisce all’enzima
una stretta specificità per il substrato: come ogni serratura ha la sua chiave specifica, così ogni enzima ha il
suo specifico substrato.
La funzione degli enzimi è estremamente importante: senza di essi l’energia di attivazione necessaria
per avviare una qualunque reazione metabolica sarebbe troppo elevata e di conseguenza la reazione non potrebbe avvenire (o per lo meno avverrebbe con una velocità così lenta da essere incompatibile con le esigenze della cellula e dell’organismo). Appare allora chiaro che, controllando gli enzimi, si può fare in modo che
certe reazioni avvengano ed altre no. Inoltre, attraverso il controllo enzimatico è possibile controllare l’intero
metabolismo cellulare a causa dell’organizzazione del metabolismo stesso in vie metaboliche: infatti, regolando determinate “reazioni chiave” si può bloccare o, al contrario, favorire un’intera via metabolica. Il controllo sugli enzimi può essere fatto in due modi diversi: geneticamente o funzionalmente.


Il controllo genetico si basa sulla possibilità di poter accedere alle informazioni necessarie alla produzione degli enzimi. Si tratta di un meccanismo piuttosto complesso e che richiede tempi piuttosto lunghi. Di questo tipo di controllo parleremo quando affronteremo
lo studio della genetica.
Il controllo funzionale si basa invece sul permettere o meno il funzionamento dell’enzima. Si tratta di un meccanismo assai rapido che può essere realizzato in più modi differenti, non necessariamente in alternativa tra loro. Qui ne prenderemo in considerazione
solo due: l’inibizione enzimatica e il feedback.
L’inibizione enzimatica
L’inibizione è uno dei più efficaci sistemi di controllo enzimatico. Vi sono diversi modi attraverso i
quali essa si può realizzare, il più diffuso è detto inibizione competitiva. Si tratta semplicemente del fatto
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che altre sostanze, ovviamente diverse dal substrato ma strutturalmente simili ad esso, possono competere
con quest’ultimo per occupare il sito attivo dell’enzima. Il legame tra enzima ed inibitore blocca l’attività
dell’enzima, rendendo il sito attivo non disponibile per il substrato. Il legame enzima–inibitore è di tipo dinamico (cioè si rompe e si riforma in continuazione), di conseguenza sono le relative concentrazioni dell’inibitore e del substrato che determinano quale di queste due molecole si leghi preferenzialmente all’enzima: se
la concentrazione dell’inibitore è maggiore di quella del substrato il legame enzima–inibitore è favorito e
quindi l’enzima è bloccato, viceversa se è la concentrazione del substrato a prevalere, il legame enzima–
substrato è più probabile e la reazione può avvenire. In genere l’inibizione competitiva è reversibile, per cui
allontanando l’inibitore l’enzima riprende a funzionare normalmente.
Un altro tipo assai diffuso di inibizione enzimatica è rappresentato dagli inibitori allosterici. Si tratta di molecole capaci di legarsi ad un enzima del quale non sono, ovviamente, il substrato specifico. Il legame tra l’enzima e l’inibitore allosterico, che avviene in posti diversi e generalmente lontani dal sito attivo,
determina una modificazione (che può essere reversibile o irreversibile) della struttura enzimatica, così che
non è più possibile il legame enzima–substrato.
Il feedback
Il termine feedback significa letteralmente “retroazione” e sta ad indicare il meccanismo per cui il
prodotto di una determinata reazione metabolica influenza altre reazioni che la precedono, appartenenti alla
stessa via metabolica o anche ad altre vie differenti. Generalmente l’azione esercitata è di tipo inibitorio, per
cui si parla anche di feedback negativo, ma in certi casi essa può anche essere di incremento e in questo caso il feedback viene detto positivo. Molte vie metaboliche, soprattutto quelle che presentano ramificazioni, si
basano sulla regolazione a feedback negativo poiché si tratta di un meccanismo assai semplice e di veloce
esecuzione. Per capire come funziona prendiamo in considerazione l’inizio della via metabolica della respirazione. Essa parte dal glucosio, che viene inizialmente fosforilato a glucosio-6-fosfato da un enzima detto
esochinasi. Il glucosio, però, non è utilizzato solo per la respirazione ma, all’interno della cellula, ha un’ampia gamma di possibili impieghi; ne deriva allora che non è opportuno indirizzare tutto il glucosio disponibile verso la respirazione, ma incanalarvi solo quello che è strettamente necessario. Per questo la esochinasi è
inibita dal glucosio-6-fosfato, il prodotto della reazione da lei stessa catalizzata: quando la concentrazione di
quest’ultimo aumenta oltre un certo livello l’enzima smette di funzionare e il glucosio può quindi essere utilizzato per altri scopi.
I COENZIMI
L’attività di alcuni enzimi richiede la presenza di sostanze diverse dal substrato chiamate coenzimi,
cofattori o gruppi prostetici. I coenzimi (il nome deriva dalla contrazione delle parole “cofattori dell’attività
enzimatica”) sono molecole organiche che servono all’enzima come strutture di appoggio sulle quali trasferire temporaneamente alcuni prodotti intermedi della reazione. Alcuni coenzimi sono necessari nelle reazioni
di ossido-riduzione: essi acquistano una coppia di elettroni insieme a uno ione H+ e li trasferiscono ad
un’altra molecola. Tra questi ultimi meritano un cenno speciale il NAD (sigla di Nicotinammide-AdeninDinucleotide) e il NADP (sta per NAD fosfato), entrambi derivati dalla vitamina PP, e il FAD (sigla di Flavin-Adenin-Dinucleotide) o vitamina B2. Il NAD e il NADP trasportano un protone e due elettroni riducendosi rispettivamente a NADH e NADPH; il FAD accetta invece due elettroni e due protoni riducendosi a
FADH2; molte vitamine sono coenzimi o parte di coenzimi che si legano temporaneamente (o anche permanentemente) all’enzima, in punti molto prossimi al sito attivo.. I cofattori sono metalli (come per esempio lo
zinco o il ferro) indispensabili perché esso assuma la corretta configurazione spaziale o ioni, come per esempio Mg++, necessari per il trasferimento di gruppi fosfato da una molecola all’altra. I gruppi prostetici sono
gruppi molecolari attaccati all’enzima, il gruppo eme dell’emoglobina ne è un esempio.
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IL CATABOLISMO
Il catabolismo comprende tutte quelle reazioni metaboliche che hanno lo scopo di recuperare energia
dalle molecole complesse. Il 60% dell’energia così recuperata viene disperso nell’ambiente sotto forma di
calore e il rimanente 40% è invece messo a disposizione della cellula sotto forma di ATP. Possiamo evidenziare, a carico del catabolismo, le seguenti caratteristiche generali:
 nel catabolismo si procede in genere da molecole complesse a molecole semplici;
 poiché lo scopo del catabolismo è quello di recuperare energia, le reazioni che lo compongono sono dette “in discesa” in quanto il contenuto energetico dei reagenti è maggiore di quello dei prodotti. La differenza di energia tra reagenti e prodotti non corrisponde però all’intera
quantità di energia resasi disponibile: occorre infatti non dimenticare la quota dispersa sotto
forma di calore;
 a causa della dispersione di calore, possiamo anche dire che la maggior parte delle reazioni
cataboliche è di tipo esotermico;
 il catabolismo produce ATP: il 40% dell’energia che esso recupera viene, infatti, immagazzinata nei legami ad elevato contenuto energetico di questa molecola;
 infine le vie cataboliche sono prevalentemente “convergenti”, vale a dire che le molecole
semplici a cui si arriva sono più o meno le stesse (per lo più costituite da acqua ed anidride
carbonica), indipendentemente dalle molecole complesse da cui si parte.
In linea di massima qualunque tipo di molecola complessa può essere utilizzata, attraverso il catabolismo, per recuperarne l’energia. In pratica, però, vi sono alcune biomolecole particolarmente destinate a
questa funzione: si tratta principalmente dei glucidi e dei lipidi. Si parla quindi di un catabolismo glucidico e
di un catabolismo lipidico, tra i quali vi sono alcune differenze:
 il catabolismo glucidico è meno impegnativo e più veloce di quello lipidico che, al contrario, richiede più tempo ed è più laborioso;
 il catabolismo glucidico è in grado di recuperare, a parità di peso, una minor quantità di
energia dalle molecole complesse (ciò significa che, per esempio, da 1 grammo di grassi
si ricava più ATP che non da 1 grammo di zuccheri).
Nelle cellule, e più in generale negli organismi, si preferisce sempre ricorrere al catabolismo glucidico, lasciando i lipidi come sorgente energetica di riserva. Il catabolismo glucidico interessa in particolare il
glucosio, anzi esso ha un ruolo chiave in tutto quanto il catabolismo, poiché qualunque altro monosaccaride,
prima di poter essere utilizzato, dev’essere convertito in glucosio (con l’unica eccezione del fruttosio, che
può essere utilizzato così com’è), anche le molecole complesse prodotte attraverso la fotosintesi sono molecole di glucosio.
Il recupero dell’energia dal glucosio avviene attraverso due distinte vie metaboliche, in alternativa
tra loro, che vanno sotto il nome di fermentazione e respirazione. Essi però non sono due processi equivalenti, tra loro vi sono alcune importanti differenze:
 la fermentazione è molto meno efficiente della respirazione: invece che del 40%, con essa si recupera appena il 2% dell’energia proveniente dal glucosio;
 la fermentazione, al contrario della respirazione, non ha bisogno né di particolari condizioni, né di specifiche strutture.
La respirazione è dunque molto più efficiente della fermentazione: ha una resa energetica circa 20
volte maggiore ed è quindi comprensibile che, a parità di condizioni, venga preferita come processo per ricavare energia. Però non tutte le cellule sono in grado di compierla perché essa, al contrario della fermentazione, richiede sia la disponibilità di ossigeno che strutture specializzate, che nelle cellule eucariote sono localizzate nei mitocondri, mentre nelle cellule procariote sono localizzate sulla membrana cellulare. Gli organismi in grado di utilizzare l’ossigeno vengono detti aerobi, quelli che invece non sono in grado di utilizzarlo
vengono detti anaerobi. Questi ultimi, a loro volta, possono distinguersi in anaerobi facoltativi se possono
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crescere e svilupparsi anche in presenza di ossigeno e in anaerobi obbligati se invece devono necessariamente vivere lontani dall’ossigeno poiché questo gas è per loro un veleno. Infatti l’ossigeno, contrariamente
a quanto si possa pensare, è una sostanza estremamente pericolosa per le cellule: è molto reattivo e di conseguenza altera i normali costituenti cellulari, formando i cosiddetti “radicali liberi”, uno dei responsabili
dell’invecchiamento e della morte cellulare. La quasi totalità delle cellule ha però sviluppato opportuni sistemi di difesa dai danni provocati dall’ossigeno che, almeno entro certi limiti, le proteggono efficacemente.
Questi sistemi di difesa non sono però presenti negli anaerobi obbligati, ecco quindi perché per essi
l’ossigeno costituisce un veleno.
L’ANABOLISMO
Mentre il compito del catabolismo è semplicemente quello di recuperare, sotto forma di ATP,
l’energia necessaria alle diverse attività cellulari, l’anabolismo ha invece obiettivi assai più complessi che
prevedono l’utilizzazione dell’energia recuperata. I principali compiti dell’anabolismo possono essere così
riassunti:
 mantenere l’omeostasi cellulare, per esempio attraverso la produzione delle molecole
necessarie per la struttura e le funzioni della cellula;
 compiere lavoro utile, che può essere sia di tipo meccanico (come la contrazione muscolare), che di tipo elettrico (come la trasmissione dell’impulso nervoso) o anche di tipo
chimico (come i fenomeni di trasporto) o altro ancora;
 permettere la crescita e la moltiplicazione cellulare;
 costituire depositi di biomolecole complesse da utilizzare come riserva energetica nei
momenti di bisogno.
L’anabolismo richiede dunque energia e di conseguenza le sue caratteristiche generali sono l’esatto
contrario di quelle del catabolismo. In particolare:
 procede, nella quasi totalità dei casi, da molecole semplici a molecole complesse;
 comprende prevalentemente reazioni endotermiche, che procedono cioè con un assorbimento di energia;
 poiché l’energia viene fornita dall’ATP, si può affermare di conseguenza che l’anabolismo consuma l’ATP che il catabolismo ha procurato;
 le reazioni anaboliche sono dette “in salita”, poiché i reagenti hanno un contenuto energetico minore di quello dei prodotti;
 infine è detto “divergente” poiché, pur partendo dalle stesse molecole semplici, si arriva
ad ottenere una grande varietà di molecole complesse differenti.
In genere le vie anaboliche sono semplicemente l’inverso di quelle cataboliche, talvolta però
l’anabolismo dispone di proprie vie metaboliche, come nel caso della sintesi delle proteine.
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